Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
DOMANI BERLUSCONI ALLA CAMERA PER CHIEDERE LA FIDUCIA…FORSE LE OPPOSIZIONI DISERTERANNO IL VOTO
La strategia del governo è andare avanti, nonostante la bocciatura alla Camera dell’articolo 1 del rendiconto dello Stato.
Silvio Berlusconi chiederà la fiducia alla Camera giovedì alle 11, subito dopo aver concluso un consiglio dei ministri.
La verifica verrà votata venerdì.
La Giunta per il regolamento della Camera si è già espressa per quel che riguarda il provvedimento presentato martedì. «L’iter è concluso».
La palla è passata ai capogruppo che, dopo una riunione con il presidente della Camera Gianfranco Fini, hanno deciso di far parlare Berlusconi giovedì e non oggi. Una decisione che non piace alla maggioranza.
Tanto che il capogruppo della Lega, Marco Reguzzoni accusa Fini di essere «di parte non consentendo al governo di riferire in data odierna».
Secondo l’esponente del Carroccio «ha espresso valutazioni politiche in una sede istituzionale sul comportamento del governo, valutazioni che non competono al presidente della Camera».
In ogni caso il co-fondatore del Pdl ed ex alleato del premier si recherà al Quirinale, su invito dell’opposizione, per spiegare come sia diventato difficile, vista la situazione in cui versa la maggioranza, garantire il normale andamento dei lavori parlamentari. In particolare Fini dovrebbe spiegare al Capo dello Stato le ragioni dell’opposizione secondo cui non è possibile procedere alle comunicazioni del presidente del Consiglio dopo la bocciatura dell’articolo 1 del rendiconto 2010.
Ed è proprio Napolitano, in una nota, a chiedere una «risposta credibile» anche per «capire se la maggioranza è in grado di operare», dopo il voto martedì.
In altre parole, «la mancata approvazione dell’articolo 1 del Rendiconto Generale dell’Amministrazione dello Stato, e, negli ultimi tempi, l’innegabile manifestarsi di acute tensioni in seno al governo e alla coalizione suscitano interrogativi e preoccupazioni i cui riflessi istituzionali non possono sfuggire».
Dunque, «la questione che si pone è se la maggioranza di governo ricompostasi nel giugno scorso con l’apporto di un nuovo gruppo sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei. È ai soggetti che ne sono costituzionalmente responsabili, Presidente del Consiglio e Parlamento, che spetta una risposta credibile».
E proprio a Fini vanno i ringraziamenti del Presidente «per averlo messo al corrente delle ragioni che ad avviso dei presidenti dei gruppi parlamentari di opposizione rendono politicamente complesso il superamento della situazione determinatasi a seguito del voto contrario all’art. 1 del rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato».
Il premier si presenterà in Parlamento per porre la fiducia a un nuovo provvedimento. Già perchè, secondo la Giunta per la regolamentazione, l’iter dell’attuale legge «può considerarsi concluso», visto che si tratta di una norma legata alla Costituzione.
La sua idea, insomma, è quella di non prestare il fianco alle opposizione e «dimostrare di avere i numeri. Li sbugiarderemo».
Si presenterà giovedì in Parlamento per un discorso programmatico di pochi punti sul rilancio dell’attività di governo. Intanto i lavori in Senato sul Documento di economia e finanza vanno avanti con le proteste dell’opposizione.
Ma anche le opposizioni non mollano.
Dall’Udc al Pd a Idv a Fli, stanno valutando se dare un segnale politico e istituzionale, disertando l’aula durante le comunicazioni del premier sulla fiducia e non partecipando al voto.
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
TORNA LA PRIMA REPUBBLICA: CENE SEGRETE E SOGNI DI POTERE…GLI EX SOCIALISTI CENANO A CASA DI CICCHITTO….POMICINO E DE MITA SPARANO SUL GOVERNO
Ciriaco De Mita ha ottantatrè anni, Gerardo Bianco alias Jerry White ottanta. Entrambi
irpini e democristiani, la loro antichissima rivalità ha attraversato la storia della Prima Repubblica.
E ora che il berlusconismo della Seconda volge al declino, i due iniziano a esercitarsi sulla Terza. Eterni.
L’eccezione vivente alla proverbiale profezia di Mariano Rumor, papà del doroteismo scudocrociato: “Noi democristiani siamo come gli alberi della foresta amazzonica, più ne tagli e ne bruci più cresciamo rigogliosi”.
De Mita e Bianco sono invece due piante secolari, mai bruciate o tagliate. Sono sempre state lì.
Il primo, già presidente del Consiglio, oggi è il padre-padrone dell’Udc in Campania, turbolento alleato del centrodestra: suo nipote, Giuseppe De Mita, si è dimesso da vicepresidente della giunta regionale per una questione di nomine sanitarie.
Il secondo, Bianco, sabato scorso, era al convegno organizzato dal ministro Gianfranco Rotondi, altro irpino, a Saint Vincent.
E ancora una volta i due continuano a litigare, seppure a distanza.
Oggetto: la fronda degli ex democristiani Claudio Scajola e Beppe Pisanu nel Pdl.
