Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
RITA E SALVATORE: “MAI DATO IL NOSTRO CONSENSO”… GRANATA: “AVUTO CONSENSO DEL FIGLIO E DELLA VEDOVA”
Rischia di diventare un boomerang per Gianfranco Fini l’idea di tenere domenica 17 un comizio a Palermo, in via D’Amelio, luogo-simbolo in cui decise di staccarsi da Berlusconi e fondare Fli. I fratelli Rita e Salvatore Borsellino sono infatti contrari ed emettono comunicati per farlo sapere, mentre il gran regista dell’operazione, il delfino del presidente della Camera, Fabio Granata, sostiene di avere avuto il consenso della moglie e dei figli del giudice Paolo Borsellino
LO SCHIAFFO A BERLUSCONI
Per il momento, comizio confermato con famiglia divisa. Ma si macchia di sospetti e diffidenze un’iniziativa annunciata come uno schiaffo al Cavaliere, visto che, evoca Granata, «tutto cominciò in via D’Amelio».
Riferimento esplicito alle dichiarazioni positive espresse tre anni fa da Fini, proprio sotto casa Borsellino, nel giorno dell’anniversario della strage, a favore del pentito Gaspare Spatuzza.
Per dire che, pur con le sue accuse più o meno dirette a Marcello Dell’Utri e allo stesso Berlusconi, Spatuzza andava ascoltato, protetto e riconosciuto come collaboratore affidabile.
AGENDE ROSSE ESTRANEE
La pensa su questo punto allo stesso modo Salvatore Borsellino, ma sorpreso dallo sbandierato «preteso tacito assenso della famiglia», tiene a precisare di considerare l’iniziativa «inopportuna» e bacchetta: «Mi preme fare presente che nessuna adesione è stata data dal “Movimento delle Agende rosse” che è, per statuto, assolutamente trasversale e che si è sempre astenuto dal partecipare ad iniziative ed eventi legati a competizioni di tipo elettorale».
IL PRECEDENTE DA EVITARE
Durissima la reazione di Rita Borsellino, eurodeputato e leader di un Centro studi costituito da alcune settimane a Palermo: «Mi preme smentire che ci sia un assenso in qualsiasi forma da parte della famiglia: non spetta a noi darlo o negarlo. Mi chiedo soprattutto se sia opportuno che un partito faccia un’iniziativa pubblica in via d’Amelio proprio nel pieno della campagna elettorale, fatto che creerebbe un precedente».
LA FAMIGLIA AVVERTITA
Stupito dalle due reazioni, Fabio Granata, candidato per Fli in Sicilia, pur contestato all’interno della sua area da molti deputati fuoriusciti, rilancia assicurando di avere parlato dell’evento annunciato con Manfredi, il figlio di Borsellino «che ha riferito alla madre, la signora Agnese». Dettagli sui quali Granata vorrebbe non insistere, dice: «Ma senza quell’assenso richiesto espressamente non mi sarei mai permesso di dare il via libera all’iniziativa».
E ancora: «Per me quella è la famiglia, altrimenti non mi sarei permesso di citarla. L’iniziativa sobria e senza bandiere di partito, con un solo grande tricolore è rivolta simbolicamente al luogo».
LA DESTRA LEGALITARIA
Ma restano i malumori, a cominciare da Rita Borsellino che Granata critica: «Da rappresentante politica ma anche da sorella di Paolo, dovrebbe essere felice dell’esistenza in Italia di una destra che ha in quel luogo un suo riferimento sacro. È una destra legalitaria che dovrebbe ricordarle qualcosa di familiare…».
Una polemica spinosa che, fra le proteste di una parte della famiglia e nel silenzio dell’altra parte, rende inquieto lo stesso Fini perchè lo schiaffo al Cavaliere potrebbe diventare, appunto, un boomerang.
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
IN CARCERE IL PRESIDENTE DEL GRUPPO PUBBLICO, VICINO AL LEGHISTA MARONI, DOMICILIARI PER L’AD SPAGNOLINI… MAZZETTE COME “FILOSOFIA AZIENDALE”, PRESSIONI SUL CSM PER OSTACOLARE I MAGISTRATI E SU SQUINZI PER AMMORBIDIRE LA LINEA DEL SOLE24 ORE
Il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi è stato arrestato dai carabinieri del Noe con l’accusa di corruzione internazionale nell’ambito dell’inchiesta su Finmeccanica condotta dal pm di Busto Arsizio Eugenio Fusco.
L’accusa nei suoi confronti è di corruzione internazionale, peculato e concussione, per le presunte tangenti che sarebbero state pagate per la vendita di 12 elicotteri Agusta Westland al governo indiano.
Il gip di Busto Arsizio ha disposto anche gli arresti domiciliari per l’ad di Augusta Westland, Bruno Spagnolini, con le stesse accuse.
Con Orsi, sono stati arrestati anche due cittadini svizzeri, Guido Haschke e il suo socio Carlo Gerosa, che intermediarono nell’affare con Finmeccanica.
Secondo l’accusa, per la vendita degli elicotteri fu pagata una tangente da 51 milioni di euro.
