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E TASSARE I LADRI?

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

GLI ITALIANI PAGANO OGNI ANNO UNA TASSA OCCULTA DI 400 MILIARDI PER COLPA DI VARIE CATEGORIE DI LADRI: 120 DI EVASIONE FISCALE, 60 DI CORRUZIONE, 52 DI LAVORO NERO, 43 IN INFORTUNI SUL LAVORO, 18 IN MERCI CONTRAFFATTE, 20 IN ABUSI EDILIZI, 135 NEL FATTURATO DELLA MAFIA, ALTRI IN TRUFFE ALLA UE…. RECUPERANDO SOLO IL 10% DI QUESTA SOMMA AVREMMO COPERTO LA MANOVRA DEL GOVERNO

Sulla proposta Idv-Pd, che riprendeva quella del Fatto per ritassare seriamente i capitali scudati due anni fa al 5% va in scena il solito copione: qualche peone del Pdl si dice possibilista, poi B. propone un altro scudo fiscale, poi ritira l’idea, così tutti respirano per lo scampato pericolo e dimenticano il resto.
Morta lì, come se l’opposizione non avesse null’altro da proporre in alternativa alla rapina di governo.
Alcune ricette sacrosante le conosciamo, ma sono al momento pure chimere per mancanza di una maggioranza che le approvi: abolire tutte le province; ripristinare l’Ici (unica imposta federale) e la tassa di successione (imposta liberale quant’altre mai, che spezza la rendita e rimette in circolo i capitali); allungare l’età  pensionabile secondo gli standard europei; disboscare la Casta col machete.
Molto più utile sarebbe sfidare Pdl e Lega dinanzi ai loro elettori inferociti con alcune proposte a costo zero, che porterebbero nelle casse dello Stato decine di miliardi senza sfiorare le tasche degli onesti, ma saccheggiando quelle dei ladri.
Il punto di partenza sono i dati raccolti da Nunzia Penelope in Soldi rubati (Ponte alle Grazie) sui 400 miliardi di “tassa occulta” che ogni anno paghiamo per colpa di varie categorie di ladri: 120 se ne vanno in evasione fiscale, 60-70 in corruzione, 52 in lavoro nero (l’evasione contributiva coinvolge almeno 3 milioni di lavoratori sommersi), 43 in infortuni sul lavoro, 18 in merci contraffatte, 5 in crac finanziari, 20 in abusi edilizi, 135 nel “fatturato” delle mafie che però sventuratamente non fatturano; infine le truffe all’Ue che ingoiano il 40% dei contributi per le zone depresse.
Basterebbe ridurre queste voci del 10% e avremmo ogni anno 40 miliardi in più.
Pareggio di bilancio assicurato a spese dei ladri, anzichè degli onesti.
Qualche idea, in ordine sparso.
1) La corruzione si combatte, oltrechè riformando la Pubblica amministrazione e ritirando la mano pubblica dall’economia, con la repressione. Il 1° marzo 2010, in pieno scandalo Cricca, il Consiglio dei ministri licenziò un ddl anticorruzione-brodino che poi si perse nei meandri del Senato.
Perchè non fare una battaglia per riesumarlo ed emendarlo con la proposta organica lanciata dal Fatto un anno fa e sposata da Pd, Idv, Fli e Sel?
Si tratta di recepire la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo nel ’99 e mai ratificata dall’Italia, allo scopo di: accorpare corruzione e concussione in un unico reato che vieta al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio di prender soldi da chicchessia; introdurre nuovi reati puniti in tutto il resto dell’Occidente: autoriciclaggio, corruzione fra privati e traffico di influenze illecite.
2) Ripristinare il reato di falso in bilancio sciaguratamente abolito, di fatto, dal secondo governo Berlusconi nel 2002.
3) Riformare la prescrizione, arrestandola al momento della richiesta di rinvio a giudizio e cancellando la legge ex Cirielli (oggi la corruzione si prescrive 7 anni e mezzo dopo che è stata commessa, mentre prima scattava dopo 15).
4) Rilanciare le proposte della commissione Mastella del 2006 (comprendeva i magistrati Davigo, Greco, Ielo) per una Giustizia che si autofinanzi recuperando il maltolto della criminalità  economica e fissando una cauzione sulle impugnazioni.
5) Riformare i reati fiscali all’americana: triplicando le pene, ora talmente irrisorie (3 anni per la dichiarazione infedele e 6 per la frode) da garantire all’evasore che non farà  un giorno di galera e si terrà  il bottino; e abolendo le soglie di non punibilità  introdotte dall’Ulivo, che consentono di evadere ogni anno fino a 50mila euro (frode) e 100mila (dichiarazione infedele) senza finire in tribunale. Lo slogan berlusconiano contro il “mettere le mani nelle tasche degli italiani” si sta rivelando per quello che era: una truffa.
Si attende qualcuno che se ne intesti un altro, più etico e realistico ma altrettanto popolare: “mettere le mani nelle tasche e le manette ai polsi dei ladri”.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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COME NEL FILM DI TOTO’, ORA CI VENDIAMO LA FONTANA DI TREVI

