Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
IL TESTO DEL DOCUMENTO DI EX DIRIGENTI E ISCRITTI COSTRETTI A LASCIARE FLI GENOVA PER RAGIONE ETICHE… DA DUE MESI IL VERTICE NAZIONALE DI FLI, DI FRONTE A GRAVI FATTI E COMPORTAMENTI DEL COORDINATORE REGIONALE, INCONCILIABILI CON IL MANIFESTO DEL PARTITO, CONTINUA A FAR FINTA DI NULLA, MENTRE FLI A GENOVA E’ ORMAI INESISTENTE
GIANFRANCO, RESTITUISCI FUTURO E LIBERTA’ AI MILITANTI GENOVESI
NON VOGLIAMO SEDI IN REGALO, VISITE DI PLURI-INDAGATI E CIRCOLI
SOSPETTI.
VOGLIAMO UN PARTITO TRASPARENTE.
VOGLIAMO UN’ITALIA PULITA NELLA LEGALITA’ E NELLA GIUSTIZIA SOCIALE.
RICORDIAMO LE PAROLE DI FINI:
“NOI VOGLIAMO UN’ITALIA INTRANSIGENTE CONTRO LA CORRUZIONE E CONTRO TUTTE LE MAFIE, CHE PROMUOVA LA LEGALITA’, L’ETICA PUBBLICA E IL SENSO CIVICO”
(Punto 4 del Manifesto per l’Italia di FLI)
“I PARTITI SONO TENUTI A SVOLGERE UN’OPERA DI PULIZIA AL LORO INTERNO, EVITANDO DI CANDIDARE PERSONE SOSPETTE DI VICINANZA ALLA MAFIA E A MAGGIOR RAGIONE NON ELEVANDOLI A POSTI DI RESPONSABILITA’.
NON E’ NECESSARIO ASPETTARE SENTENZE DEFINITIVE PER PRENDERE LE OPPORTUNE DECISIONI: OCCORRE ELIMINARE OGNI AMBIGUA ZONA DI CONTIGUITA’ CONTRO LA CRIMINALITA’ E IL MALAFFARE E APPLICARE PRINCIPI DI RESPONSABILITA’ POLITICA E DI ETICA PUBBLICA”
(Palermo, 19.7.2011)
E QUELLE DI PAOLO BORSELLINO
C’E’ IL FORTE SOSPETTO CHE DOVREBBE INDURRE I PARTITI A FARE PULIZIA DI TUTTI COLORO CHE SONO RAGGIUNTI DA FATTI INQUIETANTI. I PARTITI DEVONO TRARRE LE DOVUTE CONSEGUENZE DA QUESTA VICINANZA TRA POLITICI E MAFIOSI CHE, ANCHE QUANDO NON COSTITUISCONO REATO, RENDONO COMUNQUE IL POLITICO INAFFIDABILE NELLA GESTIONE DELLA COSA PUBBLICA”
(Paolo Borsellino 26-01-1989)
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A MIRABELLO SII COERENTE, SCEGLI LA LEGALITA’: SCIOGLI E RIFONDA FLI LIGURIA
“INDIGNADOS FUTURISTI” di Genova
argomento: denuncia, destra, Fini, Futuro e Libertà, Giustizia, mafia, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
I COSTI DEL PALAZZO SONO LIEVITATI: LORO LO SANNO E SI NASCONDONO…. ECCO I DATI: INCREMENTO DELLE SPESE IN VENTI ANNI DI OLTRE IL 60%
Dal regale e imperioso “lei non sa chi sono io”, all’emergenziale e clandestino “Lei non sa chi non sono io”.
Ci voleva la penna arguta e l’occhio da esperto raccontatore di Palazzo di una firma della Stampa come Fabio Martini, per fotografare l’immagine che racconta il passaggio di epoca: quella dell’onorevole della Seconda Repubblica e mezzo che per strada nega la sua funzione, la sua identità , la sua immagine, nei tempi della grande crisi.
Abbiamo visto passare due Repubbliche in cui i parlamentari esibivano il proprio orgoglio, ci prepariamo a una terza in cui aspirano alla clandestinità .
Un motivo, un motivo brutale, matematico, immediato, per spiegare questa repentina mutazione di status, in effetti c’è.
La manovra più pazza del mondo, quella che balla ogni giorno la sua danza tra Camera e Senato annunciando nuovi balzelli e variando i propri totali, annunciava sfracelli, e ha partorito un topolino.
La Casta ha annunciato e propagandato i propri sacrifici, ha raccontato il senso responsabile del martirio autoimposto e dei tagli di bilancio.
E ha partorito l’ennesima piccola grande truffa, un balletto di cifre taroccate, che nascondono l’invarianza dei saldi.
Un esempio?
Il contributo di solidarietà raddoppiato che preoccupava tanto l’onorevole Paniz (“Se va bene prenderò solo 300 euro!”), in realtà si applicherà solo ai parlamentari che guadagnano di più (presidenti, vicepresidenti e presidenti di commissione).
Quanti? Su quasi mille, secondo i calcoli dei due inchiestisti anti-Casta, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, si applica sì e no a trenta persone.
Tutti coloro che vogliono leggere una fotografia vivida, impietosa e persino feroce di questa ennesima operazione gattopardistica, non devono fare altro che leggere l’ultimo libro della premiata ditta Stella-Rizzo.
Si intitola Licenziare i padreterni (Rizzoli, 180 pagine 9 euro), ed è un instant book che documenta in diretta i conti fallimentari dello Stato e la velleità dei tanto sbandierati tentativi di (auto)riforma.
