Aprile 9th, 2016 Riccardo Fucile
LA PIVETTI CAPOLISTA NON CONVINCE NEANCHE I CINESI
Non c’è solo la matassa del candidato sindaco da sbrogliare all’ombra del Cupolone. 
La neonata creatura Noi con Salvini non sembra in grado di camminare sulle proprie gambe tanto da doversi presentare nella Capitale in abbinata con il simbolo della Lega Nord.
A Roma il movimento salviniano fondato per allargare il Carroccio nel Centro e Sud Italia ha già registrato fibrillazioni e defezioni.
Già nell’autunno scorso la transumanza verso Noi con Salvini di politici fuoriusciti da altri partiti ha creato alcune frizioni interne.
Non è dunque un caso che il leader abbia piazzato alla guida del suo movimento nella Capitale nientemeno che il capogruppo della Lega al Senato, Gian Marco Centinaio, un pavese chiamato a gestire le beghe romane, con la dirigenza capitolina per lo più appannaggio di ex An come Barbara Saltamartini, Souad Sbai, Barbara Mannucci e Fabio Sabbatani Schiuma.
A mettere il dito nella piaga ci ha pensato il mese scorso anche il Giornale sottolineando, tra i vari aspetti, anche le carenze più significative dal punto di vista organizzativo, come la mancanza di una sede ufficiale, di tesseramenti e congressi.
L’ultimo aggiornamento sulle turbolenze di Noi con Salvini a Roma è stato lo strappo dell’ex consigliere capitolino Marco Pomarici, di quello municipale Luca Aubert e dell’ex minisindaco Massimiliano Lorenzotti usciti dal movimento salviniano e ritornati in Forza Italia con la benedizione di Maurizio Gasparri.
Salvini però, nel tentativo di superare l’impasse e le polemiche interne, ha pensato bene di rilanciare la palla con la candidatura di Irene Pivetti come capolista.
E così dopo diversi anni di lontananza dalla politica attiva, il ritorno al giornalismo e l’approdo in televisione, fino all’esperienza imprenditoriale con la guida della rete di imprese Only Italia (una piattaforma per favorire l’export delle Pmi) e la nascita della Fondazione per lo Sviluppo Italia Cina, ecco la Pivetti ha deciso di ricominciare proprio da dove aveva lasciato. Cioè dalla Lega.
… MA I CINESI NON PAIONO CONVINTI
Alla conferenza stampa di presentazione della sua candidatura, tenutasi a Montecitorio, hanno preso parte anche alcuni corrispondenti di giornali cinesi, a testimoniare la vicinanza tra la Pivetti e il gigante asiatico.
Uno dei cronisti con gli occhi a mandorla, Marco Huang, ha fatto notare che la comunità cinese non sa se fidarsi della Lega, dato che “è da sempre contro gli immigrati”.
Inoltre, gli stessi cinesi presenti alla conferenza stampa sono stati protagonisti di un siparietto durante l’iniziativa; alcuni di loro erano infatti convinti che fosse la Pivetti la candidata sindaco, ma una volta risolto l’equivoco (la diretta interessata gli ha spiegato che la candidata sindaco è la Meloni) non hanno nascosto una certa delusione.
NOI CON SALVINI E LEGA: LISTA UNICA
Non tutti ci hanno fatto caso, ma l’annuncio dato da Salvini in conferenza stampa è stato chiaro: Irene Pivetti sarà capolista della Lega alle comunali di Roma.
Della Lega, non di Noi con Salvini (e nemmeno della Lega Nord, Salvini è stato attento a non pronunciare la parola Nord).
In realtà , sarà la capolista di un’unica lista che dovrebbe riportare entrambi i nomi e un simbolo pensato appositamente per questa tornata elettorale romana.
Viene quindi scartata l’ipotesi di presentare il solo movimento Noi con Salvini, creato apposta per assicurare una propaggine al Carroccio nel Centro Italia e nel Mezzogiorno.
Ma se Salvini ha ritenuto necessario fondare questo nuovo partito, dotandolo di un organigramma e di dirigenti locali per portare avanti le sue battaglie in tutta Italia, perchè non lo presenta da solo alle elezioni amministrative di Roma ma ha bisogno del supporto della Lega Nord?
