Ottobre 16th, 2011 Riccardo Fucile
“LA LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI E’ CONTRO LA LIBERTA’, BERLUSCONI DEVE ANDARSENE E SENZA TUTELE LEGALI”
Di Berlusconi parla solo al tempo imperfetto, o comunque al passato: “E’ arrivato al
tramonto. Dovrebbe andarsene e basta. E altro che salvacondotto”.
Su Alfano è cortesemente scettica: “Dimostrerà di avere le doti da leader quando imparerà a dire no al premier, senza viverlo come un tradimento”.
Di Casini dice un gran bene: “Ha capito prima di Fini che con Berlusconi non si andava lontano”.
Fino a poco tempo fa, di tutta questa politica Giulia Bongiorno non avrebbe accettato di parlare.
Occhio dunque all’avvocato inflessibile, regina di spade affilate nel far la guerra a Berlusconi (“Ma combattere non è una scelta, è una necessità “).
Ex legale prodigio del processo Andreotti, ex sostenitrice del referendum contro la legge sulla fecondazione assistita, ex tecnico “semplice” prestato alla politica, la Bongiorno sembra in procinto di reincarnarsi di nuovo, anzi forse ha già cominciato.
In un politico a tutto tondo, magari.
Terremoto permanente, lei, del resto.
Così, dopo aver messo tutta la sua determinata prudenza nell’impersonare il ruolo di consigliere giuridico di Gianfranco Fini, ha allargato il suo spettro d’azione.
Nell’ultimo anno è, fra l’altro, saltata sul palco di “Se non ora quando”, ha ribaltato la sentenza di primo grado del processo Meredith, partorito un figlio, finito di sistemare foto e libri nello studio che fu di Andreotti, avviato un’azione legale contro il policlinico Gemelli per il caso Tbc, valutato la candidatura a sindaco di Palermo.
Insomma, non solo commi, non più discussioni con Ghedini, basta pure con lo stereotipo di “signorina No” che si è guadagnata, appunto rifiutando sempre i diktat del premier. Sono gli altri che dicono sempre sì “a uno schioccar di dita del premier”, ha chiarito giorni fa.
Quando, al Cavaliere, ha messo il suo ultimo paletto sul disegno di legge sulle intercettazioni, dimettendosi da relatrice dopo che il Pdl ha confermato la sua volontà di dare una ulteriore stretta alle norme che limitano gli ascolti.
“Ritengo che quella sulle intercettazioni sia la legge simbolo di questa legislatura”, dice: “Simbolo, anzitutto, della grande illusione che ha voluto dare Berlusconi”.
Quale illusione?
“La sua fortuna è stata quella di aver saputo intercettare gli umori post Mani Pulite. E’ stato capace di dare una risposta a coloro che ritenevano ci fossero stati degli eccessi: si è presentato come l’uomo che voleva portare avanti un’idea di libertà , contro il giustizialismo e le manette. Una grande trovata iniziale, che gli ha portato molti voti. Tanti anni dopo, la legge sulle intercettazioni, oltrechè naturalmente – scopo principale – servire a lui, voleva rappresentare anche un segnale del tipo “sono dalla parte delle vittime della giustizia”.
Però, alla fine, come al solito, Berlusconi ha fatto prevalere il proprio interesse su quello degli elettori: così ha creato una legge che tradisce persino il nome del suo partito. Questa è una legge che tradisce la libertà : di informazione, di cronaca.
Quindi non è vero che a Berlusconi interessi la libertà : gli interessa la sua propria, di libertà , casomai. Così come pensare o prevedere il carcere per i giornalisti dimostra che il suo garantismo viene annunciato in teoria, e tradito in realtà “.
L’illusione, dunque, è svelata, dice Bongiorno, e la “maschera calata”: ed è per questo che “Berlusconi non riesce a comunicare più se stesso: perchè dopo tutto quello che ha fatto, nessuno può credergli più”.
Sulle gambe della legge per limitare le intercettazioni, del resto, ha camminato anche la rottura tra il premier e Fini. Storia che lei conosce bene, e da vicino.