Dalle carte emerge che il presidente di Finmeccanica avrebbe cercato di ostacolare l’inchiesta giudiziaria contattando il Csm affinchè venisse nominato in tempi brevi il nuovo procuratore di Busto Arsizio.
Questi, a sua volta, avrebbe dovuto estromettere dall’indagine il procuratore applicato Eugenio Fusco, titolare del fascicolo su Giuseppe Orsi.
Dalle certa emerge anche un’intercettazione telefonica in cui lo stesso Orsi si lamenta con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi degli articolo critici pubblicati da Il Sole-24 Ore.
E Squinzi promette immediatamente di intervenire sul direttore del quotidiano, Roberto Napoletano.
Secondo il gip, sia Giuseppe Orsi che Bruno Spagnolini “appaiono convinti dell’esigenza di ricorrere a tali sistemi operativi per ottenere l’aggiudicazione delle gare di appalto”.
A questo riguardo, con riferimento a Spagnolini, il gip sottolinea che in una valigia sequestrata all’intermediario Haschke a casa della madre è stato trovato un memorandum risalente al 2010 “riguardante successiva fornitura di mezzi Agusta sempre all’India con specifico riferimento alla tangente richiesta dal pubblico ufficiale coinvolto in quei fatti (tale Saini).
Dunque — annota il giudice — l’Agusta Westland, e per essa la sua dirigenza e lo Spagnolini in particolare, sembrano essere consueti al pagamento di tangenti e vi è motivo di credere che tale ‘filosofia aziendale’ si ripeta anche in futuro se non resa vana attraverso l’intervento cautelare”.
Riguardo a Orsi, scrive ancora il giudice, “rivela il suo disincanto per la pratica tangentizia e, dunque deve aggiungersi, il suo convincimento che la stessa sia un fattore naturale della pratica aziendale”.
”Ho sempre fatto il bene dell’azienda e del paese” ha detto Orsi al suo legale Ennio Amodio dopo l’arresto. Orsi, afferma Amodio, “non ha mai commesso alcun illecito e lo dimostreremo”.
L’inchiesta che ha determinato l’arresto del presidente di Finmeccanica, vicino al leader leghista Roberto Maroni, è stata condotta a lungo dai pubblici ministeri di Napoli Piscitelli e Woodcock e poi trasmessa a Busto Arsizio per decisione della Corte di Cassazione, che ha stabilito la competenza territoriale dei magistrati lombardi. Nella prima fase dell’inchiesta i pm napoletani hanno raccolto una gran quantità di documenti e numerosi indizi a carico di Orsi e di altri indagati.
I magistrati della procura di Busto Arsizio, attraverso altre indagini, hanno completato il quadro accusatorio, chiedendo ed ottenendo le misure cautelari eseguite questa mattina.
Finmeccanica, si legge in una nota, ”esprime solidarietà ” al suo presidente e all’amministratore della controllata Agusta Westland.
La società comunica inoltre che l’attività aziendale prosegue con ordine. Sulla vicenda intervien, con altri toni, anche il presidente del consiglio uscente Mario Monti: “La magistratura fa il suo lavoro e sono sicuro lo farà fino in fondo”, spiega a Unomattina, ma su Finmeccanica “c’è un problema di governance che affronteremo”. L’aspetto delle regole è “importante andare avanti per estirpare la corruzione”, “rafforzando la disciplina”.
Il premier ha anche ricordato come la legge anticorruzione sia stata approvata “con fatica” per l’opposizione della destra.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
SONDAGGISTI PREOCCUPATI… VANTAGGIO PER BERSANI E MONTI
«La campagna elettorale è finita alle undici e quarantasei di questa mattina». Luigi Crespi, sondaggista e
spin doctor di quattro candidati («di destra e di sinistra») ne è assolutamente certo: la notizia delle dimissioni di Ratzinger è un ciclone capace di spazzare via tutto.
Ma a questo punto a temere è soprattutto Silvio Berlusconi, lanciato in una difficilissima rimonta contro il tempo.
Impegnato ovunque e allo spasimo per dare una scossa ai suoi elettori delusi del 2008, per rimotivarli al voto con proposte shock, battute e battutacce, Mussolini e l’Imu.
Ora più nulla.
«Il gesto del Papa un evento di tale portata – ammette Paolo Bonaiuti – che oscura la campagna elettorale. Ma è impossibile fare calcoli meschini di convenienza, dobbiamo tutti cedere il passo».
Ma a chi giova questo farsi da parte della politica in televisione, sui giornali, nei bar, nelle discussioni serali in famiglia? La paura del Pdl è che il silenziamento della campagna imposto dalla notizia del Papa – con il Conclave, le ipotesi sui “papabili” e tutto il resto – renderà ancora più difficile la corsa ad ostacoli del Cavaliere.
Perchè Berlusconi, come ha calcolato Roberto D’Alimonte sul Sole24ore, «tra oggi e il 24 febbraio dovrebbe recuperare tanti voti quanti ne ha riconquistati negli ultimi mesi».
Per avere una qualche speranza di vincere Berlusconi dovrebbe convincere il 50% degli indecisi in due settimane.
Missione quasi impossibile senza una presenza massiccia in tv.
