Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
NEANCHE 1.000 IN TUTTA LA LOMBARDIA…UN FALLIMENTO LA CONVENTION LOMBARDA, ANCHE I COLONNELLI ESPRIMONO DUBBI SULLA LINEA DEL SEGRETARIO…FORMIGONI, ALEMANNO, SCAJOLA E GLI EX AN CHIEDONO UNA SVOLTA
Meno di mille iscritti in Lombardia. La convention regionale disertata dagli oltre 5 mila
amministratori locali.
Per Angelino Alfano arriva il primo flop.
L’uscita del segretario del Pdl Angelino Alfano all’assemblea regionale degli eletti doveva rappresentare l’occasione per rilanciare il partito dopo l’ultima dèbacle elettorale.
Ma si è trasformata nello specchio della guerra per bande in corso nel partito. E il “delfino” di Berlusconi ora si ritrova a fare i conti con i “colonnelli” che gli hanno ritirato la “carta in bianco” firmata pochi mesi fa.
Basti pensare al nodo del tesseramento e dei congressi ora chiesti a gran voce non più solo dalla base, ma anche dagli alti dirigenti come il governatore della Lombardia Roberto Formigoni.
Ma con il governatore lombardo sono tanti i critici: gli ex ministri Claudio Scajola, Beppe Pisanu, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e buona parte degli ex di Alleanza nazionale.
Tutti convinti che la linea sia ora troppo schiacciata sulla difesa di Berlusconi. «Si deve cambiare – si lamentava nei giorni scorsi il sindaco di Roma – altrimenti era meglio tenersi Berlusconi e tre coordinatori».
Le speranze di rinnovamento che Alfano aveva suscitato nell’ala più scontenta del partito si stanno quindi affievolendo.
Tra gli amministratori del Pdl presenti alla convention cresce la preoccupazione per questa difesa tetragona del Cavaliere.
C’è chi rimprovera al segretario di essere stato eletto invocando l’avvio del nuovo corso del partito degli onesti, per poi essere costretto a schierarsi a favore di indagati eccellenti come Milanese o il ministro Romano.
Per non parlare dei congressi annunciati e non ancora convocati.
Del balletto sulle primarie proposte per scegliere i candidati da inserire nelle liste, o delle nuove regole per il tesseramento. «Non si può certo andare avanti così – dice ad esempio Formigoni con i suoi fedelissimi -. Non possiamo arrivare così alle elezioni».
Che sia in corso una rivolta lo si capisce dal tesseramento.
A un mese dalla scadenza del termine, il numero degli iscritti è crollato.
Poco più di 600 a Milano contro i 7mila dello scorso anno.
Nel partito prevale il disorientamento. Forse anche per questo, per la prima volta, l’immagine del volto di Berlusconi non c’è.
Nè sul palco e nemmeno nei saloni dell’albergo di Pero, nell’hinterland milanese, che ha ospitato la prima assemblea degli eletti pidiellini dell’era Alfano.
Chi come Formigoni si aspettava di incassare una data certa per la convocazione dei congressi provinciali, cittadini e regionali, è rimasto deluso. Alfano non è andato oltre la promessa già nota di organizzarli per inizio dicembre. «Serve un grande cambiamento nella politica del governo e un grande cambiamento nel partito», incalza il governatore lombardo.
«Il Pdl ha un orizzonte oltre ai leader attuali», aggiunge il ministro della Difesa e coordinatore nazionale Ignazio La Russa.
La verità è che dopo la batosta elettorale delle amministrative, nel Pdl si è scatenato un vero e proprio tutti contro tutti.
In Lombardia, il primo ad affilare le armi marcando stretto il neo segretario Alfano è proprio il gruppone di Formigoni. Seguito da quello dei laici capeggiato dal presidente della Provincia di Milano Guido Podestà , ex amministratore di Edilnord, società immobiliare del gruppo Berlusconi. Entrambi ce l’hanno con il coordinatore lombardo Mantovani, che con Daniela Santanchè è accusato di essere tra i responsabili della sconfitta elettorale a Milano, dopo il caso Lassini e le manifestazioni organizzate davanti a Palazzo di Giustizia in appoggio all’imputato Berlusconi.
Ora nel Pdl tutti parlano di codice etico.
Di mettere al primo posto il merito nella scelta dei candidati da mettere in lista. Non come il consigliere regionale Nicole Minetti, eletta in Lombardia perchè ai primi posti del listino bloccato di Formigoni.
