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LA SFIDUCIA A BONDI IN AULA IL 29 NOVEMBRE RISCHIA DI FAR SALTARE IL GOVERNO ANZITEMPO E SPIAZZA I GIOCHETTI DEL PDL

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

UN EVENTUALE SUCCESSO DELLA MOZIONE DI SFIDUCIA POTREBBE GIA’ CERTIFICARE CHE LA MAGGIORANZA NON C’E’ PIU’… FUTURO E LIBERTA’ MEDITA LO STRAPPO… LE ACCUSE DI INEFFICIENZA A BONDI DA PARTE DI 17 SOVRINTENDENTI…GRANATA: “IL PEGGIOR MINISTRO DI SEMPRE”

L’aula della Camera voterà  il prossimo 29 novembre la mozione di sfiducia individuale presentata dalle opposizioni contro il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, dopo il crollo a Pompei.
La decisione è stata presa dalla Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, su richiesta del Pd che ne ha preteso la calendarizzazione nello spazio riservato all’opposizione nel calendario di novembre, ritirando la mozione sulle madri in carcere.
Il voto sulla sfiducia individuale a Bondi ha fatto insorgere la maggioranza. «Lo consideriamo – ha detto il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto – una grave lesione dell’accordo istituzionale che era stato raggiunto sulle mozioni riuguardanti la fiducia al governo a garanzia dell’approvazione senza traumi della legge di stabilità ».
«La mozione di sfiducia al ministro Bondi – ribatte invece il capogruppo Pd Dario Franceschini – non c’entra assolutamente nulla con l’intesa istituzionale raggiunta e che noi intendiamo rispettare».
Erano di ieri le affermazioni di Fabio Granata: “Solo la crisi di governo salverà  Sandro Bondi dalla sfiducia individuale”.
Quasi come un presagio, proprio nel giorno in cui 17 soprintendenti lo avevano attaccano frontalmente.
E lo hanno fatto sottoscrivendo una lettera in cui lo si accusa di aver fatto della “salvaguardia della cultura” un “concetto mediatico”, mentre i suoi tagli privano il settore di quelle risorse e di quel personale che servono a una salvaguardia vera dei beni archeologici.
Quel lavoro, per intenderci, che avrebbe evitato il crollo della Scuola dei Gladiatori .
La missiva a Bondi, che annovera tra i suoi 17 firmatari Jeannette Papadopoulos, dai primi di ottobre responsabile ad interim della soprintendenza di Pompei, parte dalle dichiarazioni rilasciate dal ministro a un quotidiano all’indomani del crollo della Schola Armaturarum.
Intervista, ricordano i funzionari, in cui Bondi puntava il dito sui soprintendenti e sulla loro mancanza di managerialità .
La replica di ieri ha sottolineato invece i “pesanti tagli che soprattutto a partire dalle leggi degli ultimi anni hanno aggredito e ridotto un bilancio complessivo già  inadeguato”.
Tagli, rimarcano, “accompagnati da riduzioni del personale e blocco delle assunzioni, compresi i tecnici di alta qualificazione; nonchè dal contestuale appesantimento di normative e procedure di spesa in tutti i settori del pubblico impiego   e massimamente nel settore dei beni culturali”. Emblematico proprio il caso di Pompei, dove “l’incidenza dei tagli ha prodotto i suoi effetti” insieme alla decisione di commissariare il sito archeologico con “figure professionali diverse dai tecnici specializzati (prima un prefetto in congedo, poi un funzionario della Protezione Civile)”.
I soprintendenti ammettono che nelle loro strutture c’è un problema di spesa, che l’introduzione delle direzioni regionali non ha risolto.
I commissariamenti però, dicono, “non comportano necessariamente un incremento della managerialità , tanto più se disgiunta dalla tecnicità  (altra cosa è l’affidamento di incarichi speciali a tecnici specialisti del settore)”.
“E’ ora – si legge infine – che la cultura dell’emergenza ceda il passo a quella della manutenzione, ordinaria e straordinaria, a cura delle strutture e degli staff tecnico-scientifici che quei monumenti, quei siti, quei musei conoscono e tutelano”.
“La valorizzazione come concetto mediatico – sottolineano al ministro i soprintendenti – non può sostituirsi al paziente e faticoso lavoro di monitoraggio, consolidamento e restauro, che per definizione è poco visibile e quindi poco mediatico”.
Per Fabio Granata, esponente di Futuro e libertà , “ciò che va emergendo dalle inchieste e dalla ricostruzione dei fatti conferma la pesante e diretta responsabilità  politica del ministro. In Italia il patrimonio e le attività  culturali non possono essere lasciate ancora nelle mani di Bondi, oggettivamente il peggior ministro di sempre. Per fortuna, la nuova fase politica che si apre ce ne libererà “.
La calendarizzazione della mozione di sfiducia individuale a Bondi per il 29 novembre spiazza ora il Pdl che rischia di anticipare una sconfitta che potrebbe far saltare la campagna acquisti in atto e che già  in passato non è andata in porto, demotivando i possibili saltafossi.
Perdere un altro ministro per strada non sarebbe certo il migliore biglietto da visita per il 14 dicembre.

