I PROFUGHI ITALIANI IN LIBIA, DEPREDATI DAL COLONNELLO, SALUTANO LA FINE DEL BOIA DI TRIPOLI: LA STORIA NON PERDONA
NEL 1970 BEN 20.000 ITALIANI FURONO COSTRETTI DA GHEDDAFI A LASCIARE LA LIBIA DOVE VIVEVANO E LAVORAVANO, IN VIOLAZIONE DI OGNI CONVENZIONE INTERNAZIONALE.. FU SOTTRATTO LORO OGNI BENE NEL SILENZIO OMERTOSO DEL GOVERNO ITALIANO
Mentre scrivo queste note non si sa ancora che fine abbia fatto Ghaddafi nella Tripoli ormai quasi tutta in mano ai ribelli, che hanno catturato due dei suoi tre figli.
Personalmente gli auguro peggior fine possibile, mentre il mio pensiero va al Comm. Carlo Lattanzi che rappresentava i profughi italiani dalla Libia in seno al CTIM negli anni 70.
Mi ricordo la sua rabbia impotente contro il criminale di Tripoli, mi ricordo la sua passione nel difendere gli interessi dei suoi compagni di sventura, la sua nostalgia della terra libica.
A lui dedico la mia gioia nell’apprendere le buone notizie dalla Libia.
C’erano ventimila italiani in Libia quando il 1° settembre 1969 Gheddafi prese il potere con un colpo di stato.
Consideravano la Libia come loro seconda patria, avevano costruito strade, scuole, ospedali
Il 21 luglio dell’anno dopo il nuovo leader emanò un decreto per “restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori” in base al quale gli italiani vennero privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all’INPS e da questo trasferiti in base all’accordo all’istituto libico corrispondente e furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70.
Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente del trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonchè delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU relative alla proclamazione d’indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel paese. Contemporaneamente il regime requisì anche i beni lasciati dagli ebrei, beni che erano stati presi in custodia dopo la guerra dei 6 giorni del 1967.
In quell’occasione il Governo italiano, vergognosamente, ritenne di dover accettare il fatto compiuto per ragioni di opportunità politica ed economica.
Rinunciò infatti a denunciare la violazione dell’accordo o chiedere l’arbitrato espressamente previsto dall’art. 17.
Caro Comm. Lattanzi – ormai scomparso da tanti anni – grazie a Dio lei non ha visto l’orrenda fotografia del capo del Governo italiano chinato a baciare la mano del satrapo libico.
Che vergogna!
Ma, sempre grazie a Dio, l’omaggiato è finito e l’omaggiatore è incamminato verso l’uscita.
La Storia non perdona.
Gian Luigi Ferretti
(da “L’Italiano.it“)
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