Forse perchè Noi con Salvini ha poco appeal elettorale, fatica a camminare sulle proprie gambe e senza l’ancora leghista rischierebbe il flop?
(da “Formiche.net”)
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Aprile 9th, 2016 Riccardo Fucile
ALLEANZE E SCONTRI TRA LOBBY E MASSONI… PASSERA FA SPONDA CON PARISI, SALA NON E’ DETTO CHE CI PERDA
Corrado Passera ha annunciato ufficialmente il ritiro della sua candidatura a sindaco di Milano e
ha annunciato il suo impegno a sostenere quella di Stefano Farisi.
“Sono fortissimamente impegnato nella campagna elettorale di Milano e darò il mio massimo impegno, perchè Stefano Parisi diventi sindaco”, ha detto l’ex ministro in conferenza stampa congiunta con il candidato sindaco del centrodestra.
Passera ha precisato che presenterà una sua lista civica e che personalmente non si candiderà ma, ha detto, “aiuterò da fuori”.
“Ho accettato l’invito di Parisi di rafforzare attraverso la lista civica la componente liberale e indipendente e civica della sua coalizione, che può puntare direttamente a vincere sin da subito – ha detto Passera -. Quello che serve oggi nella coalizione del centrodestra è proprio il rafforzamento della componente di cui siamo portatori”.
“Sento il dovere di unire le forze – ha concluso Passera – per il progetto Milano, che è più importante di ognuno di noi. Fortunatamente c’è la persona con cui unire queste forze. E con Parisi c’è comunanza di idee”.
“Una giornata storica per questa campagna elettorale”. Così Parisi definisce così la convergenza di Passera.
Nei prossimi giorni verrà definito nei dettagli il progetto ma intanto “tutta la coalizione di centrodestra – spiega Parisi – ha supportato questa scelta. Sono tutti contenti”.
Nessuna anticipazione su un’eventuale ‘investitura’ d’assessore per Passera nel caso di vittoria dello schieramento di centrodestra: “per ora parliamo di programmi”.
Una scelta di “potere e poltrone”.
Cosi il candidato sindaco di Milano per il centrosinistra Beppe Sala, definisce la rinuncia di Corrado Passera.
“È finita come doveva andare a finire. – scrive in una nota – Il centrodestra si mostra per quello che è. Corrado Passera solo 20 giorni fa dichiarava: ‘Milano non si puo’ permettere il gemellaggio con il fascismo leghista lepenista imposto a Stefano Parisi: votandolo, la città verrebbe consegnata al dipendente di una coalizione ormai in frantumi, sotto costante ricatto e totalmente in balia della becera politica retriva e populista della Lega di Salvini, che va sotto braccio al partito nazional fascista di Le Pen che auspica la fine dell’accordo di Shengen’. Evidentemente il richiamo alla paura, alla chiusura, al passato è un collante irresistibile per chi preferisce chiudersi che guardare al futuro”
(da agenzie)
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Aprile 9th, 2016 Riccardo Fucile
UN UOMO DI DESTRA CON SENSO DELLO STATO ALLA GUIDA DEI MAGISTRATI: “QUELLA BATTUTA DI RENZI NON MI E’ PIACIUTA”
“Non esistono governi amici nè governi nemici, esistono governi con i quali non si può fare a
meno di dialogare, ferma restando la pretesa del rispetto della nostra dignità “.
Lo ha detto Piercamillo Davigo, consigliere in Cassazione e leader del gruppo di ‘Autonomia e Indipendenza’ nel corso della riunione del nuovo direttivo dell’Anm, che oggi sarà chiamato a nominare i nuovi vertici del sindacato delle toghe
Quello di Davigo è il nome in pole per la presidenza.
La tensione tra il premier e i magistrati è salita in occasione dell’indagine della procura di Potenza denominata ‘Tempa Rossa”, che ha portato alle dimissioni della ex ministra Guidi e all’interrogatorio come testimone della ministra Maria Elena Boschi.
Davigo: “Pretendiamo rispetto”.