Anche perchè non c’è soltanto il caso Ratzinger ad oscurare la campagna.
Oggi infatti inizia Sanremo e il black-out rischia davvero di essere totale.
Non a caso ieri il Cavaliere ha masticato amaro perchè «il Festival della canzone italiana diminuisce la possibilità a dieci giorni dal voto di comunicare con gli italiani».
Inoltre Sanremo sarà in mano a Fazio, Litizzetto e Crozza.
Un trio che terrorizza il Pdl vista anche l’audience sterminata del Festival.
«Ma devono stare attenti – avverte Maurizio Lupi – perchè se esagerano con le battute contro di noi per loro potrebbe essere un boomerang. Come si è visto con la puntata di Servizio Pubblico, che è stata l’inizio della nostra rimonta».
Se Atene piange, Sparta stavolta ride.
Nel quartier generale dei democratici il fatto che per qualche giorno il “Caimano” resti senza acqua fa tirare qualche sospiro di sollievo.
Ma non è soltanto una questione di tempi televisivi. C’entra anche il “mood”, il clima di una campagna condotta fin qui da tutte le parti senza esclusione di colpi.
Uno stile urlato che non giova a un anti-leader come Bersani, costretto alla serietà dal fatto che tra qualche giorno potrebbe essere chiamato a palazzo Chigi.
E difatti, con i suoi, il segretario del Pd ha convenuto che la campagna «ora dovrà essere ricalibrata su toni diversi, più riflessivi».
E il fatto che si abbassi il volume degli slogan, su una tonalità più congeniale al carattere di Bersani, non può che far piacere a largo del Nazareno.
A giovarsene in parte sarà anche Mario Monti, il campione dello stile felpato.
Oltretutto oggi il premier potrà contare sul palcoscenico istituzionale offerto dalla cerimonia per l’anniversario dei Patti lateranensi.
Dove Berlusconi non sarà presente, visti gli attuali rapporti di freddezza con Oltretevere e l’imbarazzo che il leader del Pdl suscita in Vaticano.
«Questo evento epocale dell’abbandono volontario del Pontefice – riflette Mario Sechi, spin doctor di Monti e candidato di Scelta Civica – oggettivamente cristallizza la situazione. È uno shock maggiore di tutti i possibili shock promessi da Berlusconi. E soprattutto congela le urla, impone ai leader di parlare più sottovoce».
Chiaro che ad esserne penalizzati saranno i candidati estremi. Grillo anzitutto, ma anche il Cavaliere.
Per Alessandra Ghisleri il «silenzio tombale» che calerà sulla campagna elettorale è un fenomeno dalle conseguenze imprevedibili.
«Noi – rivela la sondaggista del Cavaliere – stiamo cercando di studiare cosa cambierà in questi giorni. Intanto, ci saranno dei blocchi. Per tutti si impone, diciamo così, una par condicio superiore. Che sbarra la strada a tutti. Penso che Grillo, il più eretico dal punto di vista mediatico, avrà le sue difficoltà , rimarrà impantanato ».
E Berlusconi? «Alla fine lui e Bersani riusciranno comunque a emergere, sebbene con maggiore difficoltà ».
Ma la campagna «si concentrerà a questo punto dopo Sanremo, si giocherà tutto tra lunedì e venerdì della prossima settimana.
Quando le dimissioni del Papa saranno già metabolizzate».
Cinque giorni per conquistare 5 milioni di indecisi.
Per Berlusconi una vera missione impossibile.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
L’IRONIA DI FAZIO: “PAGHI ENTRO IL 28, SENNO’ C’E’ LA SOVRATASSA”
Sfocia in una mezza istigazione a evadere il canone e in un “me ne frego dello spread”, la scoppiettante campagna elettorale di Silvio Berlusconi.
Che non conosce sosta, nè remore nei toni, anche nel giorno grigio dell’evento epocale in Vaticano.
Il commento all’abdicazione del Pontefice diventa l’unica parentesi di serietà in un pomeriggio con numeri da comico nella trasmissione radio “Un giorno da pecora”, neanche un paio d’ore dopo la diffusione della notizia.
Nello staff serpeggia una certa preoccupazione per gli spazi mediatici che nei prossimi giorni si restringeranno in maniera considerevole, tra speciali e approfondimenti sul Papa, a dieci giorni dal voto.
Risale invece a ore prima, a “Unomattina”, l’attacco preventivo riservato al Sanremo di Fazio e Littizzetto.
«Non ci voleva niente a spostarlo di due settimane, già abbiamo una legge disgraziata, che è quella sulla par condicio» sostiene il leader Pdl.
«Se Sanremo diventa la Festa dell’Unità , credo che il 50 per cento degli italiani non pagherà il canone ».
Un’uscita piaciuta per nulla al direttore generale Rai Luigi Gubitosi, convinto che il Festival «non sarà affatto la Festa dell’Unità , ragion per cui il canone va pagato eccome».
Più ironico il conduttore Fabio Fazio, nella conferenza di presentazione: «Ma quindi Berlusconi non ha ancora pagato il canone! Volevo ricordargli che c’è tempo fino al 28 febbraio per farlo senza incorrere in ulteriori sanzioni».