Ieri sulla Stampa, il vegliardo De Mita, pur ricordando con perfidia intellettuale che i due, Pisanu e Scajola, “nella Dc giocavano in quarta e settima categoria”, spera che gli ex democristiani del Pdl possano “aprire un processo” per affossare il berlusconismo e andare a un “governo costituente”.
Struggente la citazione di Aldo Moro riportata da De Mita: “La politica è guardare oltre l’orizzonte, cercare l’ignoto”.
Un ignoto però abbastanza trito e ritrito: far tornare la Dc. Gerardo Bianco è piuttosto scettico in merito.
L’intervista è sul Secolo d’Italia di ieri.
Il sarcasmo realistico di Jerry White è spietato: “La Balena Bianca (copyright Giampaolo Pansa, ndr) non può rinascere, al massimo può riprodursi un balenottero. In giro ci sono numerosi tentativi di imitazione mal riusciti”.
Scajola e Pisanu faranno cadere Berlusconi?
Risposta lapidaria: “Non ci credo neanche se lo vedo”.
Di democristiani che iniziano ad aggirarsi sulle rovine della Seconda Repubblica ce ne sono vari.
Un altro è l’ex ministro andreottiano Paolo Cirino Pomicino, passato da Mastella a Rotondi, poi finito nell’Udc di Casini.
Anche Pomicino, in questi giorni, è molto ascoltato in tv e sui giornali sulla presunta rifondazione democristiana.
La sua tesi è: “Lo tsunami che sta investendo i partiti personali farà ritornare la vera cultura politica”.
Anche a livello regionale.
In Puglia, Salvatore Matarrese, cinquantenne della famosa famiglia di costruttori d’ispirazione Dc, si è già messo in viaggio verso il “partito” di Luca di Montezemolo, “Italia Futura”.
Ma un caso d’antologia si ritrova in Campania.
Lì, alle ultime regionali, il Pdl ha candidato nella sua lista Angelo Gava e Flora Beneduce.
Il primo è figlio e nipote, rispettivamente, dei fu ministri Antonio e Silvio.
La seconda è moglie di Armando De Rosa, democristiano arrestato per tangenti nel 1987.
E proprio Antonio Gava e De Rosa furono protagonisti di un memorabile faccia a faccia, ripreso dalle telecamere, nella stagione di Tangentopoli. Era il 1995.
De Rosa confessò di aver portato una mazzetta di 300 milioni a Gava per un appalto e questi, vedendo il contenuto della borsa, esclamò: “Armà , cheste so’ pampuglie”. “Armando, queste sono pampuglie”. Tradotto: “Sono briciole”.
Se i democristiani parlano, sperano e manovrano, i socialisti del vecchio Psi non sono da meno.
Un vegliardo del Garofano in azione è l’ex ministro Rino Formica, ottantaquattro anni.
Sul Riformista di Emanuele Macaluso, Formica ha lanciato la proposta di riconfermare Giorgio Napolitano al Quirinale e da tempo, poi, ragiona su “una nuova rivoluzione civile” della sinistra socialista per costruire e non rottamare.
Ma una notizia clamorosa riguarda l’ex piduista Fabrizio Cicchitto, già lombardiano del Psi e oggi capogruppo del Pdl alla Camera.
Ultimamente , Cicchitto, che è il principe dei falchi berlusconiani anti-pm, è insolitamente critico con il Cavaliere. In più d’una occasione ha parlato di “carisma appannato” e di un preoccupante calo di consensi per il premier. Strano.
Forse dipende anche dalla cena che si è tenuta a casa del capogruppo una decina di giorni fa.
Una rimpatriata tra socialisti, tra cui molti di governo: i ministri Sacconi, Brunetta e Frattini, la sottosegretaria Stefania Craxi, pure Gianni De Michelis.
Raccontano che la più dura, a tavola, è stata la figlia di Bettino: “Il ciclo di Silvio è finito, bisogna pensare un nuovo ciclo, una nuova stagione di impegno. Dobbiamo organizzarci”.
A dire il vero, Sacconi guarda anche alle evoluzioni del movimentismo cattolico, invocato dal cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani.
Una partita, ovviamente, seguita con attenzione soprattutto dagli antichi democristiani.
Quello che potrebbe accadere fa paura al sottosegretario Carlo Giovanardi, che in questi giorni ha confidato: “I cattolici che si ritroveranno a Todi il 17 ottobre preparano una grande manifestazione in piazza San Giovanni a Roma. Una sorta di Family Day contro Berlusconi. Per noi è la fine”.
L’ignoto di Moro citato da De Mita si avvicina sempre più.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
IL TIMORE PER LE MOSSE DI NAPOLITANO… IL PREMIER A FINI: “COSA POSSIAMO FARE? “, LA RISPOSTA: “CONTRO LA LOGICA NON SI PUO’ ANDARE”…IL PDL TEME IL COMPLOTTO
Alla fine il temuto «incidente» parlamentare, la votazione che rompe la crosta sottile di ghiaccio e fa affondare il governo, si è verificato.
