Settembre 4th, 2011 Riccardo Fucile
UN NUOVO FILE DI WIKILEAKS RIVELA CHE NEL 2008 IL GOVERNO USA CERCO’ DI CAPIRE COSA STESSE FACENDO IL PREMIER ITALIANO PER COMBATTERE LE TANGENTI…LA RISPOSTA FU: “NIENTE, ANZI HA SMANTELLATO L’UNICO ORGANISMO CHE C’ERA”
La lotta alla corruzione? 
Silvio Berlusconi non ha deluso soltanto gli italiani, ma anche il suo migliore alleato: l’America di George W. Bush.
Che esamina con sgomento come sia stato smantellato persino il timido tentativo di un organismo anti-mazzette.
Al posto dell’Alto Commissario il Cavaliere ha improvvisato un ufficio senza arte ne parte: meno efficace della struttura già debole che ha rimpiazzato.
Dipendente da un ministro dello stesso governo su cui deve sorvegliare.
Con un mandato così ristretto da non potersi occupare nemmeno delle corruttele dei membri del parlamento italiano.
Una bocciatura netta, senza appello, che porta la firma di Ronald Spogli, l’ambasciatore romano di Bush.
Il file segreto ottenuto da WikiLeaks, che “l’Espresso” pubblica in esclusiva, mostra quanto sia bassa la credibilità dell’esecutivo sulle questioni morali.
L’argomento del rapporto mandato a Washington è il SaeT, acronimo che sta per “Servizio anticorruzione e Trasparenza”.
E’ stato creato nel 2008 dal governo Berlusconi che, appena tornato al potere, aveva abolito l’Alto Commissariato anticorruzione, sostituendolo con il SaeT.
L’eliminazione del Commissariato era stata criticata da più parti in Italia e nel mondo.
L’Ocse, che subito aveva chiesto chiarimenti a Roma. Ma gli americani non si fidano delle parole e per abitudine vanno a controllare di persona.
Così nel novembre 2008, l’ambasciatore Ronald Spogli visita gli uffici del nuovo ente e trasmette le sue conclusioni al Dipartimento di Stato: «Ci ha deluso. Crediamo probabile che il SaeT giocherà un ruolo meno efficace dell’organizzazione che ha rimpiazzato».
La critica si basa su un lungo elenco di dati.
«Le attività del SaeT arrivano solo fino al governo», un mandato che quindi non gli consente di occuparsi della corruzione nelle aziende private, ma addirittura neppure di quella dei membri del parlamento, «a meno che questi ultimi sono svolgano un ruolo pubblico in istituzioni governative».
La nuova struttura anti-mazzette ha un staff «di appena 15 esperti e due direttori» mentre «l’Alto Commissariato aveva 60 persone».
Inoltre il Saet non ha «alcun potere di supervisione: opererà come “hub di coordinamento” che spera di “delegare” molto del suo lavoro ad altre istituzioni (carabinieri, dogane, Banca d’Italia e altri)».
E anche se l’Alto Commissariato «non è mai stato veramente efficace, perlomeno sembrava avere un minimo di indipendenza», perchè finanziato e dipendente dal Parlamento, «il SaeT, al contrario, è stato messo sotto un ministro del governo» e «non ha fondi indipendenti». Dipende, infatti, dal ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta.
Spogli chiude con un commento negativo.
«Nel nostro lavoro con l’Alto Commissariato avevamo capito che si trattava era un’organizzazione piena di buone intenzioni, ma largamente inefficace. Siamo andati a visitare il SaeT sperando di vedere il debutto di un ente capace di affrontare seriamente il problema della corruzione dilagante in Italia».
E il diplomatico spiega che ad alimentare la speranza era anche la stima per Brunetta, ritenuto nel 2008 «il più energico dei riformatori del governo italiano».
E invece no, il Saet si rivela un bluff: «La nostra visita ci ha deluso».
E in Italia ne è stata dimenticata persino l’esistenza.
Stefania Maurizi
(da “L’Espresso”)
argomento: Berlusconi, Costume, criminalità, economia, Esteri, Giustizia, governo, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 4th, 2011 Riccardo Fucile
ZERO GLI SGRAVI FISCALI, 3,4 MILIARDI DI EURO LE SPESE SOSTENUTE, 4 MILIONI LE TONNELLATE DI MACERIE DA RIMUOVERE, 1,2 MILIARDI DI TASSE ARRETRATE DA PAGARE, 13.000 I CANTIERI PER LE CASE ANCORA FERMI
Tornerete presto nelle vostre case. Non pagherete tasse. La ricostruzione sarà veloce. Trasparenza assoluta nella gestione. Vareremo incentivi ed esenzioni fiscali per attirare investimenti delle imprese.
