Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
NEL SUO DISCORSO TATTICO FINI HA RIPASSATO IL CERINO A BERLUSCONI SENZA RINUNCIARE A CHIARIRE… POSTA LA QUESTIONE DELLA LEGALITA’ E DELLA DEMOCRAZIA NEL NOSTRO PAESE
Riportiamo l’analisi di Paolo Flores D’Arcais, pubblicata oggi sul Fatto Quotidiano, in merito al discorso di Gianfranco Fini.
Gianfranco Fini ha passato di nuovo il cerino della crisi a Berlusconi, ma lo ha fatto con un discorso che stabilisce alcuni punti definitivi.
Primo: sulla casa di Montecarlo ha chiarito con accenti di sincerità , arrivando a garantire le dimissioni (cui non sarebbe tenuto) se venisse fuori con certezza che il proprietario è suo cognato e che la sua colpa (di Fini) è solo quella di avergli creduto.
Una scelta di moralità che da oggi potrà pretendere da qualsiasi altro dirigente di centro-destra (luogo di malaffare dove circolano montagne di crimini penali, compresi crimini mafiosi, non leggerezze familiari).
Secondo: lo scontro è sulla questione della legalità , della legge eguale per tutti, dell’autonomia della magistratura, principi che Berlusconi non riesce neppure a capire.
Terzo: qualcuno ha montato un “affaire” utilizzando faccendieri di ogni risma, investendo denari evidentemente ingenti, arrivando a far muovere ministri di Stati sovrani (benchè più “off-shore” ed equivoci di qualsiasi “Stato libero di Bananas”), piegando la libertà di stampa — in tre o quattro paesi! — a scopi abietti. Insomma, mettendo a repentaglio la democrazia stessa.
Quarto: … E a questo punto Fini ha passato di nuovo il cerino a Berlusconi.
Non ha voluto pronunciare la frase e il nome che di tutte le parole precedenti erano il logico corollario.
Non ha voluto dichiarare che il mandante di questo aggressione alla Costituzione e alle libertà democratiche è Berlusconi, e che i giorni che si aprono, e che al massimo potranno durare pochi mesi, e che si concluderanno con le elezioni, vedranno per l’Italia una scelta senza possibilità di mediazioni, “a somma zero”: o Berlusconi uscirà ignominiosamente di scena, travolto dalla rivolta morale degli italiani, o inizierà la sua dittatura “senza prigionieri”, sulle macerie di una Costituzione assassinata e di un paese degradato a livelli premoderni sotto ogni aspetto: sociale, culturale, istituzionale, economico.
Gianfranco Fini tutto questo lo sa perfettamente. Lo ha fatto intuire in filigrana nei primi sette minuti del suo discorso, ma negli ultimi due ha voluto fingere che Berlusconi possa desistere dal suo progetto di regime totalitario-proprietario, e dalla sua natura di Caimano. Se prima di parlare avesse riletto l’antica favola della rana e dello scorpione avrebbe concluso diversamente. Speriamo che una conclusione comprensibile solo “tatticamente” non si riveli tragica per la democrazia.
Paolo Flores D’Arcais
(da il Fatto Quotidiano)
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
I SERVI DI CORTE SI SCANDALIZZANO SE LA CASA DI MONTECARLO VIENE VENDUTA AD UNA SOCIETA’ OFFSHORE, MA FANNO FINTA DI NON RICORDARE CHI NE APERTE DECINE PER BEN ALTRI AFFARI….I “MORALIZZATORI” CHE NON SI SONO INDIGNATI PER IL PAGAMENTO DI MAZZETTE E PER LE EVASIONI FISCALI CONFERMATE DAI GIUDICI
“Sia ben chiaro: personalmente non ho nè denaro, nè barche, nè ville intestate a
società offshore, a differenza di altri che hanno usato e usano queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e pagare meno tasse”: sono le parole pronunciate ieri da Gianfranco Fini nel corso del suo intervento televisivo sulla vicenda Montecarlo.