E la Littizzetto: «Potrebbe andare Berlusconi adesso a fare il Papa, bisogna vedere se sta bene vestito di bianco».
Tutto il resto da stasera su RaiUno.
Il Cavaliere proverà a smorzare nel pomeriggio, scherzando sul fatto che se Fazio lo invitasse andrebbe «assolutamente, subito: potrei anche presentare una mia canzone e cantarla ».
Sanremo a parte, da “Unomattina” Berlusconi fa sapere agli italiani che «non devono preoccuparsi dello spread, perchè è la differenza tra quello che deve pagare la Banca d’Italia sui titoli di prima emissione quello che paga la banca tedesca, e non ce ne può importare di meno».
Preannuncia che «riceveranno una lettera nella quale confermo che lo Stato restituirà l’Imu pagata, se eletto ».
E rilancia la storia del condono.
Sicuro di vincere, «di aver sorpassato Bersani, io in corsia di sorpasso, lui di emergenza».
Fanno capolino nuove idee, come quella di «tagliare del 3 per cento gli stipendi degli impiegati pubblici» per sforbiciare le spese statali.
Il meglio di sè però lo riserva a “Un giorno da pecora”.
«La mia cazzata più grande? Dopo quella di entrare in politica, aver firmato la nomina di senatore a vita di Monti».
Una cosa bella del Professore? «Il cane, che però è preoccupato perchè gli ha messo la tassa sull’osso».
E dopo la gaffe maschilista di sabato in Veneto, rilancia quando gli chiedono se ha mai tradito una donna: «Non si dice, un uomo, come un timbro, timbra».
Attrazione verso gli uomini?, gli chiede Claudio Sabelli Fioretti: «Ma scherziamo, posso prenderla a schiaffi, lei è un depravato» sempre col sorriso sulle labbra.
E che fine ha fatto la fidanzata sparita da foto e video, Francesca Pascale?
«Siamo due cuori e una capanna, non la faccio uscire perchè sono geloso, presto ci sarà un servizio su Chi».
Per concludere, in una giornata forse poco adatta alle battute sul tema, che lui aspira «all’eternità : io sono tecnicamente eterno, lo ha detto anche Scapagnini. E l’epitaffio lo ha già dettato mia madre: fu un uomo buono e giusto».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
POTREBBE ESSERE IL TURNO DEL PAPA DI COLORE, MA IL PIU’ ACCREDITATO RESTA L’ARCIVESCOVO DI MILANO
E ora? Dopo le dimissioni del Papa subentreranno le diverse autorità della sede vacante e della
preparazione del Conclave, senza che ci siano i novendiali e le altre cerimonie che in passato hanno accompagnato la sede vacante per le esequie del Sommo Pontefice. «A quel punto avranno luogo le attività delle congregazioni dei cardinali che si orienteranno sulle elezione fin dall’inizio e, visto che questo comincia dal primo di marzo, e che l’esperienza ci parlava in passato di una elezione nel giro di 15-20 giorni, possiamo prevedere che nel mese di marzo dovremmo avere il nuovo Papa, per Pasqua», spiega il portavoce vaticano padre Federico Lombardi.
Passati gli ottanta i cardinali non partecipano al conclave per eleggere il successore di Pietro.
Questo formalmente non impedisce di essere eletti.
Intanto nei corridoi della Curia romana corrono i nomi dei papabili.
Il più accreditato successore di Joseph Ratzinger è l’arcivescovo ciellino di Milano, Angelo Scola.
Subito dopo l’annuncio choc delle dimissioni di Benedetto XVI dal pontificato si affacciano le prime speculazioni sui possibili successori: uno dei papabili è il cardinale austriaco Christoph Schoenborn.
L’arcivescovo di Vienna, 67 anni, rientra nel solco della tradizione segnata da Benedetto XVI, ma portavoce di una linea riformista nella Chiesa cattolica.
Potrebbe essere scoccata l’ora del primo Pontefice “extra-europeo” della storia.
In pole position, il filippino Luis Antonio Tagle, l’americano Timothy Dolan, il brasiliano d’origini tedesche Odilo Pedro Scherer.
Vengono attribuite chances anche ai porporati di Curia, il franco canadese Marc Ouellet (prefetto dei Vescovi), l’italiano Gianfranco Ravasi, a capo della Cultura, l’argentino Leonardo Sandri, prefetto delle Chiese orientali,il francese Jean-Louis Tauran (responsabile del dialogo interreligioso), il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson,ministro degli Affari sociali.
E molti ricordano che già prima della sua elezione al Soglio di Pietro lo stesso Joseph Ratzinger disse nel 2004 a una televisione teledesca che i tempi erano maturi per un pontefice di colore.
Benedetto XVI «naturalmente non parteciperà al Conclave», ha precisato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi.
Joseph Ratzinger, precisa padre lombardi, «ha detto molte volte che aveva pensato di dedicare la sua età anziana alla preghiera e allo studio, alla riflessione, eventualmente alla scrittura.
Sono tutte cose che può fare liberissimamente e immaginiamo possa compiere, dipenderà da lui». Dunque Benedetto XVI non sarà più Papa dal 28 febbraio.
