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ACCUSATI DI CAMORRA, MA PAGATI DALLA REGIONE CAMPANIA

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

IN TRE PERCEPISCONO IL VITALIZIO, IN CALABRIA UN ARRESTATO ANCORA PRENDE L’INDENNITA’

Si sono presentati agli elettori parlando di trasparenza e di onestà .
Si sono fatti votare pronunciando parole di fuoco contro mafia e camorra.
Si sono fatti eleggere nei parlamentini regionali e hanno giurato fedeltà  alla Repubblica e alle sue leggi.
Si sono fregiati del titolo di onorevole e poi hanno fatto come gli pareva.
Hanno preso mazzette e trafficato con boss importanti per avere voti e potere.
Li hanno arrestati, qualcuno è in attesa di un giudizio, altri sono stati già  giudicati e condannati a passare un periodo della loro vita in galera.
Eppure vengono ancora pagati, formalmente dalle Regioni, nella sostanza dai contribuenti.
Accade in Campania, dove il quotidiano Il Mattino ha scoperto che ben tre consiglieri regionali finiti nel mirino della magistratura per rapporti opachi con boss e famiglie di camorra, percepiscono ancora uno stipendio.
Centomila euro di indennità , tanto costano gli onorevoli pregiudicati agli sfortunati contribuenti campani.
Si tratta di Roberto Conte, che fu condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa quando era un esponente del centrosinistra, ricandidato dal centrodestra e rieletto alle regionali del 2010.
Dopo una estenuante battaglia legale è rimasto fuori dal Consiglio.
Enrico Fabozzi, invece, è stato eletto con il Pd.
Era sindaco di Villa Literno e i magistrati lo accusano di legami con la terribile camorra dei “Casalesi”, ora è in carcere.
Alberico Gambino, ex sindaco di Pagani, in una zona del Salernitano ad alta densità  mafiosa, è agli arresti domiciliari per voto di scambio politico-mafioso e concussione.
Tutti e tre non frequentano le aule del Consiglio regionale, non legiferano, non vanno nelle Commissioni, insomma, non lavorano, ma vengono pagati.
Uno stipendio di 4.500 euro mensili, di cui la metà  in busta paga (2.250, più dello stipendio di un professore di liceo o di un poliziotto), il resto per coprire le spese del vitalizio di fine legislatura.
Una pacchia come in Calabria, dove i consiglieri arrestati per rapporti con la mafia sono due: Santi Zappalà  e Franco Morelli, entrambi eletti nella lista del Pdl a sostegno del governatore Giuseppe Scopelliti.
Zappalà  non percepisce emolumenti essendosi dimesso, Morelli, ancora in carcere a Milano, incassa la metà  dell’indennità , qualcosa come 2.800-3 mila euro mensili.
Regione garantista, in Calabria è stabilito per legge che “in caso di provvedimento definitivo di proscioglimento” al consigliere sospeso viene restituito tutto, anche gli arretrati.
Stipendi a go-gò, uno scandalo reso possibile dal fatto che Campania e Calabria non hanno mai deciso di cambiare la legge, così come è avvenuto in Lombardia (dove al consigliere sospeso va solo il 90% della indennità ), e di renderla più severa.
In Campania, il Pd nell’autunno scorso presentò una radicale proposta di modifica. Il Consiglio votò in seduta segreta e la respinse.
Morale amara della favola, sotto il Vesuvio ci sono tre consiglieri regionali nei guai per i loro rapporti con la camorra che non danno alcun contributo alla vita della Regione, eppure sono ancora stipendiati, con il risultato — scrive Il Mattino — che si pagano non gli stipendi di 61 consiglieri (presidente compreso), ma di 62 e mezzo…”.
Miracoli napoletani.
Scandali italiani.

Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’ORACOLO NERO CON LA LEGION D’ONORE CHE DETTA LA SVOLTA RADICALE A SARKOZY

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

LO STRATEGA CHE POTREBBE FAR VINCERE ANCORA SARKOZY, COME GIA’ FECE NEL 2007, E’ L’ANARCHICO DI DESTRA” PATRICK BUISSON… CUPO, IMBRONCIATO, SEMPRE VESTITO DI NERO E’ L’INTELLETTALE DI DESTRA CHE HA SDOGANATO IL FRONT NATIONAL