“Non si tratta di corporativismo – ha aggiunto Davigo – credo che sia possibile con la nostra unità trovare la fermezza per pretendere il rispetto della nostra dignità e per tutelare la giurisdizione. Inevitabilmente ci sarà una dialettica ma tutto può essere recuperato con pazienza e dialogo”.
Citando un giudice inglese, inoltre, Davigo ha rilevato che “è giusto che ci sia tensione tra potere politico e giudiziario”.
La battuta di Renzi.
Davigo, nel suo intervento al nuovo direttivo dell’Associazione magistrati, ha voluto rispondere alla battuta che Renzi rivolse ai magistrati il 9 settembre del 2014, quando, a Porta a porta, parlando della riforma della Giustizia, disse: “L’Anm protesta? Brrrr, che paura… Hanno protestato per il taglio degli stipendi e ora protestano per il taglio delle ferie”.
La replica di Davigo.
“Quel ‘brrr che paura’ non mi è piaciuto per niente”, ha risposto Davigo. “Ma anche altre cose non mi sono piaciute – ha aggiunto il magistrato – è possibile che un datore di lavoro decida di ridurre le ferie ai dipendenti senza consultarli e far credere che il disastro in cui versa la Giustizia dipenda dalle ferie dei magistrati? È una bugia, i magistrati italiani sono quelli che lavorano di più in Europa, bisogna dirlo con fermezza, difendere la nostra credibilità . Abbiamo i migliori investigatori del mondo, si è visto nella vicenda Abu Omar, un’altra pagina gloriosa per la magistratura italiana”.
Anm, verso presidenza a rotazione.
Una presidenza dell’Anm a rotazione nei prossimi quattro anni a cominciare dalla nomina al vertice del sindacato delle toghe di Piercamillo Davigo fino all’aprile del 2017.
Potrebbe essere questa la chiave per evitare spaccature in occasione della prima riunione del comitato direttivo centrale (in corso di svolgimento), all’interno dell’Associazione nazionale magistrati e garantire una giunta unitaria nel dopo Sabelli.
Dopo otto anni, dunque si tornerebbe al sistema della turnazione alla presidenza dell’Anm, interrotto all’epoca di Berlusconi premier e dei suoi attacchi alla magistratura.
(da agenzie)
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Aprile 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL DOSSIER NON ERA DI 2.000 PAGINE MA DI APPENA 30…..LE IMMAGINI DELLA TELECAMERA? “NON ABBIAMO AVUTO IL TEMPO DI RIPURIRLE”… E SONO ANDATI A PASSEGGIO PER ROMA, COME FOSSERO IN GITA
C’è stato un momento esatto in cui è apparso chiaro a tutti che era finita. Ieri, all’ora del pranzo. Davanti a un risotto mantecato zucchine e gamberetti e a un’orata al forno con patate.
Seduti intorno al tavolo di uno dei saloni del Casale Renzi, residenza storica dell’Arma, nel cuore verde dei Parioli, serviti da appuntati in livrea con vassoi in peltro
“Ottima l’orata”.
Il procuratore generale aggiunto del Cairo Mostafa Soliman, il suo giovane addetto alla cooperazione Mohamed Hamdy, i generali Adel Gaffar, Mostafa Meabed, Ahmed Aziz e Alaa Azmi, scherzano e mangiano con l’appetito di chi sta celebrando la fine di un’indimenticabile vacanza romana.
Chiedono agli esterrefatti commensali italiani, quando ci si rivedrà . Annuiscono di fronte alle richieste di bis di quel menù preparato nel rispetto della dieta musulmana. Fingono di non capire che il fondo del barile è stato raschiato. Che la pazienza italiana è esaurita.
“Vogliamo trovare i responsabili della morte di Giulio Regeni. Chiunque essi siano”, annuncia con enfasi giovedì mattina il Procuratore Mostafà Soliman.
Ma è un salamelecco. L’ennesimo. Perchè dopo la consegna degli atti da parte del Procuratore Giuseppe Pignatone, le slide e l’esposizione dei referti autoptici sul corpo di Giulio del professor Vittorio Fineschi, quando insomma tocca a loro aprire la borsa, ne esce una striminzita cartellina.
Avevano fatto annunciare un dossier di 2 mila pagine, che aveva convinto la Procura ad assicurare la presenza durante gli incontri di 10 interpreti. Ne avevano portate neppure una trentina.