Tra impegni solenni e chiacchiere a vuoto, per due anni il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009 ha spesso straparlato, dando quasi i numeri.
E, numeri per numeri, ecco quelli che più degli altri documentano le sue false promesse, gli impegni assunti con gli aquilani e non mantenuti, il fallimento del modello di ricostruzione imposto alla città .
37.731 sono gli sfollati che ancora attendono di rientrare nella propria casa. Troppi, dopo due anni.
Di essi, 13.856 sono alloggiati nei 185 edifici del Progetto Case, i Complessi asismici ed ecocompatibili, dislocati in 19 aree intorno alla città ; 7.099 sono sistemati nei Map, Moduli abitativi provvisori, sparsi nelle 21 frazioni dell’Aquila e degli altri Comuni del cratere; 844 utilizzano abitazioni acquistate dal Fondo immobiliare Aquila e concesse in affitto; 1.126 godono degli affitti concordati con la Protezione civile in tutte le località danneggiate dal sisma; 62 si trovano in altre strutture comunali.
Ci sono poi 13.416 persone che beneficiano del contributo di autonoma sistemazione (600 euro mensili per ogni nucleo familiare), 1.077 sfollati ospitati in diverse strutture ricettive in Abruzzo e fuori e 251 persone alloggiate in caserme.
3.401.000.000 di euro è quanto è stato speso sinora per il terremoto, tra emergenza, assistenza alla popolazione e primi lavori di ricostruzione.
Una cifra colossale, anche se il ritorno alla normalità appare lontanissimo. Con un’ombra pesante sulla trasparenza dell’operazione.
4.000.000 sono le tonnellate di macerie prodotte dai crolli.
Il problema è che vengono smaltite al ritmo di 300 tonnellate al giorno.
Si continuasse così ci vorranno 444 mesi, oltre 36 anni per liberarsene.
Un disastro, lasciato in eredità dalla Protezione civile di Bertolaso che ha lasciato la città un anno fa senza mettere mano al problema.
90.000.000: si tratta dello stanziamento per l’istituzione di una zona franca per l’Aquila che attraverso facilitazioni fiscali e altri incentivi avrebbe dovuto invogliare imprenditori italiani e stranieri ad investire nel territorio devastato dal sisma.
L’allora presidente della provincia Stefania Pezzopane e il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente la proposero a Berlusconi e Gianni Letta l’8 aprile 2009, due giorni dopo il terremoto.
Il Cavaliere si impegnò solennemente, ma due anni sono passati e la zona franca nessuna l’ha vista, mentre il tasso di disoccupazione a l’Aquila e dintorni continua a salire secondo alcune rilevazione oltre l’11 per cento.
1.200.000.000 di euro sono le tasse arretrate che gli aquilani devono al fisco. Berlusconi aveva lasciato sperare in una totale esenzione.
Poi si è capito che era una semplice sospensione.
Solo che è durata fino a giugno 2010, tre mesi in meno del periodo concesso ai terremotati dell’Umbria.
E non basta: dopo avere ripreso a pagare dal luglio scorso le tasse correnti, gli aquilani hanno appurato che la restituzione degli arretrati dovrà avvenire in 5 anni e per il 100 per cento degli importi, mentre Umbria e Marche hanno cominciato a saldare le imposte sospese dopo 12 anni e solo per il 40 per cento del dovuto.
13.000 sono i cantieri per le case E, le più danneggiate, che devono ancora partire sia nel centro storico che nel resto della città .
Il ritardo è dovuto alla mancanza del prezzario delle opere e delle procedure per il finanziamento delle stesse, strumenti indispensabili che il commissario straordinario, il presidente della Regione Gianni Chiodi, è riuscito a varare solo alla fine di marzo.
Un intoppo che sta rimandando alle calende greche il ritorno alla normalità .
