LA CASTA DELL’ACI, GARANTISCE LA BRAMBILLA
LA LEGGE IMPONE UNA DRASTICA RIDUZIONE DEI DIRIGENTI, IL MINISTRO LI TIENE IN VITA
In questi giorni di stangate e rigore, di forbici che tagliano ovunque, tranne che nei pressi della Casta, la storia dell’Aci e del fantomatico decreto firmato dal ministro Brambilla diventa ancor più interessante.
L’Aci è infatti un “ente pubblico non economico”, con circa un milioni di iscritti e partecipazioni in parecchie società : Sara assicurazioni, Ala assicurazioni, Aci Mondadori, Ventura e altre ancora.
Insomma, l’Aci non è una robetta da niente, e il suo presidente Enrico Gelpi ogni anno intasca un’indennità da circa 300mila euro.
Ai suoi tre vicepresidenti, invece, ne spettano circa 100 mila.
A vigilare sulla correttezza di questo ente pubblico, è il ministero Michela Vittoria Brambilla, poichè l’Aci è soggetta al controllo del ministero del Turismo.
La stessa Brambilla che vede Eros Maggioni , il suo compagno, sedere al consiglio direttivo dell’Aci Milano.
La Brambilla avrebbe dovuto controllare, quindi, la regolarità delle elezioni e, soprattutto, l’applicazione dell’art.6 comma 5 del decreto legge 78/2010, che prevede la riduzione dei costi degli apparati pubblici e avrebbe dovuto ridurre il Consiglio Generale da 43 a soli 5 membri.
Ma questo non è mai accaduto.
Il Consiglio Generale dell’ente è scaduto a dicembre 2010, ma le nuove elezioni previste dallo statuto non si sono mai viste.
Rischiava anche il Comitato Esecutivo, una specie di doppione dunque ulteriore fonte di costi da eliminare.
A otto mesi dal novembre 2010, nulla è cambiato.
L’avvocato potentino Giuseppe Nolè, presidente della federazione italiana karting – associazione sportiva interna ad Aci Csai – a maggio diffida l’Aci a rispettare le norme: chiede nuove elezioni e riduzione dei costi e dei componenti.
Scrive anche al ministero, finchè si vede recapitare una lettera, con l’intestazione “Presidenza del Consiglio dei ministri”. Il contenuto è doppiamente interessante.
Si scopre che l’8 settembre la Brambilla, invece di prendere provvedimenti per la mancata riduzione dei costi, passa la palla al Consiglio di Stato, chiedendo un suo parere. Un conto è eleggere 43 membri, un altro è eleggerne solo 5 e quindi, nel frattempo, le elezioni rischiano di slittare.
E infatti: la data delle elezioni si avvicina e – in assenza del parere, sebbene lo Statuto dell’Aci prevedesse le elezioni, – si giunge alla scadenza del mandato per l’intero consiglio generale.
Come dire: la democrazia interna, il diritto dei soci a eleggere i propri rappresentanti, si sospende d’incanto.
Il 16 dicembre 2010, l’Aci modifica alcuni articoli dello Statuto, e differisce a marzo 2012 la scadenza del Consiglio generale: una proroga di ben 14 mesi.
La delibera viene trasmessa al Gabinetto del Ministro Brambilla. E qui viene il bello.
Il gabinetto del ministro istruisce la pratica per un decreto di approvazione.
È la stessa presidenza del Consiglio a scrivere, nella lettera indirizzata a Nolè, che “il Gabinetto dell’Onorevole Ministro ha seguito direttamente la vicenda predisponendo i relativi atti”.
Sappiamo quindi, da una fonte ufficiale, che questa vicenda è stata seguita direttamente dal ministro. Ecco come.
Negli atti del ministero si legge che l’Aci ha modificato gli articoli 6, 13 e 18 dello Statuto.
Con questa modifica, in teoria, si sarebbe sanata una grave irregolarità , l’omesso svolgimento delle elezioni. A mettere un sigillo sull’operazione, arriva il decreto, istruito dal gabinetto della Brambilla che, da vigilante sull’Aci, firma l’atto il 23 dicembre 2010. Per essere una “vigilanza”, c’è qualche distrazione di troppo, visto che il testo degli articoli 13 e 18 del vigente Statuto, approvato con decreto 23 dicembre 2010, è identico al testo precedente .
Le modifiche riguardavano gli articoli 12 e 19, che nel decreto non vengono neanche menzionati.
Se non bastasse, bisogna ricordare che un decreto, per essere efficace, deve essere pubblicato.
Ebbene: dal 23 dicembre a oggi, sulla Gazzetta Ufficiale, di quel decreto non c’è traccia, dunque è tuttora inefficace. ma c’è di più: l’Aci lo mette sul proprio sito web e – addirittura – dichiara che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2011. Falso.
Eppure l’Aci è tenuta a rispettare le norme sulla trasparenza degli atti.
E il ministero dovrebbe vigilare sulla sua correttezza. Non è ancora tutto.
Il fantomatico decreto viene utilizzato, ufficialmente, in un altro atto pubblico: il 27 giugno, l’Aci, lo utilizza per difendersi, in una vertenza con l’Agcm. Un decreto che, di fatto, non c’è, ma nessuno fa una piega.
Tanto meno la Brambilla.
E ancora: Se il decreto non è efficace, gli organi Aci – che continuano a lavorare senza essere stati eletti – dovrebbero essere decaduti. Se così fosse, l’ente dovrebbe essere commissariata.
Da chi? Sempre dalla Brambilla, che però ha avallato tutta l’operazione, con il suo decreto, scritto sì, ma inefficace.
A questo punto non si capisce chi controlla chi.
Neanche i parlamentari possono controllare la situazione. Da mesi, il senatore dell’Idv Felice Belisario, chiede un chiarimento al governo, ma dalla Brambilla, nonostante diverse interrogazioni parlamentari, non è mai arrivata una risposta. Nel frattempo è arrivata la risposta del Consiglio di Stato che, a luglio, ha emesso il proprio parere.
Il parere non sposta di una virgola il pasticcio del decreto non pubblicato. Ma almeno offre un indirizzo: la riduzione degli organi – quindi l’applicazione dell’art.6 comma 5 del decreto legge 78/2010 – per l’Aci può anche non essere applicata, in quanto facendo parte del Coni, risponde alle regole delle federazioni sportive.
A dirla tutta, le categorie sportive dell’automobilismo riconosciute non costituiscono, con i loro rappresentanti, il Consiglio Generale ed il Comitato Esecutivo della propria federazione sportiva Aci.
Il Consiglio di Stato, però, aggiunge un altro “dettaglio”: le cariche collegiali e monocratiche degli enti pubblici devono essere ricoperte a titolo onorifico: non può essere erogata alcuna indennità di carica.
Se l’interpretazione venisse accolta, il Presidente dell’Aci non potrebbe più percepire l’indennità da circa 300 mila euro, i tre Vicepresidenti quella da 100 mila annui, ma nè l’Aci, nè la Brambilla, a questa parte del parere, sebbene ufficialmente chiesto al Consiglio di Stato, hanno mai mostrato alcun interesse.
Tutto è rimasto com’era.
Antonio Massari
da (“il Fatto Quotidiano“)
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