«La meritocrazia non è essere una bella ragazza, o meglio se devi fare l’attrice o la streaptease va bene, ma se devi fare il rappresentante istituzionale o il ministro…», accusa l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. L’eurodeputata Licia Ronzulli, chiamata in causa per i festini nella ville di Berlusconi ad Arcore e in Sardegna, ribatte che «non è sufficiente frequentare le sezioni per ritenerci meritevoli di qualcosa e giudici del lavoro altrui».
La deputata bresciana Viviana Beccalossi, pur non citandola direttamente, si riferisce a lei quando dal palco sibila: «Basta europarlamentari che non conoscono nemmeno la differenza tra una mozione e un ordine del giorno». L’unica che difende a spada tratta Berlusconi è Daniela Santanchè.
Tesse l’elogio del «partito di plastica», critica quello che definisce «un tiro al piccione» sul premier e si domanda: «Come si fa a vincere senza di lui»?
Andrea Montanari
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA VERITà€ DI KATARINA: “VALGO TRE MILIONI DI EURO, MA NON RICATTO SILVIO, SONO LA FIRST LADY”… DAL GHETTO DI PODGORICA AD ARCORE: “IL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO MI HA DATO L ‘ANELLO”… “FEDE DICE CHE LO TENGO SOTTO SCACCO? E’ SOLTANTO INVIDIA”… MA C’E’ CHI PARLA DI FILMATI DI ORGE IN MANO ALLA RAGAZZA
Signora Katarina posso farle qualche domanda?
Si, ma faccia in fretta che sto partendo per Arcore.
Ad Arcore, dicono alcuni intimi di Berlusconi, lei fa la cameriera, è vero?
Sono menzogne, bugie di chi vuole male a me e al mio amore.
Chi è il suo amore, mi perdoni?
Lui, Silvio Berlusconi…
E lei non è la sua cameriera?
No, quante volte lo devo dire. Io sono la fidanzata ufficiale di Berlusconi, lo scriva, per favore, e cercate almeno per una volta di evitare di dire menzogne.
Ma lei ad Arcore cosa fa?
Arcore è la mia casa, visto che lei insiste le dò una notizia, l’altra sera, nel cuore dei festeggiamenti per il suo compleanno il Presidente mi ha regalato l’anello di fidanzamento, siamo fidanzati ufficialmente.
Le faccio i miei auguri, e quando vi sposate?
È come se gia fossimo marito e moglie, sposati, uniti dall amore, il resto sono convenzioni pure e semplici.
Quindi lei è la nuova fist lady italiana?
Sono l’unica donna di Silvio Berlusconi, la sua fidanzata.
E il bunga bunga, le serate allegre con le altre donne? Lei legge i giornali italiani…
Menzogne, cose che non voglio neppure sentire, malignità . Io lo amo e questo basta.
È vero, come dicono alcune testimoni che lei e le sue sorelle ricattate Berlusconi?
Non si puo ricattare l’uomo che si ama.
È vero che Berlusconi vi ha versato 750mila euro?
Così poco… e se fossero tre milioni?
Lo dica lei quanti sono.
Penso di valere molto di piu di quella cifra.
Quanti anni aveva quando ha conosciuto Berlusconi?
Non so, non ricordo, ma non e questo che conta. Il nostro e un amore grandissimo, il resto sono balle, invenzioni, malignita.
Eppure Emilio Fede, almeno stando a quanto rivelato da una ragazza che frequentava Arcore, insisterebbe nel dire che lei tiene sotto scacco Berlusconi.
Emilio Fede? E chi è?
Un’altra ragazza racconta di quando lei si spogliava durante le cene e si metteva nuda in mezzo al tavolo.
Invidia di chi voleva essere la prima donna. Silvio ha scelto me e questo provoca invidie e veleni.
Ricorda quella scena di gelosia, quando si buttò dalle scale?
Si puo cadere dalle scale anche se si è bevuto troppo e si perde l equilibrio.
Un’ultima domanda: presto la vedremo accanto al premier durante le visite ufficiali?
Penso di sì, sono la fidanzata ufficiale di Silvio Berlusconi.
Sono da poco passate le sei di sera, quando finiamo di parlare con Katarina. Ha fretta, deve volare per Milano direzione Arcore, dove c’è l’amore suo. Berlusconi è gia da due ore nel capoluogo lombardo, a Milanello per incoraggiare i suoi alla vigilia della sfida con la Juventus.
Questa intervista è stata resa possibile grazie all’aiuto di un amico della ventenne Katarina, Nebojsa Sodranac, 38 anni, giornalista sportivo di InTv, uno dei piu seguiti network del Montenegro.
È qui che Katarina, appena diciassettenne, ha iniziato a lavorare.
Piccole interviste a calciatori minori, comparsate, primi passi verso la ricerca del successo a tutti i costi.
Quella voglia matta di fuggire da Murtovina, il Bronx di Podgorica.
