Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
COMMOSSO, “IL GIORNALE” DI FAMIGLIA LODA I SACRIFICI DEL PREMIER PER IL PAESE…”CHI GLIELO FA FARE?” SI CHIEDE L’EX DIRETTORE
Il barometro è infallibile, quando Vittorio Feltri indica nuvoloso significa che davvero per Silvio Berlusconi il meteo è plumbeo.
L’editorialista del Giornale, due volte ex direttore, ha abbandonato da tempo il ruolo di coscienza critica del berlusconismo (sostituito in questo da Mario Sechi del Tempo) per diventare a un tempo il tifoso sofferente e l’aspirante confessore del premier nella fase crepuscolare in cui il “Diavolo Berlusconi”, secondo lo stilema feltriano, è stato costretto a scoprire la categoria filosofica della necessità e quella monastica del sacrificio.
Tradotto: “à‰ costretto a sopportare politici politicanti, deve difendere la manovra di Tremonti e convincere Bossi sulle pensioni”, come si leggeva ieri in prima pagina sul Giornale a corredo di un editoriale di Feltri dal titolo “Quello che Silvio non può dire”.
E l’indicibile sarebbe questo: “A Silvio Berlusconi chi glielo fa fare di sbattersi in politica fra gente che lo disprezza perchè lui le impedisce di sgranocchiare la pannocchia e quella che lo blandisce per strappargli un pezzo di pannocchia da sgranocchiare?”.
Le risposte, Feltri ne è consapevole, sono fin troppo facili: da privato cittadino non potrebbe scriversi le leggi su misura dei suoi processi, o per tutelare le sue aziende (che comunque non se la passano benissimo, -43% in Borsa per Mediaset in sei mesi, anche per le difficoltà politiche del governo) e forse anche le feste eleganti di Arcore sarebbero meno affollate.
Ma Vittorio Feltri non crede a queste prosaiche esigenze di sopravvivenza penale e politica. Preferisce accreditare un recondito (e ben nascosto per 17 anni) afflato kennedyano nel Cavaliere, tormentato dalla ricerca del modo migliore per aiutare il Paese anzichè di come distorcere il Paese per aiutarsi.
Piaggeria? Forse, ma il Cavaliere in effetti ha cambiato linguaggio.
Il 22 giugno, per esempio, diceva che restare a palazzo Chigi “vi assicuro che è un grandissimo sacrificio”.
E poi ancora a luglio ha fatto appello allo “spirito di sacrificio con cui i cittadini sono disposti alla revisione di un welfare obsoleto che per garantire tutti non garantisce chi ha davvero bisogno”. E la sua candidatura nel 2013, notizia di pochi giorni fa, ci sarà solo se “necessario”.
Ancora ieri, sofferto, ha dovuto smentire pubblicamente le ritrovate velleità secessioniste di Umberto Bossi: “Mi spiace questa volta di non essere d’accordo con il mio amico Umberto Bossi. Sono profondamente convinto che l’Italia c’è e ci sarà sempre”.
Al Giornale di famiglia ci provano in tutti i modi a confortarlo, esasperando lo stoicismo con cui il Cavaliere sopporta il fardello della crisi (di cui, ci tengono sempre a precisare, non è assolutamente responsabile benchè governi quasi senza interruzioni da 10 anni).
Basta scorrere i titoli di questi giorni per cogliere lo sforzo di Feltri e del direttore Alessandro Sallusti: si va dal “Berlusconi: ci salveremo”, del 4 agosto a “Berlusconi, il piano c’è”, del 21 agosto passando per “gli ostaggi della Lega”, del 19.
Ma tutto è inutile, perchè a dispetto del conforto psicanalitico di Feltri — ormai distante chilometri dalla linea editoriale anti-casta del suo ex giornale Libero — da oggi la manovra bis, quella da 55 miliardi, arriva in Senato. E non si scherza più.
O vince la Lega, che vuole evitare ogni intervento sulle pensioni (auspicato invece dal babypensionato Feltri) oppure vince Berlusconi che, senza troppa convinzione, ha mandato avanti alcuni fedelissimi del Pdl a chiedere la revisione del contributo di solidarietà , cioè l’aumento dell’Irpef per i redditi medio alti.
A sollevare Berlusconi dal peso del sacrificio e a togliere Feltri dal rovello sul “chi glielo fa fare” potrebbero però pensarci gli elettori.