Chiaro il riferimento a Silvio Berlusconi, il re dei fondi neri all’estero, come hanno accertato sentenze definitive.
Ci riferiamo a quella prescritta dell’avvocato Mills, a quella del processo All Iberian 2 che ha accertato una evasione fiscale di 1.500 miliardi di lire, ma che non potuto decretare la condanna del premier semplicemente perchè, attraverso una legge ad hoc, quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio, il fatto non costituisce più reato.
Per non parlare delle sei ville di cui il premier è proprietario tra Antigua e Bermuda, intestate ad offshore.
Per non parlare di una barca di 48 metri e del valore di 13 milioni di euro intestata alla Morning Glory Yachting Limited con sede alle Bermuda.
Fu proprio Mills a metà degli anni ’90 a dare l’indirizzo della nuova strategia permettendo al premier di accantonare centinaia di miliardi di lire, di evadere il fisco, di pagare mazzette come i 21 miliardi a Craxi, di eludere la legge Mammì che impediva a un editore di possedere più di tre televisioni.
Sappiamo che al processo Al Iberian per dichiarazioni taroccate a suo favore il premier è ancora sotto processo.
Ai magistrati milanesi, Mills ha pure nascosto i reali beneficiari di “Century One” e di “Universal One”, le due offshore nell’isola di Guarnsey.
I falsi in bilancio, conseguenza delle società offshore, hanno portato a un altro processo, quello per la compravendita dei diritti Tv.
Ma grazie a una legge ad personam, la ex Cirielli, che ha accorciato la prescrizione, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l’appropriazione indebita per 276 milioni di dollari fino al 1999.
Restano in piedi quelle fino al 2003.
C’è poi il processo Mediatrade-Rti, con l’accusa di appropriazione indebita e frode fiscale: anche qui i soldi (100 milioni di dollari) sarebbero transitati su banche estere e poi confluiti su conti riconducibili a Berlusconi e ad alcuni suoi manager.
Non vogliamo dilungarci su fatti noti, ma ci limitiamo a una semplice osservazione: c’è chi accusa Fini per la vendita di una casa in cui non c’è alcun indagato (neanche Tulliani) e dove in ogni caso il ruolo di Fini è irrilevante.
Secondo questa corte dei miracolati, Fini dovrebbe dimettersi da presidente della Camera.
Dall’altra parte emerge la figura di uno che di società offshore se ne intende, essendone il proprietario di decine, con procedimenti penali in corso e altri archiviati con leggi ad hoc da lui promulgate e che si permette pure di fare morale agli altri invece che guardarsi allo specchio.
Con contorno di servi che si scandalizzano che una casa di 45 mq sia stata venduta a una società offshore, ma tacciono su chi ha utilizzato le offshore a ivello industriale per i suoi affari planetari.
E’ come paragonare uno che fa un complimento colorito a una ragazza per strada a un maniaco seriale.
Che pattume ipocrita.
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA DI ST. LUCIA CON NORMALI VOLI DI LINEA NON AVREBBE MAI POTUTO COPRIRE LA DISTANZA IN 18 ORE…. A ST. LUCIA LA DIVULGAZIONE DI DATI SULLE SOCIETA’ OFFSHORE E’ UN REATO PUNITO CON IL CARCERE… COSA AVRA’ CONVINTO FRANCIS A VIOLARE LE LEGGI?
Riproduciamo un interessante articolo del “Secolo XIX”, a firma Francesco Bonazzi, in merito alle “presunte” conferme del governo di St. Lucia sulla proprietà della casa ex An di Montecarlo
Un governo che viola il proprio codice penale e svela i nomi dei cittadini stranieri nascosti dietro lo schermo di una fiduciaria.
Un ministro capace di rimbalzare tra la Svizzera e i Caraibi con una velocità sconosciuta ai voli di linea.