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, governo, Lavoro, PdL, Politica, radici e valori, terremoto | Commenta »
Settembre 4th, 2011 Riccardo Fucile
IL DECRETO DI LUGLIO TAGLIAVA LA CILINDRATA DELLE AUTO BLU… PERO’ ADESSO ARRIVANO ALTRE 60 BERLINE SUPERLUSSO
“Abbiamo ridotto gli stipendi dei parlamentari, abbiamo ridotto il numero delle auto blu e
anche la loro cilindrata. Se uno vuole andare forte si compri la Ferrari, ma con i suoi soldi. Io ho l’Audi, ma l’ho comprata con i miei soldi e non mi hanno fatto lo sconto anche se mio figlio è un pilota ufficiale dell’Audi”.
Questa serie di dichiarazioni risalgono a dieci giorni fa e sono di Umberto Bossi.
Il ministro forse non sa che, mentre annuncia il raggiungimento di questi obiettivi, è ancora in corso la gara bandita dalla Consip il 22 febbraio 2010 per cui la pubblica amministrazione acquisterà nel biennio a venire sessanta “berline grandi” di cilindrata compresa tra 2200 e 3000.
Sessanta, un numero forse eccessivo se si pensa che la manovra finanziaria di luglio aveva ristretto l’uso di auto (nuove) di cilindrata superiore ai 1600 cc “al Capo dello Stato, ai Presidenti del Senato e della Camera, del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Corte costituzionale”.
Insomma, si dovesse dar retta al decreto di luglio, sarebbero bastate una decina di vetture.
Invece compriamo 60 “ultimi modelli” (nel bando di gara è chiarito che se escono dei nuovi modelli della vettura che si era deciso di fornire, va sostituita).
Saranno in uso “fino alla loro dismissione o rottamazione” per poi – nelle intenzioni – “non essere” sostituite.
È l’ultimo paradosso di una vicenda fatta di molti annunci e pochi numeri.
Il 3 agosto, ad esempio, lo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parlò alla Camera di “una forte riduzione delle auto blu”.
Quello stesso giorno, l’anfiere dei tagli annunciati dal governo, il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, tuonò: “È pronto il Decreto del presidente del Consiglio che dimezzerà le auto blu”.
Sarà anche pronto ma nessuno l’ha presentato, nemmeno nella manovra correttiva di agosto.
Così, per adesso, le auto restano quelle che lo stesso Brunetta ha conteggiato: 86.000, di cui 5.000circa di “rappresentanza” e con autista dedicato (lui le chiama “blu-blu”), 10 mila sempre con autista (almeno due per vettura), destinate ai più alti dirigenti dell’amministrazione pubblica (lui le definisce solo “blu”).
Le altre 71mila, senza autista dedicato, secondo questo calcolo, sarebbero a disposizione degli uffici.
Quali siano quelle da tagliare ancora non si sa.
Citiamo un dato ufficiale: nel maggio 2010, delle 33.388 autovetture registrate successivamente al 2001 al Pra dalle pubbliche amministrazioni, il 22% (circa 7300) era di cilindrata superiore a 1600.
Può essere un dato utile per vedere se almeno in futuro qualcuno terrà conto del decreto di luglio.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, economia, governo, la casta, Parlamento, Politica, radici e valori, sprechi | Commenta »
Settembre 4th, 2011 Riccardo Fucile
UNA RICERCA DELLE ACLI METTE IN LUCE LE FORTI DISEGUAGLIANZE RETRIBUTIVE TRA I DIPENDENTI DEL SETTORE PRIVATO…LAVORO NERO E OSTACOLI PER CHI LAVORA RAPPRESENTANO ALTRI PUNTI CRITICI PER LO SVILUPPO DEL PAESE
Quanto passa tra lo stipendio medio di un dirigente e la paga di un operaio?
Tanto, 356 euro al giorno per la precisione.
E ancora: rispetto alla retribuzione di un “quadro”, un operaio prende ogni giorno 127 euro in meno.
Con un impiegato, la differenza è invece di 22 euro.
A fotografare le diseguaglianze retributive sono le Acli all’apertura del 44° Incontro nazionale di studi, dedicato al tema del “Lavoro scomposto”.
Il rapporto dell’Iref – l’istituto di ricerca delle Associazioni cristiane dei lavorati italiani – mette a confronto le retribuzioni medie giornaliere dei lavoratori dipendenti nelle diverse professioni del settore privato.
Rispetto alla retribuzione media giornaliera (82 euro), un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro 111 euro, un impiegato 6 euro in più.
Ma la differenza si amplifica nei confronti di un operaio, la cui retribuzione è di 16 euro inferiore alla media.
Peggio di lui solo il lavoratore apprendista, che guadagna in meno 31 euro al giorno.