E la notizia diffusa dalle agenzie ha subito trovato riscontri sulle lavagne dei bookmaker d’oltremanica, che già nel 2011 si erano messi all’erta dopo le voci, poi smentite, sulle sue dimissioni.
Stavolta l’addio al pontificato è certo e in lavagna sono aperte le scommesse sul successore.
Sulla provenienza, la “battaglia” è tra Italia e Africa, date rispettivamente a 2,75 e 3,00 dai quotisti dell’agenzia Paddy Power.
Un testa a testa che trova conferma anche nella lista dei nomi: il cardinale nigeriano Francis Arinze, fa sapere Agipronews, è la prima scelta a 2,90, seguito a 3,25 dal ghanese Peter Turkson e dal cardinale canadese Marc Ouellet (6,00).
Il primo italiano è l’arcivescovo Angelo Scola (8,00), seguito dal cardinale Bertone a 13,00.
Si punta anche sul nome del prossimo pontefice: Pietro è avanti a 5,00, Pio segue a 6,00, Giovanni Paolo e Giovanni sono a 7,00, mentre un altro Benedetto si gioca a 9,00.
Giacomo Galeazzi
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
L’ADDIO DEL PAPA LEGATO A UNA CRISI DI SISTEMA FATTA DI CONFLITTI, MANOVRE E TRADIMENTI
Non essendo riuscito a cambiare la Curia, Benedetto XVI è arrivato ad una conclusione amara: va via, è lui che cambia.
Si tratta del sacrificio estremo, traumatico, di un pontefice intellettuale sconfitto da un apparato ritenuto troppo incrostato di potere e autoreferenziale per essere riformato.
È come se Benedetto XVI avesse cercato di emancipare il papato e la Chiesa cattolica dall’ipoteca di una specie di Seconda Repubblica vaticana; e ne fosse rimasto, invece, vittima.
È difficile non percepire la sua scelta come l’esito di una lunga riflessione e di una lunga stanchezza.
Accreditarlo come un gesto istintivo significherebbe fare torto a questa figura destinata e entrare nella storia più per le sue dimissioni che per come ha tentato di riformare il cattolicesimo, senza riuscirci come avrebbe voluto: anche se la decisione vera e propria è maturata domenica.
Quello a cui si assiste è il sintomo estremo, finale, irrevocabile della crisi di un sistema di governo e di una forma di papato; e della ribellione di un «Santo Padre» di fronte alla deriva di una Chiesa-istituzione passata in pochi anni da «maestra di vita» a «peccatrice»; da punto di riferimento morale dell’opinione pubblica occidentale, a una specie di «imputata globale», aggredita e spinta quasi a forza dalla parte opposta del confessionale.
Senza questo trauma prolungato e tuttora in atto, riesce meno comprensibile la rinuncia di Benedetto XVI.
È la lunga catena di conflitti, manovre, tradimenti all’ombra della cupola di San Pietro, a dare senso ad un atto altrimenti inesplicabile; e per il quale l’aggettivo «rivoluzionario» suona inadeguato: troppo piccolo, troppo secolare.
Quanto è successo ieri lascia un senso di vuoto che stordisce
E nonostante la sua volontà di fare smettere il clamore e lo sconcerto intorno alla Città del Vaticano, le parole accorate pronunciate dal Papa li moltiplicano.
Aggiungono mistero a mistero.
Ne marcano la silhouette in modo drammatico, proiettando ombre sul recente passato. Consegnano al successore che verrà eletto dal prossimo Conclave un’istituzione millenaria, di colpo appesantita e logorata dal tempo.
E adesso è cominciata la caccia ai segni: i segni premonitori.
Come se si sentisse il bisogno di trovare una ragione recondita ma visibile da tempo, per dare una spiegazione alla decisione del Papa di dimettersi: a partire dall’accenno fatto l’anno scorso da monsignor Luigi Bettazzi; e poco prima dall’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, che si era lasciato scappare questa possibilità durante un viaggio in Cina, ipotizzando perfino un complotto contro Benedetto XVI
Ma la ricerca rischia di essere una «via crucis» nella crisi d’identità del Vaticano.
Riaffiora l’immagine di Joseph Ratzinger che lascia il suo pallio, il mantello pontificio sulla tomba di Celestino V, il Papa che «abdicò» nel 1294, durante la sua visita all’Aquila dopo il terremoto, il 28 aprile del 2009.
Oppure rimbalza l’anomalia dei due Concistori indetti nel 2012 «per sistemare le cose e perchè sia tutto in ordine», nelle parole anonime di un cardinale.
O ancora tornano in mente le ripetute discussioni col fratello sacerdote Georg, sulla possibilità di lasciare.
Qualcuno ritiene di vedere un indizio della volontà di dimettersi perfino nei lavori di ristrutturazione dell’ex convento delle suore di clausura in corso nei giardini vaticani: perchè è lì che Benedetto XVI andrà a vivere da «ex Papa», dividendosi col palazzo sul lago di Castel Gandolfo, sui colli a sud di Roma
L’Osservatore romano scrive che aveva deciso da mesi, dall’ultimo viaggio in Messico.