Una lunga strada polverosa attraversata da camion sgangherati e vecchie macchine.
Poco a che vedere col lusso del centro della città , con le Mercedes, i suv Toyota guidati da bellezze mozzafiato.
Un market che vende di tutto, strade strette e case con le serrande sbarrate. Sono case di appuntamento, ci dice il taxista, vieni qui, paghi e trovi quello che vuoi.
Piu in la dei locali di lap dance, una pretenziosa caffetteria e una pizzeria. In una strada stretta di terra battuta ci sono una ventina di casette basse, quella di Milorad Knezevic, una vita a spaccarsi la schiena nei cantieri dell’edilizia come muratore, ha il cancello sbarrato.
Sulla verandina un dondolo abbandonato da tempo.
Non si vedono i segni della ricchezza portata dal fidanzamento della ventenne Katarina con uno degli uomini più ricchi del mondo.
Non ci sono, dice una vicina, sono andati via. Dove è impossibile saperlo.
Qui la gente parla poco e si divide quando deve giudicare Katarina, la sua gemella, Slavica e Zorica.
Le sorelle che hanno fatto fortuna in Italia.
Per alcuni la fidanzata ufficiale di Berlusconi è la terribile Katarina, per altri è la regina d’Italia.
“Ha fatto bene a far perdere la testa al vostro presidente”, ci dice ridendo una donna che vende mele all’angolo della strada.
Due partiti, giudizi contrastanti, alimentati a metà settembre dalla lettura di un articolo sul quotidiano di Zagabria Jutranji List, che per primo ha raccontato delle tre sorelle e del ricatto.
Berlusconi, si legge, le presenta come le nipotine dell’ ex premier montenegrino Djukanovic ed era completamente soggiogato dalla loro bellezza.
La storia del ricatto, scrive lo Jutranji, nasce quando Slavica, la maggiore delle sorelle, filma alcuni incontri.
Scene di sesso, orge, ammucchiate, scrive il quotidiano croato.
Disprezzo, invidia, ammirazione, sono i sentimenti che le “sorelline italiane”, come le chiamano, suscitano al Market, allo Shas, i locali alla moda, tra le ragazze che il venerdì notte tirano fino a tardi stordendosi di musica e Bacardi.
Tutte hanno speso una fortuna per vestirsi e fasciare la loro bellezza nei tubini neri italiani.
Qui Katarina Knezevic è un mito. Il sogno che si e realizzato. Comunque.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL CAPO E MARONI IN SILENZIO SU NAPOLITANO…A RADIO PADANIA URLANO: ANDIAMOCENE
Per non sentire il male che fa, in via Bellerio la chiamano “Operazione Gattopardo”. 
Si sono convinti che dietro la “lezione” del presidente Napolitano, quella in cui ha detto all’Italia intera che il popolo padano non esiste, ci sia una gran paura.
È il “terrore che le cose cambino”, è il rischio che “l’antipolitica possa arrivare fino alla rivolta del Nord”.
Non è che, domanda il capogruppo Marco Reguzzoni, “tutte queste polemiche” hanno “come unico obiettivo quello di favorire l’avvento di un governo tecnico?”.
Ci sono rimasti male per i “toni eccessivi” usati dal Capo dello Stato, loro che in fin dei conti, una volta arrivati a Roma, i toni li hanno ammorbiditi parecchio.
Nessuno ha il coraggio di dirlo pubblicamente, ma in privato confessano che se i padani sono pronti alla secessione non è perchè lo dice Bossi (come ha fatto a Venezia poche settimane fa) ma perchè hanno perso il lavoro, non arrivano alla fine del mese e ce l’hanno con tutti, anche con loro, i parlamentari che si mettono la cravatta verde.
In questo senso la testimonianza del deputato Luca Rodolfo Paolini vale oro: lui, leghista che vive nelle Marche, nemmeno nelle valli bergamasche, da un po’ di tempo se ne va in giro con la sua busta paga fotografata sull’I-phone, “perchè ormai non ci crede più nessuno”.
Il popolo padano esiste, quindi, ma non è detto che abbia ancora voglia di votare Lega.
Nella sede de La Padania dicono che l’iniziativa “Padani dite la vostra” inaugurata ieri, stia andando “molto bene”, ma non si sbilanciano con i numeri.
Il direttore Leonardo Boriani è convinto che l’errore del presidente Napolitano sia stato quello di usare il sostantivo “popolo” e l’aggettivo “padano”.
“Sulla questione politica si può discutere — spiega Boriani — sostenere che ‘non esiste una via democratica alla secessione’ è discutibile ma è lecito: dire che non esiste un popolo padano, no”.