“Padreterni”, non è una recente ingiuria tratta dall’arsenale di qualche profeta dell’antipolitica, ma una definizione ironica tratta dalla penna alata di un padre della Repubblica come Luigi Einaudi: “A Roma spadroneggia un piccolo gruppo di padreterni, i quali si sono persuasi, insieme con qualche ministro, di avere la sapienza infusa nel vasto cervello. Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi, persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano. Troppo a lungo li abbiamo sopportati”.
Volete scaldarvi con una raffica di numeri emblematici tratti dal breve e caustico saggio?
Eccone alcuni che fanno riflettere. Stella e Rizzo hanno passato allo scanner i conti della politica.
Per scoprire, ad esempio, che sulle donazioni che hanno prodotto sconti fiscali, ogni 100 mila euro, 392 euro vanno a enti benefici e ben 19 mila vanno ai partiti politici. Hanno riaggregato le fumose voci di bilancio del Palazzo per scoprire che la Camera dei deputati è passata da 291 milioni di euro del 1983 a un miliardo e 59 milioni del 2011.
Totale dell’aumento, attualizzando il calcolo?
La percentuale calcolata da Stella e Rizzo fa fare un salto sulla sedia: più 41,28% di spesa, alla faccia dei proclami moralizzatori e degli inviti all’austerità .
E il Quirinale? Nel 2001 spendeva 140.476 milioni di euro. Nel 2011 ne spende 228 milioni, con un aumento del 62% (!).
E che dire del Senato? Passa da 154,7 milioni del 1983 a 574 milioni del 2011. Totale dell’aumento di bilancio? Una cifra mostruosa, più 65%.
Ma messi in rapporto al Pil i numeri si fanno ancora più inquietanti: l’aumento delle spese correnti della Camera è pari al 367%.
D’altra parte, si fa presto ad aumentare le spese, se è vero che, solo per gli affitti dei Palazzi di Montecitorio spende 411 milioni di euro.
Tutto è cresciuto: gli immobili, i dipendenti, i budget.
E che dire del 31esimo stormo della Presidenza del Consiglio, quello che assicura i cosiddetti voli di Stato?
Stella e Rizzo raccontano il piccolo capolavoro di tenacia che è costato mettere insieme quei dati.
Nel 2005, gli autori de La Casta avevano elaborato una media inquietante secondo cui la flotta dei voli blu aveva volato — in media — per 37 ore al giorno (!).
Quest’anno, bombardando Palazzo Chigi per tre mesi di seguito, i due autori hanno finalmente ottenuto una risposta.
Rielaborando i numeri esce fuori che oggi le ore sono addirittura aumentate del 20%. Stella e Rizzo sono andati a caccia delle singole cifre.
Lo stipendio medio di un dipendente pubblico è 36.135. Quello di un dipendente Camera della 131.586 euro.
E che dire delle piccole grandi vergogne? Che dire di Giuseppe Bova, ex vicepresidente (diessino) del consiglio regionale calabrese che si vantava dicendo: “Io non uso l’autoblu!”.
Stella e Rizzo hanno trovato la cifra che Bova ha ottenuto come rimborso per l’uso dell’auto privata: 211 mila euro per quattro anni.
Vogliamo aprire la piaga del finanziamento pubblico? E che dire del pugliese Giovanni Copertino, ex democristiano ed ex berlusconiano, esponente di punta delle giunte Fitto?
Dopo venti anni di assemblea regionale ha incassato 492 mila euro di liquidazione. Qui le piccole storie si riverberano in quelle grandi, e le cifre ballano.
Stella e Rizzo hanno calcolato quanto hanno percepito i partiti di finanziamento pubblico in 36 anni: 5 miliardi e mezzo di euro.
Licenziare i padreterni è un racconto godibile e indignato, ma anche un libro di autodifesa.
Finchè quel frammento di società politica che viene definito Casta non ridurrà la sproporzione fra gli annunci e la realtà , la rabbia della società civile sarà difficile da placare.
Luca Telese
(da “Luca Telese blog”)
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Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
BOOM DI SPA PUBBLICHE; 80.000 AMMINISTRATORI, COSTO DI 2,5 MILIARDI…LE PARTECIPATE SONO CRESCIUTE DELL’11%: SEDI LUSSUOSE, CDA DI PORTABORSE, TASSO ATTIVITA’ ZERO….ALL’ARSEA IN SICILIA IL DIRETTORE GUADAGNA 300.000 EURO PER NON FARE NULLA…A PAVULLO, NEL MODENESE, A FRONTE DI 17.000 ABITANTI CI SONO 12 SOCIETA’ PARTECIPATE
La sede è al quarto piano di un bel palazzo che si affaccia su via Etnea, la strada principale di
Catania.
C’è un corridoio lungo il quale si aprono una, due, tre, quattro porte che nascondono uffici vuoti, scaffali privi di carte.
Dentro una delle stanze ronza un ventilatore preso in prestito.
Eccola qui, la tolda di comando dell’Arsea, l’agenzia regionale creata nel 2006 con un finanziamento di 35 milioni per agevolare l’erogazione di contributi agli agricoltori, ma che non ha mai esaminato una pratica.
Eppure, fino a qualche giorno fa, a sovrintendere a quelle scrivanie senza computer e a coordinare i tre impiegati a foglio paga c’era un direttore generale con uno stipendio di 170 mila euro l’anno.
Ugo Maltese, così si chiama il manager, vista «l’impossibilità di operare» si è dimesso.
Ma gli arretrati, che non ha mai percepito, li vuole lo stesso.
Un caso isolato? Non proprio.
L’Agenzia che non esiste è solo uno degli spettri che si aggirano nel vasto mondo delle società controllate o partecipate dagli enti locali italiani.
Sono spa, srl, consorzi e, secondo una ricerca sui costi della politica condotta dalla Uil, circa 500 non svolgono alcuna attività .