Renato Mannheimer, in un sondaggio Swg anticipato ieri, avverte che il Pdl sta sprofondando al 22-25 per cento dei consensi e la Lega arranca all’8.
E tutto questo prima ancora che la manovra bis sia entrata in Senato.
Figurarsi dopo.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
DAGLI ABBRACCI E DAI BACIAMANI ALLA PAURA DI UNA VENDETTA…COSI’ IL NOSTRO PAESE HA SCELTO UN BASSO PROFILO
Se parla persino Mr B, vuol dire che, per il colonnello Gheddafi e il suo regime, è proprio
finita. Ieri, il presidente del Consiglio ha fatto sentire la propria voce sulla vicenda libica dopo lungo silenzio, quando l’epilogo del conflitto è ormai tracciato.
Silvio Berlusconi rivendica il posto dell’Italia accanto ai vincitori: “Il Consiglio nazionale transitorio — ha detto – e tutti i combattenti libici impegnati a Tripoli stanno coronando la loro aspirazione a una nuova Libia democratica e unita. Il governo italiano è al loro fianco”.
Da migliore amico del dittatore sconfitto a candidato migliore amico del ribelle vincitore, il passo può essere breve, quando uno ha la faccia tosta giusta.
Al Cnt, Mr B rivolge pure un appello: “Esortiamo gli insorti ad astenersi da ogni vendetta e ad affrontare con coraggio la transizione verso la democrazia con spirito di apertura nei confronti di tutte le componenti della popolazione . Al tempo stesso, chiediamo al colonnello Gheddafi di porre fine a ogni inutile resistenza, risparmiando, in tal modo, al suo popolo ulteriori sofferenze”.
Una dichiarazione compitino, dopo avere seguito sostanzialmente in silenzio il crollo di un dittatore verso cui aveva mostrato eccessiva inclinazione.
Chè, se uno gli amici se li sceglie pericolosamente fra i ceffi meno raccomandabili di questo mondo, poi qualche incidente di percorso deve pure metterlo in conto.
In tutta questa evoluzione libica, il silenzio di Berlusconi doveva probabilmente servire a rendere meno stridente l’inversione a U dell’Italia, qualificatasi prima dell’insurrezione come la migliore amica del regime libico e che, dopo l’esplosione della rivolta, quando cambiare cavallo diventa inevitabile, cerca di riciclarsi come migliore amica della nuova Libia.
A quel punto, è meglio che Berlusconi , l’uomo che s’è inginocchiato di fronte a Gheddafi e che lo ha accolto due volte a Roma con onori straordinari, facendogli piantare la tenda a Villa Pamphili e lasciandogli predicare il Corano a centinaia di ‘vergini’, parli il meno possibile.
Tanto più che, all’inizio della crisi, le dichiarazioni del premier avevano spesso causato imbarazzo alla diplomazia italiana già chiamata a barcamenarsi in una situazione oggettivamente difficile.
Il 9 febbraio, alla domanda se avesse chiamato l’amico Gheddafi dopo i primi scontri a Bengasi, Mr B risponde: “No, non l’ho sentito. La situazione è in evoluzione e, quindi, non mi permetto di disturbare nessuno”.
Però, aveva aggiunto, “stiamo seguendo con il cuore in gola la situazione dell’arrivo di immigrati nel nostro Paese”, contro cui il regime di Gheddafi era un gendarme molto efficace, anche grazie alle motovedette fornitegli dall’Italia.
Il 22 febbraio, poi, quando Gheddafi accusa l’Italia, e l’America, di avere “dato dei razzi ai ragazzi di Bengasi”, Berlusconi gli telefona per smentire: “L’Italia non ha fornito armi ai manifestanti”.
E il giorno dopo il premier dice sì basta “all’inaccettabile violenza libica che ha superato ogni limite”, ma esprime pure “massima allerta per un quadro imprevedibile che potrebbe degenerare in una deriva fondamentalista ad alto rischio per chi, come l’Italia, è esposto a potenziali e biblici flussi di emigranti e dovrà comunque fare tornare i propri conti energetici”.
A un certo punto, Francesco Verderami, sul Corriere della Sera, scrive che Berlusconi avrebbe paura della vendetta del rais: “Lui me l’ha giurata. Lo so da fonti certe”.
Il premier sarebbe più nervoso del solito e apparirebbe scosso, perchè “Gheddafi mi vuole morto”.