Berlusconi, stavolta più affranto che arrabbiato, teme che sia arrivata davvero la fine. Dopo un breve colloquio con Giorgio Napolitano, lasciando Montecitorio al termine della sua giornata più lunga, il premier prova a sdrammatizzare per non offrire l’immagine di un leader a terra.
«Si può rimediare, vedrà che rimedieremo – risponde al giornalista che gli chiede come farà stavolta a cavarsela – , noi dobbiamo andare avanti e votare di nuovo. Votare la fiducia per dimostrare che è stato solo un incidente».
Detto fatto, è proprio questa la decisione che uscirà fuori a tarda notte dal gabinetto di guerra riunito a palazzo Grazioli.
Nuove dichiarazioni programmatiche di Berlusconi in Parlamento, oggi stesso o domani, con un voto di fiducia che rilegittimi il governo «e blocchi le manovre strumentali dell’opposizione».
Il Cavaliere è convinto di avere dalla sua parte Napolitano: «Anche il capo dello Stato è preoccupato per i contraccolpi di una crisi sui mercati internazionali. Capirà ». Quanto al rendiconto dello Stato, il Consiglio dei ministri approverà nuovamente il testo e lo sottoporrà alla Camera ex novo.
Per capire se siamo davvero ai titoli di coda, è utile però riavvolgere il film della giornata dalla prima scena. In un corridoio del palazzo, a pochi minuti dal crac che ha mandato sotto il governo, il premier incrocia l’arcinemico Gianfranco Fini. L’umore è talmente sottoi tacchi che persino quella del presidente della Camera diventa una spalla su cui piangere:
«Allora Gianfranco, adesso che possiamo fare? Come ne usciamo?».
Fini lo scruta perplesso, incrocia lo sguardo con quello di Gianni Letta, ombra silenziosa al fianco del Cavaliere, e non fa sconti: «Mi dispiace Silvio, tutto è possibile. Ma contro la logica non si può andare. Vedremo domani in giunta». L’appuntamento di questa mattina con la giunta del regolamento della Camera, chiamata a dirimere il rebus giuridico della bocciatura del rendiconto 2010 dello Stato, non sarà affatto una passeggiata.
Da qui la cautela di Fini.
Intanto sono le opposizioni ad avere la maggioranza nell’organismo e questo non tranquillizza il premier.
Così come lo preoccupano le frasi minacciose dell’ex presidente della Camera Casini, che ieri ha ricordato i precedenti funesti di analoghe bocciature.
«Se ricordo bene sia Goria che Andreotti si dimisero».E Berlusconi teme «strani scherzi» per metterlo con le spalle al muro.
Un parere negativo della Giunta, osserva preoccupato un consigliere del premier, potrebbe infatti offrire a Giorgio Napolitano «il pretesto» per intervenire direttamente nella vicenda.
Magari richiamando al Colle il capo del governo per fargli prendere atto della liquefazione della maggioranza.
Berlusconi conterà pure sulla sponda del Quirinale, ma in ogni caso il Pdl ha deciso il contropiede, invocando subito un nuovo voto di fiducia che blindi il governo.
E tuttavia la malattia che corrode il centrodestra e porta la maggioranza ad auto-affondarsi è appunto «illogica», come dice Fini, non razionale.
Lo dimostra la furia cieca con cui il premier se la prende contro tutto e tutti, accomunando Scajola e Maroni, Tremonti e i Responsabili.
In cima alla lista dei sospettati c’è sempre Giulio Tremonti, reo di non aver votato il “suo” provvedimento.
L’aula di Montecitorio ieri si è trasformata in un’arena di gladiatori, tanto che il ministro dell’Economia si è dovuto allontanare dall’aula inseguito dalle urla dei deputati del Pdl che gli ingiungevano di dimettersi.
Berlusconi era il più nero di tutti. Molti ci hanno persino visto un calcolo preciso da parte di Tremonti.
Luca Barbareschi, per dire, incrocia il ministro Ignazio La Russa in Transatlantico e gli soffia in un orecchio il vento gelido del sospetto: «Quello era nascosto dietro una colonna e ha aspettato che andassimo sotto per entrare in aula. L’ha fatto apposta!».
La Russa: «Questo lo dici tu… Io ho solo visto che è entrato un minuto dopo la chiusura della votazione».
Il clima è quello del Titanic dopo l’impatto con l’iceberg.
Proprio La Russa, che ieri ha deciso la liberazione del mercantile dai pirati somali, si lascia andare a una battuta sconsolata: «Oggi abbiamo salvato la Montecristo, ma è questa la nave che affonda!».
A rendere la giornata ancora più buia ecco che arriva la stroncatura della Corte dei Conti sulla riforma fiscale e assistenziale.
Un progetto «privo di copertura», secondo il parere del presidente della magistratura contabile, Luigi Giampaolino.
Anche il decreto sviluppo è ancora in alto mare, nonostante l’impegno del ministro Romani.