Sono, appunto, fantasmi che danno un tocco di brivido alla lunga teoria di enti le cui azioni sono in mano a Regioni, Province, Comuni.
I numeri sono da sopravvissuti del socialismo reale.
I ricercatori della Uil e dell’Unione province che si sono messi a contarle hanno scoperto che le società controllate o partecipate dagli enti locali sono 7 mila.
E garantiscono la sopravvivenza di una casta meno appariscente, ma perfino più costosa di quella dei politici di prima fila
Ottantamila persone, in tutta Italia, prendono un gettone o un’indennità per sedere nei cda, nei collegi sindacali, o per svolgere una consulenza a favore di questa miriade di aziende pubbliche.
E per finanziare questa casta minore se ne va un fiume di denaro: 2,5 miliardi l’anno è il costo di compensi e benefit che spettano agli amministratori delle spa pubbliche. Ma cosa è successo in questi anni nei Comuni e negli altri enti italiani pur falcidiati dai tagli ai trasferimenti?
Come è montata l’ansia degli amministratori di trasformarsi in spregiudicati businessmen che investono nei settori più disparati?
E quanto finisce nelle tasche dei “fedelissimi” chiamati a gestire queste imprese fondate coi soldi dei contribuenti?
L’armata del gettone
Gli anni del boom sono quelli che vanno dal 2006 al 2008.
In quel periodo, stima la Corte dei conti, le società controllate o partecipate dagli enti locali sono cresciute dell’11 per cento.
L’ultimo conteggio si è fermato a quota settemila. Le poltrone, invece, sono molte di più.
A conti fatti i componenti dei consigli d’amministrazione sono 24.310.
E pesano su ciascun contribuente italiano 63 euro all’anno.
La tassa, in realtà , è molto più pesante: perchè alla pletora di membri dei cda vanno aggiunti i componenti dei collegi sindacali o dei comitati di sorveglianza (tre o cinque) e coloro che hanno consulenze o svolgono incarichi professionali per conto di queste spa in mano pubblica.
Quella cifra iniziale, insomma, secondo le stime più prudenti, va almeno triplicata. Così, alla fine, l’armata del gettone finisce per mettere insieme 80 mila soldati.
«Il dato sorprendente – dice Luigi Veltro uno degli autori della ricerca sui costi della politica fatta dalla Uil – è che per quanto riguarda il numero di poltrone gli enti locali del Sud sono più virtuosi di quelli del resto d’Italia. Il rapporto si inverte, però, quando si parla dei costi di gestione delle società . In questo caso le controllate da enti locali del Meridione determinano una spesa di tre o quattro volte superiore alle altre». Il motivo è presto detto: sui bilanci delle spa pubbliche da Roma in giù pesano soprattutto le assunzioni di personale, quasi sempre senza concorso e molto spesso riservate a portatori di voti e parenti eccellenti.
Parentopoli Spa
L’ultimo scandalo, all’ombra del Vesuvio, è esploso con il ritrovamento di un “pizzino” nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la raccolta di rifiuti.
In un foglio finito sotto la lente della Procura nomi di gente da assumere all’Asìa, la municipalizzata napoletana che si occupa dell’igiene ambientale, oppure nelle ditte subappaltatrici.
Accanto a ogni nome la potenziale “dote” di consensi elettorali che ciascuna persona segnalata sarebbe stata in grado di portare.
Il simbolo dell’inchiesta è diventata la “teste” Kaori, assunta per 1.300 euro al mese in una delle società che riceveva le commesse da Asìa.
La donna ha raccontato di aver preso lo stipendio senza dover nemmeno andare in ufficio. È l’ennesimo coperchio sollevato sul pentolone nel quale, in tutto il Paese, prolifica la clientela basata sullo scambio fra appoggio elettorale e posto di lavoro. Con tutto quello che ne consegue.
L’Asìa di Napoli, ad esempio, ha in organico ben 2.440 dipendenti e tra questi, secondo la stessa azienda, 400 “inadatti” a svolgere il lavori di raccolta.
A Palermo i numeri sono ancora più impressionanti: l’Amia, la locale azienda per la raccolta dei rifiuti, e le sue controllate pagano uno stipendio a 2.810 dipendenti.
In pratica, nel capoluogo siciliano c’è un addetto alla pulizia ogni 259 abitanti, contro la media di uno ogni 577 di Torino e uno ogni 366 di Genova.
Ma a Palermo (come a Napoli) l’emergenza immondizia è sempre in cima all’agenda degli amministratori.
Il fatto è che da quando la legge ha trasformato le municipalizzate in società per azioni è caduto pure l’ultimo baluardo: il pubblico concorso. Adesso all’Amia e nelle aziende “sorelle” si assume per chiamata diretta. E gli effetti si vedono.
Gli organici sono pieni di parenti eccellenti: negli ultimi anni sono stati assunti la moglie di un ex assessore al Personale, il genero dell’ex coordinatore regionale di An, la cognata di un ex vicesindaco, figli di consiglieri comunali e di sindacalisti.
Anche le parentopoli hanno contribuito a creare il deficit che ha costretto i vertici dell’Amia a portare i libri in tribunale.
E il governo a staccare un assegno di 80 milioni di euro per salvare poltrona e faccia del sindaco di Palermo, Diego Cammarata. Asìa e Amia: aziende con numeri da record.
Ma da primato sono anche i casi delle spa che nascono e si alimentano con soldi pubblici pur rimanendo inattive.
Questi fantasmi
L’Arsea di Catania è solo la capofila.
A Catanzaro, per esempio, si parla da anni di un ente che avrebbe dovuto far diventare la Calabria «baricentro nazionale dello sviluppo dei processi e dei prodotti delle costruzioni».