“Dopo tanto discutere eravamo arrivati a un compromesso, un accordo che il Pdl ha stravolto senza nemmeno averne pronto un altro. Una scelta che non riesco a capire. Hanno dimostrato mancanza di politica, alla fine. Si dice sempre che Berlusconi è un grande e cattivissimo stratega: secondo me, invece, c’è tanta improvvisazione; cambiano idea quotidianamente a seconda di quel che si legge sui giornali, e così diventano poco credibili. E faticano anche a raggiungere i loro obiettivi”.
Susanna Turco
(da “L’Espresso“)
argomento: Berlusconi, Giustizia, governo, Politica, radici e valori | Commenta »
Ottobre 16th, 2011 Riccardo Fucile
DURA LETTERA AL MINISTRO MARONI, COLUI CHE SI INTESTA POI I SUCCESSI DELLE OPERAZIONI ANTIMAFIA
Il governo Berlusconi taglia i fondi all’Antimafia.
Con una durissima lettera di protesta, indirizzata personalmente al ministro dell’Interno Roberto Maroni, tutti i sindacati delle forze di polizia denunciano pubblicamente che sono stati ridotti in blocco del 20 per cento perfino gli stipendi degli agenti della Direzione investigativa Antimafia, il corpo nazionale di investigatori specializzati che fu voluto da Giovanni Falcone e che in questi anni ha già subito pesantissimi tagli alle strutture e al personale.
La lettera, firmata da tutti gli organismi rappresentativi, dal Siulp al Silp fino al Sap e ai funzionari di polizia, chiede a Maroni di dissociarsi da una misura che metterebbe a serio rischio la lotta alla mafia, oppure di assumersi la responsabilità politica di sciogliere definitivamente la Dia per mancanza di fondi.
I rappresentanti delle forze di polizia ricordano inoltre che gli straordinari successi vantati dal governo nella lotta alla mafia sono in realtà dovuti in gran parte alle indagini giudiziarie della Dia, che si ripagano ampiamente i costi grazie a continui sequestri e confische miliardarie di patrimoni mafiosi
La lettera elenca anche un serie di sprechi su cui il governo stranamente non è mai intervenuto, come gli stipendi d’oro riservati ai servizi segreti o i canoni milionari per affittare comandi di polizia che invece potrebbero essere ospitati gratuitamente negli immobili sottratti ai clan.
In esclusiva per l’Espresso, ecco il testo integrale della lettera-choc dei superpoliziotti della Dia.
Onorevole Signor Ministro,
ci rivolgiamo a Lei con fiducia nella Sua veste di massima Autorità politica quale Ministro dell’Interno.
Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera ma gli ultimi avvenimenti che si sono verificati presso la Direzione Investigativa Antimafia ci hanno spinto a farlo.
Dai primi giorni di luglio, come Lei sa, si è insediato il Direttore della D.I.A. “pro tempore”, di nuova nomina.
Questi, come primo atto, senza concertazione alcuna, ha messo a disposizione del Dipartimento della P.S. l’indennità aggiuntiva che i dipendenti D.I.A. percepiscono dal 1992, come previsto dalla legge istitutiva: un taglio di circa 7 milioni di euro, che comporterà una decurtazione dello stipendio al personale pari al 20%; una “punizione” nei confronti di chi, fino ad oggi, ha costantemente raggiunto brillanti risultati di servizio.
L’indennità “incriminata”, peraltro, è notevolmente inferiore a quella percepita dai dipendenti delle Agenzie di informazione DIS, AISI e AISE e, nonostante sia a questa legata, non è mai stata adeguata a livello ISTAT.
I circa 1300 operatori D.I.A., grazie alla loro professionalità , hanno conseguito risultati eccellenti nell’azione di contrasto.
A titolo esemplificativo, in tema di aggressione ai patrimoni mafiosi, nel periodo 2009 — 2011 (primo semestre) sono stati sequestrati e confiscati beni stimati, rispettivamente, per un valore di 5,7 miliardi di euro e di 1,2, miliardi di euro.
Tutto ciò rende la D.I.A., in termini aziendalistici, “un’impresa in attivo” che contribuisce in maniera significativa ad implementare le risorse del Ministero dell’Interno e della Giustizia attraverso il FUG.