Ieri c’è stata l’ennesima riunione al ministero, stavolta allargata all’economista Guido Tabellini. Quello che ha suggerito la patrimoniale al 5 per mille.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
L’EX DIPIETRIETISTA ERA IN TRIBUNALE A MESSINA… STA IN MAGGIORANZA MA PRECISA: “IO MI MUOVO, ASCOLTO, MI SONO IMMOLATO PER IL BENE DEGLI ITALIANI, ORA POSSO ANCHE FARE UN PASSO INDIETRO”
Domenico Scilipoti, di anni 54, da Barcellona Pozzo di Gotto – ginecologo e agopuntore con
la passione per l’Oriente, «ma siccome in Transatlantico c’è qualche ignorantone, mi scambiano per stregone» – il 14 dicembre scorso tradì Antonio Di Pietro per sostenere il Cavaliere.
Un’ora dopo il voto, in una piazza vicina a Montecitorio, venti immigrati furono fermati mentre manifestavano in suo sostegno. Identificati dalla polizia, dichiararono di essere stati assoldati proprio da lui, da Scilipoti .
Ieri è stato uno degli assenti della maggioranza determinando la sconfitta alla camera del Governo.
«Eccomi qua. Cos’è successo?».
Onorevole Domenico Scilipoti, lo sa bene cos’è successo.
«No, dico sul serio: cos’è successo di tanto grave?».
Va bene, se ha deciso di fare quello che…
«Senta, io sto rientrando adesso a Roma e ho solo intuito che c’è un po’ di agitazione…».
Lei la chiama agitazione?
«Mhmm… Vabbè, il governo è andato sotto, ho capito: ma io, scusi, che c’entro?».
Il suo voto, il voto del «responsabile» Scilipoti è mancato.
«Ero fuori. Impegni importanti assai».
Tipo
«Uff…».
Tipo?
«Uuhhh… e non insista, la prego».
Insisto: che impegno aveva?
«A Messina, al Tribunale… avevo una questione… come dire? Preliminare».
E non poteva rimandare?
«E io le chiedo: i capigruppo della maggioranza non potevano farmi una telefonatina e avvertirmi che il governo rischiava di sprofondare?».
Scilipoti, lei li legge i giornali, no?
«Eh…».
La verità è che lei non s’è fatto tanti scrupoli.
«La verità è che nella maggioranza, come appunto raccontano i giornali, c’è dibattito: e anche io, all’interno di questo dibattito, ho una posizione aperta».
Continui
«Scilipoti ritiene…».
Scusi, sta parlando in terza persona
«Sì, certo. Scilipoti ritiene che il fatto di stare dentro una maggioranza non paralizza i deputati. Non è che tutto quello che decidono i vari Verdini o Cicchitto è oro colato. Voglio dire: io, lo scorso 14 dicembre, lasciando l’Italia dei valori e votando la fiducia al governo Berlusconi mi sono immolato per il bene degli italiani. Quindi, sempre per il bene del Paese, ora posso anche fare un passo indietro».
Questa è una notizia.
«Il fatto è che dobbiamo uscire da certi schemi ingessati. Non è che lì a Montecitorio siamo solo per dire sì, o no, a seconda di come ci viene ordinato. Io ho le mie idee su come far uscire l’Italia da questa crisi. Ma se le mie idee vengono sempre ignorate, poichè ho a cuore le sorti del Paese, posso anche rivedere certe posizioni, e guardarmi intorno…».
Sta parlando con Scajola e Pisanu
«Io non ci parlo con quelli che stanno in Parlamento da trent’anni e si propongono come alternativa a Berlusconi. Non ha senso chiedere a Berlusconi di tornarsene ad Arcore, per poi ritrovarsi davanti facce di signori che frequentano il Parlamento dai tempi di Fanfani… Ri/nno/va/re! Ri/nno/va/re! Ri/nno/va/re!».
Berlusconi non apprezzerà .
«Berlusconi di qua, Berlusconi di là … Senta: io, quando feci la scelta che sappiamo, e che m’è costata cattiverie e insulti, decisi con il Cavaliere un certo tipo di percorso. Ora, visto che le cose non stanno andando come previsto, io entro nel dibattito che s’è sviluppato dentro la maggioranza, e sto, come dicono quelli che parlano bene, nella dialettica, e mi muovo, ascolto…».
E poi?
«E poi decido, è chiaro. Scilipoti è uno che decide. Si sa, no?».
Fabrizio Roncone
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
NEL DISASTRATO ESERCITO BERLUSCONIANO SUONA L’ORA DEL “ROMPETE LE RIGHE”
Le anime candide, fuori dal Palazzo, potranno anche prendere per buona l’ultima menzogna spacciata a microfoni unificati da Berlusconi e Bossi. “È un problema tecnico risolvibile”, hanno detto i due fantasmatici rais dell’ormai ex maggioranza forzaleghista.
Ma la sorprendente sconfitta numerica subita alla Camera sull’assestamento al bilancio è una sconfitta politica devastante, e forse definitiva, per quel che rimane del centrodestra.
Intanto, non è affatto detto che sia risolvibile dal punto di vista tecnico.