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ALLARME DELLA DIA: LEGAMI TRA ‘NDRANGHETA E AZIENDE LOMBARDE

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

LA RELAZIONE SUL PRIMO SEMESTRE 2010 DENUNCIA IL COINVOLGIMENTO DI RAPPRESENTANTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CHE HANNO PILOTATO APPALTI AD AFFILIATI DELL’ASSOCIAZIONE CRIMINALE…. LE COSCHE PUNTANO ALL’EXPO 2015, ALTRO CHE PADAGNA DELLA LEGALITA’

Nel Nord Italia e soprattutto in Lombardia c’è una “costante e progressiva evoluzione” della ‘ndrangheta che, “radicata da tempo su quei territori, interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi”.
E’ quanto sottolinea l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia consegnata al Parlamento e relativa al primo semestre del 2010.
L’allarme della Dia arriva nel pieno della polemica scatenata dalla denuncia di Roberto Saviano a Vieni via con me.
La “consolidata presenza” in alcune aree lombarde di “sodali di storiche famiglie di ‘ndrangheta ha influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi”, si legge nella relazione della Dia, che sottolinea inoltre il “coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede ad impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti ed assestato oblique vicende amministrative”.
Per penetrare nel tessuto sociale, “le cosche – che in Lombardia godono di una certa autonomia ma dipendono sempre dalla ‘casa madre calabrese’ come ha dimostrato l’inchiesta ‘Crimine’ che ha ricostruito l’organigramma della ‘ndrangheta – si muovono seguendo due filoni: quello del consenso e quello dell’assoggettamento”, spiegano gli esperti della Dia.
Tattiche che “da un lato trascinano con modalità  diverse i sodalizi nelle attività  produttive e dall’altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici”.
Con questa strategia, e favorita da “una serie di fattori ambientali”, si consolida la “mafia imprenditrice calabrese” che con “propri e sfuggenti cartelli d’imprese” si infiltra nel “sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell’edilizia privata” come il “multiforme compartimento che provvede alle cosiddette ‘opere di urbanizzazione’.”
Il risultato è un vero e proprio “condizionamento ambientale” da parte della ‘ndrangheta, “a modificare sensibilmente le normali dinamiche degli appalti, proiettando nel sistema legale illeciti proventi e ponendo le basi per ulteriori imprese criminali”.
In Lombardia ormai la ‘ndrangheta si è ambientata talmente bene che non ha più bisogno di usare tecniche d’intimidazione.
Al contrario, sottolinea la Direzione investigativa antimafia, si serve di “nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità  di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso” nelle gare d’appalto e la “decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere”.
Insomma, una volta consolidata la propria presenza, la ‘ndrangheta ha imparato a usare bene leggi e bandi a proprio vantaggio, arricchendosi sempre di più.
Ricordando l’arresto di amministratori pubblici e imprenditori che collaborano con la ‘ndrangheta, la Dia però mette anche sull’avviso il governo per il futuro: si rischia che l’associazione criminale s’infiltri con successo negli appalti per l’Expo 2015.
Per evitarlo, si legge nella relazione, occorre un “razionale programma di prevenzione”.
Il cosiddetto ‘ciclo degli inerti’, la cantieristica e la logistica collegata, la manodopera e le bonifiche ambientali” costituiscono i settori – scrive la Dia – maggiormente esposti al rischio di infiltrazione dell’intero indotto che si muove attorno alle grandi opere, agli appalti pubblici e privati”.
Ma c’è di più: secondo la Dia, infatti, il “condizionamento ambientale” delle cosche su parte dell’economia lombarda, va inteso come “partecipazione ormai pacificamente accettata di società  riconducibili ai cartelli calabresi a determinati segmenti, in espansione, del settore edile, sia pubblico che privato”.