Le donne, rispetto agli uomini, ricevono in media al giorno 27 euro in meno.
“I dati mettono in evidenza una divaricazione eccessiva delle retribuzioni – sostiene il presidente delle Acli, Andrea Olivero – che non può non essere presa in considerazione in queste ore in cui si discute di sacrifici per il Paese. Occorre assolutamente ripristinare nella manovra economica il contributo di solidarietà e la misura patrimoniale”.
Quello sui salari è solo uno dei dati presi in considerazione dalle Acli per mostrare le contraddizioni di un mondo del lavoro “scomposto”.
Altro punto critico è il lavoro sommerso (12 posti di lavoro su 100 sono oggi irregolari, 18% al Sud e il 27% il Calabria) e i settori della ricerca e sviluppo.
I lavoratori della conoscenza nel settore privato in Italia sono poco più di centomila, di cui 35mila ricercatori, 41mila tecnici e 24mila altri addetti alla ricerca.
Nel confronto con altri Paesi a sviluppo avanzato, si nota che in Giappone il totale degli addetti è quasi sei volte superiore (683mila), tre volte in Germania (341mila).
In Italia, quasi un lavoratore su quattro (23%) ha un’occupazione “non standard”, ovvero non a orario pieno e non a tempo indeterminato: il 12%, pari a 2milioni e 700mila individui, è un lavoratore a tempo parziale, mentre l’11% è un atipico (tempi determinati e collaboratori).
Il lavoro a tempo parziale interessa maggiormente le donne: le lavoratici part-timer sono un 1milione e 800mila.
Per gli atipici il rapporto di genere è pressochè pari, mentre l’età evidenzia una buona quota di giovani (39%), ma soprattutto un’elevata percentuale di adulti (il 48% degli atipici ha tra i 30 e i 49 anni).
A livello europeo l’Italia fa parte del gruppo di Paesi nei quali i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati.
Parenti stretti dei disoccupati di lungo corso sono quella quota di inattivi che si è soliti definire “scoraggiati”, ovvero individui disponibili a lavorare ma che dichiarano di non cercare lavoro perchè sfiduciati rispetto alla possibilità di ottenere un impiego.
In Europa questo dato continua a oscillare attorno al 4% (sul totale degli inattivi) e sembra essere in moderata crescita per l’anno 2010 (4,6%).
In Italia invece il dato è più del doppio e tra il 2009 e i 2010 è cresciuto di quasi un punto percentuale, arrivando al 10%.
Nel complesso gli scoraggiati rappresentano 1 milione e mezzo di persone, in gran parte concentrate nelle regioni meridionali.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)
argomento: economia, governo, Lavoro, Politica | Commenta »
Settembre 4th, 2011 Riccardo Fucile
LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI PROTESTANO: “C’E’ UNO STRAPOTERE DELLE CASE EDITRICI”… IL MINISTERO CERCA DI MINIMIZZARE
Buona parte delle scuole italiane sfora ampiamente i tetti ministeriali delle spese dei libri di
testo.
Le famiglie sono costrette a pagare più di quanto previsto per legge e, a settembre, si ritrovano una mini-stangata anche per l’inizio dell’anno scolastico.
Un’indagine Adiconsum rivela come il fenomeno sia diffuso soprattutto al Nord, dove sfora il 62% delle classi, contro il 47,5% al Centro e il 52,5% al Sud.
Secondo l’associazione si tratta di spese maggiori che vanno ben al di sopra del 10% tollerato dalla legge.
Ad esempio per un quinto anno di istituto magistrale del Nord si spendono circa 400 euro invece che i previsti 264, e per un secondo anno di un liceo scientifico nel Sud si spende circa 374 euro invece dei permessi 200.
Insomma, stando ai dati dell’associazione e facendo un rapido calcolo, la spesa va dal 30 al 45% in più di quanto permesso.
E dire che i tetti, introdotti con decreto ministeriale n. 43 del 2008, dovevano servire proprio ad evitare il solito salasso che aspetta le famiglie italiane al rientro dalle vacanze e all’inizio della scuola.
L’indagine Adiconsum ha preso in considerazione un campione di 10 classi (dal I al V anno) di 48 istituti equamente distribuiti sul territorio nazionale, per un totale di 480 classi.
Il risultato è che al nord 100 classi su 160 non rispettano i limiti di spesa, al centro 82 su 160 e al sud 84 su 160.