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

LA FARSA DEGLI IMMOBILI DI STATO, MAI DISMESSI MENTRE LA CASTA CI GUADAGNAVA…DA ANNI VA AVANTI LA BALLA DELLA VENDITA DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE PER SANARE I CONTI DELLO STATO: E A OGNI MANOVRA SI USA LO STESSO ARGOMENTO

Chissà  se questa è la volta buona.
La vendita del patrimonio immobiliare pubblico è uno dei tormentoni più resistenti della Seconda Repubblica.
Se ne parla da vent’anni e ogni governo e ogni partito hanno partorito un progetto, salvo poi dimenticarsene in fretta.
A questo giro, però, c’è qualcosa di diverso e di peggio: Annibale è davvero alle porte.
La situazione dei conti pubblici è talmente malmessa che forse non basterà  neanche la manovra bis lacrime e sangue del governo.
Ma soprattutto non è nè giusto nè economicamente sensato che il peso dei sacrifici ricada in larghissima misura su chi ha sempre pagato.
Ecco allora che si fa di nuovo strada l’idea per niente peregrina di una vendita straordinaria del mattone di Stato per fare cassa.
Il Pd l’ha inserita nel suo catalogo anti-crisi in sette punti e Stefano Fassina dice che lo Stato potrebbe incassare 25 miliardi di euro in 5 anni.
Arrancando, pure il governo sta rispolverando il progetto anche se in un clima in cui la mano destra sembra non sapere cosa fa la sinistra.
Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ora penserebbe di passare a Fintecna le famose ex mille caserme, un tesoretto di mattoni regolarmente riscoperto nei momenti di crisi acuta e che pure il ministero della Difesa vorrebbe vendere, ma per conto proprio.
In cambio Tremonti conta di ottenere un po’ di liquidità  dalla stessa Fintecna, che è una specie di cassaforte pubblica con 2 miliardi di euro affidata di recente dal ministro alle cure di un suo uomo, Massimo Varazzani.
Non più di qualche mese fa, però, lo stesso Tremonti aveva liquidato Patrimonio dello Stato Spa, cioè proprio la società  Fintecna creata nel 2002 per operazioni del genere e lasciata in un limbo con il compito quasi esclusivo di pagare, in pratica, gli stipendi agli amministratori: ad un consiglio di cui faceva parte l’ex direttrice del Demanio, Elisabetta Spitz, e dal 2002 al 2007 pure Massimo Ponzellini, poi diventato presidente di Impregilo.
A complicare la faccenda della vendita del mattone di Stato, è sopraggiunto nella primavera di un anno fa il federalismo demaniale, cioè quell’idea di trasferimento ai comuni di parte del patrimonio partorita quando ancora furoreggiava il progetto federalista caldeggiato dallo stesso Tremonti.
Oggi il federalismo non sta tanto bene, ma quella norma resta e potrebbe risultare un grande ostacolo ad un piano concreto di vendita del patrimonio. Quel testo prevede che i beni siano trasferiti a titolo gratuito dallo Stato centrale agli enti locali tramite il Demanio.
Nel frattempo Tremonti ha deciso di far confluire parte di quel patrimonio in una Sgr (società  di gestione del risparmio) a cui partecipano gli enti locali e la Cassa Depositi e prestiti.
Un paio di settimane fa, inoltre , il Tesoro ha presentato i risultati del censimento dei beni dello Stato, degli enti locali, delle università  e di tutte le altre amministrazioni.
Agli immobili individuati ha dato un valore teorico tra 239 miliardi e 319, mentre i terreni varrebbero tra 11 e 49 miliardi .
Il censimento non era propedeutico alla vendita, ma solo alla quantificazione del patrimonio con l’intento di dimostrare all’Europa che l’Italia sarebbe economicamente più sana di quanto si dice.
Di quel ben di dio censito, oltretutto, non è neanche lontanamente possibile ipotizzare una cessione integrale perchè dentro quello stock ci sono in maggioranza beni strumentali, immobili e terreni che lo Stato usa per lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali.
Assai più utile in vista della vendita, il censimento del Demanio di 4 anni fa che individuò circa 30 mila beni (20 mila edifici e 10 mila terreni).
Ma una cosa è censire e un’altra vendere sul serio gli immobili, soprattutto in momenti come questo di mercato immobiliare depresso.
Proprio il Demanio si è scontrato con questa dura realtà . In due anni, 2009 e 2010, ha messo sul mercato beni per un valore di 339 milioni , ma ne ha venduti davvero solo per 245.
Gli altri non è riuscito a piazzarli.
Del resto non è facile, tanto per fare un esempio, trovare qualcuno disposto a tirar fuori 40 milioni di euro per l’ex caserma Piave di Albenga, 60 mila metri quadri, un complesso grande quanto un intero quartiere.

Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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QUELLA FRONDA NEL PDL CHE CRITICA LA MANOVRA PER FAR FUORI TREMONTI

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

ANTONIO MARTINO E GUIDO CROSETTO HANNO RACCOLTO TRENTA DEPUTATI PDL CHE ORA AVRANNO UN “PESO POLITICO” NELLE DECISIONI DEL GOVERNO…ALFANO TRATTA, ALTRIMENTI SALTA IL BANCO, LA LEGA IN CONFUSIONE, BERLUSCONI PENSA ALLA CURA DIMAGRANTE

L’intento ora è dichiarato: incidere sulla manovra in modo da costringere il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a lasciare il campo.
È il capofila dei frondisti pidiellini a uscire allo scoperto con una dichiarazione senza appello: “La Costituzione è chiara — sono parole di Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa — o un ministro lascia di sua volontà  o il premier può solo assistere impotente: mica può far cadere il governo per liberarsi di Tremonti che non è più in grado di tenere i conti…”.
L’attacco frontale al ministro arriva alla vigilia di un delicato incontro chiarificatore tra il segretario Angelino Alfano e il drappello dei dissenzienti (lunedì a via dell’Umiltà ) che, nel corso di queste turbolente giornate, ha ormai raggiunto quota 30.
Antonio Martino, uno dei padri nobili di questo Pdl, lavora di tessitura dietro le quinte per arrivare a costituire un gruppo nel “cuore” del partito tale da avere “un peso politico quando si tratterà  di prendere decisioni determinanti per il futuro del Paese”.
Martino vuole “contare di più” nel Pdl e le sue opinioni su Tremonti sono note da tempo; con la sua “cocciutaggine e arroganza” il titolare dell’Economia può trascinare il partito verso il minimo storico elettorale.
Santo Versace, un altro berlusconiano doc che si è unito al gruppo, non si nasconde dietro a un dito: “In Parlamento il governo dovrà  correggere il tiro; se la manovra va in porto così, il Pdl prende una mazzata alle prossime elezioni”.
Eccola, quindi, la preoccupazione principe del gruppo frondista.
Anche il Cavaliere, chiuso ad Arcore in questi giorni bollenti per sottoporsi a una cura dimagrante (deve perdere almeno sette chili e disintossicarsi dal cortisone), ha avuto tra le mani dei sondaggi devastanti che lo hanno convinto a scongiurare Alfano di mettercela tutta a tenere insieme il partito “altrimenti c’è solo la crisi e non ce la possiamo permettere”.
I frondisti, però, non molleranno, tanto che ormai l’idea che alla Camera la manovra alla fine passerà  con la fiducia non è più un tabù impronunciabile. Crosetto, però, sulla questione pensioni appare possibilista: “Con la Lega c’è l’obbligo di coalizione: se proprio insiste che le pensioni non si toccano ci fermeremo”.
Versace, invece, non ci sta: “Mi dispiace per Bossi, ma non dobbiamo mollare su un punto così importante”.
Anche perchè “se non tocchiamo le pensioni, saremo costretti a fare una manovra dietro l’altra”.
Dunque, almeno Versace è pronto a sfidare il Senatùr in Parlamento, ma per la Lega la partita pensioni non è affatto riaperta, anzi.
E mentre il governo lavora alle modifiche al testo, ma poco trapela a parte la confusione, Calderoli ha fatto capire che la porta lì resta chiusa: “Non c’è alcuna apertura, le pensioni stanno bene come stanno; lunedì ci vediamo in via Bellerio per individuare e formalizzare le risposte e le proposte che faremo in Parlamento”.
Nel Carroccio si respira la stessa aria del Pdl; il consenso è ai minimi storici. “Non possiamo continuare a farci massacrare — è infatti l’opinione di Flavio Tosi, sindaco di Verona — alla nostra gente sembra che la manovra sia andata a colpire quelli che hanno sempre pagato e le pensioni sono un reddito che fa vivere le famiglie”’.
Distinguo di facciata a parte, le posizioni tra Lega e Pdl restano ancora a distanze siderali.
Un po’ su tutto…

Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’ITALIA PAGA I RISPARMI DEL VATICANO

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

NEL MIRINO DELLA UE I PRIVILEGI FISCALI DEL VATICANO A CUI L’ITALIA HA CONCESSO BENEFICI PER QUASI 2 MILIARDI DI EURO DI ESENZIONE DA IMPOSTE…E ORA LO STATO ITALIANO DOVRA’ ANCHE PAGARE LA MULTA PER L’INFRAZIONE

Finiscono nel mirino dell’Unione Europea i privilegi fiscali del Vaticano, ma a farne le spese sarà  lo Stato Italiano reo di aver concesso tali benefici e contro il quale l’Unione Europea darà  il via a breve a una procedura di infrazione.
Tra scuole, alberghi, ospedali e attività  commerciali, infatti, i beni ecclesiastici raggiungono le 100 mila unità  sulle quali viene applicata l’esenzione totale dall’Ici e uno sconto del 50% sul pagamento dell’Ires, per un “evasione fiscale legale” di quasi 2 miliardi di euro.
Introdotta da Berlusconi durante la campagna elettorale del 2005 per accaparrarsi consensi, la norma sull’esenzione fiscale fu poi modificata dal governo Prodi che, in seguito all’intervento della Ue che individuava gli aiuti di Stato non compatibili con la normativa europea, decise di applicarla a quelle attività  considerate “non esclusivamente commerciali”.
Tuttavia, basta un banale escamotage per aggirare la normativa.
E’ sufficiente, infatti, che all’interno della struttura ci sia una cappella perchè questa si trasformi in un’attività  non commerciale e quindi esente dalle suddette imposte.
La decisione della Ue giunge dopo le denunce esposte dal’onorevole Maurizio Turco.
A tal proposito l’esponente radicale ha commentato che nonostante le stime dei “2 miliardi di euro all’anno sottratti alle casse dello Stato” provengano “ dall’Anci e dallo stesso Ministero dell’Economia, perfettamente a conoscenza della situazione, essendo coinvolti enti ecclesiastici, vige una certa prudenza politica sull’argomento”.
“Anche l’Unione Europea ha difficoltà  a chiudere questa pratica – conclude Turco – perchè ci sono forti pressioni e il doppio tentativo di archiviazione del caso ne è un prova evidente”.
Per due volte, infatti, in passato le procedure d’infrazione annunciate sono state archiviate.
Ma ora l’Unione Europea sembra decisa a intervenire, tanto che già  è noto il contenuto del documento redatto dal commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia nel quale si legge “la Commissione non può escludere che le misure costituiscano un aiuto di Stato e decide quindi di indagare oltre”.
In particolare l’inchiesta che partirà  verso metà  ottobre avrà  come oggetto la questione del mancato pagamento dell’Ici, il dimezzamento del pagamento dell’Ires e l’articolo 149 del Testo unico, che disciplina le imposte sui redditi e prevede lo status di ente non commerciale, a vita, per le attività  ecclesiastiche.
Anche se ci sono tutte le condizioni per sperare in una condanna – le condizioni dell’esistenza dell’aiuto e della sua incompatibilità  con le norme Ue “sembrano essere soddisfatte” – l’ultima parola spetta sempre a Bruxelles e il verdetto non arriverà  prima di 18 mesi.

