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IL GOVERNO SI “GASA” TASSANDO LE BIBITE GASSATE

Agosto 28th, 2012 Riccardo Fucile

SE IL PROBLEMA E’ UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE PERCHE’ NON SI TASSANO ANCHE PATATINE E MERENDINE?

Una tassa di scopo su bibite gassate e con unadeterminata percentuale di zuccheri per tre anni, che vale circa 250 milionil’anno.
Sarebbe questa una delle ipotesi allo studio per rifinanziare l’attuazione del piano per la non autosufficienza, che rientra tra le azioni in programma per il ministero della Salute.
L’ipotesi di una tassa sulle bibite era già  stata valutata in passato, anche come monito per corretti stili di vita, e potrebbe essere inserita nel cosiddetto ‘decretone sanità ‘, che il ministro Renato Balduzzi dovrebbe portare al prossimo Consiglio dei Ministri.
I consumatori bocciano senza appello l’idea di introdurre una tassa sulle bibite gassate profilata dal governo.
«Si tratta di una ‘tassa ipocrita’ – spiega il presidente Carlo Rienzi -. Con la scusa della corretta alimentazione e dello scopo sanitario, il Governo vuole mettere le mani nelle tasche dei cittadini, aumentando il costo delle bibite gassate. In sostanza per colmare i vuoti della casse statali si cerca di far perdere i chili di troppo agli italiani».
«Se davvero il Governo ci tiene a diffondere uno stile di vita sano e una corretta alimentazione, dovrebbe aumentare l’informazione specie attraverso campagne dirette ai giovani. Non si capisce poi – prosegue Rienzi – perchè tassare solo le bibite gassate lasciando fuori altri prodotti alimentari che fanno altrettanto male alla salute, come merendine o patatine fritte.»
Anche la Coldiretti ribatte che per migliorare concretamente la qualità  dell’alimentazione nelle giovani generazioni occorre aumentare la quantità  di frutta nelle bibite che oggi per legge contengono appena il 12 per cento di vero succo.
Anche il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri si dice contrario a questa ulteriore tassa:   “Torna l’ipotesi di una tassa supplementare sulle bibite che colpirebbe ulteriormente consumatori già  esausti. È una ipotesi sbagliata e non riteniamo accettabile questo stillicidio fiscale”
Della stessa opinione è Ignazio Marino, senatore del Pd e presidente della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale: «Tassare per tre anni le bevande gassate significa, ancora una volta, cercare di fare cassa e non disegnare un piano strategico per la salute pubblica».
«Una solida riforma – prosegue Marino – sarebbe rappresentata invece dall’introduzione di un corso di educazione agli stili di vita sin dalle classi elementari. Significherebbe investire in generazioni di italiani maggiormente sani, meno dediti al fumo, ai cibi non salutari e più inclini al movimento fisico. Tutto questo si rifletterebbe in una significativa riduzione dei costi del Servizio sanitario nazionale».

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SOLITA EMERGENZA CARCERI, SI E’ DI NUOVO SUPERATA LA SOGLIA: 66.000 DETENUTI PER 45.572 POSTI LETTO

Agosto 28th, 2012 Riccardo Fucile

IL SINDACATO DI POLIZIA PENITENZIARIA: “CON I TAGLI DI SPESA DELL’80%, LE CARCERI FINIRANNO PER ESSERE AUTOGESTITE DAI DETENUTI”

Come era facilmente prevedibile, alle 17 di ieri i detenuti nelle carceri italiane hanno nuovamente superato la quota 66mila (66.065 presenze, per l’esattezza, per 45.572 posti-letto).
Ed è altrettanto prevedibile che entro pochi mesi, i dati del sovraffollamento penitenziario assumeranno di nuovo rilevanza e pericolosità .
L’appello della polizia penitenziaria.
E’ in sintesi la nuova lettera che l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp)   ha trasmesso ai responsabili dei gruppi parlamentari di Camera e Senato.
“Le cifre di un incremento di 350 detenuti in soli tre giorni – scrive il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci – questa volta hanno riguardato principalmente la Sardegna (+84), la Sicilia (+54), la Toscana (+44), la Campania (41), il Lazio (+26) e il Piemonte (+24), ovvero regioni che già  da tempo hanno superato i posti-letto disponibili e che adesso si apprestano a superare anche la capienza cosiddetta tollerabile, come già  avviene per Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto, mentre del tutto insostenibile diventa anche la penuria di personale di polizia penitenziaria”.
Carenze nell’organico: “I detenuti gestiranno le carceri?”.
Infatti – si legge ancora nella lettera – “rispetto alle 7mila unità  che mancano all’organico del Corpo, mai integrato dal 1992 (quando i detenuti erano meno di 40mila), in Piemonte ci sono 850 poliziotti penitenziari in meno, 700 ne mancano nel Lazio e in Toscana, 650 in Sicilia e 350 in Campania: con la spending review che blocca l’80% delle assunzioni, già  da quest’anno e per i prossimi tre anni, ci aspettiamo persino carceri autogestiti dagli stessi detenuti”.