Questi dati smentiscono sia quanto affermato dal Ministero dell’Istruzione (Miur) sul rispetto dei tetti di spesa da parte delle scuole, sia le parole dello stesso ministro Gelmini, che il 26 agosto ha dichiarato che le scuole che hanno sforato il tetto di spesa “non sono certo la maggioranza. Per ora siamo al 5% e, generalmente, lo sforamento non supera il 10% del tetto di spesa”.
Sempre l’indagine Adiconsum svela inoltre i poco corretti “escamotage” messi in atto da qualche istituto scolastico che per aggirare i famigerati tetti di spesa, come ad esempio inserire tra i libri “consigliati” testi invece fondamentali che gli studenti sono costretti ad acquistare.
“Chiediamo al Miur di aprire al più presto un tavolo per la verifica dello sforamento dei tetti spesa”, chiede Pietro Giordano, Segretario generale Adiconsum.
Puntuali le assicurazioni da parte del Ministero che promette provvedimenti contro chi continuasse a trasgredire la legge.
La Gelmini in persona ha tuonato che è pronta ad inviare “gli ispettori nelle scuole che sforano pesantemente i tetti di spesa”.
Si potrebbe prenderla sul serio, se questo copione non fosse ripetuto ogni anno.
Ogni settembre, infatti quando inizia la scuola, le famiglie italiane si trovano a dover sborsare sempre di più, nonostante leggi e decreti i libri non bastano mai e chi di dovere, immancabile, promette che “dall’anno prossimo si cambia musica”.
Tant’è che l’unica vera novità di quest’anno è il flop proprio dei tetti ministeriali di spesa introdotti in pompa magna nel 2008.
Questi tetti prevedono spese massime per i libri di testo delle scuole secondarie di I grado (290 euro per il 1° anno, 115 per il 2° e 130 per il 3°), per le scuole secondarie di II grado (ad esempio 330 e 190 euro per i primi due anni di liceo classico, 315 e 220 per gli istituti tecnici ad indirizzo tecnologico e 250 e 160 per gli istituti professionali ad indirizzo commerciale) e per le scuole secondarie di II grado a vecchio ordinamento (ad esempio 305 euro per l’ultimo anno di un liceo scientifico, 157 per un istituto d’arte e 223 per un istituto tecnico commerciale).
Ma il problema, uno dei tanti a dire il vero, è che “non ci sono controlli sulle dichiarazioni delle scuole al ministero, nemmeno a campione”, attacca Pietro Giordano.
Il risultato è che i tetti vengono ignorati, la spesa dei libri continua ad aumentare di anno in anno, e le famiglie non possono fare a meno che aprire il portafogli.
“Case editrici, ministero, consumatori, è un rimpallo di responsabilità che alla fine non comporta nessun beneficio pratico a chi si accinge a sborsare anche 600 euro per poter comperare i libri”, attacca Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori.
“C’è bisogno di stabilire regole che non possano essere aggirate nè dagli insegnanti nè dalle case editrici, solo così sarà possibile agire concretamente per risolvere la questione”.
La grande soluzione doveva essere, nel 2009 come oggi, l’introduzione dei libri elettronici, i cosiddetti “ebooks”.
La circolare del Ministero dell’Istruzione del 10 febbraio 2009 puntava proprio sulle nuove tecnologie per evitare il consueto salasso settembrino alle famiglie italiane, aprire un nuovo mercato, risparmiare carta e diminuire anche il peso degli zaini dei ragazzini. Ma dopo più di due anni sono solo una ventina in tutta Italia le scuole che ne fanno uso, come l’istituto Majorana di Brindisi, l’istituto professionale Scarambone di Lecce e il Fermi di Francavilla Fontana sempre in Salento.
“La verità è che gli ebooks non convengono a nessuno, nè alle case editrici nè a tanti professori, appartenenti ad una generazione che di informatico ha davvero poco”, sostiene Giordano.
Gli ebooks, secondo stime ministeriali, farebbero risparmiare alle famiglie minimo il 30% della spesa annuale per i libri, ma questo si ripercuoterebbe giocoforza sugli incassi delle case editrici, molto restie a mollare un mercato sicuro in un Paese come l’Italia dove i libri si vendono davvero poco.
“È importante ridare alla cultura il suo peso e pensare che i testi di scuola sono un investimento, uno strumento culturale e non solo una spesa”, ha recentemente dichiarato il Ministro Gelmini.
Ma a pagare restano le famiglie italiane.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia, economia, emergenza, scuola | Commenta »