Ma è difficile capire quando l’intenzione, quasi la tentazione di farsi da parte sia diventata volontà e determinazione di compiere un gesto che «per il bene della Chiesa», nel breve periodo non può non sollevare soprattutto domande; e mostrare un Vaticano acefalo e delegittimato nella sua catena di comando ma soprattutto nel suo primato morale: proprio perchè di tutto questo Benedetto XVI è stato l’emblema e il garante.
«Il Papa continua a scrivere, a studiare. È in salute, sta bene», ripetono quanti hanno contatti con lui e la sua cerchia. «Non è vero che sia malato: stava preparando una nuova enciclica». Dunque, la traccia della malattia sarebbe fuorviante.
Smonta anche il precedente delle lettere riservate preparate segretamente da Giovanni Paolo II nel 1989 e nel 1994, nelle quali offriva le proprie dimissioni in caso di malattia gravissima o di condizioni che gli rendessero impossibile «fare il Papa» in modo adeguato.
Ma l’assenza di motivi di salute rende le domande più incalzanti.
E ripropone l’unicità del passo indietro.
Il gesuita statunitense Thomas Reese calcola che nella storia siano state ipotizzate le dimissioni di una decina di pontefici.
Ma fa notare che in generale i papi moderni hanno sempre scartato questa possibilità .
Eppure, gli scritti di Ratzinger non hanno mai eluso il problema, anzi: lentamente affiora la realtà di un progetto accarezzato da tempo.
«I due Georg sapevano», si dice adesso, alludendo al fratello Georg Ratzinger e a Georg Gà¤nswein, segretario particolare del pontefice.
Forse, però, colpisce di più che fosse all’oscuro di tutto il cardinale Angelo Sodano, ex segretario di Stato e numero uno del Collegio Cardinalizio; e con lui altre «eminenze», che parlano di «fulmine a ciel sereno».
È come se perfino in queste ore si intravedesse una singolare struttura tribale, che ha dominato la vita di Curia con amicizie e ostilità talmente radicate da essere immuni a qualunque richiamo all’unità del pontefice.
Sotto voce, si parla del contenuto «sconvolgente» del rapporto segreto che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito di Vatileaks, la fuga di notizie riservate per la quale è stato incriminato e condannato solo il maggiordomo papale, Paolo Gabriele.
Si fa notare che da oltre otto mesi lo Ior, l’Istituto per le opere di religione considerato «la banca del Papa», è senza presidente dopo la sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi.
Rimane l’eco intermittente dello scandalo dei preti pedofili, che pure il pontefice ha affrontato a costo di scontrarsi con una cultura del segreto ancora diffusa negli ambienti vaticani.
E continuano a spuntare «buchi» di bilancio a carico di istituti cattolici, dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura italiana. È questa eredità di inimicizie, protagonismi, lotta fra correnti, faide economiche con risvolti giudiziari che sembra aver pesato più di quanto si immaginasse sulle spalle infragilite di Benedetto XVI.
È come se avesse interiorizzato la «malattia» della crisi vaticana di credibilità , irrisolta e apparentemente irrisolvibile.
Conferma il ministro Andrea Riccardi, che lo conosce bene: «Ha trovato difficoltà e resistenze più grandi di quelle che crediamo. E non ha trovato più la forza per contrastarle e portare il peso del suo ministero. Bisogna chiedersi perchè»
Ma nel momento in cui decide di dimettersi da Papa, Benedetto XVI infrange un tabù plurisecolare, quasi teologico.
Fa capire alla nomenklatura vaticana che nessuno è insostituibile: nemmeno l’uomo che siede sulla «Cattedra di Pietro». E apre la porta a una potenziale ondata di dimissioni.
Soprattutto, addita al Conclave la drammaticità della situazione della Chiesa.
Dà indirettamente ragione a quegli episcopati mondiali, in particolare occidentali, che da mesi osservano la Roma papale come un nido di conflitti e manovre fra cordate che da tempo pensano solo alla successione.
L’annuncio delle dimissioni avviene in coincidenza con l’anniversario dei Patti lateranensi; e nel bel mezzo di una campagna elettorale: al punto che ieri alcuni leader si chiedevano se interrompere per un giorno i comizi.
Ma già si guarda avanti. Bertone ha chiesto di incontrare per una decina di minuti il capo dello Stato Giorgio Napolitano prima della festa in ambasciata di oggi pomeriggio.
E il «toto-Papa» impazza, con le scommesse fuorvianti sull’«italiano» o il «non italiano». Stavolta, in realtà , sarà un Conclave diverso.
Il sacrificio di Benedetto XVI, per quanto controverso, mette tutti davanti a responsabilità ineludibili.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
LA COMMOZIONE DI BERTONE. LA SORPRESA DI SCOLA, L’AMAREZZA DI BAGNASCO
Porta Sant’Anna, il varco tra l’universo esterno e la città papale, mezz’ora dopo l’annuncio di Benedetto
XVI.
Lo sgomento della Chiesa di Roma assume forme diverse. La preghiera di tanti.