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SACCONI E LO SPIRITO DI VENDETTA SOCIALISTA SUI LAVORATORI

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

IL MINISTRO DEL WELFARE, NEMICO DEI SINDACATI E DEGLI OPERAI, HA COSTRUITO UNA CONTRORIFORMA CARBONARA

E venne il giorno della riforma clandestina, la riforma di contrabbando, la libera licenziabilità¡ sognata ed invocata dai tanti Stranamore del liberismo italiano come la panacea di tutti i mali, finalmente imposta con un piccolo e miserabile golpe di ferragosto.
C’è qualcosa di grottesco e beffardo nel fatto che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi abbia partorito questo prodigio di controriforma quasi in segreto, di soppiatto, con un apparato di codicilli infilati ad arte nella finanziaria “lacrime e sangue”, nascosti e quasi occultati, come certe procure estorte ai parenti con firma tremante sul letto di morte.
Di tutta la sterminata collezione di prodigiosi rancori prodotta dal berlusconismo, quello degli ex socialisti alla Sacconi è il distillato più pericoloso, perchè in buona fede.
E il contrabbando, dunque, è l’unico strumento possibile per attuare la vendetta, la guerra contro i mulini a vento che gli ex sessantottini spretati del garofano pensano di essere chiamati a celebrare.
Per gente come loro — Sacconi, Brunetta, la Boniver — una riforma così si sarebbe dovuta offrire al paese con una messa giuslavorista, un coro egemonico, una kultur kampf da celebrare nel punto massimo del consenso.
Invece, a loro eterna vergogna, quando erano al massimo del consenso non hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani e di mettere in gioco i loro frivoli indici di popolarità .
Così, dove la vanità  ha fallito, ecco il colpo di coda del rancore.
I ragazzi che si vantarono di essere discepoli dei grandi giuslavoristi socialisti progressisti, dei Giugni e dei Brodolini, fanno a pezzi lo statuto dei lavoratori nel crepuscolo della ritirata e della sconfitta.
C’è un aneddoto che mi raccontà³ lo stesso Sacconi — persona peraltro squisita, sul piano personale — quello per cui, nella stagione dei golpe degli anni settanta lui e Brunetta una notte di paura si erano precipitosamente ritirati in una baita, temendo di essere arrestati nel corso di un colpo di stato.
Ecco, quella allucinazione iperdemocratica di allora, si riverbera nell’allucinazione iperpadronale di oggi, nel regalino osceno alla Fiat, la legge ad aziendam gentilmente concessa, per evitare una condanna certa.
Come allora Brunetta e Sacconi pensano di essere gli esecutori di una vendetta contro l’egemonia culturale degli odiati comunisti, contro i lavoratori e i precari che li hanno (giustamente) spernacchiati ovunque, e che loro hanno (giustamente) combattuto senza tregua, considerandoli al pari di nemici di classe.
Il sacconismo, che è per definizione in buona fede perchè è l’ideologia del neocatecumeno, e del convertito zelante che deve farsi perdonare il suo passato, è molto peggio del berlusconismo cialtrone dei ladri, degli avvocaticchi, e dei pataccari di corte del cavaliere.
Ma proprio per questo è quello che negli ultimi giorni del Reich innescherà  la rivolta sociale dei nuovi indignados italiani, che non ne vogliono sapere di farsi mettere sul lastrico nel tempo feroce della crisi.