La rivelazione è seguita da puntuale smentita, ma è chiaro che un’amicizia s’è ormai rotta, mentre un’alternativa deve ancora essere costruita per salvaguardare gli interessi economici ed energetici dell’Italia.
Più che di essere ‘fatto fuori’ dal colonnello dittatore, Mr B teme , forse, che vengano fuori i retroscena di un’amicizia improbabile quanto imbarazzante: intrecci d’affari che giustifichino il rapporto altrimenti improbabile fra un uomo d’affari milanese messosi in politica e un ufficiale tripolino radicale e rivoluzionario divenuto dittatore.
A puntellare un’ipotesi di alternativa post-Gheddafi, Berlusconi ci ha ieri provato con una telefonata al leader del Cnt Mahmud Jibril, di cui Palazzo Chigi ha dato un rendiconto molto positivo.
“Nel colloquio, il presidente del Consiglio italiano s’è complimentato per la rapida avanzata delle forze del Cnt, riconfermando l’impegno dell’Italia a sostegno della nuova Autorità per la costruzione di una Libia democratica e unita. Il premier ha inoltre manifestato apprezzamento per la volontà del Cnt di evitare qualsiasi vendetta e ha auspicato che la Libia possa presto avere un governo che rappresenti tutte le componenti del Paese”.
Jibril, dal canto suo, avrebbe “ringraziato calorosamente l’Italia per l’appoggio dato”, sottolineando in particolare che “la vicinanza dell’Italia al popolo libico ha radici profonde”, e chissà se pensava al passato coloniale o al Trattato d’Amicizia firmato da Gheddafi e Berlusconi bel 2008, quasi tre anni fa giusti giusti.
Il premier e il capo del Cnt avranno modo di approfondire la discussione in un incontro in Italia nei prossimi giorni.
Nella certezza che Jibril non si porterà dietro tende da montare e non pretenderà ‘vergini’ da imbonire.
Almeno per ora.
Giampiero Gramaglia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
NEL 1970 BEN 20.000 ITALIANI FURONO COSTRETTI DA GHEDDAFI A LASCIARE LA LIBIA DOVE VIVEVANO E LAVORAVANO, IN VIOLAZIONE DI OGNI CONVENZIONE INTERNAZIONALE.. FU SOTTRATTO LORO OGNI BENE NEL SILENZIO OMERTOSO DEL GOVERNO ITALIANO
Mentre scrivo queste note non si sa ancora che fine abbia fatto Ghaddafi nella Tripoli ormai quasi tutta in mano ai ribelli, che hanno catturato due dei suoi tre figli.
Personalmente gli auguro peggior fine possibile, mentre il mio pensiero va al Comm. Carlo Lattanzi che rappresentava i profughi italiani dalla Libia in seno al CTIM negli anni 70.
Mi ricordo la sua rabbia impotente contro il criminale di Tripoli, mi ricordo la sua passione nel difendere gli interessi dei suoi compagni di sventura, la sua nostalgia della terra libica.
A lui dedico la mia gioia nell’apprendere le buone notizie dalla Libia.
C’erano ventimila italiani in Libia quando il 1° settembre 1969 Gheddafi prese il potere con un colpo di stato.
Consideravano la Libia come loro seconda patria, avevano costruito strade, scuole, ospedali
Il 21 luglio dell’anno dopo il nuovo leader emanò un decreto per “restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori” in base al quale gli italiani vennero privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all’INPS e da questo trasferiti in base all’accordo all’istituto libico corrispondente e furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70.
Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente del trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonchè delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU relative alla proclamazione d’indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel paese. Contemporaneamente il regime requisì anche i beni lasciati dagli ebrei, beni che erano stati presi in custodia dopo la guerra dei 6 giorni del 1967.
In quell’occasione il Governo italiano, vergognosamente, ritenne di dover accettare il fatto compiuto per ragioni di opportunità politica ed economica.
Rinunciò infatti a denunciare la violazione dell’accordo o chiedere l’arbitrato espressamente previsto dall’art. 17.
Caro Comm. Lattanzi – ormai scomparso da tanti anni – grazie a Dio lei non ha visto l’orrenda fotografia del capo del Governo italiano chinato a baciare la mano del satrapo libico.
Che vergogna!
Ma, sempre grazie a Dio, l’omaggiato è finito e l’omaggiatore è incamminato verso l’uscita.
La Storia non perdona.
