Destra di Popolo.net

LO STATO COMPRA 400 AUTO BLU E SCOPPIA LA RIVOLTA SUL WEB

Aprile 27th, 2012 Riccardo Fucile

L’ACQUISTO DI VETTURE DI MEDIA CILINDRATA COSTERA’ 10 MILIONI DI EURO… ALTRI 800 MEZZI DEL PARCO MACCHINE GIACCIONO INUTILIZZATI

Lo Stato vuole acquistare altre «auto blu». Almeno altre quattrocento nuove berline di media cilindrata, cioè fino a 1.600.
Ma il numero di veicoli potrebbe anche aumentare di un quinto, quindi di ulteriori 80 unità  nel giro di un anno.
Per una spesa di poco meno di 10 milioni di euro.
Il bando di gara non solo è stato già  emesso dal ministero dell’Economia (il 24 gennaio), ma il termine per presentare le offerte è anche già  scaduto, lo scorso 8 marzo (giorno in cui sono state aperte le buste dei concorrenti), quindi la procedura è in fase estremamente avanzata.
E questo nonostante il «parco macchine» della Pubblica amministrazione sia arrivato, secondo il Formez (Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle Pubblica amministrazione), a quota 60 mila.
Diecimila auto blu di alta fascia, per ministri e alti dirigenti, e altre 50 mila auto di servizio, che costano complessivamente quasi 2 miliardi di euro l’anno al contribuente.
Mentre sempre secondo il Formez circa 800 vetture giacciono inutilizzate nei garage. A quanto pare, però, alla Pubblica amministrazione le auto blu non bastano mai.
La vicenda è stata rilanciata giovedì dai siti del Giornale e del settimanale L’Espresso e, in poche ore su Facebook l’articolo ha superato i 6 mila «consiglia», a testimonianza della reazione dell’opinione pubblica davanti a notizie del genere, in un momento in cui tutti sono chiamati a tirare la cinghia.
Nei giorni scorsi il bando è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare da parte del deputato dell’Idv Antonio Borghesi, che ha chiesto spiegazioni sulla spesa al viceministro dell’Economia Vittorio Grilli.
In Parlamento il viceministro si è limitato a illustrare il funzionamento del bando pubblico e i suoi riferimenti normativi.
Dalla Funzione pubblica ieri sera hanno fatto sapere che «non di un vero e proprio acquisto si tratta, ma di una convenzione della Consip, che imporrà  alle singole amministrazioni di acquistare le vetture di cui avranno bisogno nei prossimi mesi al prezzo a cui si attesterà  la migliore offerta che si aggiudicherà  la gara».
Lo stesso monitoraggio del Formez già  citato, però, indicava tra i fattori problematici della gestione del parco auto pubblico l’eccessivo numero di vetture di proprietà  (79%),rispetto al noleggio (19%), e al leasing e comodato (1%).
Per il Formez a parità  di chilometraggio le auto noleggiate garantiscono un risparmio di spesa tra il 15 e il 18%.
Il ministro per la Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, in Senato ha dichiarato l’intenzione di privilegiare, in futuro, il noleggio a lungo termine.
Ma intanto lo Stato continua a comprare.

M.Antonietta Calabrò
(da “il Corriere della Sera“)

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BOOM COPPIE DI FATTO, RIPARTE LA CORSA PER ARRIVARE AL RICONOSCIMENTO: SONO ORMAI 897.000, PARI AL 5,9% DELLE COPPIE

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

TORNA IN PARLAMENTO LA DISCUSSIONE SULLA PROPOSTA DI LEGGE 1065 SULLE UNIONI DI FATTO….RELATRICE GIULIA BONGIORNO, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA

La relatrice, e presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno ha rilevato che il fenomeno della convivenza more uxorio è enormemente cresciuto passando dalle 127.000 libere unioni degli anni 1993-94 alle 897.000 quantificate dall’Istat nel 2009, cioè il 5.9% delle coppie.
La presenza di figli riguarda il 49,7% delle coppie non coniugate, una quota in netta crescita rispetto al 40% del 1998.
La Bongiorno ha fatto anche un quadro dettagliato della normativa esistente in molti altri paesi sui Pacs e sulle unioni non eterosessuali e ha posto l’accento sulle recenti valutazioni in merito della Corte Costituzionale.
Ha successivamente illustrato nei particolari i contenuti delle varie proposte in esame.
Ora deve essere avviato il confronto di merito che impegnerà  la Commissione per numerose sedute.
Intanto l’Inghilterra potrebbe diventare la settima nazione europea ad avallare il matrimonio omosessuale dopo Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Portogallo e Islanda.
Perlomeno questo e’ l’obiettivo del primo ministro David Cameron che auspica di portare a casa il risultato entro il 2015, a dieci anni dal via libera del ”Civil Partnership Act” che offre alle coppie omosessuali gli stessi diritti delle coppie sposate.
Insomma, si tratterebbe di ”formalizzare” ulteriormente un passo già  fatto dal governo laburista di Tony Blair che, con le unioni civili, ”porto’ all’altare”, all’indomani del via libera, 687 coppie gay, tra cui il celeberrimo Reginald Kenneth Dwight, in arte Elton John, che con il canadese David Furnish convolò a nozze a Windsor Guildhall, l’ufficio del registro dove qualche mese prima si erano sposati il principe Carlo e Camilla Parker Bowles.
Nel giro di sette anni, intanto, in Inghilterra, una coppia gay ha fatto in tempo anche a separarsi (dopo l’unione civile) e a fine marzo un tribunale di Londra ha emesso un giudizio su quello che viene ritenuto il primo caso legale di divorzio tra gay in Gran Bretagna.
Dunque, unioni civili e divorzi civili.
Cosa cambierebbe allora? Cambierebbe che dalle unioni si passerebbe a veri e propri matrimoni civili e la questione non e’ semplicissima soprattutto perchè le gerarchie ecclesiastiche, dagli anglicani ai cattolici, si sono ampiamente schierate contro la proposta. La Chiesa d’Inghilterra il 15 marzo, giorno dell’inizio della consultazione, ha pubblicato una nota sul proprio sito, nella quale esprime tutta la sua contrarietà : «La Chiesa d’Inghilterra è impegnata nella concezione tradizionale dell’istituzione del matrimonio come tra un uomo e una donna» e «sostiene il modo in cui le unioni civili offrono a coppie dello stesso sesso una parità  di diritti e responsabilità  rispetto alle coppie eterosessuali sposate. Un’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso conferirebbe poco o nessun nuovo diritto legale a coloro che già  sono legati da un’unione civile, ma richiederebbe molte modifiche alla legge, con il cambiamento della definizione di matrimonio che varrebbe per tutti».
Anche i cattolici non hanno espresso simpatia per la ”battaglia” di Cameron tanto che il presidente e il vicepresidente della Conferenza dei Vescovi d’Inghilterra e Galles, mons. Vincent Nichols e mons.Peter Smith, arcivescovo di Southwark, hanno mandato una lettera firmata che e’ stata letta in 2.500 parrocchie del paese in cui hanno evidenziato che i cattolici «hanno l’obbligo di fare tutto il possibile per assicurare che il vero significato del matrimonio non si perda per le generazioni future».
Il fulcro della discussione risiede nel fatto che se con la “partnership civile” le coppie dello stesso sesso hanno la possibilita’ di vincolarsi in una unione registrata, questa non e’ comunque un matrimonio dal punto di vista giuridico.
Aspetto che cambierebbe con la legge per cui Cameron ha avviato una consultazione pubblica. Novanta giorni dal 15 marzo.
Entro metà  giugno, insomma, l’opinione pubblica britannica potrà  far sapere al governo quali sono i propri orientamenti in materia.
Nella consultazione si specifica comunque che i matrimoni saranno solo ed esclusivamente civili ma si tratta di una ”rassicurazione” che non e’ bastato a chi non e’ d’accordo con la scelta.
Anche la stampa ha espresso piu’ o meno velatamente la propria posizione: non propriamente d’accordo i conservatori Daily Mail e Daily Telegraph e non del tutto in disaccordo il Guardian e l’Indipendent che, nei giorni scorsi, ha tracciato il punto della situazione.
Da una parte, la ”Coalizione per il matrimonio” che riunisce diverse organizzazioni che si rifiutano di ”ridefinire” il matrimonio tradizionale, con alcuni quotidiani, come il ”Country Life magazine” che sono riusciti a raccogliere oltre 400 mila firme contro la proposta di Cameron. Dall’altra parte, la ”Coalition for Equal Marriage”, condotta da una coppia gay di Newcastle, sostenuta da organizzazioni omosessuali come ”Humanistic Society”, ”Gay Times” e ”the National Secular Society”: la loro campagna ha finora portato 40 mila firmatari alla petizione per l’uguaglianza ma sanno che la battaglia, nonostante il sostegno del governo, sara’ tutt’altro che facile.
Soprattutto dopo il ”se” usato da Cameron durante il suo discorso ai leader religiosi per il giorno di Pasqua.
Un ”se” che non e’ passato inosservato, da nessuna delle due parti. («Se la questione andrà  avanti – ha detto il primo ministro – cambierà  quello che accade in un’anagrafe; non cambierà  quello che accade in una chiesa»).

Giacomo Galeazzi
(da “La Repubblica”)

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IL GESTO CHE PUO’ SPIAZZARE: NESSUNO PUO’ SPENDERE SENZA RENDERNE CONTO

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

MONTI HA RIDOTTO LE SPESE DELLA PRESIDENZA, MA ORA DEVE RICONSEGNARE ALLA RAGIONERIA GENERALE IL DIRITTO DI CONTROLLARLE… PER ESSERE CREDIBILI OCCORRE DARE L’ESEMPIO