Luca Telese blog

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TRA SALLUSTI E BELPIETRO E’ CRISI DI COPPIA IN DIRETTA TV

Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile

QUESTIONE DI LIBERISMO O DI COPIE VENDUTE?… LA MANOVRA DI TREMONTI APRE UN NUOVO CAPITOLO DELLA FAIDA INFINITA TRA “LIBERO” E “IL GIORNALE”

Questione di liberalismo o più banalmente di copie?
La manovra “socialista” o “comunista” del governo regala un nuovo e inedito capitolo della faida infinita tra “Libero” e “Giornale”, i due quotidiani più letti dai berlusconiani.
Il primo, fondato da Vittorio Feltri, è di proprietà  della famiglia romana degli Angelucci.
Il secondo è controllato da Paolo Berlusconi, il fratello del premier.
Ma stavolta Feltri, protagonista di un incredibile andirivieni tra le due redazioni (oggi è al “Giornale”), non c’entra nulla.
A darsele di brutto sul ring della pancia di destra, incazzata per la tassa di solidarietà  in nome della rivoluzione liberale, sono i due ex “secondi” del Diretùr.
Da un lato Maurizio Belpietro, numero uno di “Libero”.
Dall’altro Alessandro Sallusti, direttore responsabile del “Giornale”.
Lo scontro è andato in diretta su La 7 qualche sera fa, al programma “In Onda” di Luisella Costamagna e Luca Telese.
Ed è stato Sallusti a dare addosso a Belpietro, colpevole di fare titoli e articoli contro la manovra, guidando la fronda del Pdl: “Io trovo un’analogia tra le posizioni espresse da Belpietro e quelle di Bersani e Di Pietro. Anzi Di Pietro mi sembra più moderato di Belpietro”.
Il direttore di “Libero” non ha tirato la gamba indietro e si è buttato nella rissa, rinfacciando a Sallusti che Nicola Porro, vicedirettore del “Giornale” per l’economia, scrive le stesse cose sul blog ma non sul quotidiano, per la serie “Cavaliere non ci sono parole”.
Osserva Belpietro col suo ghigno da mastino: “Anche Porro è come Bersani e Di Pietro?”.
La lite continua e affronta un’altra questione cruciale.
Belpietro: “Qualcuno non vuole raccontare la verità  a Berlusconi. Ecco, caro Cavaliere, te la diciamo noi che ti conosciamo da più anni di chi ti parla adesso. Io non voglio assistere al suicidio del centrodestra. Così il premier perde 500mila voti”.
Ribatte Sallusti: “Significa che tu consideri dei deficienti gli elettori di centrodestra, una manica di egoisti irresponsabili che non comprendono quando è il momento di fare sacrifici”.
Uno spettacolo vero, che aumenta il caos e le lacerazioni nella maggioranza, ormai ridotta a una guerra per bande.
Anche giornalistiche.
E quando si tratta di “Libero” e “Giornale” la guerra è soprattutto di copie.
Il conflitto va avanti da undici anni, da quando Feltri portò in edicola “Libero” il 18 luglio del 2000.
Oggi la differenza reale tra i due giornali cugini che si odiano è di circa 50mila copie: 105mila per Belpietro, 155mila per Sallusti.
Entrambi in calo costante, hanno ripreso un po’ di fiato in questa convulsa estate politico-economica ma è il “Giornale” ad avere i nervi più fragili, come dimostra il paragone di Sallusti su Belpietro come Bersani.
Il primo motivo è che l’ultimo ritorno di Feltri da “Libero” non avrebbe portato copie (si sperava almeno in 20-30mila).
Il secondo è legato all’attualità : Belpietro cavalca l’onda della destra anti-manovra mentre il “Giornale” non può farlo.
Lo dimostra anche la schizofrenia di Sallusti e Feltri su Giulio Tremonti: prima la minaccia di un metodo Boffo, poi la difesa del ministro dell’Economia, infine di nuovo gli avvertimenti: “Non è più tempo di primedonne”.
E ieri, per la cronaca, Feltri ha ricordato che l’unico regime italiano a non aver accumulato debito è stato quello di Benito Mussolini.
Per una volta è stato costretto a scrivere la verità .

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