Gian Luigi Ferretti
(da “L’Italiano.it“)
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
PIACE A DESTRA E A SINISTRA: GARANTISCE UN GETTITO SICURO E IMMEDIATO, TUTTE LE STRADE PORTANO ALL’AUMENTO DELL’IVA…MA I CONSUMATORI SARANNO AGGREDITI DAI PREZZI AL RIALZO
Tutte le strade portano all`Iva. 
L`imposta sui consumi più evasa d`Italia – 60 dei 120 miliardi annui di mancato gettito fiscale vengono da lì – torna di prepotenza nel cantiere delle proposte per cambiare la manovra d`agosto.
Il fronte a sostegno di un ritocco delle tre aliquote del 4, del 10 e del 20% – un punto in più su ciascuna, per un ritorno stimato di circa sei milìardi l`anno – raccoglie consensi bipartisan.
Per due motivi: dà gettito immediato e sicuro, dunque strutturale.
Piace a destra perchè consentirebbe di eliminare il contributo di solidarietà , ovvero l`eurotassa sui redditi sopra i 90 mila euro (entrate previste: 3,8 miliardi entro il 2013).
Piace alla Confindustria che chiede di cancellare, assieme alla super- tassa, anche la Robin Hood tax, l`aumento Ires sulle società energetiche.
Non a caso ll Sole 24 ore di ieri faceva notare che l`aumento di un punto ha «una ragion d`essere anche europea».
Solo in sette paesi Ue esiste un`aliquota inferiore al 20% standard italiano.
Nella maggioranza è superiore, rivista in questi ultimi anni di crisi.
Grecia e Portogallo sono passati al 23%, il Regno Unito al 20% (dal 17,5%), la Germania al 19% (dal 16%).
Piace a Càsl e Uil: renderebbe la manovra più equa.
Piace, per gli stessi motivi, all`Udc.
Non dispiace ai Comuni (Anci). L`Idv la vuole solo sui beni di lusso.
E, in fondo, convince anche Berlusconi (Alfano conferma che l`ipotesi è sul tavolo). Ma deve fare i conti con Bossi.
L`Iva è uno dei tre no della Lega, assieme a pensioni ed entilocali.
Non piace invece a Confcommercio per la contrazione dei consumi: un punto in meno di Pil, stimano.
I1 Codacons traduce l`aggravio Iva in 290 euro di maggiori costi all`anno a famiglia. E poi c`è chi storce il naso sulla presunta equità dell`imposta, visto che solo il 12,5% degli autonomi la versa, contro il 50,3% dei lavoratori dipendenti.
Non proprio un modo dì far pagare tutti.
Sia come sia, il ritocco dell`Iva sembra invece probabile.
Nell`immediato, per decreto (prima via).
Oppure, se la politica fa muro, nella delega fiscale o con l`esercizio della clausola di salvaguardia “rafforzata” (seconda via), inserita nel decreto 138, la manovra di Ferragosto.
Se, dice il testo, entro il 30 settembre del 2012 la riforma fiscale – ovvero il riordino dei bonus assistenziali e fiscali (accompagno, reversibilità , detrazioni varie) – non sarà operativa, le risorse (20 miliardi a regime: 4 nel 2012 e 16 nel 2013) saranno reperite con tagli lineari del 5 e 20% ai bonus oppure (ecco il rafforzamento) con «una rimodulazione delle aliquote sulle imposte indirette, inclusa l`accisa».
Dunque Iva, ma anche imposte di registro, ipotecarie, catastali, accise sulla benzina e sulle sigarette.
Delle 483 agevolazioni fiscali individuate dal tavolo tecnico che lavora per il ministero dell`Economia e che valgono 164,6 miliardi l`anno (72 sono blindati, intoccabili), il 25% è costituito proprio dal capitolo Iva, imposte di registro e catastali. Capitolo succoso.
Mal`Iva ridotta, al 4 e 10% (ecco la terza via), che si applica ad esempio su generi alimentari, acquisto prima casa, libri, giornali, potrebbe comunque essere innalzata dalle rasoiate “lineari” che colpiscono le agevolazioni.
Secondo i calcoli fatti da Fisco Equo, passerebbe a 7,2% e 12%.