Il cardinal Richelieu aveva padre Giuseppe, la sua eminenza grigia; Nicolas Sarkozy, più modestamente, ha Patrick Buisson, la sua anima nera.
I due hanno in comune solo una cosa: il gusto di restare nell’ombra e di esercitare il loro potere apparendo il meno possibile.
Senza Buisson non ci sarebbe il Sarkozy che conosciamo: ammiratore di Charles Maurras e dell’Action Franà§aise, a lungo fiancheggiatore dell’estrema destra, è lo stratega del presidente.
Fu lui, nel 2007, a convincerlo ad arare le terre del Fronte nazionale per recuperare gli elettori di Jean-Marie Le Pen.
Fu ricompensato con la Legion d’onore all’Eliseo: «Senza Patrick, non sarei qui».
Oggi è ancora lui a ispirare la linea spostata a destra, la denuncia dell’immigrazione, delle frontiere colabrodo, dell’assistenzialismo e l’esaltazione della patria, della “France èternelle”, dei valori tradizionali.
È convinto che Sarkozy avrebbe fatto peggio al primo turno se non avesse seguito la sua linea.
I suoi avversari, i leader più moderati, lo accusano di essere stato un apprendista stregone, di aver sdoganato le idee del Fronte nazionale.
Strano personaggio, cupo, imbronciato, sempre vestito di nero e con il bavero del cappotto rialzato, Buisson «è uno dei rari intellettuali di destra», dice un ex trotzkista che lo conosce bene.
Ha sempre rifiutato di entrare all’Eliseo, ma le fatture pagate dalla presidenza alla sua società  sono state contestate dalla Corte dei conti: l’uomo conosce il proprio valore.
«Lo avrei voluto come consigliere, ma non potevo permettermelo», dice perfidamente Jean-Marie Le Pen, che lo ha conosciuto e frequentato negli anni ’80.
Politologo e giornalista, profondo conoscitore della storia francese, è sulla carta cattolico e reazionario.
Ma non è un baciapile, nè un rozzo clericale.
«Un anarchico di destra», dicono.
Sarkozy ne è rimasto affascinato nel 2004, quando Buisson pronosticò una vittoria del no al referendum sulla costituzione europea con il 55 per cento dei voti, centrando in pieno il risultato.
Da allora lo ascolta come un guru.
E di idee Buisson ne ha a iosa.
Nella sua analisi, il voto protestatario non è la componente essenziale del successo frontista. Gli elettori Fn, dice, sono ex sostenitori della destra gollista, che si sentono traditi dall’impegno filo-europeista, ed ex comunisti, nostalgici del vecchio Pcf conservatore, autoritario e nazionalista.
Le sue intuizioni funzionarono nel 2007: «Ha dato a Sarkozy le parole, i codici, il linguaggio che bisogna impiegare con gli elettori del Fronte nazionale», ha riconosciuto lo stesso Le Pen padre.
Forse, però, gli è sfuggita, almeno in parte, la novità  rappresentata dalla figlia, meno legata a quel mondo da cui Buisson viene.
E non ha azzeccato il risultato di domenica: aveva pronosticato Hollande sotto il 26%.
In ogni caso, il presidente-candidato continua ad ascoltarlo come un oracolo e a utilizzare i suoi argomenti: la Nazione, il lavoro, l’autorità , le radici cristiane della Francia, i valori tradizionali.
Se Sarkozy è largo e senza radici, come una ninfea, Buisson gli offre la profondità , consentendogli perfino di citare Gramsci: politicamente colto come pochi, l’anima nera può permettersi di trovare anche a sinistra i mattoni per costruire le sue teorie destrorse.

Gianpiero Martinotti
(da “La Repubblica”)

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A MARSIGLIA SOFFIA IL VENTO MARINE: NON E’ LA PAURA PER GLI STRANIERI, MA L’INSICUREZZA PER L’ECONOMIA A PORTARE VOTI AL FRONT NATIONAL

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

MARINE LE PEN ABBANDONA LE TESI XENOFOBE E PARLA AI FRANCESI DI SECONDA GENERAZIONE DI “NUOVA COMUNITA’ NAZIONALE”….LA COMUNITA’ MUSULMANA GUARDA CON INTERESSE ALL’EVOLUZIONE DEL FN E MOLTI ORA VOTANO PER MARINE

