L’ITALIA CHE RISCHIA DI FINIRE SOTT’ACQUA
NON SOLO VENEZIA: SONO BEN 33 I PUNTI CRITICI DELLE NOSTRE COSTE CHE POTREBBERO SPROFONDARE ENTRO IL 2100
Non rischia solo Venezia.
L’innalzamento del livello del Mediterraneo e l’abbassamento geologico della costa minacciano anche la Versilia, la laguna di Orbetello. E, ancora, Catania, Cagliari.
Trentatrè aree costiere in tutto il Bel Paese destinate ad andare sott’acqua entro il 2100.
A tracciare la previsione e la mappa dei punti critici è un team di ricercatori italiani, nell’ambito del progetto Vector, diretto dall’Enea in collaborazione con il geofisico Kurt Lambeck, dell’Università di Canberra in Australia.
Titolo dello studio “Sea level change along the Italian coast during the Holocene and projections for the future”, pubblicato su Quaternary International .
Nella squadra anche Marco Anzidei, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che oggi presenterà il lavoro al seminario “L’evoluzione del Mediterraneo”, nell’ambito della Notte Europea dei Ricercatori, organizzata da Frascati Scienza.
«Ci siamo basati su modelli previsionali, sui rilevamenti effettuati nei tratti costieri e su modelli geofisici», spiega a Corriere.it Anzidei. E da oltre 300 punti di osservazione, si è arrivati al risultato.
Messa da parte Venezia (dove il livello del mare potrà aumentare fino a 1,5 metri), in pericolo sembrerebbero essere anche molte aree costiere della Toscana (in particolare, la Versilia, il delta dell’Ombrone e la laguna di Orbetello).
«Qui si parla di una risalita tra i 20 e 143 centimetri», continua Anzidei.
Poi, la foce del Tevere, le aree basse pontine sottratte al mare dalle bonifiche del secolo scorso, e la Campania.
Guardando la mappa, presentata all’interno della ricerca, si nota poi come le zone “rosse” siano anche tutto il delta del Po (si prevede un innalzamento delle acque compreso tra i 31 e i 153 centimetri), alcune aree della Romagna, metà delle spiagge delle Marche e il 60 per cento di quelle dell’Abruzzo.
In Puglia tocca invece a Lesina e Manfredonia.
Infine, anche la Sardegna è assediata dalla risalita del mare, così come la piana di Catania, dove sono presenti un aeroporto e un porto. Messi da parte per un momento studi e dati complessi, «basta riguardare le foto di cinquant’anni fa delle nostre spiagge per vedere come si sono ristrette».
Sul banco degli imputati finisce dunque l’erosione delle coste. Ma non solo.
«Noi ricercatori collochiamo a 150 anni fa il momento in cui la risalita dell’acque ha subito un’accelerazione. Data che coincide con l’inizio della rivoluzione industriale».
E se è difficile provare che la responsabilità sia dell’uomo, considerato il suo intervento sul paesaggio, per il momento i responsabili di questa fosca previsione sono tre: «la risposta del mare dal termine dell’ultimo massimo glaciale; i più recenti cambiamenti nel volume del mare per l’espansione derivante dal riscaldamento delle acque; i movimenti verticali del terreno lungo le coste, inclusa la subsidenza».
«Noi siamo arrivati alla data del 2100 comparando le osservazioni dei siti e aggiungendo componenti isostatiche e tettoniche all’analisi dei trend previsti dai climatologi dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change)», spiega ancora Anzidei.
La previsione però potrebbe cambiare.
Se infatti i ghiacci antartici o della Groenlandia subissero un rapido collasso, come alcuni studiosi sostengono, il giorno X potrebbe essere anticipato. «Abbiamo ragionato basandoci sullo scenario peggiore, ma molti elementi potrebbero cambiare».
Uno su tutti, gli effetti dei maremoti che, in presenza di una costa molto più bassa, «potrebbero accelerare le conseguenze del run up (la risalita dell’onda)».
Da non sottovalutare poi i terremoti marini perchè «il Mediterraneo, che occupa l’1 per cento dei mari, non è solo un sistema idrologico vitale per più di 30 milioni di persone che abitano lungo le aree interessate dall’innalzamento delle acque, ma anche una delle zone geologiche più complesse della Terra».
I rischi che corrono le coste italiane non sono dunque da sottovalutare.
«Bisogna chiedersi se di fronte a questo scenario i governi avranno la capacità di tenere in considerazione gli studi dei ricercatori e avviare una corretta politica di uso e protezione delle coste».
Ma non solo.
Data la condizione delle pianure costiere italiane, oggi già prossime al livello del mare, presto suscettibili da inondazione marina (il Mediteranneo in 18 mila anni ha visto crescere il suo livello di 130 metri), il primo step, secondo Anzidei «è tenere a bada gli impatti ambientali degli interventi di costruzione sulle coste».
Politiche e interessi, insomma.
Oggi spesso molto lontane dalla testa dei nostri amministratori locali e nazionali, quando si tratta di guardare al futuro del Paese.
Marta Serafini
(da “Il Corriere della Sera”)
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