Questo l’obiettivo posto nell’accordo di programma che nel 2005 trasferì da Bologna alla città calabra il «Centro tipologico nazionale», struttura a metà fra la ricerca e l’assistenza tecnica nel settore dell’edilizia pubblica e residenziale.
Peccato però che, a sei anni dalla costituzione della società della quale fanno parte Stato, Regione Calabria, Comune e Provincia di Catanzaro, l’attività del centro non sia ancora iniziata.
Eppure, c’è una sede e c’è un consiglio di amministrazione con 5 componenti che si riuniscono a vuoto da ben sei anni. «Ma non abbiamo mai percepito indennità – si affretta a spiegare Giovanni Carpanzano, uno dei consiglieri di amministrazione – e mi creda entro fine settembre finalmente cominceremo la nostra attività ». In attesa che la società fantasma esca dalle tenebre della sua mission aziendale, però, le spese corrono.
Fino a qualche settimana fa per gli uffici della spa che non c’è veniva pagato un regolare affitto. Per il centro tipologico che non c’è finora sono stati spesi 200 mila euro.
A Latina, invece, hanno inseguito il miraggio di una stazione termale per anni.
Il Comune ha perfino costituito una società , la Terme di Fogliano, di cui detiene l’85 per cento del pacchetto azionario. L’acqua l’hanno dovuta cercare, trivellando il suolo. Ma invano.
La ditta che ha eseguito i lavori adesso chiede un corrispettivo di 6 milioni 181 mila euro.
Il buco vero, a Latina, l’hanno scavato nei bilanci: la Terme di Fogliano è costata sinora sette milioni 356 mila euro.
E’ in liquidazione da sette anni: il commissario ha una parcella da 27.845 euro, il Comune stanzia ogni anno una quota fissa di 532 mila euro per gli accantonamenti necessari a far fronte agli “interessi moratori”.
E, nonostante tutto, il 5 luglio scorso sul sito del Comune è comparso un bando per la selezione del direttore minerario della società .
Il compenso? Undicimila euro per sei mesi.
Fantasmi e stranezze. Solo il 34 per cento delle società in mano agli enti locali – è una rilevazione della Corte dei conti – operano in settori tradizionali: igiene ambientale, idrico, trasporti, energia, gas.
Cosa c’è nel restante 66 per cento? Un po’ di tutto.
Enti che gestiscono teatri, cineteche, persino campeggi: il Comune di Jesolo, per dire, ha una quota nella proprietà del “Camping international”.
Voglia di volare
Una passione degli amministratori locali sembra essere quella del volo.
Sparse lungo la Penisola si contano 15 società che gestiscono aeroporti di rilevanza non esattamente strategica e che spesso finiscono per ospitare arrivi e partenze di vip e amatori.
A Pavullo nel Frignano, Comune di 17 mila abitanti in provincia di Modena, la fregola della partecipazione azionaria ha indotto i governanti a costituire ben 12 società : una ogni 1.416 abitanti.
Tra queste spicca la “Aeroporto di Pavullo srl” che accoglie una scuola per piloti di aliante.
Il presidente della società non prende gettoni ma la gestione dell’aeroclub comunale pesa 78.245 euro sul bilancio del piccolo municipio.
In Liguria c’è l’aeroporto di Luni, a due passi da Sarzana: anche questo è una pista che ospita prevalentemente voli privati ma nel quale la Provincia di La Spezia ha una partecipazione attraverso una delle sue controllate.
Niente a che vedere con l’importanza dell’aeroporto di Albenga, che all’ex ministro Scajola tornava utile per le sue trasferte romane.
La Provincia di Savona ne controlla il 39,95 per cento.
La società ha 7 dipendenti, un cda di cinque persone e nel bilancio del 2010 ha fatto segnare una perdita di 378 mila euro, nonostante una ricapitalizzazione di 600 mila euro fatta nell’agosto 2010.
Perchè questa è anche la storia di potenti che usano le spa come giocattoli: in Sicilia l’ex governatore Totò Cuffaro teneva tanto all’aeroporto nella sua Agrigento. “Aeroporto della Valle dei Templi”, si sarebbe dovuto chiamare.
Per realizzare lo scalo Comune e Provincia costituirono nel ’95 una società tenuta in piedi per 13 anni: il mesto bilancio, alla fine, è stato di 2,5 milioni di euro andati in fumo per gettoni ai consiglieri di amministrazioni, incarichi e progetti puntualmente bocciati dall’Enac.
Ma per una società inutile finalmente smantellata, tante restano in piedi. Cosa fanno? perchè è difficile liberarsene?
Duri a morire
Se non è un record, poco ci manca: trentunesimo commissariamento consecutivo. Così prosegue l’agonia dell’ultimo carrozzone meridionale: l’Eipli, acronimo che sta per ente per l’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Campania. Un residuato post-bellico, una struttura nata nel 1947 che a più riprese il governo ha annunciato di voler smantellare.
L’ennesima proroga al liquidatore scade a fine anno.
Peccato che nel frattempo sia nata un’altra società , che dovrebbe svolgere le stesse funzioni: è di proprietà della Regione Basilicata, ma anche la Puglia, a gennaio, ha deciso di entrare nel capitale azionario.
Il problema è che nessuno si vuole accollare il maxi-debito contratto in quasi 65 anni di attività dell’Eipli: 250 milioni.
E così la società “gemella”, la Acqua spa, rimane in perenne attesa del trasferimento delle funzioni.