Benvenuti a Marsiglia, la capitale del kalashnikov!”.
Gli slogan dei lepenisti, sarcastici e avvelenati occhieggiano dalla sede del Front National, tra muri scrostati e ruggini degli apparati industriali dismessi.
Ce l’hanno con il presidente uscente, con “Sarko ”.
Il manifesto firmato con il simbolo della fiamma stilizzata è tutto rosso: in mezzo c’è la foto in bianco e nero di un corpo al suolo accompagnata da una scritta bianca a caratteri cubitali: “45% di delitti in più. È questa la sicurezza promessa da Sarkozy?”.
I kalashnikov, la tranquillità  perduta, gli ex muftì islamici che invitano a votare Marine Le Pen. Come è potuto accadere nella capitale della Francia meridionale?
Qui, dove la candidata della destra radicale sfiora il 24%, nulla è come dovrebbe essere, e il frontismo conosce una nuova, ennesima, camaleontica (e vincente) metamorfosi.
Ma per districarsi meglio nel caos di simboli,suggestioni e messaggi, bisogna provare a ricomporre le   tessere del mosaico con un ordine diverso da quello suggerito dalle apparenze. E allora benvenuti a Marsiglia, la città  che un tempo era la capitale dei marinai perduti di Jean Claude Izzo e dei duri alla Jean Gabin, degli immigrati e del melange culturale, della mala vecchia maniera.
E che oggi — invece — ha cambiato la sua faccia, la sua lingua e anche i codici della propria attività  criminale.
I nuovi boss sono quelli che racconta Massimo Carlotto nel suo ultimo libro, Respiro corto (Einaudi).
Non vanno in giro con la pistola silenziata in tasca, vestono con abiti firmati e di buon taglio, abitano case arredate da architetti all’ultimo grido, hanno studiato in università  di prestigio, re-interpretano la vecchia idea del traffico e del contrabbando in chiave post-moderna, ovvero come una delle tante declinazioni possibili della globalizzazione.
Però in città  si spara lo stesso, anzi più di prima.
Perchè le organizzazioni della malavita si sono riconvertite su una dimensione industriale, con criteri commerciali rigorosi e d’avanguardia.
Così saltano fuori i kalashnikov, armi-simbolo.
Prima di tutto come merce lungo le rotte antiche dell’est Europa.
E poi come strumento di risoluzione di controversia.
A novembre ammazzano due persone, tra cui un poliziotto. A dicembre accoppano un privato cittadino in mezzo alla strada.
“È stata una brutta congiuntura — dichiara improvvidamente Claude Guèant, ex nume della comunicazione di Sarkozy — il clima va migliorando”.
Per sua sfortuna, pochi giorni dopo vengono sequestrati ben 12 fucili da combattimento scoperti dalla gendarmerie nei doppifondi di un’auto.
“Ogni volta che Monsieur Guèant parla — tuona sarcastica Marine Le Pen a Radio France— ci ricorda le disfatte e le menzogne di Sarkozy”.
Ma il terzo capitolo di questa storia è il vero successo politico dei lepenisti.
A fine marzo fa scandalo la storia di Omar Djellil, ex militante socialista e membro   di Sos racisme (divenuto celebre per aver fermato una troupe di Tf1, mentre difendeva il diritto alla macellazione islamica).
Djellil inizia a dialogare con un consigliere del Fn, Stèphane Durbec.
Lo invita a visitare la moschea di cui è segretario per scoprire “i musulmani onesti”. Il lepenista accetta.   Dichiarandosi “felice dell’opportunità ”.
E Djellil si spinge a scrivere una lettera in cui invita a votare l’estrema destra contro le bugie di Sarkozy.
Quindi incontra Marine, ed è una folgorazione: “I socialisti davano i nostri voti per scontati, Sarkozy ci ha cancellati come cittadini: votiamo tutti — dichiara — contro il disprezzo social-uempista”.
La de-diabolisisation si cala nel territorio prendendo la forma più opportuna.
A Marsiglia il Fn abbandona la lingua xenofoba di sempre e si mette a parlare di “nuova comunità  nazionale” ai francesi di seconda generazione.
Non sono casi isolati.
Anche M’hammed Henniche, segretario generale della Union des associations musulmanes de Seine-Saint-Denis, arriva a sostenere che il voto al Fn “rompe l’oblio sulla nostra comunità ”.
E che dire del gran Mufti, Soheib Bencheikh? Anche lui a favore dei lepenisti: “Non condivido le loro tesi, ma almeno sono sinceri. Sarkozy, invece è un uomo pericoloso per la Francia. Mette una comunità  in conflitto con l’altra ”.
Spiega Mohammed Colin, direttore del mensile Salam news: “I musulmani frontisti sono una minoranza. Ma contano: sono conservatori, spaventati dalla modernità  e si ritrovano perfettamente inclusi nel binomio nazione — tradizione”.
Dove il voto a destra era in dubbio, poi, pesano le inchieste e gli affari dei socialisti a livello locale.
A pochi giorni dal voto, tutti questi diversi fili si uniscono quando arriva la Le Pen, e tiene un comizio di un’ora e mezza: “Sarò la candidata dello Stato nazione contro il disordine mondialista la candidata della Repubblica contro la barbarie! L’ordine delle bande è la stessa cosa dell’ordine delle Banche”.
È così che il 22 aprile si solleva l’onda blue-Marine.
Alle presidenziali la leader del Fn a Marsiglia è terzadi un soffio. Ma diventa prima in molti comuni della circoscrizione elettorale: Bouches-du-Rhà’ne, Martigues, Marignane, Vitrolles e Cavaillon.
In molte altri centri — a Orange, Arles, Salon, LaCiotat, Aubagne — è seconda.
“In queste città  — sostiene un mariniste come Richard Ghevontian — i voti al Front National non sono stati portati dalla paura per gli stranieri, ma dall’insicurezza per l’economia e per la crisi”.
Tutto vero: dove il localismo della Lega esclude, il nazionalismo anti-globalista dei lepenisti include.
Scandali, kalashnikov, gran Mufti ex nemici che si danno la mano.
Quante barriere ideologiche e religiose che cadono, in nome della grande paura per la crisi globale.

Luca Telese blog

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CARROCCIO, ECCO LE EMAIL DELL’AFFARE TANZANIA: QUEI 90.000 EURO PRELEVATI NON SI SA DA CHI (E PER CONTO DI CHI) E SPARITI NEL NULLA