Un governo che va avanti come se nulla fosse, dopo aver incassato il no del Parlamento non su una legge qualsiasi, ma su un atto normativo di rilevanza costituzionale come il rendiconto di finanza pubblica, non si era mai visto.
Ci sono solo un paio di precedenti, nella storia repubblicana, il più simile dei quali risale al governo Goria del 1988, che non a caso cadde subito dopo esser finito più volte in minoranza nel voto sulla Legge Finanziaria.
Ma è evidente a tutti, al di là della valenza tecnica e formale del caso, che quella che si è prodotta nell’assemblea di Montecitorio è una rottura politica e sostanziale. Probabilmente irreparabile, a dispetto della penose e consolatorie assicurazioni fornite dal Cavaliere e dal Senatur.
C’è un momento, anche nell’anomalia assoluta del berlusconismo, nel quale le leggi della politica ritrovano una coerenza irriducibile.
Nel quale le tensioni e i conflitti precipitano e convergono, tutti insieme, verso una conclusione inevitabile.
Questo è quel momento.
Si percepiva da mesi, ormai, il drammatico divorzio umano (prima ancora che politico) tra il presidente del Consiglio e il suo ministro del Tesoro, trasfigurato nell’odioso Ghino di Tacco di una coalizione affamata dai tagli lineari e assetata di denaro pubblico da spendere.
Si vedeva da settimane, ormai, il lento ma inequivoco sfilacciamento di un Pdl ridotto a un ectoplasma, sotto la guida incerta e inconsistente di un Alfano che nasce come segretario del capo e non certo del partito, e che non può e non sa fronteggiare le correnti, coordinare le fazioni, dominare i cacicchi.
Si temeva da giorni, ormai, il fatidico “incidente di percorso”, in Parlamento e fuori, che faceva tremare il “cerchio magico” del premier, disperato e assediato nel suo bunker. Palazzo Grazioli come il Palazzo d’Inverno.
Alla Camera, a far mancare i voti che servivano, tra gli altri sono stati proprio Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Claudio Scajola.
Tutto questo non può essere solo un caso.
Non può essere un caso, se il vecchio Senatur ritarda l’ingresso in aula, confuso per la lesa maestà padana e stordito dall’inedita e inaudita vandea leghista che lo vede per la prima volta contestato dalla sua base.
Non può essere un caso, se il superministro dell’Economia diserta un appuntamento in cui si discute e si vota un provvedimento-chiave di cui lui stesso è titolare.
E non può essere un caso, se l’ex ministro dello Sviluppo si eclissa poche ore dopo un “pranzo tra amici”, come lui stesso ha definito quello che ha da poco consumato insieme al Cavaliere.
Forse non c’è complotto. Non ancora, almeno.
Ma nel disastrato esercito berlusconiano risuona forte e chiaro il “rompete le righe”. Quello che succede è la dimostrazione pratica di ciò che era evidente già da più di un anno: un governo non sta in piedi, con la sola forza inerziale dell’aritmetica.
Se non c’è la spinta della politica, con la quale far muovere la “macchina”, un governo prima o poi cade.
E questa spinta, ammesso che ci sia mai stata, manca palesemente.
Almeno dal 14 dicembre 2010.
Si può senz’altro dire che Gianfranco Fini ha sbagliato i suoi calcoli.
Che allora la spallata futurista non è riuscita.
Che il Cavaliere ha resistito e oggi il presidente della Camera esprime un potenziale elettorale modesto, intorno al 3-4%.
È tutto vero. Ma è altrettanto vero che da quel giorno, dalla scissione degli ex di An dal Pdl, la maggioranza è “clinicamente” morta.
Da allora nulla è stato più prodotto, nella residua ridotta verde-azzurra di B&B, Berlusconi & Bossi.
Non una riforma strutturale, non una legge qualificante.
La stessa maxi-manovra estiva nasce dalla “gestione commissariale” del Colle e di Via Nazionale (cioè dalle pressioni di Napolitano e Draghi) e non certo dall’azione materiale di Arcore o di Via XX Settembre.
Si è ironizzato a lungo, sulle “self-fulfilling prophecies” di quelli che annunciano da mesi e mesi la caduta imminente del re nudo, e sulle speculari doti di resistenza del medesimo.
Ma alla fine, anche nel Paese di Berluscolandia, la realtà si impone sulla propaganda.
La realtà , oggi, dice che il presidente del Consiglio deve recarsi al Quirinale, e rassegnare le sue dimissioni: sarebbe impensabile derubricare quello che è accaduto come un banale inciampo procedurale, mentre è un vulnus politico di gravità eccezionale.
La realtà , oggi, dice che non sono ammissibili trucchi da illusionista o bizantinismi da leguleio, tipo Consiglio dei ministri che riapprova l’aggiornamento al bilancio pubblico e lo fa rivotare dal Senato: sarebbe uno strappo inaccettabile alle regole e uno schiaffo intollerabile al Parlamento.
La realtà , oggi, dice che il presidente della Repubblica, se com’è giusto non interverrà proditoriamente per interrompere questa nefasta avventura di governo, com’è altrettanto giusto non interverrà artificiosamente per prolungarla. Berlusconi e Bossi, dopo quello che è accaduto, non esistono più.