Ma nelle parole dei leghisti c’è una calma, una prudenza inusuale.
Solo Calderoli dice che il federalismo può “fare sì che il cittadino venga trattato come tale e non come suddito”.
Bossi non ha detto nulla, Maroni non ha “nulla da aggiungere” alla “linea” del quotidiano di via Bellerio.
Che ieri — con il titolo “Io esisto e sono padano” – è stata quasi più morbida di Libero e Il Giornale.
Ma contro le parole del Capo dello Stato (sottoscritte ieri dai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani) tra le camicie verdi c’è anche chi torna a sbottonarsi come ai vecchi tempi.
Basta ascoltare le proteste della base su Radio Padania e leggere un po’ di commenti lasciati in giro per la Rete per capire che intorno l’aria è molto meno serena. “Uscite dal governo. È ora di lottare!”, dicono in collegamento telefonico.
E invitano a “non pagare le tasse” visto che “per Napolitano noi esistiamo solo come contribuenti e non come persone”.
“Napolitano – insiste una elettrice bergamasca – è in Parlamento da sempre. Sarebbe uno come lui che vuole il cambiamento? Quelli come lui non vogliono cambiare un c….”.
Fino ad arrivare quasi alle minacce: “Sono padana e a Napolitano dico: invece di andare a Napoli venga in Padania a dire certe cose”.
E così, alla fine, a dare manforte agli ascoltatori arriva anche l’europarlamentare Mario Borghezio: “Il capo dello Stato si preoccupi di meno dei nostri slogan indipendentisti e pensi a come vengono spesi e sprecati i miliardi per le celebrazioni del 150 esimo anniversario dell’Unità d’Italia”.
Per l’Italia dei Valori la questione è “eversiva”.
Per questo Antonio Di Pietro ha chiesto al presidente del Consiglio di “ascoltare il Capo dello Stato e di revocare l’incarico al ministro delle Riforme” perchè è “inammissibile” che Umberto Bossi invece di lavorare per migliorare il Paese, lo veda come un nemico e ne mini la sua integrità ”.
Il Pdl dice che non ce n’è bisogno, che è lui “garante dell’unità nazionale”. Napolitano invece ieri è tornato a dire che “o questo Paese cresce insieme o non cresce”.
Ha chiarito che non si tratta di politica perchè lui è “imparziale” con tutti i partiti. E poi ha lasciato perdere la Padania ed è tornato a parlare delle cose che esistono:
“Il sovraffollamento delle carceri è una vergogna per l’Italia”.
Ci vorrebbe un’amnistia?
“Non se si creeranno le condizioni, ci vuole un accordo politico che allo stato non c’è”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
ESISTE L’EVASIONE DI CHI NON DENUNCIA PERCHE’ VUOLE GUADAGNARE DI PIU’ E QUELLA DI SOPRAVVIVENZA E DI AUTODIFESA
Da un po’ di mesi a questa parte il tema dell’evasione fiscale è tornato alla ribalta.
Ma è un ritorno strano. A differenza di un tempo, neanche poi tanto remoto, in cui la lotta all’evasione fiscale era una bandiera della sinistra, mentre la destra mostrava una certa indulgenza, oggi il tema dei miliardi (circa 130) sottratti ogni anno al fisco è diventato uno strumento di agitazione politica universale.
Lo usa come sempre l’opposizione di sinistra, ma lo usa anche la Chiesa per impartirci lezioni di moralità , lo usano gli indignati di ogni colore politico, lo usa la destra di governo alla disperata ricerca di soldi per tappare le falle dei conti pubblici.
Accade così che, poco per volta, alle preoccupazioni per i sacrifici che la manovra ci impone, si mescoli e si sovrapponga un malessere sordo, una specie di risentimento, che alimenta un clima vagamente maccartista, di moderna caccia alle streghe.
Gli evasori sono visti sempre più come la causa di tutti i nostri mali, la loro individuazione diventa una missione morale, e ci capita persino vedere un governo di destra – che ha sempre strizzato l’occhio all’evasione – accarezzare l’idea di fare gettito mediante la delazione.
Meno male, verrebbe da dire.
Era ora, finalmente ci decidiamo a combattere questa piaga.
Quando avremo vinto questa battaglia, l’Italia sarà finalmente un Paese civile e prospero.
E invece, su questa visione dei nostri problemi, vorrei insinuare qualche dubbio.
Se quello che vogliamo è solo sentirci migliori del nostro vicino, la caccia alle streghe va benissimo.
Ma se per caso il nostro sogno fosse anche di rimettere in carreggiata l’Italia, quella medesima caccia andrebbe reimpostata radicalmente.
Perchè l’evasione è un fenomeno che va innanzitutto spiegato e compreso, prima di combatterlo a testa bassa.