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LEGA E ‘NDRANGHETA, MARONI SI INFORMI INVECE DI STRILLARE: ASL, CANTIERI E VOTI

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

‘NDRANGHETA VERDE: 500 AFFILIATI SOTTO IL DUOMO, UNA RETE CHE ARRIVA FINO AL PIRELLONE… I RAPPORTI, LE FOTO, GLI INCONTRI TRA IL BOSS PINO NERI E IL CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LEGA ANGELO CIOCCA

Il ministro Maroni non ci sta.
Si indigna, protesta, le parole di Roberto Saviano a “Vieni via con me” non gli sono piaciute.
“Mi guardi negli occhi quando lancia quelle accuse”.
Pretende il contraddittorio per rispondere all’autore di Gomorra che ha parlato della ‘ndrangheta e dei suoi molteplici interessi in Lombardia.
Ha parlato dei boss che nella regione eletta a patria morale dal Carroccio, fanno proprio come nella vituperata Calabria: hanno politici nelle loro mani, burattini, quaquaraquà  che usano come vogliono.
Uomini della politica e delle istituzioni anche nell’operoso Nord.
Perchè “non esiste, per chi è ‘ndranghetista, un diverso dalla Calabria: tutto il mondo è diviso in Calabria e ciò che lo diverrà ”.
Non sono le parole di Saviano o di un altro scrittore dell’antimafia “da strozzare”, ma quelle degli investigatori del Nucleo operativo dei Carabinieri di Monza nella informativa “Infinito” che fa da base investigativa alla maxi-inchiesta delle procure distrettuali antimafia di Milano e Reggio Calabria. Sotto il Duomo la ‘ndrangheta aveva organizzato venti “locali” (la struttura base dell’organizzazione detta “La Lombardia”) per 500 affiliati, picciotti ma anche imprenditori impegnati nell’edilizia, nel movimento terra, nel commercio.
Figura centrale dell’organizzazione l’avvocato Pino Neri.
“Lui era la testa quando gli altri neppure sapevano chi era la testa”, così lo definiscono i boss.
Negli anni Novanta venne arrestato perchè sospettato di essere il capo del “locale” di Pavia. Scontò nove anni perchè malato di cuore.
Scarcerato, riprese i contatti col mondo politico pavese e lombardo.
Quando, dopo l’omicidio del boss “scissionista” Nunzio Novella, la ‘ndrangheta ha problemi seri in Lombardia, i boss decidono di affidare a lui la “reggenza” dell’organizzazione.
La sua nomina viene fatta durante il matrimonio tra Giuseppe Barbaro, rampollo della cosca più importante di Platì, e Elisa Pelle, dei “Gambazza” di San Luca.
L’avvocato incontra tutti i capi dei “locali” il 31 ottobre 2009, in un vertice a Paderno Dugnano.
Un summit di mafia in un centro per anziani intitolato a Falcone e Borsellino. “Noi dobbiamo pensare a cogghimi (raccogliere) e non a dividere. E quindi abbiamo riunito questi degni responsabili per dire che tutti siamo uguali, non uno ne ha di più, non uno ne ha in meno. Tutti abbiamo pari responsabilità  , perchè noi questo vogliamo: questo vogliono gli uomini, questo vuole la logica e le regole”.
Un capo vero, l’unico in grado di avere rapporti con i boss di giù e con la politica.