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

BELSITO TENEVA I DIAMANTI DENTRO IL SUO ARMADIO…SI INDAGA SU 20 ASSEGNI SOSPETTI DI STIFFONI

“Non abbiamo alcun motivo per fornirvi prove testimoniali o documentali che sono in nostro possesso”.
Dopo tre mesi di fax, raccomandate e mail, “tutti rimasti senza seguito”, il 23 marzo 2012 l’avvocato di Stefano Bonet invia l’ultima comunicazione ai revisori della Lega Stiffoni e Castelli e all’avvocato di Belsito, Paolo Scovazzi.
Gli inquirenti hanno ricostruito il carteggio dal quale emerge come in via Bellerio molti fossero al corrente degli investimenti.
Bonet, indagato per riciclaggio e truffa, ritenuto l’ideatore dell’affaire Tanzania, è sotto pressione: i vertici del Carroccio, in particolare Castelli (con cui si incontrerà  più volte) spingono affinchè restituisca i 4,5 milioni che Belsito gli ha inviato a Cipro.
Ma Bonet, titolare della Siram (da cui è partita l’indagine del Noe) sostiene di non averli e di non esserne mai entrato in possesso.
Perchè Belsito non gli ha mai comunicato il “giustificativo” per farsi accreditare i fondi.
E’ la versione dell’imprenditore : la ripete più volte a Castelli.
“Dei soldi sa tutto Belsito”.
A gennaio, quando emerge lo scandalo Tanzania, da via Bellerio il pressing su Bonet si fa intenso:il 28 gennaio deve incontrare a Varese i vertici del partito.
Inizialmente è prevista anche la presenza di Roberto Maroni.
Tre giorni prima, ricostruiscono i pm, “Bonet contattava Restaini, la quale lo avvertiva che aveva appena mandato un messaggio a Maroni”.
L’imprenditore “chiedeva se ci fosse stata una fuga di notizie in merito all’incontro poichè Belsito si manifestava particolarmente nervoso.
Lubiana affermava che ciò era dovuto al fatto che Belsito era stato scaraventato sui giornali, non solo per la vicenda dei fondi, ma soprattutto per quello che riguardava tutta una serie di acquisti di immobili da parte di Bossi ed altri da parte di altri membri (…) del Cerchio Magico.
Se ciò fosse risultato vero il partito ne sarebbe venuto fuori distrutto e tutti sarebbero andati sotto la corrente di Maroni”.
Quello che poi è accaduto.
Ed è la Lega che si è data appuntamento a Zanica (Bergamo) il primo maggio per il “Lega day”:
Intanto domani a Palazzo di Giustizia di Milano ci sarà  un incontro tra i magistrati milanesi e quelli di Reggio Calabria, titolari di due inchieste distinte ma con al centro Belsito.
I pm della Dda raggiungeranno Milano per interrogare l’ex amministratore del Carroccio, indagato dalla Procura reggina per riciclaggio.
Nel pomeriggio si terrà  il vertice.
Altre operazioni sospette riguardano Stiffoni.
Nel rapporto della Uif della Banca d’Italia, inviata ai pm Robledo, Filippini e Pellicano, sono indicate alcune operazioni bancarie ritenute “anomale”.
Oltre 20 assegni circolari e un prelievo in contanti di 90 mila euro senza giustificativo.
Intanto, ieri a Milano sono stati repertati i diamanti sequestrati dalla Gdf nella sede della Lega perchè acquistati da Belsito non per il partito ma per se stesso.
Diamanti che l’ex amministratore custodiva dietro un armadio nella sua casa-ufficio di Genova, ha riferito agli inquirenti, prima di restituirne alla Lega 11 e non 12 come da fattura intestata all’ex tesoriere.
Uno dei suoi avvocati, Alessandro Vaccaro, ci dice di non saperne nulla del diamante mancante ma ribadisce che non c’è stata appropriazione indebita:
“Erano della Lega. Per l’intestazione della fattura a Belsito e non alla Lega ci possono essere motivi burocratici”.

Antonella Mascali e Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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FINMECCANICA: ORSI INDAGATO CON L’UOMO DELLA MAZZETTA LEGHISTA