Esiste, ma è priva della principale mission che, sulla carta, gli è stata attribuita. E rimangono in attesa anche gli organi direttivi regolarmente in carica, fra cui il presidente Antonio Triani, un ex esponente dell’Udeur vicino a Clemente Mastella, che percepisce uno stipendio di 5.300 euro lordi mensili
La vicenda dell’Eipli è quella di uno dei pachidermi che schiacciano i bilanci degli enti locali e che nessuno riesce ad abbattere.
E la trama di questo film, che comincia a Catania, ci riporta infine in Sicilia. In altre stanze vuote.
A Palermo fa tristezza aggirarsi per i locali spogli di quella che fu la Fiera del Mediterraneo, inaugurata negli anni Sessanta da Gronchi e oggi priva persino dei soldi per organizzare una sfilata di abiti da sposa.
La Fiera è affondata sotto un macigno di debiti (18 milioni) mentre la Corte dei conti rimproverava agli amministratori spese esilaranti come quelle per l’autoblù «con televisore e telefono al bracciolo» e per i soggiorni «senza ragioni istituzionali» al Plaza di New York o al Metropol di Mosca.
I 35 dipendenti dell’ente partecipato dalla Regione Siciliana, oggi, si commuovono davanti alle telecamere pensando ai tempi che furono.
Costretti, loro malgrado, a ricevere uno stipendio ogni mese per non svolgere alcuna mansione.
Enrico Del Mercato e Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
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Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
NEL CENTRODESTRA SI ROMPE IL TABU’ DEL PASSO INDIETRO…DURO SCONTRO CALDEROLI-GALAN SULLE PROVINCE
Berlusconi si tiene forte, la botta più pesante sta per arrivare.
«Ancora una volta – si è sfogato ieri mattina in Consiglio dei ministri – dobbiamo subire un attacco frontale da parte dei giudici, questi ci vogliono mettere a terra e non hanno esitato a mettere in galera una coppia di genitori pur di arrivare a me».
Ma se diversi esponenti del Pdl, anche ai massimi livelli, iniziano a considerare come il male minore l’ipotesi di un «passo indietro» del premier per salvare il centrodestra e la legislatura, l’interessato è determinato a resistere a qualsiasi costo.
Lo ha spiegato agli esponenti ex Fli – Ronchi, Urso e Scalia – ricevuti ieri a palazzo Chigi, ai quali si è voluto presentare spavaldo, offrendo il petto al nemico: «Dovete stare tranquilli, non ci sarà alcun governo tecnico, sotto tutte caz… te. Noi andiamo avanti comunque, fino al termine della legislatura, e useremo questi mesi per fare tante altre riforme, a partire da quella della giustizia».
Tanta baldanza non è tuttavia condivisa dal resto del partito, dove si respira un’aria da fine impero.
A Frascati ieri pomeriggio mezzo Pdl si riuniva in conciliaboli nelle sale della Summer School di Quagliariello e Gasparri e il clima era di grande apprensione per le intercettazioni in arrivo da Bari.
La telefonata tra Berlusconi e Lavitola, anticipata da l’Espresso, ha terremotato la prima giornata di relativa tranquillità sui mercati finanziari, gettando nello sconforto i dirigenti di via dell’Umiltà e oscurando i giudici positivi della Bce sulla manovra. Visto il “niet” del Cavaliere, la sua ostinata volontà di resistere, ai fedelissimi non resta che fare buon viso a cattivo gioco.
«Abbiamo appena varato una manovra che avrebbe gettato a gambe all’aria qualsiasi altro governo – riflette uno dei capigruppo del Pdl – e adesso l’unica via d’uscita è sfruttare il tempo che ci resta, da qui al 2013, per far dimenticare agli italiani questa mazzata e preparare la candidatura di Alfano».
Anche il premier si è già messo al lavoro sulle contromisure, scioccato per quei sondaggi che certificano un crollo del gradimento suo e del governo.
Dopo il bastone della manovra, Berlusconi progetta adesso la carota sotto forma di quoziente famigliare da inserire nella riforma fiscale.
L’ha ribattezzato “Fattore famiglia” – il termine quoziente lo ritiene «troppo da commercialisti» – e spera in questo modo di riagganciare i centristi dell’Udc e riconquistare il Vaticano.
Un’altra ragione per cui il premier è convinto di poter andare avanti è l’atteggiamento di Napolitano.
«Non è dal capo dello Stato – ripete Berlusconi in tutti i suoi incontri – che dobbiamo aspettarci scherzi. Non c’è più Scalfaro al Quirinale».
E quindi, se anche la prossima settimana dovessero uscire telefonate imbarazzanti, il premier non intende affatto gettare la spugna.
Ne ha avuto riprova Fedele Confalonieri, che si è fatto latore due giorni fa di un messaggio di Pier Ferdinando Casini.
In sostanza il leader dell’Udc suggeriva al capo del governo di anticipare il passaggio di testimone ad Angelino Alfano, in questo modo favorendo il realizzarsi di una larga maggioranza di «salvezza nazionale».
Pare che la risposta del Cavaliere sia stata qualcosa simile al gesto dell’ombrello.
E del resto lo stesso Alfano, l’eventuale beneficiario dell’operazione, pur di allontanare da sè il sospetto di essere parte del “complotto”, ieri ha messo le mani bene avanti: «Chi crede nella trasparenza non può che difendere il principio che il cittadino vota chi lo governerà e se quello smette di governare si torna al voto». Insomma, se Berlusconi cade ci sono solo le urne.
Intanto nel governo, nonostante il silenziatore imposto dalla grave congiuntura internazionale, non mancano le slabbrature sulle cose da fare.
Ieri in Consiglio dei ministri si è assistito all’ennesimo scontro tra una parte del Pdl e la Lega sull’abolizione delle province, che il Carroccio ha cercato in qualche modo di edulcorare.