Il vertice della struttura, prima di intraprendere azioni estemporanee, avrebbe potuto proporre risparmi di spesa conseguenti ad una gestione più oculata delle risorse: anzichè mettere le mani nelle tasche dei dipendenti, avrebbe potuto operare sui costi di locazione delle sedi occupate dai Centri Operativi trasferendole in immobili demaniali oppure confiscati alla criminalità organizzata.
A questo proposito citiamo l’esempio del Centro Operativo di Palermo che in questi giorni si trasferirà presso una villa confiscata alla mafia.
Altra nota dolente è il costo dell’immobile che ospita a Roma, in zona Anagnina, gli uffici centrali della Direzione Investigativa Antimafia, della Direzione Centrale Servizi Antidroga e della Direzione Centrale Polizia Criminale, il cui canone di locazione, esorbitante, ammonta a circa 17 milioni di euro annui.
Con il suo “atto d’imperio” il Direttore della D.I.A. sembra volersi sostituire a Lei ed al Legislatore, quindi all’intero Parlamento.
Come Lei può immaginare, l’iniziativa ha creato malumore e mortificazione in tutto il personale D.I.A., di ogni ordine, qualifica, grado e provenienza (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Amministrazione Civile dell’Interno), generando in esso un senso di mancata considerazione per l’opera prestata con impegno costante ed abnegazione, a volte mettendo a repentaglio la propria incolumità , nella consapevolezza e convinzione di rendere un servizio al Paese.
Sicuramente l’azione della D.I.A. ha dato prestigio allo Stato in campo nazionale ed internazionale ed ha riscosso il massimo consenso anche nell’opinione pubblica.
I risultati ottenuti sono tangibili: è sufficiente consultare le relazioni semestrali periodicamente inviate al Parlamento.
Tutto ciò con le difficoltà che Lei può immaginare, dovute a risorse economiche destinate alla D.I.A., sempre minori nel corso degli anni: dai 28 milioni di euro stanziati per la D.I.A. nel 2001 si è passati ai 15 milioni di euro attuali; a personale sotto organico, poco più di 1300 unità contro le 1500 previste; a continue emorragie di personale D.I.A. impiegato in “uffici doppione” presso la D.C.P.C. (i gruppi di lavoro sulle “Grandi Opere”, G.I.C.E.R., G.I.C.E.X., G.I.T.A.V.); alla disparità di trattamento nella progressione in carriera riservato al personale D.I.A. nelle rispettive amministrazioni di appartenenza non essendo mai stato istituito il previsto “ruolo speciale”.
Ci creda, Signor Ministro, tutto questo appare avvilente ed inaccettabile.
Abbiamo il dovere morale di denunciare questo ennesimo tentativo di depauperamento della D.I.A., così fortemente voluta da Giovanni Falcone, attentando così anche alle sue idee.
Le nostre parole non sono una difesa corporativista della Struttura ove siamo onorati di prestare servizio ed a cui abbiamo dedicato con orgoglio gran parte del nostro percorso professionale: sono invece espressione del senso di sentita appartenenza allo Stato per il quale magistrati, uomini e donne delle Forze di Polizia e cittadini hanno dato la propria vita.
Signor Ministro, ci dia una risposta: è stato questo soltanto il frutto di un’iniziativa scomposta da parte di un alto burocrate del Dipartimento o è l’espressione di una precisa volontà politica?
In quest’ultimo caso, La invitiamo ad assumersi, innanzi al Paese, la responsabilità , chiara e trasparente, di “cancellare” l’Istituzione che rappresenta l’organismo antimafia per eccellenza.
Se, invece, tutto ciò è avvenuto a sua insaputa, come noi crediamo, ci attendiamo un suo immediato, diretto e risolutivo intervento, capace di restituire a tutto il personale della D.I.A. la serenità necessaria ad operare in un settore così delicato della sicurezza.
(da “L’Espresso“)
argomento: criminalità, denuncia, Giustizia, governo, mafia, Politica, radici e valori, Sicurezza | Commenta »