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I NUOVI RISCHI DEL LAVORO PRECARIO

Agosto 28th, 2012 Riccardo Fucile

TUTELE E BARRIERE A UN MESE DALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA RIFORMA FORNERO… CONTRATTI A TERMINE, CO.CO.CO E PARTITE IVA

Ha poco più di un mese di vita, è entrata in vigore il 18 luglio.
Un tempo breve, caduto per di più nel cuore dell’estate, quando tutto rallenta e la gran parte delle decisioni viene rinviata a settembre.
Eppure si vedono già  i primi effetti della riforma del mercato del lavoro.
Sia negativi, come la difficoltà  di rinnovare i contratti a termine, sia positivi, come la decisione presa da alcune aziende di stabilizzare i precari.
Nei piani del governo quei quattro lunghissimi articoli dovrebbero aiutare i giovani a trovare un’occupazione, impresa non facile visto che sotto i 24 anni è senza lavoro un italiano su tre.
E allo stesso tempo costruire un argine contro la cosiddetta «flessibilità  cattiva», quella selva di 40 tipi diversi di contratto che in molti casi ha trasformato una sacrosanta esigenza del sistema produttivo nel problema numero uno di una generazione intera.
Dalla flessibilità  alla flessibilità  cattiva, appunto, e quindi alla precarietà .
Per questo la riforma Fornero è stata costruita con l’obiettivo di frenare i contratti a termine, quelli di collaborazione, le partite Iva e tutte quelle forma di precarietà  che l’anno scorso hanno coperto quasi 7 assunzioni su dieci. Indicando come principale canale d’ingresso l’apprendistato, un misto fra lavoro e studio che impegna l’azienda a formare un giovane ottenendo in cambio un generoso taglio dei contributi da pagare.
Il passaggio non è semplice.
Perchè è vero che la riforma dovrebbe favorire la crescita, parola magica contenuta anche nel titolo della legge.
Ma purtroppo è vero anche il contrario: senza crescita, senza l’economia che gira, è difficile spingere un imprenditore ad assumere.
Sia a termine che con un contratto stabile, sia ad agosto che a settembre.
Il primo nodo è venuto al pettine da «mamma Rai».
Più di un terzo delle persone che lavorano nei programmi di intrattenimento e approfondimento sono a partita Iva.
Più di due mila persone, molte delle quali andrebbero regolarizzate, visto che la riforma fa scattare l’assunzione se l’80% del reddito arriva dalla stessa azienda e sarebbe quindi da considerare un dipendente mascherato. L’azienda studia la possibilità  di assumerli sì, ma con contratti a termine.
E loro, gli «esterni» Rai, sono pronti a fare causa.
Anche perchè i contratti a termine sono un approdo ancora meno sicuro che in passato.
Dice la riforma che il primo non può durare più di un anno e non è prorogabile, anche se è stato eliminato l’obbligo di indicarne la motivazione.
E poi sono state allungate le pause tra un contratto e l’altro, fino a 90 giorni. Ed è qui il vero problema.
Perchè, almeno per il momento, a venire galla non è tanto la trasformazione dei vecchi contratti a termine in qualcosa di più stabile.
Ma, più semplicemente, la difficoltà  a rinnovare quelli esistenti.
Un problema che sta emergendo in mondi fra loro anche lontani, dai patronati all’Aspen Institute Italia, dalle compagnie aeree, dove ormai i cassintegrati sono più numerosi dei lavoratori a termine, fino alle case editrici.
In quest’ultimo settore, avverte Massimo Cestaro, segretario della Slc Cgil, il «rischio è che tutti i contratti a termine vengano trasformati in partite Iva. Torneremmo indietro, insomma.
E forse sarebbe stato meglio prevedere una maggiore gradualità ».
Chi la gradualità  se l’è presa da solo è il settore simbolo del precariato, quello dei call center. Qui il problema non riguarda gli operatori che ricevono le chiamate, quasi tutti stabilizzati nel 2007, ma le società  che fanno vendita o marketing, quasi 40 mila lavoratori.
«Proprio nelle ultime settimane prima dell’approvazione della legge – racconta Michele Azzola, anche lui Cgil – quasi tutte le società  hanno prorogato di tre o sei mesi i contatti in essere».
È successo a Taranto, a Rende, è successo ovunque.
Hanno preso tempo ma il problema è solo rinviato: cosa faranno tra ottobre e dicembre quando anche le proroghe arriveranno a scadenza?