Quando Calderoli ha iniziato a parlare di «province regionali», alludendo alla facoltà delle regioni di istituire delle forme associative tra i comuni, Giancarlo Galan ha perso la pazienza e gli ha risposto a brutto muso.
E, per una volta, Tremonti si è schierato con il ministro dei Beni Culturali, lasciando di stucco i presenti.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
IL TIMORE DEI CONSUMATORI E’ QUELLO DI UN AUMENTO INDISCRIMINATO DEI PREZZI CON RELATIVA PENALIZZAZIONE DEI CONSUMI
Bllette elettriche e i detersivi. I giocattoli e le tv, ma anche auto, moto, abbigliamento e scarpe. 
Così pure caffè, vino, cioccolata, pacchetti vacanze e una serie di servizi, dalle riparazioni dell’idraulico al taglio del parrucchiere.
Sono i «protagonisti» dell’aumento dell’Iva dal 20 al 21% deciso in extremis dal governo. La scelta impopolare almeno porterà nelle casse dello Stato tra i 4 e i 5 miliardi all’anno. E avrà un impatto sui prezzi dello 0,8%.
In teoria.
In pratica i timori delle associazioni dei consumatori è un aumento indiscriminato dei prezzi.
Con conseguente penalizzazione dei consumi, già in sofferenza per la crisi prolungata che ormai si sta facendo sentire sulle famiglie.
Per il presidente del Codacons Carlo Rienzi «il rialzo porterà a un aumento di tutti i prodotti indistintamente perchè l’Iva viene scaricata sui consumatori. Saremo destinati a veder salire anche l’inflazione».
Il termine ricorrente è «stangata».
Che il Codacons quantifica in 290 euro l’anno, ma che salirebbero fino a 385 euro per una famiglia di 4 persone.
I calcoli della Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani, è invece meno catastrofista e parla di «aggravio contenuto», valutando la misura del governo il «male minore».
La Cgia ha diviso le famiglie per disponibilità di spesa, prendendo in considerazione le fasce di reddito che vanno da un minimo di 15 mila a un massimo di 55 mila euro e per ognuna è stata calcolata l’incidenza dell’aumento in tre casi: contribuenti senza familiari a carico, famiglie con coniuge e 1 figlio a carico e famiglie con coniuge e 2 figli a carico.
Nell’elaborazione è stato tenuto conto dei fattori che possono influenzare il reddito disponibile e la diversa propensione al consumo.
Il risultato mostra un aumento della spesa annua che va da 37,54 euro a 60,64 per chi ha un reddito di 15 mila euro senza familiari a carico oppure con coniuge e 2 figli.
Per chi guadagna 30 mila euro l’aumento va da 58,27 a 77,84 euro.
Più si sale con il reddito e più aumenterà l’incidenza: per le famiglie con entrate da 55 mila l’aumento andrà da un minimo di 99,75 a un massimo di 123,21.
Federconsumatori, invece, ha fatto un calcolo solo sul rincaro della benzina: un esborso aggiuntivo di 32 euro l’anno, che se si somma agli aumenti a caduta da agosto 2010 si potrà arrivare a oltre 470 euro in più all’anno per fare il pieno.
Certo, l’aumento dell’Iva sulla bolletta elettrica sarà pagato in automatico e così sul caffè o sul vino, sulla tv o sui giocattoli.
Ma c’è tutta una serie di servizi sulla quale crescerà la tentazione all’evasione. Niente ipocrisie.
Chiunque si è trovato a dover dare una risposta alla domanda «con o senza Iva?».
E in alcuni casi la differenza non sarà stata certo di poco conto.
Si va dal dentista all’imbianchino (nessuna delle categorie citate se ne abbia a male).
Del resto i numeri dell’evasione sono chiari: 60 miliardi di Iva non pagata all’anno, la metà dell’intero gettito mancato.
Si accende così un faro sul problema e la difficoltà dei controlli.
Tema che fa ciclicamente riaffiorare l’ipotesi di un ampliamento delle spese deducibili dal privato cittadino con l’obiettivo di far emergere il «nero».
In questo caso il conflitto di interessi si risolverebbe a favore della richiesta della fattura o dello scontrino per poi poter detrarre in parte la spesa sostenuta.
Ma guardando al passato, le misure prese in questa direzione non hanno prodotto grandi risultati.
Come ad esempio la deducibilità delle spese mediche, fa presente l’Agenzia delle Entrate: non c’è stata un’impennata del gettito in quel settore.
Mentre la Guardia di Finanza ricorda l’operazione «Pandora» portata a termine due anni fa sulle ristrutturazioni, per le quali erano stati richiesti sgravi fiscali.
Le Fiamme Gialle hanno scoperto oltre 5 mila imprese edili che avevano eseguito i lavori senza dichiarare alcun reddito (3 miliardi di euro occulti), mentre i clienti avevano richiesto lo sgravio fiscale nella loro dichiarazione dei redditi.
Dai controlli dei finanzieri sono risultati circa 500 milioni di Iva evasa.
Insomma, il problema controlli è determinante.
Per Enrico Zanetti, direttore di Eutekne.info , il quotidiano del commercialista, «l’ampliamento delle spese deducibili può sembrare a prima vista una soluzione per rimuovere le prassi consolidate di complicità , ma nei fatti è più complicato perchè solo il controllo verifica la vera spesa sostenuta. E dunque potrebbe invece portare i cittadini a dichiarare spese non sostenute. Oggi l’Agenzia delle Entrate già non riesce a fare i controlli sui 5 milioni di partite Iva. Come potrebbe garantirli sui 40 milioni di contribuenti per dissuaderli dal dichiarare il falso?».