Altrimenti la testa rischiamo di rompercela noi, anzichè romperla (metaforicamente) agli evasori.
In Italia l’evasione fiscale ha due facce.
La prima è quella che fa imbestialire i lavoratori dipendenti in regola: c’è chi potrebbe benissimo pagare le tasse, e non lo fa semplicemente perchè vuole guadagnare di più. Questo tipo di evasione, da mancanza di spirito civico, si combatte con due strumenti: più controlli e aliquote ragionevoli.
Se la si combatte solo con più controlli, il risultato è prevalentemente un aumento dei prezzi, come sa chiunque abbia a che fare con idraulici e ristoratori.
Detto per inciso, è il ragionamento che – implicitamente fanno milioni di cittadini di fronte alla domanda: preferisci pagare 100 senza fattura o 140 con fattura?
C’è poi un secondo tipo di evasione fiscale, di sopravvivenza o di autodifesa.
È l’evasione di quanti, se facessero interamente il loro dovere fiscale, andrebbero in perdita o dovrebbero lavorare a condizioni così poco remunerative da rendere preferibile chiudere l’attività .
In questo caso quel che serve è innanzitutto una drastica riduzione delle aliquote che gravano sui produttori, altrimenti il risultato della lotta all’evasione è semplicemente la distruzione sistematica di posti di lavoro, un’eventualità che peraltro si sta già verificando: le regioni in cui Equitalia ha ottenuto i maggiori successi, sono le stesse in cui ci sono stati più fallimenti (vedi il dramma recente della Sardegna).
Immagino l’obiezione a questo ragionamento: «It’s the market, stupid!».
Detto altrimenti: è un bene che nei periodi di crisi ci siano fallimenti, perchè questo significa che il mercato riesce a far uscire le imprese meno efficienti, e a sostituirle con altre più dinamiche e competitive.
Ma questa obiezione, che si basa sul concetto schumpeteriano di «distruzione creativa», vale solo se i regimi fiscali sono comparabili e ragionevoli.
Oggi in Italia ci sono aziende in crisi che starebbero tranquillamente sul mercato se il nostro Ttr (Totale Tax Rate) fosse quello dei Paesi scandinavi, e simmetricamente ci sono floride aziende scandinave che uscirebbero dal mercato se le aliquote fossero quelle dell’Italia.
Il mercato è un buon giudice dell’efficienza solo se le condizioni in cui le imprese operano sono comparabili.
E in Italia le condizioni in cui le imprese sono costrette ad operare sono così sfavorevoli per tasse, adempimenti e infrastrutture, che la domanda vera non è «perchè le imprese italiane arrancano?», bensì «perchè ne sopravvivono ancora così tante?».
Ecco perchè l’idea di risolvere i nostri problemi intensificando la lotta all’evasione fiscale andrebbe maneggiata con cura.
Quello di far pagare gli evasori non è solo il sogno degli onesti, ma è l’ultima zattera con cui un ceto politico che non sa più che pesci pigliare cerca di salvare sè stesso e sfuggire alle proprie responsabilità . Incapaci di varare le riforme promesse, inadatti a prendere qualsiasi vera decisione, irresoluti a tutto, i nostri politici, di governo e di opposizione, hanno trovato nell’evasore fiscale il capro espiatorio con il quale distrarre l’opinione pubblica.
Ma è un grande inganno.
Se la lotta all’evasione viene condotta unicamente per aumentare le entrate è inevitabile che essa produca effetti recessivi: disoccupazione (specie al Sud), aumenti di prezzo, contrazione dei consumi.
Non solo, ma nulla assicura che l’obiettivo di far cassa venga raggiunto: quando la pressione fiscale sui produttori è già altissima (e quella italiana lo è: nessun Paese avanzato ha un Ttr più elevato), non è detto che il gettito che si recupera grazie a nuovi balzelli e più controlli superi il gettito che si perde a causa dei fallimenti e dei passaggi all’economia sommersa. Tanto più in un periodo come questo, in cui è già in corso una drammatica riduzione della base produttiva.
Se però ogni euro recuperato dall’evasione fosse destinato – per legge – a rendere meno difficile la vita a lavoratori e imprese, allora otterremmo almeno due risultati, uno economico e uno morale.
Il risultato economico è che, poco per volta, i produttori di ricchezza che le tasse le pagano potrebbero finalmente rialzare la testa, consentendo all’Italia di tornare a crescere.
Il secondo è che, con aliquote via via più ragionevoli, l’evasione fiscale non solo diverrebbe meno conveniente, ma perderebbe ogni giustificazione morale. Il «mostro» dell’evasione fiscale non ha un solo genitore, ma ne ha due.