Neri è amico di Carlo Antonio Chiriaco, direttore sanitario della Asl di Pavia e grande elettore di Giancarlo Abelli, ras del Pdl, alla Regione.
Punta in alto l’avvocato che mette le cose a posto nella ‘ndrangheta lombarda, alla politica: contribuisce alla elezione di Abelli e sponsorizza a Pavia un suo uomo, Francesco Del Prete.
Una elezione fortemente contrastata dalla Lega di Bossi.
Per superare gli ostacoli l’avvocato Neri si rivolge ad Angelo Ciocca, un leghista della prima ora.
All’epoca Ciocca è assessore alla Provincia di Pavia, ma qualche anno dopo sarà  eletto alla Regione con 19 mila voti di preferenza.
Un boom, una barca di consensi personali che superano finanche quelli ottenuti dall’erede del Senatur, Renzo Bossi, “la trota”.
Ciocca viene blandito, Neri gli offre l’acquisto di un appartamento a prezzi vantaggiosissimi, circostanza sempre negata dal consigliere leghista, ma ribadita dal procuratore Ilda Boccassini.
Ci sono intercettazioni telefoniche, riprese video e foto che attestano l’incontro dell’esponente leghista con Neri.
Il ministro Maroni, quindi, ha poco da offendersi, la Lombardia è terra di conquista da anni.
“Nell’ultimo quindicennio la ‘ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio ‘padano’.
Non è vero che al Nord c’è solo la Lega che controlla il territorio; c’è anche la ‘ndrangheta che, esattamente nelle stesse località  dove c’è un forte insediamento della Lega , gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti, interviene in vari campi, anche sociali, ha una presenza in politica.
Lo dimostra quello che è successo, per fare un solo esempio, in alcuni comuni come Corsico, Buccinasco e altri limitrofi, e in alcuni settori economici, come quelli degli appalti e del movimento terra”.
Enzo Ciconte, docente universitario e autore di moltissimi saggi sull’evoluzione della ‘ndrangheta, nel suo ultimo libro (‘Ndrangheta padana, Rubbettino editore) ha raccontato l’ascesa delle cosche calabresi in “Padania”.
Ciconte non si è limitato ad analizzare le ultime inchieste delle procure di Milano e Reggio Calabria, ma è andato alle radici del pensiero leghista, alla voglia dei secessione di Bossi e alla base “ideologica” fornita dal professor Giancarlo Miglio nelle sue elaborazioni sulla “costituzionalizzazione” delle mafie.
“Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità  del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità . C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
“Sono trascorsi undici anni dalle affermazioni di Miglio — conclude Ciconte — sono pochi, ma possono essere davvero tanti. Oggi ancor più di allora, quelle ‘manifestazioni tipiche del Sud’ fanno parte a pieno titolo del Nord, hanno invaso la ‘Padania’, ne sono parte integrante, ne hanno occupato una porzione notevole, non sono ad essa affatto estranee. Se si dovesse costituzionalizzare la mafia, come sognava Miglio, quest’atto non riguarderebbe più solo il Sud ma, rimanendo nel solco del pensiero dell’ideologo della Lega, toccherebbe due macro-regioni, quella padana e quella meridionale”.

Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)

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UN FINIANO DENUNCIA: “MI HANNO OFFERTO 500.000 EURO PER TRADIRE FINI, HO RISPOSTO CHE NON SONO IN VENDITA”

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

SCATTATA LA VERGOGNOSA CAMPAGNA ACQUISTI SUI DEPUTATI DI FUTURO E LIBERTA’ DA PARTE DELLA COSCA DEI TRADITORI DELLA DESTRA… UN ARTICOLO DE “LA STAMPA” NE ANTICIPA MOSSE   E STRATEGIE.. COSA NON SI E’ DISPOSTI A SPENDERE PER EVITARE LA GALERA

Nella sala conferenze di Montecitorio Denis Verdini e Daniela Santanchè stavano presentando con molta goduria il ritorno nel Pdl del deputato estero Giuseppe Angeli strappato a Gianfranco Fini.
«Il primo di altri ritorni», garantiva su di giri la Santanchè, che aveva ricevuto la telefonata da Silvio Berlusconi.
«Brava Daniela, sei riuscita a rompere il fronte di Futuro e libertà . Vedrai che ne arriveranno altri alla Camera e poi ci facciamo delle belle risate… Pensa alla faccia che farà  quello lì…».
Che sarebbe il presidente della Camera, per il Cavaliere sempre e comunque «un traditore».
Voleva andarlo a dire agli italiani, a Matrix, questa sera.
Aggiungendo che con lui «si è rotto un rapporto personale» e che «i finiani si accorgeranno quanti pochi voti avrà  il loro leader».
Avrebbe voluto aggiungere che è pronto a respingere le «manovre di palazzo», poi ci ha ripensato: l’intervento è rinviato al 14 dicembre, dopo il dibattito alle Camere, per rispetto al Capo dello Stato che si è speso a lungo nel tentativo di trovare un accordo tra le parti.
A «quello lì» Berlusconi sta cercando di sfilare deputati per rimandare al mittente la mozione di sfiducia anche con uno, due voti di scarto (sono sette i deputati su cui si sta lavorando alacremente).
«Magari pochi voti all’inizio – spiega Ignazio La Russa – che diventeranno dieci in pochi giorni».
Il perchè è presto spiegato: il premier ha una decina di posti da assegnare tra viceministri e sottosegretari lasciati vuoti da Fli e da precedenti dimissioni di esponenti del Pdl.
E poi, sempre che il governo ce la faccia a mantenere la maggioranza alla Camera, ci sono tante nomine pubbliche da fare entro la fine dell’anno.
A questo si aggiunge pure un presunto lato ancora più prosaico della campagna acquisti: un deputato finiano confidava ieri che gli sarebbero stati offerti 500 mila euro per «tradire» Fini.
«Non sono in vendita», è stata la risposta orgogliosa.
Comunque, mentre Verdini e Santanchè mostravano lo scalpo di Angeli, fuori dalla sala conferenze si aggirava Saverio Romano, l’ex segretario dell’Udc siciliana che ha abbandonato Casini per mettersi in proprio con i suoi amici e schierarsi con il Cavaliere.
«Vedrete che Berlusconi alla Camera avrà  la maggioranza. Bastano 5-6 assenze in aula al momento del voto… Non credo che tra i deputati ci sia molta voglia di andare a casa».
Una pausa, poi una «profezia».
«Abbiamo davanti quasi un mese di tempo e può succedere di tutto. Può succedere pure che Napolitano, di fronte a una tempesta finanziaria che si potrebbe abbattere in Europa nelle prossime settimane, possa decidere di non sciogliere le Camere e affidare l’incarico di formare un nuovo governo al governatore di Bankitalia Draghi».
E’ il governo tecnico la bestia nera di Berlusconi, ma per il momento non è alle viste.
Ma dopo la soluzione salomonica presa ieri al Quirinale sul voto di fiducia/sfiducia in Parlamento, il Cavaliere è convinto che lo spettro del governo tecnico sia stato archiviato.
Ora, spiegano a Palazzo Grazioli, l’alternativa è tra Berlusconi e le elezioni.
Insomma lo scenario sarebbe cambiato: i deputati dubbiosi e coloro che non vogliono lasciare lo scranno di Montecitorio sanno qual è il rischio che corrono se affossano il Cavaliere.
Ad esempio, Fini è in grado di rieleggere i suoi 35 seguaci, dovendo concorrere nella spartizione delle candidature con Casini, Rutelli e Lombardo?
Berlusconi, ad ogni modo, è soddisfatto della soluzione trovata dal Quirinale. Se avesse votato prima la Camera, in caso di sfiducia, sarebbe stato costretto a dimettersi e non avrebbe potuto incassare il voto favorevole del Senato.
Così invece a Palazzo Madama i senatori, che sono la metà  dei deputati, potranno finire di votare prima dei loro colleghi di Montecitorio.
I quali sapranno in tempo reale che l’unico modo per non andare a casa è quello di sostenere il governo.
Potranno sembrare alchimie, sottili giochi di Palazzo, tuttavia il Cavaliere gioca colpo su colpo.
Con la sicurezza di chi ha blindato l’asse con Bossi e si prepara la campagna elettorale se non riuscirà  a riconfermare la maggioranza nei due rami del Parlamento.

Amedeo La Mattina
(da “la Stampa“)

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IL “GUARDIAN”: BERLUSCONI COME PUO’ ANCORA ESSERE AL POTERE IN ITALIA ?”

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

“ADESSO IL PROBLEMA NON E’ PIU’ POLITICO O GIUDIZIARIO, E’ PSICHIATRICO”… “HA TRASFORMATO IL PAESE IN UNA BARZELLETTA”… “ALTROVE, PER UNO SOLO DEI SUOI SCANDALI, SAREBBE STATO COSTRETTO A DIMETTERSI”