Ma anche la sequela impressionante di auto blu targate Scv, Stato Città del Vaticano, che sfrecciano da via di Porta Angelica verso Porta Sant’Anna a tutta velocità , appena un rapido segnale con i fari e la guardia svizzera si fa da parte quasi con un balzo. All’interno, prelati attaccati al telefonino, severi funzionari in cravatta scura come i loro volti impenetrabili.
Di solito, qui a Sant’Anna, il rito prevede una breve sosta, un saluto, un ingresso a velocità ridottissima.
Oggi tutto ha il sapore di allarme e di emergenza.
Di vertici convocati all’improvviso.
Il contrasto con piazza San Pietro è netto, un’ora dopo l’annuncio appaiono più troupe televisive e giornalisti che fedeli.
Solo alle 16 il tradizionale rosario recitato ogni pomeriggio sulla sinistra della scalinata di San Pietro, e trasmesso in diretta sul web, viene dedicato «alle intenzioni espresse dal Sommo Pontefice».
Nella grande Basilica cuore della cattolicità , tutto è normalissimo.
Forse qualche fedele in più in ginocchio davanti al sepolcro del Beato Giovanni Paolo II. Ma niente di più.
Poi provvede l’acquazzone a scoraggiare possibili veglie di preghiera in piazza.
Pregano però in tanti, soprattutto ai vertici della Chiesa italiana.
Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, parla ai fedeli riuniti nella chiesa di Santa Maria di Lourdes in via Fratelli Induno.
La commozione è sincera, trasparente: «La decisione mi ha sorpreso completamente. Tutti voi, come noi, come me, abbiamo bisogno di assimilare questo momento. Sarà , come il Papa ha detto, per il bene della Chiesa. Accogliamo questa decisione con fede e serenità . Siamo nelle mani di Dio e Dio conduce la Chiesa con serenità e sicurezza».
Anche il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, parla di una «decisione inattesa, sconvolgente, emozionante e commovente», annunciata «davanti ai cardinali presenti smarriti ed emozionati».
E descrive lo stato d’anima del papa «molto sereno».
L’amarezza del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, è dichiarata: «Una decisione che ci lascia con l’animo carico di dolore e di rincrescimento. Ancora una volta Benedetto XVI ha offerto esempio di profonda libertà interiore».
Lo stupore dei Pastori è parallelo a quello della Chiesa di base, a contatto con i fedeli giorno per giorno. I frati di Assisi, «attoniti e sorpresi», appena saputa la notizia si sono raccolti sulla tomba di San Francesco: «Preghiamo per il Santo Padre e per la Chiesa in questo particolare momento storico», annuncia una nota divulgata da padre Enzo Fortunato.
Con i frati, il custode del Sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese, e il ministro generale padre Marco Tasca.
La Roma papale è anche città di popolose parrocchie.
Per esempio il Sacro Cuore di Cristo Re in Prati, l’ingresso è accanto alla Rai in viale Mazzini.
Dice il parroco, padre Angelo Arrighini: «La decisione di Benedetto XVI è estremamente significativa, basti dire che è la prima dopo secoli. Il Papa aveva già in qualche modo preannunciato una simile eventualità , ma quando l’annuncio è arrivato ha colto di sorpresa tutti. Una sorpresa direi piacevole, nella prospettiva della fede, proprio per il coraggio con cui è arrivato alla sua decisione».
Don Andrea Fulco è invece il viceparroco di Santa Maria Regina Pacis a Ostia Lido: «Benedetto XVI rappresenta la tradizione apostolica e incarna il successore di Pietro. Se ha stabilito di intraprendere questo cammino, significa che dobbiamo accogliere il suo messaggio col dovuto senso del mistero e con tanta preghiera. Un momento non facile ma servirà alla salvezza di tutta la Chiesa».
Una pausa: «L’annuncio è giunto inaspettato. Ma lo Spirito soffia dove vuole, su ogni cosa. Lo Spirito non si può prevedere e a noi non resta che raccoglierci in preghiera».
E la Chiesa lontana delle missioni, come la prenderà ?
Risponde padre Venanzio Milani, comboniano, presidente della Misna, l’agenzia giornalistica che offre le notizie provenienti da tutte le missioni cattoliche nel mondo: «Di dimissioni del Papa si era già parlato ai tempi della malattia di Giovanni Paolo II. Sia lui che Benedetto XVI rappresentano personalità altamente responsabili e consapevoli dell’ufficio. Cioè grandi persone che possono rendere grandi decisioni come questa, in uno spirito di fede e di fiducia nelle persone umane e del Padreterno».
I fedeli «lontani» comprenderanno?
«Io credo di sì, il fatto che il Papa ammetta la debolezza legata alla sua età avanzata trasforma il suo gesto in un atto di forza e di fiducia proprio nel compito del Papa. La Chiesa è fatta di uomini, quindi di questioni anche umane. Le dimissioni del Pontefice romano testimoniano responsabilità e coerenza, desteranno dappertutto stupore e ammirazione. Indicheranno anche un nuovo inizio…».
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
UNO SU CINQUE E’ UNDER 35…I CONTI DELLA RECESSIONE: 53 MILIARDI PER SUSSIDI E AMMORTIZZATORI
Quattrocentottanta occupati in meno al giorno.