Ed è solo quando la mancanza di cultura civica (la madre) si sposa ad un fisco oppressivo (il padre) che il ragazzaccio diventa un mostro.
Luca Ricolfi
(da “La Stampa”)
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
NON SOLO VENEZIA: SONO BEN 33 I PUNTI CRITICI DELLE NOSTRE COSTE CHE POTREBBERO SPROFONDARE ENTRO IL 2100
Non rischia solo Venezia. 
L’innalzamento del livello del Mediterraneo e l’abbassamento geologico della costa minacciano anche la Versilia, la laguna di Orbetello. E, ancora, Catania, Cagliari.
Trentatrè aree costiere in tutto il Bel Paese destinate ad andare sott’acqua entro il 2100.
A tracciare la previsione e la mappa dei punti critici è un team di ricercatori italiani, nell’ambito del progetto Vector, diretto dall’Enea in collaborazione con il geofisico Kurt Lambeck, dell’Università di Canberra in Australia.
Titolo dello studio “Sea level change along the Italian coast during the Holocene and projections for the future”, pubblicato su Quaternary International .
Nella squadra anche Marco Anzidei, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che oggi presenterà il lavoro al seminario “L’evoluzione del Mediterraneo”, nell’ambito della Notte Europea dei Ricercatori, organizzata da Frascati Scienza.
«Ci siamo basati su modelli previsionali, sui rilevamenti effettuati nei tratti costieri e su modelli geofisici», spiega a Corriere.it Anzidei. E da oltre 300 punti di osservazione, si è arrivati al risultato.
Messa da parte Venezia (dove il livello del mare potrà aumentare fino a 1,5 metri), in pericolo sembrerebbero essere anche molte aree costiere della Toscana (in particolare, la Versilia, il delta dell’Ombrone e la laguna di Orbetello).
«Qui si parla di una risalita tra i 20 e 143 centimetri», continua Anzidei.
Poi, la foce del Tevere, le aree basse pontine sottratte al mare dalle bonifiche del secolo scorso, e la Campania.
Guardando la mappa, presentata all’interno della ricerca, si nota poi come le zone “rosse” siano anche tutto il delta del Po (si prevede un innalzamento delle acque compreso tra i 31 e i 153 centimetri), alcune aree della Romagna, metà delle spiagge delle Marche e il 60 per cento di quelle dell’Abruzzo.
In Puglia tocca invece a Lesina e Manfredonia.
Infine, anche la Sardegna è assediata dalla risalita del mare, così come la piana di Catania, dove sono presenti un aeroporto e un porto. Messi da parte per un momento studi e dati complessi, «basta riguardare le foto di cinquant’anni fa delle nostre spiagge per vedere come si sono ristrette».
Sul banco degli imputati finisce dunque l’erosione delle coste. Ma non solo.
«Noi ricercatori collochiamo a 150 anni fa il momento in cui la risalita dell’acque ha subito un’accelerazione. Data che coincide con l’inizio della rivoluzione industriale».
E se è difficile provare che la responsabilità sia dell’uomo, considerato il suo intervento sul paesaggio, per il momento i responsabili di questa fosca previsione sono tre: «la risposta del mare dal termine dell’ultimo massimo glaciale; i più recenti cambiamenti nel volume del mare per l’espansione derivante dal riscaldamento delle acque; i movimenti verticali del terreno lungo le coste, inclusa la subsidenza».
«Noi siamo arrivati alla data del 2100 comparando le osservazioni dei siti e aggiungendo componenti isostatiche e tettoniche all’analisi dei trend previsti dai climatologi dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change)», spiega ancora Anzidei.
La previsione però potrebbe cambiare.
Se infatti i ghiacci antartici o della Groenlandia subissero un rapido collasso, come alcuni studiosi sostengono, il giorno X potrebbe essere anticipato. «Abbiamo ragionato basandoci sullo scenario peggiore, ma molti elementi potrebbero cambiare».
Uno su tutti, gli effetti dei maremoti che, in presenza di una costa molto più bassa, «potrebbero accelerare le conseguenze del run up (la risalita dell’onda)».
Da non sottovalutare poi i terremoti marini perchè «il Mediterraneo, che occupa l’1 per cento dei mari, non è solo un sistema idrologico vitale per più di 30 milioni di persone che abitano lungo le aree interessate dall’innalzamento delle acque, ma anche una delle zone geologiche più complesse della Terra».
I rischi che corrono le coste italiane non sono dunque da sottovalutare.
«Bisogna chiedersi se di fronte a questo scenario i governi avranno la capacità di tenere in considerazione gli studi dei ricercatori e avviare una corretta politica di uso e protezione delle coste».