Tutte le strade portano all`Iva.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
PER L’ITALIA CI SAREBBE UN FORTE GUADAGNO IN TERMINI DI TASSI DI INTERESSE, PER GERMANIA E FRANCIA UNA PERDITA… SAREBBERO PIU’ DIFFICILI GLI ATTACCHI SPECULATIVI: METTENDO INSIEME GLI STOCK DI TITOLI DEI PAESI DELL’EURO SI ARRIVEREBBE A 5.500 MILIARDI
Potrebbe rivelarsi l’ultima trincea per evitare il collasso dell’euro e la disgregazione dell’unione monetaria.
E questo scenario apocalittico potrebbe spingere anche la Germania – il Paese che più li pagherebbe, ma che più ha da perdere dalla fine della moneta unica – ad accettarli.
Il dibattito sugli eurobond – Bot emessi collettivamente dai 17 Paesi dell’area euro, per finanziare il debito dei suoi membri – è ripreso con grande clamore, da quando la crisi finanziaria europea ha raggiunto la soglia dell’allarme rosso con l’attacco speculativo a Italia e Spagna.
E la decisione della Commissione di Bruxelles di preparare, per l’autunno, uno specifico progetto consentirà di delineare meglio gli schieramenti.
Gli eurobond rappresentano un sostanziale salto di qualità rispetto al meccanismo appena messo in piedi dall’eurozona con l’Efsf (l’European financial stability facility).
Nel caso dell’Efsf, i Paesi della moneta unica conferiscono 440 miliardi di euro, in proporzione al loro prodotto interno lordo.
Il fondo interviene in specifiche situazioni (come l’aiuto alla Grecia), finanziando l’intervento con l’emissione di obbligazioni, che pagano un interesse più basso di quello che pagherebbe la Grecia, perchè il rating del fondo è il massimo possibile (AAA).
Il rating è alto, perchè ogni intervento è appoggiato dalla garanzia di Paesi che già godono – come Francia e Germania – della tripla A.
Questo, però, è un limite: se la Francia perdesse il suo rating attuale, i fondi a disposizione dell’Efsf, che già molti ritengono insufficienti, ad esempio, nel caso di una crisi italiana, verrebbero decurtati.
Con gli eurobond, invece, i Paesi garantirebbero, tutti insieme, i loro titoli, con obbligazioni emesse da un’agenzia europea del debito.
Il rating AAA di questi eurobond non dovrebbe essere in discussione.
Nel suo insieme, infatti, i parametri finanziari dell’area euro sono buoni: il rapporto fra debito complessivo e Pil totale è all’88 per cento (negli Usa è al 98 per cento), quello fra deficit annuale e Pil è al 4 per cento (10 per cento negli Usa).
Inoltre, il mercato complessivo degli eurobond sarebbe di dimensioni globali. Oggi, lo stock di titoli Usa in circolazione è pari a 6.600 miliardi di euro. Mettendo insieme gli stock di titoli dei 17 Paesi dell’euro, si arriva a 5.500 miliardi di euro.
Secondo gli esperti, un mercato così grande e così liquido ha due vantaggi. Primo, è praticamente inaggirabile.
Si può scappare dal debito greco o da quello irlandese, ma uno sciopero degli investitori in un mercato così grande è difficilmente concepibile.
Secondo, le dimensioni rendono più arduo mettere insieme munizioni sufficienti per un attacco speculativo: troppi soldi occorrerebbero per influenzarlo significativamente al ribasso.
Questi due vantaggi, secondo alcuni, dovrebbero assicurare un tasso d’interesse, anche più basso di quello che risulta dalla media attuale dei rendimenti sui titoli nazionali.
Altri pensano che questa riduzione sarebbe limitata ad uno 0,3-0,4 per cento in meno o, addirittura, verrebbe vanificata dai rischi di contagio di Paesi, oggi, in piena salute.
Se, comunque, il tasso d’interesse sugli eurobond fosse pari alla media attuale, sarebbe – ha calcolato l’Ifo, un istituto tedesco – pari al 4,41 per cento sui titoli decennali.
Per l’Italia, che è arrivata a pagare fino al 6 per cento, e altri Paesi in difficoltà sarebbe un cospicuo guadagno.
Ma per nazioni come la Germania, l’Austria, l’Olanda, una perdita netta.
L’Ifo ha calcolato che Berlino – dove l’interesse sui titoli decennali è stato, quest’anno, in media del 3,08 per cento – si troverebbe a sborsare 33 miliardi di euro in più l’anno per pagare l’interesse sugli eurobond, anzichè sui Bund.