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

L’APPALTO DI 560 MILIONI PER 12 ELICOTTERI VENDUTI ALL’INDIA: IL COLLETTORE DELLA TANGENTE HA UN NOME

Il presidente di Finmeccanica è indagato dalla Procura di Napoli per corruzione internazionale e riciclaggio.
L’inchiesta sulle presunte tangenti pagate dall’azienda del gruppo, Agusta Westland, di cui Orsi all’epoca era amministratore, per la commessa da 560 milioni di euro relativa a 12 elicotteri AW-101 venduti all’India nel 2010 è a un punto di svolta.
Dopo le perquisizioni di lunedì a Lugano nei confronti dell’uomo chiave dell’affaire secondo l’accusa, il consulente Guido Ralph Haschke, i pm napoletani Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio ed Henry John Woodcoock sono ora alla caccia di quello che gli investigatori chiamano “l’intermediario”: un consulente che avrebbe ricevuto 9 milioni di euro da girare ai politici italiani, Lega Nord in testa.
Il ruolo dell’intermediario, come anche l’intreccio — tutto da riscontrare — di elicotteri, mazzette e fiduciari svizzeri, è stato raccontato agli inquirenti da Lorenzo Borgogni.
“Agusta Westland avrebbe riconosciuto un compenso di 41 milioni di euro a Haschke che sarebbero poi diventati 51 milioni dopo la richiesta di Orsi allo stesso Haschke di sottrarre al suo compenso ben 9 milioni a favore di un consulente che dovrebbe chiamarsi ‘Christian Michel’, soldi poi da tornare a Orsi stesso.
A seguito del rifiuto di Haschke, successivamente si pattuiva di aumentare il compenso ai due intermediari aumentando la somma di 10 milioni di euro, denaro che poi sarebbe ‘tornato’ a Orsi per soddisfare le richieste dei partiti, la Lega in testa”.
Il Fatto Quotidiano ha rintracciato un manager di Finmeccanica che, sotto garanzia di anonimato, ci ha rivelato l’esistenza di un consulente vicino a Haschke e in passato in affari con Finmeccanica che sembra rispondere in pieno all’identikit dell’intermediario che gli investigatori stanno cercando.
Borgogni, sentito più volte a partire dall’estate (l’ultima volta una settimana prima delle perquisizioni a Lugano) ha raccontato di avere appreso da una fonte anonima che gli avrebbe scritto una lettera.
Nel suo racconto il manager avrebbe parlato di una sorta di intermediazione, al Fatto però risulta che Haschke si sarebbe sempre occupato dell’offset, una pratica comune e lecita: quando un paese come l’India si impegna a comprare elicotteri per 590 milioni, contestualmente Agusta si impegna a fare investimenti per un valore uguale o maggiore nel territorio del paese.
Esiste un professionista apposito che si incarica di raccogliere gli investitori interessati, soprattutto quelli del settore tecnologico che vengono valutati con un moltiplicatore pari a 5 rispetto agli altri.
Basterebbe un investimento delle imprese italiane pari a 115 milioni in India per bilanciare il valore della commessa degli AW 101 di 590 milioni.
Questo era il lavoro di Guido Haschke.
Non era la prima volta che Finmeccanica contattava questo imprenditore di origine ebraica partito da Torino, sposato con una fotomodella orientale e noto per il suo radicamento in India, dove si occupa di industria energetica.
Per questa ragione bisogna stare attenti alle parole.
Le smentite di Finmeccanica sull’esistenza di una “intermediazione” sull’affare indiano non escludono un contratto tra Agusta e Haschke del valore di decine di milioni di euro per l’offset.
Ciò spiegherebbe la contraddizione tra la smentita e la soddisfazione degli investigatori dopo la trasferta a Lugano.
“Non ho mai pagato nessuna somma illegale nè alla Lega nè ad alcun altro. Durante tutto il periodo di Ad di Finmeccanica e AgustaWestland non mi è mai capitato di pagare alcunchè di illegale” ha detto ieri al Tg1, il presidente di Finmeccancia, Giuseppe Orsi aggiungendo poi che “in India abbiamo fatto un contratto secondo le leggi indiane che prevede per le forniture militari di non avere intermediazioni. Quindi non sarebbe stato possibile creare alcune provvigioni”.
Il presidente Orsi, però al Fatto che lo ha raggiunto telefonicamente non ha voluto dire se esista un contratto di offset tra Agusta e una società  riferibile a Haschke.
Intanto il Fatto ha rintracciato un consulente che risponde all’identikit fornito da Borgogni.
Si chiama Wally Richard Michel e ha una settantina di anni.
Vive in Francia vicino a Parigi ma il centro dei suoi affari sono i paesi arabi.
È un amico del consulente perquisito lunedì scorso a Lugano, quel Guido Ralph Haschke che avrebbe ricevuto, secondo quanto riferito ai pm, i 51 milioni di euro di ‘consulenza’ per l’affare indiano.
Questo signore francese potrebbe essere il misterioso mediatore della mazzetta alla Lega Nord della quale ha parlato (senza prove nè riscontri e sulla base di fonti anonime) Lorenzo Borgogni.
“Durante una trasferta in Arabia”, racconta un dirigente importante di Finmeccanica sotto garanzia assoluta di anonimato al Fatto Quotidiano, “incontrai insieme a Guido Ralph Haschke un signore francese che non si chiamava Christian Mitchell ma Wally Richard Michel. Aveva una settantina di anni e insieme ad Haschke proponeva investimenti in Arabia nel settore immobiliare e turistico. Voleva entrare nel giro di Finmeccanica. Seppi poi che si era accreditato come agente del nostro gruppo e, per questa ragione fu diffidato dalla società ”.
Chissà  se proprio questo signor Michel è il misterioso ‘Christian Michel’ del quale parla Lorenzo Borgogni nei suoi verbali. Una cosa è certa. Somiglia molto al suo identik

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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FINMECCANICA, PARLA BORGOGNI E INGUAIA LA LEGA: “FAVORI A GIORGETTI E REGUZZONI”

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

SOLDI ALLA POLITICA: “CONFERMO, SONO STATI DATI 10 MILIONI ALLA LEGA PER IL SOSTEGNO ALLA NOMINA DI ORSI AI VERTICI DI FINMECCANICA”… REGUZZONI HA INTERESSI NELLA SOCIETA’ CHE HA AFFITTATO I CAPANNONI AD AUGUSTAWESTLAND A 5,4 MILIONI DI EURO L’ANNO”