Ma non solo.
Data la condizione delle pianure costiere italiane, oggi già prossime al livello del mare, presto suscettibili da inondazione marina (il Mediteranneo in 18 mila anni ha visto crescere il suo livello di 130 metri), il primo step, secondo Anzidei «è tenere a bada gli impatti ambientali degli interventi di costruzione sulle coste».
Politiche e interessi, insomma.
Oggi spesso molto lontane dalla testa dei nostri amministratori locali e nazionali, quando si tratta di guardare al futuro del Paese.
Marta Serafini
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
RITORNA IL SUPER RIMBORSO PER LE MISSIONI DEI FUNZIONARI MINISTERIALI OLTRECONFINE…UN ANNO FA IL GOVERNO L’AVEVA ELIMINATA IN NOME DEI TAGLI AI COSTI DELLA POLITICA
Anche la diaria all’estero tra i tagli ai costi della politica che escono dalla porta e rientrano dalla finestra.
A distanza di un anno e sotto mentite spoglie.
Succede con la curiosa vicenda della diaria per le missioni dei funzionari ministeriali all’estero, che il governo Berlusconi aveva deciso di abolire lo scorso anno con il decreto legge n.78, il quale prevedeva “misure urgenti” per la stabilizzazione economica.
Tra le altre misure, all’articolo 4 veniva cancellato il contributo di circa 200 euro al giorno per parlamentari e funzionari con un risparmio stimato per il triennio di 2 milioni di euro.
Il provvedimento viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 31 maggio del 2010 e viene data con enfasi alle agenzie di stampa a riprova che “non è vero che siamo la casta”.
Politici, sottosegretari e portaborse devono dunque accontentarsi del solo rimborso per le spese di viaggio e soggiorno.
Arrotondare prolungando la permanenza all’estero non è più possibile. Forse.
Perchè poco più di un anno dopo la diaria cancellata con un tratto di penna con un tratto di penna ricompare.
E’ contenuto tra le righe di una legge che nulla ha a che fare con i costi della politica.
E’ il disegno di legge riguardante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea-legge comunitaria 2010″, relatrice la senatrice della Lega Nord Rossana Boldi. E’ la cosiddetta “legge comunitaria”, quella cioè che serve a recepire le direttive europee.
Il testo ha avuto un iter a dir poco tormentato e dopo vari passaggi è approdato in terza lettura al Senato dove alcuni onorevoli del Pd si sono accorti della sorpresa.
L’articolo 4 cancellato nel 2010 è stato ripristinato nel 2011 con la formula: “il nuovo articolo 4 esclude dalla soppressione delle diarie per missioni all’estero, le missioni indispensabili ad assicurare la partecipazione a riunioni nell’ambito dei processi decisionali dell’Unione europea e degli organismi internazionali di cui l’Italia è parte, nonchè alle missioni nei Paesi beneficiari degli aiuti erogati da parte dei medesimi organismi e dell’Unione europea”.
Da qui la domanda a governo e maggioranza in commissione Affari Istituzionali: “Onorevoli colleghi di Pdl e Lega, state reintroducendo la diaria per le missioni all’estero che è stata tagliata lo scorso anno?”.
“Con questo articolo — ha precisato la senatrice Marilena Adamo — si fanno tali e tante deroghe al taglio della diaria per le missioni all’estero — da vanificare quanto deciso lo scorso anno con il DL 78. A parte il fatto che l’articolo non ha la necessaria copertura di spesa e la materia è del tutto estranea alla legge comunitaria, la sua formulazione incomprensibile sembra più che altro voler nascondere una modesta furbata: è anche per questi mezzucci che perdiamo credibilità all’estero”.
Ma non è solo questo il motivo della polemica.
L’Europa aspettava la legge comunitaria 2010 e l’avrà (forse) nel 2011. Il motivo del ritardo è presto detto: da novembre 2010 a luglio 2011 il governo è stato senza ministro per le Politiche comunitarie.
Così la legge fa la navetta tra commissioni di Camera e Senato e nel suo peregrinare si riempie di articoli che nulla hanno a che fare con la legge.
“Alla fine è una di quelle leggi-treno alle quali si aggiungono vagoni sperando che nessuno se ne accorga”, sostiene la senatrice ricordando che la legge nasceva con 11 articoli quando a novembre dello scorso anno è arrivata in Senato in prima lettura.
Dal Senato esce con 18 articoli, sette in più. Torna alla Camera il 6 aprile e viene accantonata dalla maggioranza per lasciar spazio al processo breve.
Mentre la legge staziona in commissione arrivano i nuovi vagoni: il Pdl ne approfitta per inserire nuovi articoli che portano a 41 i punti della legge, molti del tutto estranei al suo scopo.