Una conferenza stampa anticipata improvvisamente di qualche giorno, appena viene fuori che Fini sta a sua volta preparando un video messaggio sullo scandalo della casa di Montecarlo.
Benvenuti a St. Lucia, il paradiso offshore più pazzo del mondo.
L’unica piazza finanziaria, tra quelle presenti nella lista grigia dell’Ocse, capace di rispondere ai giornalisti stranieri addirittura prima che alle rogatorie della magistratura.
Le 18 ore più incredibili nella storia dei santuari mondiali del segreto finanziario iniziano alle 20.30 di giovedi sera.
Marco Lillo, cronista del Fatto Quotidiano, riesce a parlare al telefono con Lorenzo Rudolph Francis, ministro della Giustizia del piccolo Stato caraibico. Francis, che fino a pochi mesi fa era un avvocato di affari, racconta di essere in Svizzera.
E alla domanda se il documento che indica in Giancarlo Tulliani il vero proprietario delle due fiduciarie di St. Lucia sia vero o falso, risponde senza esitazioni: “E’ vero”.
Poi rimanda a un comunicato ufficiale nelle prossime settimane.
Ma torniamo per un attimo a St. Lucia.
Sull’ex colonia britannica vivono 160.000 persone in carne e ossa.
E una miriade di persone giuridiche estere, attirate dalla granitica riservatezza dei registri societari: nell’isoletta caraibica vanno forte i trust e le fiduciarie.
Tra Roma e Milano, tanto per andare al sodo, ci sono almeno una ventina di studi professionali perfettamente in grado di aprire delle società nelle British Virgin Islands.
A che servono? A nascondere la vera identità dei proprietari di un immobile o di un’azienda.
“In trent’anni che faccio il commercialista, non avevo mai visto, non dico un ministro, ma neanche solo un pubblico ufficiale di un centro offshore che si mette a collaborare alle indagini dei giornalisti stranieri” osserva un professionista romano con studio in Prati.
Un gestore milanese di patrimoni è più diretto: “Da domani che fanno a St. Lucia? Campano sulle noci di cocco?”.
Poi si fa più serio e ci allunga la legislazione locale a tutela della riservatezza societaria: “a St. Lucia la divulgazione di dati personali, relativi a società offshore, è un reato punibile con la multa e la reclusione”.
Insomma mister Francis per le leggi del suo Paese rischia la galera.
Non solo, ma si è distinto per tempestività e rapidità di azione: come Fini ha annunciato il suo messaggio video, ecco Francis cambiare la sua agenda, convocando una conferenza stampa su due piedi.
A questo punto, per arrivare al degno finale di questa inedita 18 ore della trasparenza finanziaria, non resta che provare a stare dietro a Super-Francis, il ministro dei Due Mondi.
Giovedi sera alle 20.30 era in Svizzera per chissà quale delicata missione privata.
Venerdi a metà giornata (ore 13 locali, ore 18 italiane) incontrava i cronisti italiani nell’ufficio del suo primo ministro.
Se avesse preso voli di linea, anche partendo alle 9 di sera da Zurigo e dormendo a Londra, non sarebbe tornato prima delle 3 del pomeriggio ora locale. Avrà preso un superjet privato.
Oppure qualcuno gli ha dato un passaggio.
Francesco Bonazzi
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
TUTTE LE PATACCHE DI UNA CARRIERA ALL’OMBRA DEI POTENTI FINO AL REMUNERATO SACRIFICIO FINALE: IMMOLARSI PER SILVIO
La prima patacca accertata è del 1990, ai tempi in cui Vittorio Feltri dirige “L’Europeo”:
un’intervista sul rapimento Moro a tale Davide, “carabiniere infiltrato nelle Br” che avrebbe fatto irruzione nel covo di via Montenevoso.