E alla fine di una giornata in cui il suo nome ha ballato parecchio, indicato come il «colpevole» dell’incriminazione di Giuseppe Orsi, numero uno di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, ex relazioni esterne della holding pubblica del settore difesa, sbotta: «Vorrei ricordare che il sottoscritto, interrogato nell’ottobre e novembre scorso a Napoli, ha soltanto risposto alle domande che hanno rivolto i pubblici ministeri».
Lei, indagato e cacciato da Finmeccanica, dunque, non si è vendicato accusando il suo nemico, Giuseppe Orsi?
«Questa interpretazione dei fatti è offensiva, diffamatoria. Ripeto, a domanda dei pm ho risposto, fornendo indicazioni precise sulle mie fonti».
Notizie de relato, di seconda mano le sue…
«Notizie di cui ero venuto a conoscenza grazie a rivelazioni o a documentazione della quale ero venuto in possesso».
E perchè non è andato prima dai magistrati?
«La vicenda della vendita degli elicotteri in India si era consumata da poco tempo».
Senta Borgogni, lei ha parlato di una tangente di 10 milioni di euro alla Lega. Conferma?
«Per il sostegno alla nomina di Orsi ai vertici di Finmeccanica sono stati dati 10 milioni di euro alla Lega. Questo è quanto ho appreso da fonti la cui identità  ho rivelato ai magistrati di Napoli. Se dopo cinque, sei mesi di tempo, Orsi è stato indagato per riciclaggio e corruzione internazionale, vuol dire che sono state fatte delle verifiche. E il loro esito è stato positivo, evidentemente».
Lei è stato sentito da Napoli nell’ambito della inchiesta sulle commesse estere di Finmeccanica.
«E quando mi hanno chiesto di Valter Lavitola e delle commesse in CentroAmerica, a Panama, non ho saputo rispondere, perchè non conoscevo Lavitola e nulla ho mai saputo su quelle commesse».
Il presidente Finmeccanica, Giuseppe Orsi, intervistato ieri sera al Tg1 ha detto che nessuna attività  di intermediazione è stata attivata per la commessa indiana, anche perchè in quel Paese l’intermediazione è bandita.
«Io ho risposto a domande precise dei pm. E ho raccontato quello che avevo saputo, del ruolo di Haschke e del secondo intermediario».
Il rapporto tra Orsi e la Lega era davvero così stretto? Lei ha parlato delle assunzioni di un parente dell’onorevole Giorgetti, Lega, e degli affari di Reguzzoni…
«È vero, ho detto dell’assunzione nell’interesse di Giorgetti ma anche del figlio del senatore Pd Nicola Latorre o della figlia del banchiere Ponzellini all’Agusta Westland. Ma, ripeto, solo perchè ho risposto a delle domande molto precise dei pm. E poi ho parlato dell’ex capogruppo della Lega, Reguzzoni».
La storia dei capannoni vicino Malpensa affittati da AgustaWestland per 5,4 milioni di euro all’anno, dopo che l’azienda aveva chiuso il capannone di sua proprietà  a Sesto Calende. Capannoni presi in affitto da una società  nella quale ha interessi Reguzzoni. Ecco, Borgogni si è chiesto perchè tutto questo gran da fare di Orsi per la Lega?
«La risposta già  l’ho data. Orsi voleva essere nominato ai vertici di Finmeccanica. E aveva bisogno del forte sostegno della Lega. Del resto, l’AgustaWestland è l’azienda che ha radici antiche nel territorio della Lega, la provincia di Varese. E quindi lui era nei fatti investito dalla Lega a rappresentare il territorio».

Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)

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NELLA ROCCAFORTE DI MARINE LE PEN: “IL CUORE E’ ROSSO, MA LA COLLERA E’ NERA”