Ne vale la pena? Berlino potrebbe scambiare l’assenso agli eurobond con l’impegno degli altri paesi ad inserire il pareggio di bilancio nelle loro Costituzioni.
Ma difficilmente questo spegnerà le ansietà di buona parte dell’opinione pubblica tedesca.
Il timore, come spiega l’Ifo, è che, sotto l’ombrello degli eurobond, i Paesi, in particolare mediterranei, perdano ogni incentivo a tenere sotto controllo la loro finanza pubblica.
«Senza il pungolo dei mercati – si chiede l’Economist – l’Italia avrebbe portato avanti il suo programma di austerità ?».
Per rispondere a questi dubbi, alcuni economisti hanno proposto una sorta di tetto: ogni Paese potrebbe finanziare il proprio debito con gli eurobond, solo fino ad una cifra pari al 60 per cento del proprio Pil.
Se va oltre, dovrebbe finanziarsi nuovamente con titoli nazionali, senza garanzia.
La replica dei critici è che questo significherebbe innescare la speculazione, appena un Paese si avvicinasse al tetto.
Il dibattito è destinato a continuare.
La novità , rispetto ai mesi scorsi, è che l’opposizione, anche in Germania, non è più un muro compatto. Se Angela Merkel continua ad escluderla, l’ipotesi degli eurobond ha incontrato interesse in un bastione del giornalismo conservatore, come la Welt, nella lobby degli esportatori, nell’opposizione socialdemocratica.
Pesa la paura dello sconquasso che un collasso dell’euro porterebbe nelle esportazioni e, anche, nei bilanci di molte banche del gigante d’Europa.
Sullo sfondo, peraltro, c’è un ostacolo che solo un colpo di genio giuridico della Commissione di Bruxelles potrebbe rimuovere: se l’introduzione degli eurobond, con la loro garanzia collettiva dei debiti altrui, comportasse una modifica del trattato di Maastricht, i nuovi titoli, pensati per risolvere una crisi che si sta sviluppando qui ed ora, arriverebbero fra anni.
Maurizio Ricci
(da “La Repubblica“)
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
CON IL DPR VOTATO AD AGOSTO, GLI INDENNIZZI SONO STATI RIDOTTI DEL 50%….GLI AVVOCATI SI APPELLANO A NAPOLITANO: “NON FIRMI LA NORMA”…UN REGALO ALLE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE, COMPRESA QUELLA DEL PREMIER
Un’altra sorpresa spunta dal Consiglio dei ministri. 
Il provvedimento, formalmente un Dpr, minaccia di dimezzare il risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali — che costituiscono la maggioranza delle pratiche assicurative — nei casi di invalidità che vanno dal 10 al 100 per cento.
La misura deve passare il vaglio del Presidente della Repubblica, infine del Consiglio di Stato.
Gli avvocati civilisti italiani insorgono e si appellano proprio al Quirinale perchè non faccia questo «regalo» alle assicurazioni.
Regalo del quale beneficerà — attraverso le partecipazioni in Mediolanum e Generali — anche il presidente del Consiglio.
Ecco un esempio concreto di come cambierà il calcolo del risarcimento del danno biologico in tutti i tribunali italiani se il Dpr diventerà legge.
Oggi i magistrati civili italiani — per risarcire le vittime dei incidenti stradali — si rifanno alle tabelle in vigore presso il Tribunale di Milano.
Questo, in forza di una recente sentenza della Cassazione.
Secondo queste tabelle, un ventenne con invalidità permanente del 90 per cento oggi ha diritto a ricevere dai 900 mila a un milione cento mila euro.
Invece, con le tabelle fissate dal governo, incasserà tra i 500 e i 600 mila euro.
La metà . Un bel risparmio per le assicurazioni. Una forte discriminazione fra le vittime di incidenti stradali e le vittime di altri infortuni.
Un altro esempio.
Se un ventenne sopravvive a un incidente automobilistico con una invalidità del 30 per cento, oggi può ottenere tra 150 e 200 mila euro.
Con i nuovi criteri ministeriali, tra i 75 e i 98 mila euro.
«I nuovi parametri — protesta l’avvocato Umberto Oliva — ignorano del tutto 40 anni di evoluzione giurisprudenziale e dottrinale. Il governo pretende che da un giorno all’altro questa giurisprudenza finisca nel vuoto, sostituita da parametri monetari che contrastano nettamente con quelli decisi dalla Cassazione».