E’ un racconto “esplosivo” su presunti memoriali e audio di Moro dalla prigionia, con tanto di dettagli erotici sui brigatisti Franco Bonisoli e Nadia Mantovani sorpresi nudi a letto.
Peccato che sia tutto falso, dalla prima all’ultima riga, e il “Davide” in questione non esista neppure.
Nasce così, quasi vent’anni fa, il fenomeno Feltri: un misto di bufale (come quella su Alceste Campanile “assassinato da Lotta Continua”, mentre è stato ucciso da Avanguardia nazionale) e linguaggio da bar (vale per tutti il titolo sul calcio negli Usa: “Agli uomini piace, alle donne no, ma i negri non lo sopportano”, da cui si deduce che i “negri” non appartengono alla categoria nè degli uomini nè delle donne).
Nel ’92 Feltri è contattato da Andrea Zanussi, editore de “L’indipendente”, al quale spiega che il quotidiano “ha bisogno di una bella iniezione di merda”. Detto, fatto. è il periodo di Mani Pulite e lui lo cavalca proponendo titoli come “Cieco, ma i soldi li vedeva benissimo”, riferito a un presunto tangentista non vedente.
Segue un falso scoop sulla morte di Pinelli, un attacco a Indro Montanelli (”è arrivato il tuo 25 luglio”), e il linciaggio di Norberto Bobbio (”mandante morale dell’omicidio Calabresi”), più un po’ di insulti alla Guardia di Finanza (che in quel periodo sta indagando sul Cavaliere).
Quasi inevitabile nel ’94 la promozione al “Giornale”, appena lasciato da Montanelli.
Qui Feltri si fa riconoscere subito per i titoli farlocchi tra cui un mitico “La lebbra sbarca in Sicilia, contagiati a Messina quattro italiani” (vero niente). Notevole anche “Berlusconi vende la Fininvest”, così come la patacca sui miliardi di Milosevic “trasportati in sacchi di juta dalla Serbia all’Italia”.
Altrettanto sballate le accuse ai giudici Piercamillo Davigo e Francesco Di Maggio di essere soci in una cooperativa edilizia con Curtò e Ligresti.
Non mancano nuove “inchieste” revisioniste sul fascismo, come quella sull’attentato di via Rasella corredata da una foto falsificata della testa di un bambino staccata dal tronco: la cosa arriverà alla Cassazione, che nell’agosto 2007 condannerà il direttore parlando di un “quadro di vere e proprie false affermazioni”.
Avanti così, e nel ’95 Feltri si inventa che “la scorta del presidente Scalfaro ha sparato a un elicottero dei pompieri” (ovviamente è il periodo dello scontro politico fra il Quirinale e Berlusconi).
Di due anni dopo è un’intervista taroccata a Francesco De Gregori contro il Pci, un pezzo per cui il cantante porta Feltri in tribunale ottenendone la condanna.
Sempre nel ’97 una nuova — più grave — patacca costa a Feltri il posto: è quella sul presunto “tesoro” di Antonio Di Pietro, cinque miliardi di lire che l’ex pm è accusato di aver preso da Francesco Pacini Battaglia.
Dopo parecchie querele, alla fine è lo stesso direttore a dover ammettere che si tratta di “una bufala”.
Segue per Feltri un periodo al “Borghese” e al gruppo Riffeser, fino alla fondazione di “Libero”, dove chiama a scrivere il puparo di Calciopoli Luciano Moggi e l’ex agente del Sismi Renato “Betulla” Farina.
Per lanciarsi, il quotidiano ha bisogno di fuochi artificali: di qui la falsa notizia che un centro sociale milanese è un covo dell’Eta basca, di qui uno “scoop” su Donna Rachele titolato “Mussolini era cornuto”.
Poi arrivano le accuse trasversali a Sergio Cofferati per l’omicidio Biagi (”La Cgil indica i bersagli da colpire”) e un altro falso scoop su Berlusconi (”Vuole lasciare la politica”).