Sono “anime morte”, come quelle di Gogol.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
LA MAGISTRATURA CONTABILE ESPRIME “FORTI PERPLESSITA” SUL DDL, LE RISORSE PREVISTE SONO GIA’ STATE USATE NEL DECRETO DI AGOSTO… “OCCORRE TASSARE BENI E PERSONE REALI, ATTENZIONE AL TAGLIO DELLA SPESA SOCIALE”
La Corte dei conti boccia la riforma fiscale: non ha copertura finanziaria, anche perchè
parte delle entrate sono state usate dal decreto di agosto. Bisogna quindi tassare beni “personali e reali”, evitando i tagli lineari alle agevolazioni che “sarebbero recessivi” e “si concentrerebbero soprattutto su coloro che già pagano l’imposta e, più specificamente, sui contribuenti che si collocano nelle classi di reddito meno elevate”. Lo ha detto il presidente della Corte, Luigi Giampaolino, parlando davanti alla commissione Finanze della Camera.
Secondo Giampaolino, il ddl delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale “risulta ormai spiazzato dagli eventi che hanno riportato in primo piano le esigenze di rigore” e le “incertezze” che lo caratterizzano sul fronte della copertura dovrebbero indurre a “esplorare fonti di gettito nuove, in direzione di basi imponibili personali o reali che non insistano sul lavoro e sulle imprese”.
Questo, “anche nella consapevolezza che la strada di una riduzione del perimetro della spesa sociale risulta difficile da percorrere e rischia di produrre effetti non diversi da quelli derivanti da un prelievo eccessivo e distorto”.
In generale, è il giudizio della Corte dei conti, gli esiti della riforma fiscale sono “incerti” perchè oggi i suoi obiettivi devono “coesistere con più ristretti spazi di manovra”.
In particolare, le incertezze derivano dalle decisioni “assunte d’urgenza per fronteggiare le recenti turbolenze economiche” che hanno comportato “un’ulteriore restrizione degli spazi utilizzabili dal riformatore fiscale”, e sono inoltre aggravate dalle “preoccupazioni” sulla situazione economica (che rischiano di aggravare gli squilibri di finanza pubblica), dal perdurare di una crescita quasi in stallo e dall’aumento dei “vincoli derivanti dall’impennata del debito pubblico”.
Il presidente Giampaolino evidenzia poi come i nuovi assetti disegnati dal ddl delega prefigurino “più che una generalizzata riduzione del prelievo fiscale, un’estesa operazione redistributiva”, mentre la “molteplicità e la rilevanza” degli obiettivi perseguiti dal ddl rendono “doveroso interrogarsi sia sull’idoneità dei mezzi di copertura sia sul rischio di un conflitto nella destinazione delle risorse acquisibili”.
Oltretutto, ha rilevato il magistrato, i tempi sono stretti se si vuole evitare l’attivazione dei tagli automatici alle agevolazioni.
Per Giampaolino il ddl richiede una maggiore precisazione dei criteri direttivi, ma conserva la sua attualità negli obiettivi di riforma del sistema tributario, in linea con le esigenze di ripresa e che richiede tempi stringenti per l’approvazione anche dei decreti attuativi.
Infatti, ha osservato Giampaolino, i rilevanti effetti finanziari connessi alla delega – 4 miliardi per il 2012, 16 per il 2013 e 20 nel 2014, peraltro da anticipare, ai sensi di quanto disposto con le manovre estive – sono già stati incorporati nel quadro di finanza pubblica delineato dalla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2011.
“Va, pertanto, evitato – dice Giampaolino – che risulti inevitabile l’attivazione della clausola di salvaguardia del taglio automatico e lineare delle agevolazioni”.
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
CON GLI INTERVENTI DI URBANIZZAZIONE SUCCESSIVA AI CONDONI SI E’ SEMPRE SPESO PIU’ DI QUANTO INCASSATO…E OGNI SANATORIA PORTA A UNA LEGITTIMAZIONE DELL’EVASIONE E DEGLI ABUSI
Sul promontorio di Capo Vaticano, che Giuseppe Berto definì «uno dei luoghi più belli della Terra», svettano due ville «transgeniche».
I proprietari hanno scavato due enormi buche, ci hanno costruito dentro il pavimento e le pareti e chiesto il condono: vasche di irrigazione.
Poi, tolta l’acqua, rimossa la terra intorno, aperte le finestre, ci hanno piazzato sopra un tetto et voilà : due ville.
Uno Stato serio le butterebbe giù con la dinamite: non prendi per il naso lo Stato, nei Paesi seri. Da noi, no.
Anzi, nonostante sia sotto attacco da anni l’unica ricchezza che abbiamo, cioè la bellezza, il paesaggio, il patrimonio artistico, c’è chi torna a proporre un nuovo condono edilizio.
L’ha ribadito Fabrizio Cicchitto: «Se serve si può mettere mano anche al condono edilizio e fiscale. L’etica non si misura su questo ma sulla capacità di trovar risorse per la crescita». Ricordare che lui e gli altri avevano giurato ogni volta che sarebbe stata l’«ultimissimissima» sanatoria è inutile.