Una soluzione però ci sarebbe: «Prevedere una modalità di certificazione delle spese detraibili – ragiona Zanetti – tali da consentire l’inclusione nei file telematici della dichiarazione dei redditi in modo tale che ci sia un riscontro diretto».
Intanto c’è l’aumento dell’Iva ordinaria al 21%, mentre le altre aliquote rimangono invariate.
La minima al 4%, che interessa alcuni generi alimentari come frutta, verdura e latte, i libri e i giornali e le vendite delle abitazioni quando si tratta di «prima casa».
L’aliquota ridotta resta al 10% ed è applicata, ad esempio, a uova e birra (mentre il vino è al 21%) e alle cessioni di abitazioni che non hanno il requisito di «prima casa», ma anche alle bollette elettriche per alcuni grandi clienti industriali come possono essere le acciaierie.
Il provvedimento, comunque, non stupisce più di tanto Zanetti: «Mi sembra coerente – conclude -. Da due anni si parla di riforma fiscale e di spostare la tassazione dai redditi alle cose. Sul tema erano d’accordo tutte le parti sociali. Ed è quello che è stato fatto. Certo, ci sono poi anche i patrimoni».
Francesca Basso
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
LA PAGHERANNO IN 34.000, MA SONO 600.000 GLI ITALIANI A POSSEDERE OLTRE 500.000 EURO… UN ABISSO TRA I DATI FISCALI E QUELLI DELLA ASSOCIAZIONE PRIVATE BANKING
Anche i 34 mila italiani con un reddito superiore a 300 mila euro e che pagheranno il contributo di solidarietà previsto dalla “manovra 4” del governo, appartengono alla categoria dei “tartassati” dal fisco.
Sì, certo, sono ricchi, ma non più di altri. Anzi.
La differenza è che – rispetto agli “altri” – loro sono conosciuti al fisco: per oltre il 60 per cento sono lavoratori dipendenti con tanto di prelievo mensile in busta paga e aliquota marginale di fatto superiore al 45 per cento per effetto delle addizionali Irpef locali.
Lavoratori dipendenti che non sfuggiranno al contributo di solidarietà .
Che, invece, non verseranno quelli – ricchi – che le tasse le evadono o le eludono. Quelli degli yacht, delle ville e delle macchine di lusso intestati a nullatenenti o a società di comodo.
E anche questo è un segno – o la conferma – di quanto sia bislacca la manovra messa in campo dal governo.
Per sfuggire alla patrimoniale, che avrebbe colpito una platea assai più vasta – Berlusconi & co – si sono rifugiati in un mini-contributo simbolico dal gettito poco significativo (144 milioni in tre anni contro i 3,8 miliardi attesi dal contributo prima versione richiesto al ceto medio alto).
Preleveranno, già per il 2011 con efficacia retroattiva, il 3 per cento dal reddito complessivo (non solo quella derivante dal lavoro ma escludendo però la prima casa) eccedente i 300 mila euro; lo faranno per tre anni.
Ma se nel 2013 il pareggio di bilancio (ce l’ha imposto la Banca centrale europea) non sarà raggiunto il prelievo automatico proseguirà ancora
Ma, appunto, i ricchi sono solo 34 mila (lo 0,075 per cento di tutto i contribuenti) nel Paese dove – dati della Banca d’Italia – il 10 per cento più ricco della popolazione possiede ben il 44 per cento della ricchezza nazionale?
Difficile crederlo.
E infatti è difficile anche sovrapporre i 34 mila ricchi, secondo le stime del ministero dell’Economia, con i 611 mila italiani – dati dell’Associazione italiana private banking – che possiedono un patrimonio finanziario (esclusi quindi i beni immobili) superiore a 500 mila euro, cioè mezzo milione.
Qualcosa non torna.
Perchè è come se a pagare il contributo di solidarietà fosse solo il 5 per cento dei ricchi.
E torna anche poco – o forse spiega molto – il fatto che tra i super-investitori ci siano sempre più casalinghe così identificate dall’indagine dell’Aipb: vedove, divorziate, ereditiere con un’età media di 65 anni.
È un pezzo importante dell’Italia che vive di rendita, sfuggendo alle tasse.
E forse è la stessa Italia a cui pensava il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, quando per rassicurare sulla saldezza finanziaria dell’Italia e sulla sua solvibilità ricordava «la grande ricchezza privata». Forse inconsciamente pensava anche lui a una patrimoniale.
Ma, ormai, è acqua passata.
Dunque possiamo dire che una bella fetta di super-ricchi, invisibili al Fisco ma assai visibili nei consumi di lusso, la farà franca anche questa volta.
Non, invece, i pensionati e dipendenti pubblici.
Perchè loro il contributo – che scatta da 90 mila euro in su e non da 300 mila euro – lo stanno già pagando i secondi da gennaio, i primi dallo scorso mese.
Pagano il 5 per cento fino a 150 mila euro e poi il 10 per cento.
E mentre per i 34 mila ricchi il contributo sarà deducibile, per i dipendenti pubblici no. Il perchè non si sa.
Si dirà , infine: il provvedimento deciso dal governo italiano non è molto diverso da quello adottato ultimamente da Nicolas Sarkozy, terrorizzato dall’idea di una retrocessione da parte delle agenzie di rating.
Vero, ma in Francia l’evasione fiscale non si avvicina minimamente ai nostri 120 miliardi di mancati introiti l’anno.
Questa continua a essere la nostra anomalia.
Anche con il contributo a carico del 5 per cento dei super-ricchi.
Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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Settembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
LO STRETTO RAPPORTO TRA BERLUSCONI E IL PREMIER PANAMENSE… LE PRESSIONI DI LAVITOLA SULL’AMMIRAGLIO PICCHIO…. L’OMAGGIO INFILATO NEL DECRETO DI RIFINANZIAMENTO DELLE MISSIONI ALL’ESTERO DOPO UNA VISITA DI BERLUSCONI A PANAMA
Silvio Berlusconi e il presidente di Panama, Ricardo Martinelli? Due amiconi, come no? 