Il quotidiano britannico attacca frontalmente il premier e riassume le ultime vicende in cui è rimasto coinvolto.
“Come può quest’uomo essere ancora al potere?”.
A tutta pagina c’è una foto di Silvio Berlusconi, composto e serissimo.
La cover story dell’inserto quotidiano del Guardian, G2, picchia duro sul presidente del consiglio italiano, i suoi scandali, le sue gaffe, la sua incapacità  di mettere il bene del Paese al primo posto.
Nello stesso giorno anche il settimanale americano Newsweek dedica la copertina al nostro premier e titola: “Berlusconi e il problema ragazze”. All’interno un reportage che viene riassunto così: “La sua cultura dell’harem sta minando l’economia italiana e il suo governo”.
Due stoccate in pieno petto.
Che vanno ad aggiungersi al coro unanime della stampa internazionale.
Ma il Guardian stavolta ci va pesante.
Seguendo le orme dell’ormai celebre copertina dell’Economist del 2001 dove B. era definito “unfit to lead”, inadatto a governare.
Quasi dieci anni dopo il concetto è lo stesso.
L’autore del reportage, Tobias Jones, è una vecchia conoscenza del premier. Quando si era permesso di criticare il berlusconismo nel libro Il cuore oscuro dell’Italia, uno dei magazine di casa Mondadori lo aveva screditato con un ampio pezzo definendolo il “Pinocchio inglese”.
Ma il Pinocchio non ha mollato la presa.
Per i lettori del Guardian riassume tutti i recenti scandali che hanno visto B. protagonista: dal caso Mills al presunto coinvolgimento con la mafia, da Noemi Letizia al bunga bunga fino ai festini a base di droga.
“Che altro potrà  fare Berlusconi per essere cacciato? — si domanda Jones — Nella maggior parte dei Paesi solo uno di questi numerosi scandali sarebbe stato sufficiente a ucciderlo politicamente”.
“Adesso il problema non è più politico o giudiziario, ma psichiatrico”, avrebbe commentato un membro dell’opposizione che vuole rimanere anonimo. Secondo il giornalista inglese il problema è che molti italiani invidiano e ammirano il premier per il suo successo con le donne, “sempre che si possa parlare di successo quando paghi 10.000 euro per un amplesso”, commenta.
Ma per lo scrittore l’atteggiamento sta finalmente cambiando: “Gli italiani sono molto meno puritani di noi quando si parla di sesso, ma sanno riconoscere l’ipocrisia — osserva — Per esempio recentemente il governo ha annunciato che la prostituzione sulle strade diventerà  illegale. E’ come se un preside alcolizzato dicesse ai suoi alunni che non possono bere Coca Cola”.
La descrizione poco lusinghiera del premier continua: “Gli italiani ammirano lo stile, ma il primo ministro viene ormai percepito come un pomicione, un malfermo e vecchio bigotto “, critica Jones.
“Durante una visita all’Aquila, dopo il terremoto, ha chiesto a un assessore: ‘Posso palpare un po’ la signora?’ Questo spiega come lui davvero creda al droit de seigneur, un rito medievale secondo il quale il signore doveva avere il primo assaggio delle vergini del suo regno”.
E mentre l’Italia è in rovine (vedi Pompei), continua il Guardian, l’unica cosa cui pensa B. sono le donne.
“Ha trasformato il suo Paese in una barzelletta”, è il commento lapidario. Purtroppo condiviso un po’ da tutta la stampa britannica, sia di destra che di sinistra.
Ma Jones riserva qualche strale anche per l’opposizione “notoriamente divisa e debole”. Prodi, D’Alema, Amato, Rutelli Fassino, Veltroni, Bersani: non sono riusciti a liberarsi di B.
“Mi dispiace dirlo, ma la sinistra è abbastanza patetica”, è il verdetto finale. Povera Italia, dunque.
Per il Guardian ci sono solo due vie per strappare a B. la poltrona: “La sua morte o una programmatica deberlusconizzazione che faccia tornare il Paese alla realtà  dopo 20 anni di lavaggio del cervello.
La prima, credo, è più probabile della seconda”.

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“A DA PASSA ‘A NUTTATA”, FINI ASPETTA IL 14 DICEMBRE: NON TANTO LA FIDUCIA ALLA CAMERA, QUANTO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

INCONTRO CON I SENATORI E INVITO ALLA PRUDENZA: IN TRENTA GIORNI IL PREMIER SCATENERA’ UNA CAMPAGNA ACQUISTI E MEDIATICA MAI VISTA PRIMA… OCCORRE EVITARE DI FARGLI DA SPONDA CON ECCESSIVE APERTURE A SINISTRA E CHIUDERGLI IL RAGGIO DI AZIONE….POI IL 14 DICEMBRE LA RESA DEI CONTI