Non arrossiscono.
Ma poichè sono trascorse solo sei settimane dalle solenni dichiarazioni berlusconiane di guerra all’evasione (con tanto di spot) vale almeno la pena di ricordare pochi punti.
Il primo è che la rivista «Fiscooggi.it» dell’Agenzia delle Entrate, al di sopra di ogni sospetto, ha calcolato che dal 1973 al 2003 lo Stato ha incassato coi condoni edilizi, tributari e così via 26 miliardi di euro.
Cioè 15 euro a testa l’anno per italiano: una pizza e una birra.
In cambio, è stato annientato quel po’ che c’era di rispetto delle regole.
Secondo, il Comune di Roma, per fare un esempio, dai due condoni edilizi del 1985 e del 1994 ricavò complessivamente, in moneta attuale, 480 milioni di euro: 1.543 per ognuna delle 311 mila abitazioni sanate.
In compenso, fu costretto per ciascuna a spenderne in opere di urbanizzazione oltre 30 mila. Somma finale: un «rosso» di 28.500 euro ogni casa condonata.
Bell’affare…
Terzo: la sola voce di un possibile condono, in un Paese come il nostro, dove secondo gli studi dell’urbanista Paolo Berdini esistono 4.400.000 abitazioni abusive (il che significa che una famiglia italiana su cinque vive o va in ferie in una casa fuorilegge) scatena febbrili corse al mattone sporco.
Ricordate le rassicurazioni dopo l’ultima sanatoria?
Disse l’allora ministro Giuliano Urbani che il condono era limitato a «piccolissimi abusi, finestre aperte o chiuse, che riguardano la gente perbene».
Come sia finita è presto detto: dal 2003 a oggi sono state costruite, accusa Legambiente, almeno altre 240.500 case abusive.
Compreso un intero rione, vicino a Napoli, di 73 palazzine per un totale di 450 appartamenti.
Non bastasse, tre condoni hanno dimostrato definitivamente un fatto incontestabile: tutti pagano l’obolo iniziale per bloccare le inchieste e le ruspe, poi la stragrande maggioranza se ne infischia di portare a termine la pratica nella certezza che la burocrazia si dimenticherà di loro.
Solo a Roma i fascicoli inevasi delle tre sanatorie sono 597 mila.
Di questi 417 mila giacciono lì da 25 anni.
E vogliamo insistere con i condoni?
Piaccia o no a chi disprezza i «moralisti», salvare ciò che resta del paesaggio d’Italia non è solo una questione estetica ma etica.
E visti i danni già causati dagli abusivi al patrimonio e al turismo, anche economica.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
LA SOLITA TEORIA DI PROVVEDIMENTI A COSTO ZERO…POSSIBILE STRETTA SULLE BABY PENSIONI
E’ ancora battaglia sul condono. 
«Non va escluso», ribadisce Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera.
«Non è praticabile», gli replica Luigi Casero, sottosegretario all’Economia.
«Riforme sì, condono no», titola la Padania.
Così, mentre le tensioni nella maggioranza si acuiscono e nessuno ancora esclude una patrimoniale anche in versione “mini”, slittano sia il decreto Sviluppo che la Legge di Stabilità (la ex Finanziaria), per un varo forse contestuale.
«Entro fine ottobre», riferisce Casero per il dl sviluppo, ma «senza condoni».
Tra i motivi del ritardo anche il duro braccio di ferro tra i dicasteri sui tagli da 7 miliardi decisi dalle manovre estive.
Alla Ragioneria dello Stato non sarebbero pervenute ancora le proposte dei ministri sulla distribuzione dei sacrifici.
La Legge di Stabilità , da approvare entro il 15 ottobre di ogni anno, potrebbe intanto prevedere nuove misure: un prelievo dell’1% sulle baby-pensioni di coloro che hanno smesso di lavorare prima dei 50 anni (soprattutto dipendenti pubblici) e la proroga al 2012 della tassazione agevolata sui premi di produttività .
Agevolazione pari al 10%.
«Il condono fiscale può essere collegato alla riforma fiscale», dunque al di fuori del decreto Sviluppo, «per abbattere il debito», insiste Cicchitto che in un duro articolo, pubblicato sul Foglio, bolla la contrarietà sul tema espressa da Cgil, Pd e Confindustria come «fanatismo ideologico» e «moralismo da quattro soldi».
E definisce Tremonti novello Savonarola, per il suo modo di difendere la lotta all’evasione e la scelta dei tagli lineari in manovra, «il contrario del riformismo».
Il ministro dell’Economia intanto da Milano, dopo un lungo vertice nella sede della Lega con Bossi, fa trapelare che i soldi non ci sono e il decreto sarà a “costo zero” per la semplificazione e le liberalizzazioni, così come delineato da lui stesso prima di essere escluso dalla cabina di regia sul decreto per la crescita affidata al ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani.
La posizione di Tremonti e anche quella di Bossi pare, dunque, definita: nessun tipo di sanatoria in vista.