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

VIAGGIO A HENIN-BEAUMONT, DOVE GLI OPERAI DI SINISTRA HANNO VOTATO IL FRONT NATIONAL

Qui non ci sono picchiatori, uomini neri con la testa rasata, razzisti. Qui non ci sono fascisti.
Hènin-Beaumont è il feudo di Marine Le Pen, una tranquilla cittadina nel Pas de Calais, a settanta chilometri dal confine belga, dove la vita scorreva tranquilla.
Nella parte ricca case di mattoncini rossi a un piano, giardino con altalena e barbecue, camino ancora acceso in questa primavera che tarda ad arrivare.
Divisa dalla ferrovia che da Lens porta a Lille, la parte più popolare: casermoni del dopoguerra, grigi ma dignitosi, a ospitare i minatori che fino agli anni 70 hanno fatto di questa zona una delle più produttive del Paese.
È qui nella parte popolare, sopra un negozio di occhiali, ironia della sorte in rue Rousseau, che Marine ha deciso di rompere con il passato e la figura ingombrante del padre per ricostruire il “suo” Front National.
Quello che ha battuto tutti i record, anche quello del 2002 che vide il vecchio Jean-Marie arrivare al ballottaggio ma con una percentuale inferiore a quella presa dalla figlia l’altra sera.
«Guardi qui», dice buttando una copia del quotidiano locale del giorno un cliente affezionato del bar “la Paix”, proprio di fronte alla cattedrale, uno dei pochi aperti in questo lunedì di pioggia battente e forte vento.
«E sempre il Front National» si intitola l’editoriale. Butta il giornale sul tavolo del vicino: «Tutte le volte la stessa storia. L’Fn fa il botto, si dice che non deve più riaccadere, nessuno fa nulla. La volta dopo il Front National fa ancora meglio e ci si chiede il perchè. È sempre la stessa sorpresa».
Il gestore del locale Dino, condivide. «Qui siamo stati dimenticati».
Ma cos’è che vogliono gli elettori della Le Pen? Chi sono?
A quest’ultima domanda è difficile rispondere. Nessuno ammette di votare Front National, anche se più di un elettore su tre domenica ha messo la croce sul simbolo della fiamma tricolore.
Si vergognano, si dice.
Chi si espone lo fa sotto anonimato perchè — sostiene — altrimenti «quelli mi vengono a prendere e mi menano».
Basta questa frase, detta da un settantenne con il bastone in una mano e il carrello della spesa nell’altra, per capire il rancore nei confronti di marocchini, algerini, insomma degli «arabi» come li chiama, spiccio, lui.
«Non vogliono lavorare, non parlano francese, vivono con il sussidio e fanno piccoli furti: tanto se li arrestano che gli possono fare? Non hanno nulla da perdere». Il tema dell’integrazione (semi)fallita è centrale per capire la paura di chi vede perdere tutto. Ma non può bastare la paura per giustificare un exploit del genere, soprattutto in assenza di fatti eclatanti.
«È infatti un voto di scoramento» dice cercando di minimizzare David Noel, giovane segretario cittadino del Partito comunista.
«In questa regione, gli elettori dell’estrema destra non sono più del cinque per cento». La Le Pen qui ha preso sette volte tanto.
«Qui si usa dire che il cuore è rosso, ma la collera è nera», ammettendo così implicitamente che anche alcuni voti di sinistra siano finiti al Fn. In realtà  poi spiega che se si analizzano i flussi di voto non è propriamente così, che lo scandalo locale che ha colpito l’ex sindaco socialista arrestato per corruzione ha pesato oltremodo, ma sa bene anche lui che quelli sono voti di gente normale, che lavora per pochi spiccioli quando va bene, che è stata lasciata senza speranza da mille e mille promesse poi mai mantenute.
«Cacceremo questa feccia con getti d’acqua ad alta pressione», disse sfrontato Sarkozy nella cavalcata che lo portò all’Eliseo nel 2007.
Di pompieri non ne hanno visti, e nemmeno Monsieur le President s’è più fatto vivo da queste parti. Con il risultato di avere perso otto punti secchi in cinque anni.
Madame Le Pen ha vinto la sua scommessa: non è di queste parti, ha passato i primi tempi ad ascoltare.
Ha ricostruito l’estrema destra francese partendo da una zona mineraria, fatta di operai e gente senza ideologie.
Domenica dopo il voto ha detto: «Porto con me lo spirito di Hènin-Beaumont».
E non solo quello. Ha rinnovato la classe dirigente plasmando la sua creatura attorno a tre paure fondamentali: immigrazione, sicurezza, perdita del potere d’acquisto.
E da qui è partita per fare il pieno sia nelle roccaforti del padre nel Sud est e in Corsica, sia sfondando in zone semirurali, come l’est della regione parigina.
Oggi non rappresenta anche operai, impiegati, giovani non diplomati che temono il «declassamento sociale».
Alla radio Marine si è rallegrata perchè l’Europa teme il suo risultato: «à‰ il ritorno della Nazione», ha detto rinviando al 1° maggio l’annuncio su cosa farà  al ballottaggio.
«Nessun voto» dicono a Hènin-Beaumont i militanti.
Anche perchè si pensa che una sconfitta di Sarkozy acceleri ulteriormente la disgregazione dell’Ump con tanti voti in libera uscita in vista delle legislative di giugno. Come in fondo è successo già  qui.
Oggi ci si sorprende, ma era tutto previsto.
E prevedibile..

(da “La Stampa”)

argomento: elezioni, Esteri, Politica | Commenta »

IL CONSIGLIO D’EUROPA, “ITALIA RESPONSABILE DELLA MORTE DI 63 MIGRANTI NEL MEDITERRANEO”: GRAZIE LEGA!

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

ANCHE SPAGNA E MALTA ACCUSATE DI MANCATO SOCCORSO ALL’IMBARCAZIONE PARTITA DALLA LIBIA NEL MARZO 2011

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) ha approvato con 108 voti favorevoli su 151 il rapporto con cui si chiamano in causa Italia, Spagna e Malta, oltre che la Nato, per la morte di 63 migranti avvenuta nel Mediterraneo nel marzo del 2011.
Nel votare il dossier l’assemblea ha rifiutato la totalità  degli emendamenti presentati dai rappresentanti del Ppe della delegazione italiana che miravano a eliminare la parte del testo in cui si asserisce che l’Italia come primo Paese ad aver ricevuto la chiamata di aiuto era da considerarsi responsabile per il coordinamento degli aiuti.
CHI E’ RESPONSABILE?
Questo il motivo per cui 9 dei 13 membri della delegazione italiana presenti in aula hanno votato contro il report «Vite perdute nel Mediterraneo: chi è responsabile?» redatto dalla parlamentare olandese Tineke Strik.
«Così si è affermato un precedente con cui si stabilisce che il primo Paese che riceve un sos ha l’onere di prestare i soccorsi», ha sottolineato Luigi Vitali (Pdl), presidente della delegazione italiana, aggiungendo che «tuttavia questo non è un principio contenuto in alcuna norma vigente».
Secondo la relatrice, invece, la norma esiste ma non ha ancora valore vincolante.
ALMENO 1500 MORTI NEL 2011
Nel dossier l’Apce denuncia che «nel 2011 almeno 1500 persone hanno perso la vita cercando di attraversare il Mediterraneo» e che il caso in questione è stato oggetto d’inchiesta perchè ritenuto «particolarmente efferato».
Una piccola imbarcazione che aveva lasciato Tripoli nel marzo 2011 con a bordo 72 migranti (tutti provenienti dal Corno d’Africa, in maggioranza eritrei), è stata ritrovata al largo delle coste libiche, dopo due settimane alla deriva.
Secondo le testimonianze dei 9 naufraghi sopravvissuti (giudicate «credibili» dall’Assemblea) un elicottero e una «grande nave militare» avevano avvistato l’imbarcazione in pericolo senza prestargli soccorso.
FORTEZZA EUROPA
Secondo il blog Fortress Europe, che da anni monitora le morti nel Mediterraneo raccogliendo le storie dei sopravvissuti e dei famigliari delle vittime, «dal 1994 nel solo Canale di Sicilia sono morte almeno 6.226 persone, lungo le rotte che vanno da Libia, Tunisia e Egitto verso le isole di Lampedusa, Pantelleria, Malta e la costa sud orientale della Sicilia.
Più della metà  (4.790) sono disperse.
Il 2011 è stato l’anno più brutto: tra morti e dispersi, sono scomparse nel Canale di Sicilia almeno 1.822 persone.
Ovvero una media di 150 morti al mese, 5 al giorno: un’ecatombe. E senza tenere conto di tutti i naufragi fantasma, di cui non sapremo mai niente».