«Questo decreto — commenta l’avvocato civilista Marco Bona — è un nuovo attacco alla magistratura, privata del suo potere discrezionale nella decisione delle cause civili. Inoltre c’è il rischio che la tabella ministeriale sia un domani estesa a tutti gli altri ambiti, fra i quali la sanità e gli infortuni sul lavoro».
La definizione di questi parametri era oggetto di controversie tra vittime e assicurazioni poi sanate nei tribunali.
Aver deciso queste tabelle con un dpr “clandestino” perchè fatto ad agosto è l’ennesimo atto del governo contro le persone e a favore dei soliti noti.
Non è difficile accorgersi dei benefici per le compagnie assicurative.
Da più di un decennio l’Ania (Associazione nazionale imprese di assicurazioni) e le singole assicurazioni premono su tutti i governi per “standardizzare” i risarcimenti.
Ed anche per ridurre gli importi.
Nel 2001, la legge numero 57 ci è riuscita con le piccole lesioni ma permanenti: ha introdotto una tabella che prevedeva valori inferiori a quelli riconosciuti dai tribunali. Ora stanno per riuscirci con i risarcimenti fino al cento per cento.
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Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile
CONCESSIONE A CHI NE HA I REQUISITI, IN CORSA SOLO RAI E MEDIASET… PERCHE’ NON VENGONO MESSE ALL’ASTA, VISTA LA SITUAZIONE DI CRISI DEL BILANCIO DELLO STATO?
E se una volta tanto a pagare fossero le televisioni?
Ora che la manovra di Tremonti chiede sacrifici ai pensionati, agli insegnanti e alle piccole imprese, viene alle mente chiara una strada alternativa che il governo può percorrere se solo vuole: mettere all’asta le frequenze che ha in mano e incassare tanti milioni dalle emittenti che se le aggiudicheranno.
Al momento, le frequenze stanno per essere regalate alle tv senza il minimo corrispettivo in cambio.
Nell’Italia dell’etere selvaggio, il Garante per le Comunicazioni è riuscito in un piccolo miracolo. Ha scovato 6 nuove frequenze nazionali che possono ospitare ripetitori e portare programmi tv agli italiani.
Cinque frequenze sono buone per il digitale terrestre mentre la sesta frequenza può veicolare la televisione in mobilità (il Dvbh) che si vede – metti – su un cellulare o su un tablet.
Di questi tempi, con questi chiari di luna, il governo dovrebbe avere un preciso obbligo morale: vendere all’asta queste frequenze e incassare il più possibile.
Questa battaglia è iniziata nel 2009 quando lo stesso Garante per le Comunicazioni – organo che vede il centrodestra in maggioranza – diede il via libera al “concorso di bellezza” (beauty contest).
In altre parole, il Garante ritenne legittimo e possibile che le frequenze venissero regalate agli editori – nuovi o vecchi, come Rai e Mediaset – forti di alcuni requisiti, di alcune qualità imprenditoriali.
Poi sono arrivati il bando e il disciplinare di gara. Ed ora, il 6 settembre prossimo, partirà la preselezione delle emittenti candidate ad ottenere le frequenze.
Un precedente, d’altra parte, c’è stato ed è ben noto a tutti.
A Natale del 1999, il Garante per le Comunicazioni spiegò come assegnare agli operatori della telefonia un certo tipo di frequenze: quelle che avrebbero permesso il lancio dei servizi di tipo Umts.
In quella occasione, il Garante si spese per la “licitazione provata”.
Suggerì, in altre parole, che le frequenze venissero date agli operatori attraverso una gara ad inviti.
A marzo del 2000, il ministero per le Comunicazioni stimò in 3000 miliardi (di lire) i soldi che sarebbero arrivati in cassa alla fine della gara.
Un mese dopo, il presidente del Consiglio Giuliano Amato lasciò i deputati a bocca aperta.
In un suo intervento alla Camera, annunciò il dietrofront. Le regole andavano cambiate, spiegò, e le frequenze assegnate attraverso un’asta con rilanci.
A gennaio del 2001, la Befana portò in regalo al governo Amato la bellezza di 26.750 miliardi di lire, effetto proprio dell’asta competitiva.
Oggi organizzare un’asta con rilanci per le frequenze stavolta televisive portererebbe in cassa dai 3 ai 4 miliardi di euro.
Tanta roba.
E sempre meglio di un regalo.
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