Prima di salire al Quirinale per essere consultato dal Capo dello Stato, il presidente della Camera si è concesso una consultazione di tutt’altra natura, del tutto informale: con i suoi dieci senatori, il manipolo più debole della falange finiana.
Pasquale Viespoli   ha spiegato che occorre mettere la sordina alle aperture verso il Pd, perchè «deve esser chiaro a tutti che noi non siamo ribaltonisti»: continuare a vagheggiare governi con l’opposizione può aiutare la propaganda berlusconiana.
E anche peggio: a forza di palesare un’eccessiva “intelligenza col nemico”, si rischia di indebolire le difese concettuali dei parlamentari che d’ora in poi saranno contattati dal presidente del Consiglio al solo scopo di riportarli a casa.
Certo, la fuoriuscita di Giuseppe Angeli, che dal Fli è tornato al Pdl, «era preventivata», ma indubbiamente mettono apprensione a “Futuro e libertà ” i trenta giorni che mancano al doppio voto di fiducia Camera-Senato fissato per il 14 dicembre.
Trenta giorni nei quali è facile immaginare che si dispieghi la più poderosa campagna di “persuasione” mai lanciata nella sua vita da Silvio Berlusconi, che mai come stavolta si gioca tutto, anche dal punto di vista personale.
Fini non ha alcun timore per i capofila delle “colombe” – Andrea Ronchi, Silvano Moffa, Pasquale Viespoli, Roberto Menia, Giuseppe Consolo – ma i singoli sono sempre imprevedibili.
E’ per questo motivo che Fini, dopo aver ascoltato i senatori, ha invitato a una certa prudenza lessicale nei rapporti con le opposizioni e nel vagheggiare governi di unità  nazionale.
Gli effetti di quella correzione di rotta si sono visti otte ore più tardi.
A “Ballarò”, Italo Bocchino, numero due di Fli, ha detto: «Non c’è alcuna ragione per fare un governo con la sinistra, sarebbe un’alleanza spuria e innaturale, una esperienza non augurabile».
Fini e i suoi non lo ammetteranno neppure sotto tortura, ma attendono con “ansia” la sentenza della Consulta che potrebbe azzerare la legge sul legittimo impedimento, privando il premier di qualsiasi scudo rispetto alla magistratura, compresa la sentenza finale del processo Mills.
I futuristi non tradiscono emozioni e Carmelo Briguglio, capo della segreteria di Fli, è persino autoironico: «Noi della destra cosmica, pensiamo sempre che nulla sia casuale, neppure la sovrapposizione nello stesso giorno dei voti di fiducia al governo e della sentenza della Consulta».
Soltanto una battuta.
Ma il 14 dicembre è davvero una giornata che potrebbe segnare la storia del Paese.
Le opposizioni sono insorte perchè il giorno delle fiducie incrociate sarebbe troppo lontano, consentendo a Berlusconi chissà  quali manovre.
Ma prima del vertice al Quirinale, dal Pdl trapelavano propositi di allungare il “brodo”, di tirare fino al 20 dicembre.
Ecco perchè Gianfranco Fini, nel vertice al Quirinale, non ha battuto ciglio sul 14 dicembre come data-ghigliottina, mentre ha caldeggiato la contestualità  delle votazioni di fiducia.
Fini sa che lo attendono 30 giorni decisivi.
Se Berlusconi recuperasse altri deputati, rinvierebbe solo di qualche mese la crisi e non risolverebbe certo i problemi, ma per Fini sarebbe una sconfitta.
Ecco perchè occorre agire sottotraccia da qui fino al 14 dicembre: quel giorno un doppio uppercut gli spianerebbe la strada a un governo tecnico e alla diaspora di altri pidiellini verso Futuro e Liberta’.

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“RESISTERE, RESISTERE”: BERLUSCONI SPERA ANCORA NEL CONTRORIBALTONE E HA SOLO UNA PAURA, FINIRE IN GALERA

Novembre 17th, 2010 Riccardo Fucile

UNA MISSIONE IMPOSSIBILE, IL PREMIER VA AVANTI ANCHE CONTRO IL PARERE DI BOSSI… I COLLABORATORI LO SCONSIGLIANO: IMPOSSIBILE RECUPERARE 12 DEPUTATI, MA LUI NON SENTE RAGIONI, SI VEDE GIA’ COI FERRI AI POLSI… UN TIPICO CASO DI ACCANIMENTO TERAPEUTICO, TENERE IN VITA QUESTO GOVERNO