Confermata dallo stesso Casero: «La maggioranza ritiene che non sia da fare e la nota del governo è chiarissima».
E non per motivazioni «etico-politiche», spiega il sottosegretario, ma tecniche: «La Ue non permette un condono Iva».
Come già accaduto nel 2008 sul tombale di sei anni prima.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
“ANCHE TREMONTI SI DOVRA’ RICREDERE”…IL PREMIER PUNTA ALLA SANATORIA FISCALE E A QUELLA EDILIZIA… PER BOSSI I CONDONI “SONO ROBA DA TERRONI”
Berlusconi è carico come una molla.
Stavolta non è disposto a fare retromarcia sul decreto Sviluppo: è convinto infatti di aver ingaggiato la battaglia decisiva, quella che determinerà il risultato delle prossime elezioni.
E sa che un passo falso non sarebbe perdonato. “Tremonti – ha detto il premier a uno dei coordinatori del Pdl – ha assunto una posizione ideologica sul condono, ma si dovrà ricredere”.
Per il capo del governo non ci sono infatti altre strade possibili per incassare quei miliardi che servono a finanziare la crescita.
E non sente ragioni: “Se facciamo il condono fiscale, se lo uniamo magari a una sanatoria sui piccoli abusi edilizi e diamo una scossa all’economia, vi assicuro che le prossime elezioni le rivinciamo noi”.
I suoi gli suggeriscono anche una patrimoniale leggera, ma su questo non hanno ancora fatto breccia
La speranza di risalire nei sondaggi e potersi quindi ripresentare, unita alla mobilitazione di tutto il Pdl – ne è una prova il piglio antitremontiano assunto ieri da Chicchitto e Bondi – lo sta spingendo verso un nuovo corpo a corpo con il ministro dell’Economia.
E in molti, nel governo e nel partito di maggioranza, si augurano che sia quello definitivo, che il duello si concluda insomma con la testa del “professore” sul piatto.
“Tremonti con la sua rigidità – è il sospetto di un ministro di peso – finirà per far cadere il governo. È questo che vuole? Sta cercando l’incidente per una crisi?”.
Le mosse del ministro dell’Economia vengono passate ai raggi X e la decisione di partecipare ieri al direttivo della Lega, insieme con Bossi e tutti i colonnelli del cerchio magico, è stato un segnale che a palazzo Chigi è arrivato forte e chiaro. “Tremonti – spiega un fedelissimo del premier – è andato a cercare la sponda del Carroccio contro di noi. Non a caso, dopo l’incontro a via Bellerio, Bossi e Tremonti hanno fatto filtrare il loro comune “no” all’ipotesi del condono”.
Desta sospetti nel Pdl anche l’apparente disinteresse dei leghisti sui contenuti del decreto Sviluppo, quasi preludesse a un disimpegno dall’alleanza di governo, motivato proprio con la stroncatura di un provvedimento che non li ha visti protagonisti.
La tensione è tornata quindi alle stelle.
A via dell’Umiltà sono certi che “le posizioni di Tremonti si vanno indebolendo giorno dopo giorno” e la riprova starebbe nella circostanza che il ministro “è stato costretto a cercare la protezione del Carroccio”.
È un fatto tuttavia che questa “protezione” è arrivata, eccome.
Un ambasciatore del premier che ieri ha provato a sondare Bossi sul condono, si è sentito rispondere al telefono con un vocione roco: “È roba da terroni, al Nord non serve”.
Quanto al decreto Sviluppo, Tremonti ha garantito al ministro Romani il supporto tecnico di un team di via Venti Settembre, ma nulla di più.
Anzi, parlando con un amico non ha resistito a una battuta delle sue: “Quello pensa di essere Romani-San, ma io lo aspetto in cima alla montagna con la mia Katana”. Insomma, quando il povero Romani andrà a presentare il decretone a Tremonti, troverà il ministro pronto a brandire lo spadone del “costo zero”.
È infatti su questi due ceppi che il ministro dell’Economia ha per ora incatenato Berlusconi: no al condono e misure a “costo zero”.
Ma c’è un’altra battaglia in vista nel governo fra Tremonti e tutti i suoi colleghi, quella sui tagli da sette miliardi ai ministeri.
E il giorno caldo sarà giovedì, quando il Consiglio dei ministri dovrebbe dare via libera alla Legge di Stabilità , il nuovo strumento (che contiene le tabelle con i tagli) che ha sostituito la vecchia Finanziaria.
Le sforbiciate ai ministeri sono state fissate da un decreto di Berlusconi, ma spetta ai singoli ministri decidere a cosa rinunciare nel 2012.
Il fatto è che, nonostante il termine sia scaduto da una settimana, alla Ragioneria non hanno ancora ricevuto alcuna tabella.
Si dice che Tremonti, preoccupato di dover fronteggiare la rivolta, abbia provato intanto a dividere il fronte nemico.
Garantendo a Ignazio La Russa, che resta anche uno dei coordinatori del Pdl, parte dei fondi incassati con l’asta della banda larga.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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