Gli inutili tabulati telefonici di Gennaro e Francesco, gli amici di Giulio. L’altrettanto inutile verbale di ritrovamento del suo cadavere. Il grottesco verbale con cui, un testimone, riferiva che “non erano state fatte riprese della riunione sindacale dell’11 dicembre 2015”, quella in cui Giulio era stato fotografato. Fuffa.
Tocca allora a Pignatone, dopo un profondo respiro, chiedere di nuovo quanto era stato promesso dalla Procura generale egiziana: lo sviluppo della cella telefonica del quartiere di “Dokki” (luogo della scomparsa di Giulio) tra le 19,45 e le 20.15 del 25 gennaio e di quella, tra la notte del 2 e la mattina del 3 febbraio, del quartiere “6 Ottobre” (zona del ritrovamento del suo corpo).
Ma solo per sentirsi rispondere che quei dati non saranno mai consegnati “per ragioni di privacy “.
Il Regime militare di Al Sisi invoca il “rispetto dell’articolo 57 della Costituzione che protegge il segreto delle comunicazioni dei suoi cittadini”. E ci sarebbe da ridere se non fosse una provocazione.
Non fosse altro perchè quell’obiezione non è stata sollevata dall’Egitto nè il 14, nè il 22 marzo, quando viene preso l’impegno alla consegna.
Pignatone tenta allora un’altra strada. “Potreste portare voi i dati ed esaminarli qui a Roma dove vi metteremmo a disposizione i software “. “La privacy ce lo impedisce “, rincula l’ineffabile Mostaf�
I DUE ARABI E GIULIO
Non va meglio con i tabulati. Ne aveva chiesti una ventina la Procura. Due su tutti. Quelli di Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti risentito con Giulio per il denaro di una ricerca non andata in porto. E quelli di Mohamed, il coinquilino di Regeni. Quello che aveva aperto alla Sicurezza Nazionale la casa dove Giulio viveva, tacendogli la circostanza.
Ma neanche quelli sono nella borsa dei 6 del Cairo.
“Magari, allora, avete le informazioni su quei due nomi arabi che vi abbiamo chiesto il 14 marzo… “, abbozza uno dei nostri inquirenti, riferendosi a due singolari chiamate ricevute da Giulio la mattina e il pomeriggio del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, da due cellulari intestati a cittadini egiziani. “Non abbiamo ancora completato l’identificazione “, è la risposta
LA BUFALA DEI RAPINATORI
Giovedì pomeriggio la delegazione egiziana si congeda con un impegno. “Lavoreremo stanotte “. È una balla. Perchè non ha nulla da dire.
Come del resto scopre lo Sco quando, riaccompagnati i 6 in albergo, vede immediatamente riuscire dall’hotel i quattro generali per un indimenticabile pomeriggio e serata nel centro di Roma.
Non a caso, ieri, e questa volta con tavoli separati (i magistrati in una sala, i poliziotti nell’altra), si ricomincia dal nulla. Gli egiziani rianimano la macchinazione della Banda dei 5, i disgraziati cadaveri “serviti” come gli assassini di Giulio.
Le domande degli italiani si fanno spazientite. “Perchè dei rapinatori avrebbero dovuto torturare Giulio?”. “Perchè avrebbero dovuto conservarne i documenti?”. “Stiamo approfondendo”, è la risposta.
E poi: “La moglie di uno dei banditi ci ha detto che suo marito aveva litigato con Regeni in strada qualche tempo prima e gli aveva preso il portafogli”.
IL VIDEO
Non si capisce dove finisca il dolo e cominci la dabbenaggine. Si sa quando si entra nel grottesco.
Quando cioè la delegazione egiziana spiega che fine abbia fatto un video della sera del 25 gennaio recuperato dall’unica telecamera funzionante delle 56 installate nella metropolitana di Dokki.
Quel video, ammesso e non concesso riprenda Giulio nel metrò, è sovrascritto da altre immagini. “Bisognerà mandarlo in Germania per una ripulitura”, dicono.
“È perchè non lo avete ancora fatto in due mesi?”. “Non c’è stato tempo”.
(da “La Repubblica”)
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