Il Cavaliere ancora spera di farcela, anche al fotofinish, pure con due voti di maggioranza. Anzi, perchè due?
Per tirare avanti con il governo uno solo gli basterebbe, ci metterebbe la firma con entusiasmo…
Tutto il groviglio istituzionale di queste ore, con il rischio di scontro tra Camera e Senato, con il presidente della Repubblica costretto a fare da arbitro come su un ring, è figlio di questa ostinata e (perfino nel giudizio di alcuni suoi scudieri) irragionevole resistenza berlusconiana.
Condotta sul presupposto di non dover e non poter mollare la presa.
Spiega sconsolato chi gli vive al fianco: «Silvio è convinto che, non appena lui cessasse di essere premier, subito qualche pm ne chiederebbe l’arresto, la Camera lo concederebbe. Proprio così, teme di finire in manette…».
Sembra enorme, incredibile, pazzesco, e forse neppure Di Pietro arriva ad augurarsi un epilogo così choccante per la democrazia italiana.
Eppure, questi sono gli spettri che (sempre nel racconto dei fedelissimi) si agitano nella mente del nostro premier, spingendolo a una sorta di comportamento per lui del tutto innaturale.
L’uomo che ha sempre scelto di rivolgersi alla gente, che ha saputo costruire la sua fortuna politica spiazzando i giochi del Sinedrio, eccolo vestire adesso i panni dell’azzeccagarbugli, scartabellare Regolamenti, tuffarsi nelle casistiche parlamentari, perorare la tesi secondo cui la fiducia al governo andrebbe discussa prima al Senato anzichè prima alla Camera.
Sul presupposto (tutto da dimostrare) che ciò gli permetterebbe di sfangarla non solo a Palazzo Madama, cosa abbastanza probabile, ma pure a Montecitorio.
L’impresa è giudicata dai più quasi impossibile.
Pare sia rimasto a crederci Berlusconi, unico e solo.
Parli con i suoi luogotenenti e ti sussurrano che sperare in un contro-ribaltone è pura follia, mai si sposteranno abbastanza deputati da colmare un gap stimato in 12-13 voti.
E poi, soggiungono, «nemmeno ce lo auguriamo, poichè nessun governo potrebbe sopravvivere più di qualche mese se si trovasse in bilico su ogni votazione, se venisse continuamente battuto sulle sue leggi, sui suoi decreti…».
Sarebbe solo un supplemento crudele di agonia, un accanimento terapeutico. Meglio farsi bocciare, è il sottinteso, e puntare diritto alle urne, dove le speranze di vittoria del centrodestra restano alte nonostante Fini.
Oppure meglio tentare la carta di un nuovo governo, si è sforzato invano di argomentare Bossi ieri pomeriggio nella villa di Arcore (che certi buontemponi Pdl hanno ribattezzato per assonanza Hardcore, ammiccando alle imprese amatorie che lì si sarebbero consumate).
Bossi non è isolato.
Tra i giovani leoni berlusconiani prevale la tesi che, se il Capo si dimettesse come chiedono Fini e Casini, poi Napolitano non potrebbe che ridargli l’incarico e insomma, tanto varrebbe provarci, alla peggio resterebbe la carta delle elezioni…
Niente da fare, però. Non c’è verso.
Il Cavaliere a dimettersi non ci pensa nemmeno lontanamente.
Cosicchè si va cercando in queste ore un punto di compromesso tra lui, decisissimo a presentarsi in Senato, e Fini, il quale tenta di fucilarlo immediatamente alla Camera.
Napolitano, vecchio saggio, pare voglia favorire una soluzione salomonica, tipo: dibattito sulla fiducia contestuale nei due rami del Parlamento.
Sarebbe l’«uovo di Colombo» capace di placare tutti, e Gianni Letta («sul Quirinale garantisco io», ripete da giorni) ha fatto da tramite tanto nei confronti del premier, quanto nei riguardi di Schifani.
Il quale in teoria potrebbe accordarsi direttamente con Fini, essendo suo dirimpettaio; ma è noto come i due non amino rivolgersi la parola, e dunque metterli in contatto richiede un supplemento di diplomazia.

Ugo Magri
(da “la Stampa“)

argomento: Berlusconi, Bossi, elezioni, federalismo, Giustizia, governo, la casta, PdL, Politica | Commenta »

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