Ma non basta, e allora Feltri parla di pedofilia pubblicando cinque foto di preadolescenti nudi in pose inequivocabili (con conseguente radiazione dall’Ordine, poi tramutata in “censura”).
Di questa fase resta però ai posteri soprattutto l’elegante prima pagina con un disegno di Prodi nudo a quattro zampe e con il sedere alzato, pronto a farsi sodomizzare da un tappo di champagne con la faccia di Berlusconi.
Richiamato in agosto al “Giornale”, Feltri parte subito con la campagna più desiderata dal suo editore, puntando a tre obiettivi: intimidire i giornalisti non allineati (occhio che se critichi il premier ma poi paghi la colf in nero o non versi gli alimenti all’ex moglie, io lo scrivo in prima pagina); livellare tutti nel fango per provare che Berlusconi non è peggiore di chi lo attacca, in base al “così fan tutti” autoassolutorio; far fuori quanti nella Chiesa osano criticare il premier.
Così in poche settimane “il Giornale” diventa una fabbrica di linciaggi in serie: da Eugenio Scalfari a Enrico Mentana, da Gustavo Zagrebelsky a Concita De Gregorio, da Dino Boffo a Ezio Mauro, fino a Ted Kennedy e Gianni Agnelli (a Feltri infatti piace sparare anche sui morti).
A proposito: negli ultimi anni di vita, Indro Montanelli diceva che non riconosceva più il suo “Giornale”, gli sembrava “un figlio drogato”.
Adesso pare entrato in un’overdose senza ritorno.
In attesa della radiazione dall’albo.
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
PUBBLICHIAMO LA LETTERA PIENA DI AMAREZZA DI UNA NOSTRA CONNAZIONALE CACCIATA DALLA LIBIA NEL 1970, INSIEME AD ALTRI 20.000 ITALIANI, CUI GHEDDAFI RUBO’ TUTTI I BENI…. IL PAVIDO GOVERNO ITALIANO NON SOLO NON HA CHIESTO I DANNI ALLA LIBIA, MA DA ANNI PROMETTE AI NOSTRI PROFUGHI UN RISARCIMENTO CHE POI NEGA NEI FATTI…TREMONTI SONO DUE ANNI CHE DEVE FIRMARE: E QUESTO SAREBBE UN GOVERNO DI DESTRA?
Sono una dei ventimila italiani che nel 1970 furono cacciati dalla Libia colpevoli solo di essere italiani, in violazione della risoluzione ONU 388, del trattato Italo-Libico del 1956 e della legge di ratifica 843/57.
Lo Stato Italiano che avrebbe dovuto tutelarci e far rispettare gli accordi ci chiese di avere pazienza perchè i giusti risarcimenti dovevano attendere gli accordi internazionali ed intanto i profughi della Libia morivano disillusi e trattati da stranieri nella propria patria.
Nel 2008 arrivò il tanto atteso accordo internazionale e insieme ad esso la delusione per non esserne stati inclusi, vanificando trentotto anni d’attesa senza nemmeno l’ombra delle scuse per come fummo trattati.
Anche le promesse inserite nella legge di ratifica n. 7 del 6 febbraio 2009, (Gazz. Uff., 18 febbraio, n. 40), dove, all’art. 4, si parla degli indennizzi spettanti a noi profughi. restano ad oggi solo promesse non mantenute
In ogni caso si parla di un indennizzo che forse arriverà a qualche percento del valore dei beni confiscati illegalmente nel 1970.
Ora sono due anni che manca solo una forma per dare il via all’iter, quelle di Giulio Tremonti.
Da cittadini italiani rispettiamo le leggi che il parlamento promulga e il capo dello Stato ratifica, ma con profonda amarezza vediamo che lo Stato può impunemente ignorarle perchè nessuno le fa rispettare nell’indifferenza dei mezzi d’informazione e delle istituzioni.
Vanessa Giuliano
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