C’è poi il «blocco» dei contratti a progetto denunciato dai consulenti del lavoro con un sondaggio a campione pubblicato nei giorni scorsi da Italia oggi.
È vero che la riforma ha cercato di semplificare un sistema «troppo interpretabile», come disse lo stesso Mario Monti, e proprio questo minor margine di manovra può non piacere ad alcuni consulenti.
Ma anche il loro allarme è un segnale.
Ci sono anche casi virtuosi, però.
Primo fra tutti quello della Golden Lady, l’azienda mantovana che produce calze.
Il 18 luglio, appena due giorni dopo l’entrata in vigore della riforma, l’azienda ha firmato un accordo con i sindacati che prevede l’assunzione a tempo indeterminato, entro un anno, di 1.200 persone che oggi lavorano nei negozi come associati in partecipazione.
Si tratta di un contratto flessibile che può nascondere un rapporto dipendente e per questo viene cancellato dalla riforma. «L’accordo Golden Lady – dice Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl – è un modello positivo anche se aspettiamo che dalle parole si passi ai fatti». Comunque il caso ha attirato l’attenzione del ministro Fornero che a settembre incontrerà  il management dell’azienda.
Un riconoscimento, forse. E anche l’occasione per capire come stimolare l’imitazione.
In realtà  qualche altro piccolo segnale positivo c’è, ma siamo nel campo degli effetti collaterali. Ai primi di agosto il Credito valtellinese ha chiuso un accordo di ristrutturazione che prevede sì 150 esuberi ma anche l’assunzione definitiva di un centinaio di precari.
Poco prima le Poste hanno firmato un accordo per stabilizzare più di 4 mila precari che avevano già  fatto causa all’azienda con buone probabilità  di vittoria.
Dalla riforma insomma è arrivata la spinta finale, ma sono passi che avrebbero fatto comunque. Per avere un quadro completo bisogna aspettare ancora. E per il momento occorre accontentarsi delle previsioni.
«Alla fine – dice Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil – quello a termine resterà  il contratto prevalente. Magari accelerando il turnover dei precari: non rinnovo il contatto a chi è dentro ma prendo un’altra persona e ricomincio da capo».
Non è una sorpresa visto le critiche che arrivarono nei giorni dell’approvazione, ma anche in Confindustria si dicono scettici. Specie sul reale decollo dell’apprendistato.
Anche se molto conveniente per le agevolazioni sui contributi – sostengono gli industriali – quel tipo di contratto sarà  usato poco.
E questo perchè non in tutte le zone di Italia e non per tutte le figure professionali viene garantita quella formazione in aula a carico del settore pubblico che dovrebbe completare la formazione sul campo.
In passato è successo spesso che al termine del contratto l’Inps chiedesse alle aziende i maggiori contributi proprio perchè la formazione in aula non era stata fatta.
Gli imprenditori dicono che anche dopo la riforma rischiano di pagare per colpe non loro.
Di questi e di tutti i problemi della riforma si occuperà  quell’attività  di monitoraggio prevista dalla stessa legge e che il governo ha inserito tra le «azioni in programma» nell’agenda per la crescita, discussa due giorni fa.
Ci vorranno mesi per misurare il reale impatto delle nuove norme sull’economia italiana, per capire se l’occupazione è cresciuta oppure no, vedere se ci sono dei punti da correggere. E stavolta si seguirà  davvero il modello tedesco.
A raccogliere i dati, elaborarli e analizzarli non sarà  il ministero del Welfare ma una serie di centri studi e di ricerche, organi terzi insomma, proprio come hanno fatto in Germania dopo la loro riforma di dieci anni fa.
Il ministro Fornero ne ha già  parlato con la sua collega di Berlino, Ursula von der Leyen, all’inizio di luglio e le procedure saranno definite nelle prossime settimane. Nel frattempo c’è già  chi segnala i primi punti da correggere.
L’ex ministro Cesare Damiano (Pd) si sofferma sui voucher, il lavoro a chiamata, che possono essere utilizzati anche per chi è in cassa integrazione: «Una buona idea per aiutare chi è in difficoltà  ma, come ha denunciato la Coldiretti di Cuneo, non si capisce perchè sia applicabile solo dall’anno prossimo».

Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera”)

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