Punto primo: l’esempio. Per essere credibile, un piano di tagli alla spesa pubblica non può che partire da qui.
Perciò, visto che dal Parlamento alle Regioni vivono tutti con fastidio ogni controllo dei conti («come osate?») Palazzo Chigi dovrebbe fare un passo dirompente: rinunciare all’autonomia assoluta per riportare il proprio bilancio sotto la verifica della Ragioneria.
Un messaggio formidabile: nessuno può spendere senza renderne conto.
In questi mesi, sarebbe ingeneroso non riconoscerlo, il governo di Mario Monti ha mostrato su questo punto un senso della misura da tempo smarrito.
Tanto da tirarsi addosso, sul tormentone della sobrietà , qualche ironia.
Ha sforbiciato i ministeri, ridotto le consulenze, tagliato del 92% i voli blu…
Su tutta un’altra serie di iniziative, invece, ha dovuto incassare dei «no» a ripetizione, riassumibili in romanesco così: «Nun je spetta».
Tagliare le Province? «Nun je spetta».
Allineare al livello europeo indennità  e stipendi del Parlamento in caso di fallimento (poi arrivato) della Commissione Giovannini? «Nun je spetta».
Costringere le regioni a ridurre certe spese? «Nun je spetta».
E tutto nel culto sacrale di una autonomia difesa con una gelosia così cocciuta e permalosa da far pensare spesso che mascherasse retropensieri inconfessabili.
Come se le difficoltà  delle pubbliche casse fossero un problema che riguarda fino a un certo punto chi ritiene di avere il diritto divino a non rendere conto delle proprie scelte.
Come se perfino il contenimento di alcuni privilegi diventati offensivi in questi anni di crisi fosse una gentile concessione fatta al governo e non un obbligo per tutti coloro che sono chiamati a far la propria parte.
È in questo contesto di resistenze esasperate e spesso irritanti che la Presidenza del Consiglio potrebbe mettere tutti con le spalle al muro dando quell’esempio clamoroso: la rinuncia all’autonomia totale dei propri bilanci.
E il riconoscimento alla Ragioneria Generale dello Stato e alla Corte dei Conti del diritto a controllare (e a contestare gli eventuali abusi, ovvio) perfino le spese di Palazzo Chigi.
Del resto così era una volta, fino a una dozzina di anni fa.
E non risulta che Alcide de Gasperi e Amintore Fanfani, Giulio Andreotti o Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi o Silvio Berlusconi fossero per questo minati nella loro pienezza di governo.
Nè che la stessa democrazia, per quei controlli sacrosanti, fosse in qualche modo compromessa.
I conti di Palazzo Chigi furono sottratti alle competenze del Tesoro con un decreto legislativo varato il 30 luglio 1999, quando il premier era Massimo D’Alema.
La motivazione? La rivendicazione della Presidenza del Consiglio dello status di totale autonomia finanziaria già  riconosciuto al Quirinale, al Senato, alla Camera: perchè loro sì e noi no?
Da allora a oggi, nessuno è più riuscito a fare marcia indietro.
Vogliamo dirla tutta? Nessuno ha più «voluto» fare marcia indietro.
Se mai ogni nuovo premier ha cercato di allargare ulteriormente i confini di questa sovranità  assoluta ad altri «staterelli» dei dintorni.
Come i ministeri senza portafoglio o la Protezione civile.
Non soltanto nel caso, si capisce, di interventi di gravissima emergenza, ma anche se si trattava di restaurare una statua o allestire le regate della Vuitton Cup.
Risultato: da 13 anni, come il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli ha più volte sottolineato, alcuni miliardi di euro vagano senza controlli sostanziali nei bilanci statali.
Quasi che esistessero «zone franche» che non devono rispondere a nessuno.
E non è servita a molto neppure la sentenza della Corte Costituzionale che nel 2002 restituì alla Corte dei Conti la competenza sugli atti di Palazzo Chigi sottratta con quel decreto di tre anni prima.
Vittoria che di fatto, come la storia si sarebbe incaricata di dimostrare, fu solo di facciata.
Conosciamo l’obiezione: mettete forse in dubbio la serietà , la sobrietà , la ragionevolezza degli organi istituzionali ai quali venne riconosciuta quell’autonomia totale, dopo il Ventennio fascista, proprio perchè fossero sottratti ai ricatti e alle prepotenze muscolari del potere esecutivo? Niente affatto.
Ma il solo obbligo di rendere conto delle proprie spese, tuttavia, può aiutare chi amministra a essere più virtuoso.
E al contrario la sola autonomia illimitata, dicono i numeri, incoraggia a essere più spendaccioni.
Lo dimostrano proprio i numeri di Palazzo Chigi.
Dal 1999 al 2010 le spese del segretariato generale sono più che raddoppiate schizzando da 348 miliardi di lire a 488 milioni di euro.
Con un aumento in termini reali, calcolata l’inflazione, del 116%.
Nel solo 2000, primo anno di autonomia contabile, le spese registrarono un balzo del 28,7%. Con una impennata, per certe voci, da capogiro.
I soldi tirati fuori dalle casse presidenziali per pagare il personale «comandato» (cioè preso in prestito) da altre amministrazioni pubbliche aumentarono del 44,5%.
Quelli destinati alle trasferte del premier si quintuplicarono: da 903 milioni di lire a 5 miliardi e passa.
Dentro la «zona franca», in questi anni, è finito di tutto.
Tre milioni per il campionato mondiale di pallavolo del 2010.
Due per quello di ciclismo su pista del 2012.
E poi otto per le «politiche antidroga» e 81 per il Fondo per la gioventù e 44 per quello della montagna e 26 per «la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate» confinanti con le Regioni a statuto speciale e insomma i soldi per contenere le pretese di tanti comuni di «emigrare» dal Veneto al Trentino Alto Adige…
Fino ai 374 milioni dei contributi per l’editoria. Per non dire delle spese faraoniche per i Grandi eventi della Protezione civile, da quelle del G8 della Maddalena a quelle per le opere dei 150 anni dell’Unità  d’Italia, finite nel gorgo giudiziario delle indagini sulla «Cricca».
Su tutto, spiccano però certe spese relativamente «minori» ma difficili da interpretare non solo per gli specialisti.
Che cosa erano esattamente le «attività  di supporto alla programmazione, valutazione e monitoraggio degli investimenti pubblici» costate 11,4 milioni?
E il «fondo eventi sportivi di rilevanza internazionale» finanziato con 10 milioni?
Perchè tanta genericità ? Dov’è la trasparenza?
Per non parlare dell’opacità  di un bilancio che dal 2000 (coincidenza?) è scomparso dal sito della presidenza del Consiglio ed è scaricabile soltanto con enormi difficoltà , per chi non paga l’abbonamento, da quello della Gazzetta ufficiale.
Un esempio? Nei rendiconti di tutte le aziende pubbliche o private del pianeta (tranne quelle che vogliono occultare qualcosa, ovvio) i costi dei dipendenti finiscono sotto due o tre voci. Sapete quante sono quelle di Palazzo Chigi? Ventidue.
Dagli «stipendi agli estranei addetti alle segreterie particolari del presidente…» fino all’«indennità  mensile al personale in servizio…», dal «fondo unico di presidenza» (la cui vaghezza pare fatta apposta per spingere i cittadini al sospetto) al «rimborso alle amministrazioni degli assegni corrisposti al personale in prestito…» eccetera eccetera. Ventidue voci.
Al punto che sapere quanto precisamente spendiamo per pagare la gente che lavora a Palazzo Chigi e nelle sue 19 dèpendance è una missione quasi impossibile.
Del resto, anche sapere quante persone sono davvero impiegate dalla Presidenza non è facile. Nemmeno, forse, per il presidente del Consiglio.
L’8 settembre 2001 il Cavaliere raccontò d’aver incontrato una Margaret Thatcher esterrefatta perchè Blair aveva portato da 70 a 200 i dipendenti di Downing Street.
«Sapete quante persone ho trovato io a Palazzo Chigi? Ne ho trovate 4.500. Penso che serva una rivoluzione pacifica per ammodernare lo Stato».
Bene: quando ha lasciato a Mario Monti la guida del governo, nei palazzi della Presidenza di persone ce n’erano almeno 4.600.
La conferma indiretta l’ha fornita Renato Brunetta quando, replicando a fine ottobre del 2011 al Corriere , ha spiegato che al netto di «circa 400 cessazioni dal servizio», nel 2013 i dipendenti di Palazzo Chigi sarebbero stati «al massimo 4.280».
Al massimo…
Torniamo al tema: mettiamo che la Presidenza del Consiglio decida di mettere i propri bilanci sotto il controllo della Ragioneria.
Cosa faranno tutti gli altri?
Continueranno a rivendicare il loro diritto a non rendere conto a nessuno?

Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)

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META’ DEI PENSIONATI PRENDONO MENO DI MILLE EURO

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

IL 54,9% DELLE DONNE SONO SOTTO LA SOGLIA PSICOLOGICA…2,4 MILIONI NON ARRIVATO A 500 EURO… SETTE ANZIANI SU DIECI RICEVONO UN SOLO ASSEGNO, L’1,4% NE HA ALMENO QUATTRO

Meno di mille euro al mese. Sono le pensioni di quasi la metà  degli italiani: lo ha certificato l’Istituto nazionale di statistica con i dati Inps del 2010: 7,6 milioni di pensionati, il 45,4% del totale, hanno percepito assegni mensili inferiori a questa soglia.
E per 2,4 milioni di questi (14,4%) le prestazioni non superano i 500 euro.
E le donne, che rappresentano oltre la metà  dei pensionati (53%), sono le più penalizzate: percepiscono assegni di importo medio pari a 12840 euro all’anno, contro i 18435 euro degli uomini.
In pratica, il 54,9% delle donne riceve meno di mille euro, a fronte di una quota del 34,9% tra i maschi.
I “RICCHI”
Il rimanente 54,5% dei titolari di pensione è così ripartito: il 23,5% percepisce tra i 1000 e i 1500 euro e il restante 31,1% più di 1500 euro. Il 67,3% dei pensionati percepisce un solo assegno, il 24,8% ne percepisce due e il 6,5% tre; esiste una fascia dell’1,4% che è invece titolare di quattro o più pensioni.
Inoltre, il 29,1 % dei pensionati ha un’età  inferiore ai 65 anni: il 3,5% ne ha addirittura meno di 40 e e il 25,6% un’età  compresa tra i 40 e i 64.
258 MILIARDI
Nell’anno di riferimento la spesa complessiva dell’Inps è stata pari a 258,5 miliardi di euro, aumentando dell’1,9% rispetto al 2009.
È però diminuita l’incidenza di questo dato sul Pil (16,64% a fronte di un valore di 16,69% registrato nell’anno precedente).
Le pensioni di vecchiaia assorbono il 71% della spesa totale, quelle ai superstiti il 14,9%.
Inoltre le pensioni di invalidità  sono pari al 4,5%, quelle assistenziali per il 7,9% e quelle indennitarie per l’1,7%.

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INCHIESTA FINMECCANICA: LE ACCUSE DELL’EX DIRIGENTE A ORSI: “SEI MASERATI IN CAMBIO DI APPALTI”

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

“OLTRE ALlA LEGA PAGATE TANGENTI ANCHE A COMUNIONE E LIBERAZIONE”… I PM VERIFICANO LE DICHIARAZIONI

Auto di lusso, lavori di ristrutturazione di una villa in Liguria e soldi che sarebbero stati incassati gonfiando il valore degli appalti.
Nell’inchiesta sulle commesse ottenute all’estero da Finmeccanica ci sono nuove accuse che i magistrati devono verificare.
Sospetti sull’amministratore delegato Giuseppe Orsi – indagato per corruzione internazionale e riciclaggio – e sulla sua gestione di AgustaWestland, alimentati dalle dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo che da mesi collabora con i pubblici ministeri di Napoli.
E nuovi possibili beneficiari dei suoi finanziamenti: oltre alla Lega Nord Borgogni ha indicato Comunione e Liberazione.
Più volte si è parlato del rapporto stretto tra lo stesso Orsi e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, indicato come uno dei suoi sponsor.
E adesso si scopre che nel verbale del manager si parla proprio di questi contatti e di possibili passaggi di denaro. Ulteriori accertamenti sono stati disposti dai sostituti partenopei – Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio – che hanno delegato indagini ai carabinieri del Noe, ma hanno anche deciso di affidare una consulenza su tutti i contratti stipulati dall’azienda specializzata nella costruzione di elicotteri fino al maggio scorso, quando Orsi fu chiamato alla guida della holding al posto di Pier Francesco Guarguaglini.
E quando Borgogni, travolto dalle accuse di false fatturazioni e finanziamento illecito ai partiti, fu costretto a farsi da parte.
Qualche settimana dopo ha fatto sapere ai magistrati di essere disposto a parlare.
Il «sistema»dei fondi
Quello dell’accantonamento di «provviste» di denaro da utilizzare per pagare manager e politici è un sistema che Borgogni conosce bene, visto che anche lui è accusato di averlo applicato.
Nel caso dei 12 elicotteri venduti al governo indiano nel 2010 si sta cercando di stabilire quante persone abbiano beneficiato dei «fondi neri» che sarebbero stati creati grazie al sistema delle sovraffatturazioni.
Si tratta di un meccanismo neanche troppo sofisticato, già  emerso in tutte le altre indagini che riguardano le aziende controllate da Finmeccanica.
Il trucco è nella scelta di un mediatore di affari che deve essere disponibile a far figurare compensi molto più alti di quelli che effettivamente percepirà  al momento della sigla del contratto.
Ed è proprio una parte di questa somma aggiuntiva che, dice Borgogni, sarebbe stata versata in parte alla Lega e in parte a Comunione e Liberazione.
Per gestire la commessa indiana il negoziatore con le autorità  di New Dehli è stato Guido Ralph Haschke, ingegnere di Lugano ora indagato per corruzione internazionale e riciclaggio perchè sospettato di aver distribuito «mazzette» all’estero per conto di Orsi.
Dei partiti italiani si sarebbe occupato invece un intermediario britannico conosciuto con un’identità  probabilmente falsa: Christian Mitchell.
Si tratta di un uomo che i testimoni d’accusa descrivono come legatissimo ad Orsi.
E il sospetto è che Mitchell abbia gestito, oltre ai soldi che sarebbero finiti ai politici, anche una «cresta» da destinare ai manager.
Soldi che un investigatore non esita a definire come una sorta di «pensione integrativa» messa da parte e poi intascata da chi ha gestito l’appalto.
Le Maserati e la villa
Sono sei le Maserati che sarebbero entrate nella disponibilità  di Giuseppe Orsi, ma intestate al suo autista.
Vetture di grande valore che il manager avrebbe ottenuto dai proprietari di alcune società  che lavoravano con AgustaWestland quando lui ne era amministratore.
Tre auto sarebbero rimaste in Italia, una risulta spedita a Londra e altre due negli Stati Uniti.
La circostanza, emersa qualche anno fa in un’indagine milanese, è stata avvalorata ultimamente con nuovi dettagli proprio da Borgogni e per questo si è deciso di verificare sia l’effettiva proprietà  delle macchine, sia la loro provenienza.
Ma pure di scoprire se davvero rappresentino la contropartita di un affare da milioni di euro che Orsi avrebbe concluso con un’altra azienda italiana.
Nuovi accertamenti saranno effettuati anche sui lavori di ristrutturazione di una villa che si trova a Moneglia, in Liguria, ed è intestata alla moglie di Orsi.
I controlli dovranno stabilire se davvero – come risulta dai verbali in mano all’accusa – siano stati effettuati da società  assegnatarie di appalti gestiti da Agusta nel settore delle opere civili. Aziende che in questo modo avrebbero restituito al manager i favori ottenuti al momento della scelta delle ditte da impiegare.

Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera”)

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IL DIRIGENTE FINMECCANICA TUCCILLO: “AUGUSTA MANDO’ IL TESORIERE DI RIINA”

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

LA MISSIONE IN ANGOLA DEL MANAGER: “MI DISSERO CHE C’ERA PALAZZOLO, UN OTTIMO AGENTE CON IL QUALE LAVORAVAMO DA TEMPO”…   E’ STATO ARRESTATO UN MESE FA A BANGKOK PERCHE’ RITENUTO IL CASSIERE DI COSA NOSTRA

A rappresentare Agusta Westland in Sudafrica era un latitante.
Precisamente Vito Roberto Palazzolo, considerato il tesoriere di Totò Riina, arrestato lo scorso 31 marzo mentre si trovava a Bangkok.
O meglio questa è la vicenda che racconta Francescomaria Tuccillo, ex manager di Finmeccanica in Africa.
Parla di una missione fatta nel 2009, quando la società  di Giuseppe Orsi avrebbe spedito a un incontro ufficiale proprio l’ex latitante, che si presenta con il nome di Robert Von Palace ma in quelle zone è “famoso”.
Capofila della delegazione del governo italiano fu l’ignaro vice-ministro Adolfo Urso, poi fondatore dell’associazione FareItalia.
Chi è Palazzolo.
Il nome di Palazzolo, ritenuto il cassiere di Cosa Nostra, è emerso per la prima volta nella storica indagine “Pizza Connection” che negli anni Ottanta accertò il ruolo centrale della mafia siciliana nella raffinazione e nel traffico di eroina, i cui proventi vennero in larga parte riciclati dallo stesso Palazzolo.
Amico del conte Riccardo Agusta, figlio di Corrado, l’ex magnate degli elicotteri, a lui Palazzolo avrebbe venduto, verso la fine del 1999, anche le sue proprietà , venendo al contempo nominato amministratore del patrimonio grazie ad un contratto da “consulente”.
Palazzolo, da tempo latitante in Sudafrica con il nome di Robert Von Palace Kolbatschenko, è stato arrestato il 31 marzo in Thailandia dopo essere stato condannato a 9 anni per concorso in associazione mafiosa.
Il racconto di Tuccillo.
Tuccillo è attualmente dirigente a termine di Finmeccanica e allora era direttore dell’ufficio del gruppo di Nairobi, come responsabile per l’area dell’Africa subsahariana: “È importante quel viaggio che ci fu nel 2009 organizzato dal viceministro Urso”, spiega al Fatto.
Secondo il suo racconto, tutto da verificare, “c’è stata una missione che abbiamo fatto in Angola. Lì è stata un po’ una svolta. Urso organizza sotto l’ombrello del cosiddetto piano Africa, lui così lo aveva chiamato. C’era un piano del governo italiano per rilanciare lo sviluppo dell’Africa sub-sahariana”.
Nella missione in Angola , continua Tuccillo, parteciparono diverse imprese italiane, tra cui Selex e Agusta. “Il punto di svolta è stato che in quella sede mi hanno detto che c’era Palazzolo, presentato da Agusta, che lo ha introdotto a tutte le aziende lì, dicendo che lui era un ottimo agente, che loro lo conoscevano, ci lavoravano da tempo”.
Alla domanda se lo avesse conosciuto o meno, Tuccillo afferma: “Non sono sicuro ma ricordo che a pranzo nell’albergo qualcuno a un certo punto me lo presentò. Invece qualcun altro addirittura ha il bigliettino da visita dove lui ha scritto a penna il suo nome cognome e numero di telefono del Sudafrica. Quindi basta fare una perizia grafica e scopri che è lui”.
Poi puntualizza anche che “Urso forse non lo sa neanche… lui è venuto lì, non è uno che si è iscritto nelle liste. Io ho controllato, nelle liste non c’è”.
Urso: “Non ricordo nè Palazzolo nè Tuccillo”.
In effetti l’ex viceministro Urso conferma di aver partecipato a quell’incontro, ma non si ricorda nè di Palazzolo nè di Tuccillo: “Era un incontro organizzato con Confindustria — dice — c’erano una cinquantina di imprese, non ricordo con esattezza i partecipanti. Certamente non ricordo nessun Robert Von Palace nè Roberto Palazzolo. Ricordo invece la presenza del rappresentante di Finmeccanica. Ma non di Tuccillo”.
“Il vicepresidente mandò un altro per Agusta”.
Ma a conoscerlo sarebbe, sempre secondo Tuccillo, Patrick Chabrat, vicepresidente di Agusta Westland e direttore commerciale per la società  per l’Africa subsahariana, con ufficio a Cape Town. “Chabrat manda un altro rappresentante di Agusta, ma lui non è venuto. Ce lo ha presentato Palazzolo in Sudafrica”.
Il coinvolgimento di Vithlani.
Poi l’ex manager Finmeccanica attacca anche sullo scandalo Carroccio: “Io non so niente della Tanzania, di Belsito e della Lega, però so un sacco di altre cose. In Tanzania mi sono trovato dal ministro della Difesa, lui a un certo punto mi chiama e mi dice senti qua dobbiamo ripulire questa situazione Agusta perchè è uno schifo. A parte che sono caduti due elicotteri, ma poi questo personaggio che loro c’hanno qui è un malefico corruttore che noi stiamo cercando di arrestare e quindi fino a quando voi rimarrete legati a questo signore noi non possiamo neanche più invitarvi. È un delinquente”.
Si riferisce a Shailesh Vithlani, coinvolto in uno scandalo di presunte mazzette nell’ambito di un affare per l’acquisto di radar: vicenda conclusa con il pagamento di una multa di 500mila euro.
Secondo la sua versione Tuccillo avrebbe segnalato la situazione anche a Chabrat come pure a Finmeccanica.
“Poi mi scrive addirittura il capo della polizia della Tanzania. Mi dice io devo comprare gli elicotteri, non li compro perchè c’è questo delinquente di mezzo. Quindi venite qui da soli senza agenti. Quindi anche lì io scrivo. Poi quali sono i risultati? I risultati sono che intanto Chabrat dice no. Ma quello è una persona perbene, è stato in questi scandali, ma sarà  tutto pulito, ripulito. Non ci sono problemi, garantisco io: fanno un sacco di chiacchiere giornalistiche ma è una persona perbene. Non c’è stato niente da fare, l’Agusta ha preferito perdere il business piuttosto che andare in maniera pulita direttamente dalle istituzioni”.