Troppo.
Così quando la legge torna all’ordine del giorno, stravolta, riceve emendamenti soppressivi e inaspettatamente passa il primo emendamento sul primo articolo che è quello istitutivo della legge stessa.
Risultato: tutto il provvedimento decade. Si ricomincia. La legge viene riformulata e torna a 24 articoli ma tra questi compare qualcosa di nuovo, ma forse neppure troppo: quell’articolo 4 che reintroduce la diaria soppressa solo un anno prima.
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Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
MATTEO, GEOLOGO, 28 ANNI, E’ RIENTRATO DAGLI USA: “L’ASSEGNO DELLA FACOLTA’ NON BASTA”
Matteo Alvaro di professione fa il ricercatore è alla sua prima domenica da tassista, lo si
capisce subito.
Una svolta a destra di troppo e si dirige nella direzione opposta a quella richiesta. «Mi scusi, sono un po’ confuso», si giustifica. E inizia a raccontare.
«Sono salito sul taxi di mio padre dopo due anni di specializzazione negli Stati Uniti». Si ripassa esattamente al punto di partenza e il taxista-ricercatore azzera il tassametro: «È da stamattina che faccio sconti per le mie sviste».
Matteo è nato 28 anni fa a Milano, vive a Binasco nella casa dei genitori e ha una sorella più grande.
Ha alle spalle il biennio passato alla Virginia Tech di Blacksburg, prestigiosa università del profondo Sud americano.
«Fin da piccolo sognavo di fare il geologo: così, dopo essermi diplomato all’istituto tecnico di Pavia mi sono laureato in Geologia. Poi ho vinto una borsa di studio per il dottorato e ho continuato a lavorare all’università .
A un convegno ho conosciuto Ross J. Angel, il numero uno nel campo della cristallografia e, grazie anche all’aiuto dei miei professori, ho potuto anticipare il dottorato e partire per un ruolo di postdoc (l’equivalente del nostro posto di ricercatore) alla Virginia Tech».
Negli Usa gli avevano proposto di scegliere tra due contratti: «Uno di 4 anni e l’altro di 2. Scelsi quello più breve anche per questioni di cuore, visto che avevo una storia in Italia».
Pentito di quella decisione?
«Sì, anche perchè nel frattempo la storia è finita. Lo penso soprattutto dopo una giornata passata sul taxi con la moda a Milano».
Quando in America la crisi economica ha cominciato a farsi sentire, il suo professore gli ha scritto un’email prima che scadesse il contratto e gli ha consigliato di cercarsi un’altra opportunità , offrendo le sue referenze.
«I colleghi di Pavia con cui ho mantenuto i rapporti, mi hanno suggerito di rientrare. Devo ringraziare il dipartimento che si è sempre adoperato per non farmi restare senza un minimo di sussidio economico. Ma in Italia le retribuzioni per chi lavora in ricerca sono molto più basse rispetto a quelle americane».
Un postdoc guadagna mediamente 40 mila dollari all’anno e può arrivare anche a 80/100 mila.
«In Italia, invece, lo stipendio credo sia intorno ai 1.400 euro al mese. Esattamente non lo so ancora, visto che devo aspettare il concorso per entrare in servizio».
Nel frattempo Matteo ogni domenica mattina sale sull’auto bianca del padre e fa il tassista a Milano, «possibilità offerta dalla “collaborazione familiare” per cui la licenza taxi può essere estesa a un parente», spiega. «E lo farò anche quando arriverà l’assegno, per arrotondare».
Poi, dal lunedì al venerdì, il tassista ricercatore con la passione per la tecnologia («ho quattro computer, due sono portatili») frequenta il laboratorio del dipartimento di Scienze della Terra all’Università di Pavia.
«Scrivo articoli scientifici in attesa di riprendere la mia attività : lo studio delle proprietà chimico-fisiche dei minerali. I risultati possono essere utilizzati per approfondire le conoscenze di base nel campo della geologia ma possono anche servire per produrre nuovi materiali, come certe argille utilizzate per la messa in sicurezza di siti contaminati»
All’estero la possibilità di fare ricerca è maggiore grazie anche ai fondi privati.
«Nel mio dipartimento eravamo in 17 italiani, siamo rientrati solo in tre. Abbiamo fatto tutti il dottorato in Italia e siamo costati allo Stato, costi che vanno a vantaggio dei Paesi esteri. Senza contare che qui lavoriamo con strumenti degli anni 80 mentre negli Usa hanno a disposizione le ultime tecnologie. E questo incide sui risultati».
Maria Teresa Veneziani
(da “Il Corriere della Sera“)
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