Andrea de Georgio
(da “Il Corriere   della Sera“)

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NON SOLO IL CELLULARE, MA ANCHE PRANZI E CENE: PER ROMANI PAGAVA IL COMUNE DI MONZA

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

L’EX MINISTRO DI NUOVO NELLA BUFERA: RIMBORSI PASTI PARI A 22.000 EURO IN UN ANNO E MEZZO…IL SINDACO FU COSTRETTO A TAGLIARE LE SPESE DI RAPPRESENTANZA PER “MANCANZA DI CHIAREZZA”

Non deve essersi fatto troppi scrupoli nella scelta del ristorante e dell’ordinazione, togliendosi magari pure lo sfizio di prendere l’aragosta se poi, a pagare i conti, erano i contribuenti.
Dopo lo scandalo della bolletta stratosferica del cellulare del Comune di Monza, l’ex ministro Paolo Romani è finito di nuovo nella bufera.
Stavolta a far discutere nella città  della Brianza in cui è assessore all’Expo sono gli scontrini delle cene a dir poco «regali» che ha presentato per anni ottenendo il rimborso dal Municipio in questione.
In un anno e mezzo di mandato come assessore all’Urbanistica, ruolo che aveva ricoperto su scelta di Silvio Berlusconi in persona per chiudere a Monza l’affare Cascinazza, Romani dal maggio 2007 alla fine del 2008, tra pranzi e cene «di rappresentanza» ha messo in conto 22mila euro al Comune di Monza.
L’ennesimo «conto salato» dopo quello del cellulare di servizio a cui peraltro rispondeva la figlia che ha portato Romani ad essere indagato dalla Procura di Monza per peculato.
Nemmeno due settimane dopo quella vicenda, forse per via di qualche sgambetto tipico della campagna elettorale, ecco spuntare anche le fatture delle sue cene. Numerose e costose, stando ai conti resi noti dal Comune di Monza almeno fino al 2008 se Romani ha accumulato 11mila euro all’anno solo per uscire a mangiare durante lo svolgimento del suo ruolo amministrativo.
A un certo punto, infatti, il sindaco leghista Marco Mariani aveva deciso di «tirare le orecchie» all’ex ministro pidiellino tanto per i rimborsi spese che per le assenze dalla Giunta.
E ha pure pensato bene di chiudere i rubinetti, tagliando il fondo per le spese di rappresentanza di sindaco e assessori del Comune di un quarto e lasciando solo qualche fondo per medagliette e targhe, facendo perdere così a Romani l’abitudine di presentare il rimborso dei ristoranti.
Anche perchè sulle note spese, stando a quanto il sindaco Mariani ha dichiarato al Giornale di Monza, c’erano pure delle stranezze.
«In alcune richieste di rimborsi io stesso gli avevo fatto notare la mancanza di chiarezza — ha spiegato il primo cittadino monzese — Se portava fatture di domenica, ad esempio, a meno di un evento conosciuto e che aveva avuto risalto sulla stampa, risultava difficile giustificare la spesa stessa».
Un mistero insomma che getta un’ulteriore ombra su un Comune ormai tartassato nel quale meno di una settimana fa la Guardia di Finanza ha deciso di fare una visita per sequestrare alcuni documenti.
Le forze dell’ordine hanno infatti intenzione di vederci chiaro sulla questione delle bollette stellari di assessori e dirigenti che ammontavano a quasi mezzo milione di euro l’anno e non solo per il caso Romani.
Una bufera a cui si è aggiunta la decisione della Procura di indagare il presidente del Consiglio comunale di Monza Domenico Inga per abuso d’atto d’ufficio a seguito di un esposto dei consiglieri comunali Michele Faglia e Anna Mancuso che denunciavano forzature per l’approvazione ad ogni costo della Variante al Pgt disegnata da Romani stesso.
Un documento nel quale il terreno della Cascinazza che appartiene a società  riconducibili a Paolo Berlusconi diventava edificabile per svariate migliaia di metri cubi.

Olga Fassina
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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