Una volta, a Milano, Berlusconi chiese al collega di procuragli “qualche attrattiva locale” quando si fosse recato in visita dalle parti del Canale.
E Martinelli, un miliardario (ramo supermercati) di origini toscane, appena può, non manca mai di rendere omaggio a quel simpaticone del premier italiano.
Poi però c’è anche quell’altro italiano, Valter Lavitola, Valterino per gli amici, professione commerciante di pesce con la passione dei traffici internazionali.
Lavitola è di casa a Palazzo Grazioli, ma va alla grande anche a Panama.
Frequenta le stanze del potere, conosce il presidente Martinelli.
Sarà un caso, e forse non c’è rapporto di parentela, ma il presidente dell’associazione degli italiani a Panama si chiama Arnolfo La Vitola.
Il gioco è fatto, allora. Parte la giostra degli affari.
Tutto ruota attorno alla visita di Berlusconi a Panama del 30 giugno dell’anno scorso.
È la prima volta che un capo di governo italiano mette piede da quelle parti. Martinelli, però, nel settembre 2009, due mesi dopo l’elezione a presidente, si era già scapicollato in Italia dall’amico Silvio.
Così tocca ricambiare.
Tra una cerimonia e l’altra si mettono le basi di un grande appalto che di lì a poco finirà in mani italiane.
Tre aziende del gruppo Finmeccanica (Agusta Westland, Selex Sistemi e Telespazio) si aggiudicano una commessa da oltre 230 milioni di dollari (165 milioni di euro).
Lavitola gioca la partita da protagonista. E ci mancherebbe.
Ormai è diventato un fidato consigliere di Berlusconi. Con Martinelli non ci sono problemi.
E perfino Finmeccanica gli ha fatto un contratto di consulenza.
Da pagarsi sul conto di una società creata dalle parti di Panama, secondo quanto si capisce dalle intercettazioni telefoniche allegate dai pm di Napoli nella richiesta di arresto di Gianpaolo Tarantini e dello stesso Lavitola, al momento latitante.
Questo però è soltanto il primo atto di una vicenda più complessa.
Berlusconi, come noto, è persona generosa. E Martinelli è un grande amico, un altro imprenditore costretto a bere l’amaro calice della politica.
Detto, fatto: è pronto un bel regalo con destinazione Panama.
Il governo decide di donare al Paese centroamericano ben sei navi da guerra, sei pattugliatori in forze alla Guardia costiera italiana. Ricapitoliamo: Finmeccanica aumenta il fatturato con la commessa siglata grazie anche ai buoni uffici di Lavitola.
E a stretto giro di posta lo Stato italiano, cioè noi contribuenti, spedisce dall’altra parte dell’Oceano un gradito pacco dono sotto forma di navi.
Tra altro il regalo berlusconiano vale almeno una cinquantina di milioni.
Ancora più sorprendenti, però, sono le modalità con cui il gentile omaggio all’amico Martinelli viene presentato in Parlamento.
Come segnalato dal giornale online Linkiesta, la cessione dei sei pattugliatori è stata infatti inserita in due successivi decreti per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero.
A febbraio di quest’anno è passato il primo pacchetto di quattro navi.
E in agosto, un mese fa, è arrivato il decreto per le altre due.
Queste ultime erano state promesse in permuta al gruppo pubblico Fincantieri come parziale pagamento di una commessa per complessivi 125 milioni.
In pratica il governo si era a suo tempo impegnato a pagare in natura una parte del prezzo per due imbarcazioni costruite dai cantieri navali di Stato. E invece no. Marcia indietro.
Le navi vanno a Panama. Fincantieri verrà pagata cash.
Resta da capire che cosa c’entrino le missioni militari all’estero con Panama e i buoni rapporti con Martinelli.
Di sicuro l’attivissimo Lavitola, tra una telefonata a Gianpi Tarantini e un’altra a Berlusconi, trovava il tempo di occuparsi anche degli affari della Marina.
Nelle carte dell’inchiesta di Napoli, infatti, spunta anche una telefonata tra il nostro uomo a Panama, alias Valterino, e l’ammiraglio di squadra Alessandro Picchio, consigliere militare di Berlusconi.
Da quello che si capisce, Lavitola chiama Picchio proprio per avere notizie sul provvedimento per le due navi da spedire a Panama.
L’ammiraglio si schermisce, prende tempo, accampa qualche scusa.
“Sto aspettando — dice — di vedere la bozza (del decreto, ndr) che ancora non è stata pubblicata”.
Lavitola insiste, implacabile. “Comunque lei non mi può far sapere se per caso insorgono problemi nel prossimo preconsiglio?”, chiede l’amico personale di Berlusconi al militare in sevizio a Palazzo Chigi.
Alla fine Picchio sbotta: “Se uno insiste troppo si crea l’effetto contrario”, dice al suo interlocutore, al quale, comunque, non manca di garantire il suo interessamento.
La telefonata porta la data del 27 maggio.
Alla fine il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero verrà approvato dal Consiglio dei ministri il 7 luglio successivo.
Il via libera definitivo dalla Camera, con voto unanime di maggioranza e opposizione (Idv esclusa) arriva il 2 agosto.
In tempi di crisi nera per il bilancio pubblico anche le spese per le missioni militari vengono tagliate per 120 milioni.
Ma il governo riesce comunque a trovare 17 milioni per rimborsare Fincantieri.
L’amico Martinelli, da Panama, sarà contento.
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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