Marco Lillo e Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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BOSSI A COMO DAVANTI A UNA PLATEA VUOTA: “ITALIA PAESE DI MERDA, LOTTA DI LIBERAZIONE AL NORD”

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

“SPERO CHE NESSUNO VADA PIU’ A FARE IL DEPUTATO DELLA LEGA A ROMA, IO COMPRESO”… CRISI DI PANICO TRA I PARLAMENTARI DEL CARROCCIO: POI COME VIVREBBERO?

Inneggia alla guerra, invoca la libertà  per il nord, denuncia trame e complotti. Umberto Bossi ha l’aspetto di un leader stanco e ferito, ma non disdegna di ritirare fuori i vecchi argomenti, cercando forse di rinverdire quel sentimento antinazionale a cui la Lega ricorre puntualmente nei momenti di difficoltà .
Il presidente del Carroccio è arrivato a Como con mezz’ora di anticipo sulla tabella di marcia e si è trovato davanti ad una sala deserta.
Ad aspettarlo solo un manipolo di militanti e un centinaio di sedie vuote.
Nella città  lariana, dove si vota per le amministrative tra meno di due settimane, uno scenario così desolato non si era mai visto, men che meno ad un evento padano.
Il leader stanco si è seduto in disparte ad attendere il suo pubblico.
All’ora prefissata il comizio del Senatùr a sostegno del candidato sindaco Alberto Mascetti è cominciato.
Ad ascoltarlo una ventina di candidati consiglieri, qualche quadro di partito e una cinquantina di sostenitori.
È tornato a evocare la “battaglia per l’indipendenza”, Umberto Bossi, perchè “il nord, dopo tanti anni di Italia e di Roma, ne ha piene le scatole”.
Il presidente della Lega ha rilanciato il messaggio leghista della prima ora. Ha spiegato come secondo lui la Lega debba ripartire “unita e compatta”, lasciandosi alle spalle le difficoltà  del momento.
Sull’ultimo capitolo della telenovela giudiziaria, quella della presunta maxi tangente arrivata da Finmeccanica, Bossi ha messo subito un freno alle insinuazioni: “Lì di solito lavorava Giorgetti, che è un pretino. Di Giorgetti sono ultrasicuro, se gli davano le tangenti lui gliele portava indietro”.
Bossi è tornato ad alimentare la tesi del complotto antileghista ordito dallo Stato: “Se eravamo al governo tutto questo non sarebbe successo”.
Secondo il Senatùr la bufera giudiziaria è stata studiata a tavolino: “Se Napoli, Reggio Calabria e Milano si mettono a cercare le corna in casa della Lega evidentemente qualcosa non quadra, oppure è un paese di merda”.
L’espressione escatologica è stata salutata da un caloroso applauso del pubblico a cui è seguita un’altra esternazione del leader leghista, che non si capacita del perchè i pm di Reggio Calabria “avanzano il tempo di pensare alle beghe della Lega con tutta la mafia che hanno”.
Sempre nell’ottica dell’estremizzazione delle posizioni, Bossi è anche riuscito a rinnegare anni di permanenza nei palazzi romani: “Spero sempre che nessuno vada più a fare il deputato a Roma, io compreso — ha spiegato -. A posteriori andare a Roma è stato un errore: quando siamo andati sul Po e a Venezia dovevamo lanciare la lotta di liberazione, perchè se gli dai tempo lo Stato si organizza e ti mette i mafiosi”.
Sulle divisioni interne Bossi conferma la linea del momento e dice di aver chiarito tutto con Roberto Maroni: “La Lega si era divisa, ma dobbiamo essere assolutamente compatti e uniti, sono andato apposta a Besozzo per parlare con Maroni e sono convinto che se io e lui siamo uniti non ci sono più discussioni”.
Sempre in chiave di Lega unita, Bossi ha annunciato la sua presenza al “Lega Unita Day” organizzato il primo di maggio a Zanica, in provincia di Bergamo.

Alessandro Mandron
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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SPARITA DA VALLI E FABBRICHE IN PIEMONTE ORA LA LEGA TREMA: “I DIAMANTI CI COSTERANNO CARI”

Aprile 26th, 2012 Riccardo Fucile

IL CARROCCIO GUIDATO DA COTA E’ RINTANATO NEL PALAZZO DELLA REGIONE

Quando si viaggia sulla vecchia statale del Moncenisio, la terra delle rivolte No Tav, può capitare di fermarsi a un bar per bere un vinello da denuncia ai Nas.
E lì, calando lo sguardo dalla terrazza sul gomitolo fumante di caotica massa urbana, sulle cave dell’autostrada a cielo aperto, sulle palazzine sghembe da cui spunta a fatica la cime di un campanile, può capitare di chiedersi: “Ma che cosa ci sarà  da conservare in Val di Susa?”.
Però si capisce che la rivolta No Tav è ormai una festa popolare, l’ultima occasione di sentirsi al centro dell’attenzione, il sussulto identitario di una ex valle montana avviata a disperdersi nell’anonimato della periferia universale.
E allora, dov’è la Lega? Un tempo sarebbe stata la sua scena di battaglia.
Erano quelli i suoi luoghi, i temi, i miti, le facce delle origini, lo stesso spirito indomito e arcaico un po’ da villaggio di Asterix.
La Lega è nata dalle Alpi, s’è ingrossata per la pedemontana e ha finito per invadere le città  della grande pianura, proprio come il corso del dio Po.
Ora, in Val di Susa sono passati tutti i venditori di fumo del ribellismo, ma non le camicie verdi. I nuovi populisti hanno usato i trucchi del primo Bossi, l’astuzia di capitalizzare consensi cavalcando proteste magari giuste, ma ultra locali e perciò destinate al fallimento.
Nell’era globale non sarà  certo la fiera rivolta di una valle alpina a fermare la macchina d’interessi miliardari in marcia da Lisbona a Kiev.
Non c’è la Lega e il fantomatico sindacato padano di Rosy Mauro neppure fra gli operai dell’Alenia che sventolavano il cappio all’arrivo del ministro Fornero, per minacciare il suicidio, non la forca ai corrotti.
Dal cappio dei deputati leghisti sventolato alla Camera nel ’93 in piena tangentopoli, al cappio degli operai di Torino, a quelli tragici degli imprenditori suicidi, passano vent’anni di illusioni e inganni del Nord.
La Lega dov’è?
La Lega sta nei palazzi del potere, nel cuore di Torino, in attesa della nuova sede progettata da Massimiliano Fuksas, quaranta piani nell’area del Lingotto, roba da far impallidire di vergogna il Pirellone di Milano.
A palazzo si trova benissimo, a giudicare dall’aria estasiata del governatore Roberto Cota, nonostante gli scandali e la crisi.
Cota è il più democristiano dei capi leghisti, bravissimo nel mediare fra chiunque, in buoni rapporti all’interno con il cerchio magico e con i maroniani, all’esterno con Berlusconi e Monti.
Cota è la negazione del piemontese rigido. Del resto, col Piemonte non c’entra quasi nulla. E’ figlio di pugliesi ed è molto legato a Novara, dove secondo il maestro Gianni Brera vive un popolo di “liguri che imitano i milanesi”.
Parlo mezzora con lui e non ritrovo una frase significativa sul taccuino.
Molto più interessante è la signora accanto, l’assessore al bilancio Giovanna Quaglia, della quale si dice che sia il vero governatore del Piemonte quando Cota è a Roma, all’estero o in televisione, quindi in pratica sempre.
Simpatica e ironica come molti astigiani, Giovanna Quaglia è il classico tipo del leghista intristito dal governo e nostalgico della Lega di lotta.
“Non mi diverto per niente. L’autista non lo voglio, prendo il treno da Asti, lo stipendio è troppo e dovremmo tagliarlo. Soldi non ce ne sono e ogni mattina mi tocca di dire no a uno scuola bus, all’assistenza per gli anziani, all’assunzione di un precario, di solito quello che manda avanti l’ufficio. Rimpiango la vita da militante, i tempi dei gazebo”.
Sospira sull’insalatina dietetica e prosegue: “Quando siamo andati a Roma nel ’92 ero una ragazza e mi hanno preso per le rassegne stampa. La sera andavamo tutti in pizzeria, ma tutti cercavano un tavolo lontano dal capo, perchè Bossi faceva delle ramanzine micidiali sulle spese, le ricevute mancanti, i soldi sprecati. Soltanto alla fine parlava di politica, segnando le strategie della Lega sui tovaglioli a quadretti. Tutti i parlamentari vivevano in palazzine anonime alla periferia della capitale, affittate dal partito a prezzi da studente della Sapienza. Ora leggo dei diamanti di Belsito, dei figli di Bossi, della casa di Calderoli al Gianicolo, con vista su Roma, e mi viene il magone”.
Ultimo magro boccone e considerazione finale: “La diversità  leghista era un valore autentico, la gente non ci perdonerà  queste brutte storie. Ma se pure la Lega dovesse uscire sconfitta, non significherebbe la fine della questione del Nord”.
Già , la questione settentrionale, l’uovo di Colombo della politica italiana.
L’averla soltanto messa in scena, col sottofondo del “Và  pensiero”, senza combinare nulla di concreto, ha garantito alla Lega vent’anni di successi elettorali.
“Gira e rigira le cifre son quelle” dice il sindaco Piero Fassino: “Settanta per cento del Pil e del prelievo fiscale, ottanta per cento d’investimenti dall’estero e di esportazioni, il doppio degli immigrati rispetto al resto d’Italia. Bisogna essere ciechi per non vedere”.
Ma cieca, sorda e muta è stata la sinistra rispetto alla questione settentrionale in tutti questi anni. La ragione provo a chiederle alle teste più lucide del riformismo italiano, le meno ascoltate.
Massimo Cacciari l’aveva detto, come sempre, ma stavolta è difficile non dargli ragione. “Se avessimo fatto l’Ulivo del Nord, a suo tempo, oggi avremmo praterie da percorrere. Non si è voluto, non si è capito, non si è fatto. Ora c’è un anno di tempo per mettere in campo una vera proposta riformista, bloccare Sergio Chiamparino sulla soglia dell’istituto San Paolo e affidargli il progetto”.
Sergio Chiamparino si trova fisicamente sulla soglia dell’istituto San Paolo, in procinto di diventare presidente della fondazione.
A proposito, com’è passare da comunista a banchiere?
“Quale banchiere? Andrei semmai a dirigere una delle più grandi onlus d’Europa”.
Ma se le offrissero davvero di riprendere il progetto del centrosinistra del Nord rinuncerebbe?
Chiamparino sorride: “Tanto non accadrà . Quel treno la sinistra non vuole proprio prenderlo, e dire che continua a passare. Anche ora ci sarebbe l’occasione storica di separare la questione settentrionale dalle vicende della Lega, che bene o male, molto più nel male, l’ha rappresentata finora. Ma non vedo i segnali di una svolta. E’ un peccato, anzi una tragedia. Il Nord rimane un laboratorio formidabile di riformismo sociale, ma non politico. Se si prende il treno da Torino a Trieste, i vecchi treni, non l’alta velocità , e ci si ferma a ogni tappa, si viene a contatto con una società  meravigliosamente vitale. Esperienze straordinarie di gestione aziendale, di cogestione si direbbe in sindacalese, fra lavoratori e industriali, che se applicate su vasta scale farebbero impallidire il famoso modello tedesco. Altro che il vecchio conflitto in scena fra Fiom e Marchionne! E’ questa la parte internazionalizzata della nostra economia, il futuro del Paese. La questione di fondo oggi è la stessa di vent’anni fa, chi si prende la rappresentanza di questi problemi, è destinato a vincere e a governare fino al 2030”.

Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)

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ACCUSATI DI CAMORRA, MA PAGATI DALLA REGIONE CAMPANIA

Aprile 25th, 2012 Riccardo Fucile

IN TRE PERCEPISCONO IL VITALIZIO, IN CALABRIA UN ARRESTATO ANCORA PRENDE L’INDENNITA’

Si sono presentati agli elettori parlando di trasparenza e di onestà .
Si sono fatti votare pronunciando parole di fuoco contro mafia e camorra.
Si sono fatti eleggere nei parlamentini regionali e hanno giurato fedeltà  alla Repubblica e alle sue leggi.
Si sono fregiati del titolo di onorevole e poi hanno fatto come gli pareva.
Hanno preso mazzette e trafficato con boss importanti per avere voti e potere.
Li hanno arrestati, qualcuno è in attesa di un giudizio, altri sono stati già  giudicati e condannati a passare un periodo della loro vita in galera.
Eppure vengono ancora pagati, formalmente dalle Regioni, nella sostanza dai contribuenti.
Accade in Campania, dove il quotidiano Il Mattino ha scoperto che ben tre consiglieri regionali finiti nel mirino della magistratura per rapporti opachi con boss e famiglie di camorra, percepiscono ancora uno stipendio.
Centomila euro di indennità , tanto costano gli onorevoli pregiudicati agli sfortunati contribuenti campani.
Si tratta di Roberto Conte, che fu condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa quando era un esponente del centrosinistra, ricandidato dal centrodestra e rieletto alle regionali del 2010.
Dopo una estenuante battaglia legale è rimasto fuori dal Consiglio.
Enrico Fabozzi, invece, è stato eletto con il Pd.
Era sindaco di Villa Literno e i magistrati lo accusano di legami con la terribile camorra dei “Casalesi”, ora è in carcere.
Alberico Gambino, ex sindaco di Pagani, in una zona del Salernitano ad alta densità  mafiosa, è agli arresti domiciliari per voto di scambio politico-mafioso e concussione.
Tutti e tre non frequentano le aule del Consiglio regionale, non legiferano, non vanno nelle Commissioni, insomma, non lavorano, ma vengono pagati.
Uno stipendio di 4.500 euro mensili, di cui la metà  in busta paga (2.250, più dello stipendio di un professore di liceo o di un poliziotto), il resto per coprire le spese del vitalizio di fine legislatura.
Una pacchia come in Calabria, dove i consiglieri arrestati per rapporti con la mafia sono due: Santi Zappalà  e Franco Morelli, entrambi eletti nella lista del Pdl a sostegno del governatore Giuseppe Scopelliti.
Zappalà  non percepisce emolumenti essendosi dimesso, Morelli, ancora in carcere a Milano, incassa la metà  dell’indennità , qualcosa come 2.800-3 mila euro mensili.
Regione garantista, in Calabria è stabilito per legge che “in caso di provvedimento definitivo di proscioglimento” al consigliere sospeso viene restituito tutto, anche gli arretrati.
Stipendi a go-gò, uno scandalo reso possibile dal fatto che Campania e Calabria non hanno mai deciso di cambiare la legge, così come è avvenuto in Lombardia (dove al consigliere sospeso va solo il 90% della indennità ), e di renderla più severa.
In Campania, il Pd nell’autunno scorso presentò una radicale proposta di modifica. Il Consiglio votò in seduta segreta e la respinse.
Morale amara della favola, sotto il Vesuvio ci sono tre consiglieri regionali nei guai per i loro rapporti con la camorra che non danno alcun contributo alla vita della Regione, eppure sono ancora stipendiati, con il risultato — scrive Il Mattino — che si pagano non gli stipendi di 61 consiglieri (presidente compreso), ma di 62 e mezzo…”.
Miracoli napoletani.
Scandali italiani.

Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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