Tanto ci è costata la recessione più grave del Dopoguerra.
I conti li ha fatti l’ufficio studi della Confartigianato in uno studio sul mercato del lavoro dal 2007 a oggi di prossima pubblicazione.
Gli occupati erano 23 milioni e 541 mila ad aprile 2008.
Allora, giustamente, si diceva che una delle priorità dell’Italia era di aumentare il numero di persone che lavorano.
L’aggiornamento degli obiettivi di Lisbona (Europa 2020) prevede infatti per l’Italia un target del 67-69% di occupati nella fascia d’età 20-64 anni da raggiungere entro il 2020. Eravamo al 63% nel 2008, cioè a meno quattro dall’obiettivo.
Purtroppo la crisi mondiale ha cambiato il corso delle cose e la priorità è diventata un’altra: evitare la falcidia di posti di lavoro.
Che purtroppo c’è stata.
A dicembre 2012 gli occupati sono stati calcolati dall’Istat in 22 milioni e 723 mila: 818 mila in meno rispetto a quattro anni e mezzo prima, 480 posti persi al giorno, appunto.
E il tasso di occupazione (20-64 anni) è sceso al 61%: il traguardo di «Europa 2020» si allontana.
Ed è praticamente impossibile da raggiungere, secondo Confartigianato
Infatti, se prendiamo a riferimento il tasso di variazione dell’occupazione previsto per il triennio 2013-2015 nel Def, cioè nel Documento di economia e finanza del governo, che è pari allo 0,6%, i livelli di occupazione pre-crisi verranno ripristinati solo nel 2025, cioè fra 18 anni.
Insomma, è lo stesso governo a non credere in un rilancio a breve dell’occupazione. L’altro dato che colpisce analizzando il dossier ricco di tabelle è che in questi 5 anni a diminuire, di circa il 20%, sono stati gli occupati fino a 35 anni, scesi di quasi un milione e mezzo, mentre c’è stato un aumento di quasi 600 mila occupati con più di 55 anni. Abbiamo insomma molti più lavoratori anziani.
Si tratta di una delle conseguenze dell’aumento dell’età pensionabile dovuto da ultimo alle riforme Sacconi e Fornero, certamente necessario, ma che evidentemente, avvenuto in coincidenza della grave crisi economica, ha tolto occasioni di lavoro ai giovani.
E non c’è neppure da stupirsi se, sempre nel quinquennio, gli occupati a tempo pieno sono diminuiti del 5,1% mentre quelli a part-time aumentati dell’11,3%.
I disoccupati sono raddoppiati: da 1,4 milioni prima della crisi a 2,8 milioni oggi.
Il poco lavoro che c’è è sempre più difficile da difendere.
Spesso i dipendenti sono costretti ad accettare riduzioni di orario.
Nelle situazioni più gravi intervengono gli ammortizzatori sociali, che negli ultimi 4 anni hanno raggiunto livelli record, per una spesa complessiva di 53 miliardi.
L’artigianato ha sofferto molto perchè più presente nei settori con maggiore cedimento dell’occupazione, dal manifatturiero alle costruzioni. Imprenditori e lavoratori in proprio hanno subito una sorta di decimazione, passando dai quasi 4 milioni del 2008 ai 3,6 milioni di oggi. Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, lancia un messaggio disperato alle forze politiche: «Le drammatiche cifre sul calo di occupati sono il risultato delle debolezze strutturali del nostro mercato del lavoro penalizzato da tanti vincoli burocratici e gestionali, da un cuneo fiscale troppo elevato, dalla distanza tra scuola e mondo del lavoro. Inoltre, le recenti misure introdotte sulla flessibilità in entrata rischiano di comprimere ulteriormente le opportunità occupazionali».
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 12th, 2013 Riccardo Fucile
OBIETTIVO SULLA LOMBARDIA, MA NON SOLO
È l’ultima cosa che potrebbe mai ammettere pubblicamente ora, a quindici giorni dal voto e con
tutto il partito mobilitato in centinaia, se non migliaia (diecimila solo il prossimo week end), di iniziative dai nomi più astrusi, «merende democratiche», «aperitivo col candidato», «porta a porta tra le vie di… ».
Ma in cuor suo, Pierluigi Bersani vive questa maratona di passione collettiva (la Bindi batte palmo a palmo la Calabria, Letta le Marche e la Campania, D’Alema fa comizi pure nei paesini e tutti gli altri non sono da meno) sentendosi già la vittoria in tasca.
Convinto che il voto ad ogni tornata segnali una tendenza, una fase insomma, così è stato nel 2008, così fu nel 2006 e a ritroso.
E dunque «se il Pd vince, vuol dire che vince il centrosinistra».
Certo le ultime uscite di Monti qualche punto interrogativo lo sollevano, e lo stato maggiore del Pd si sta chiedendo se il professore abbia cambiato idea o se intenda confermare la propria disponibilità a collaborare per il «dopo».
Perchè, è questo uno dei ragionamenti venati di irritazione che risuonano tra Bersani e i suoi consiglieri, «davanti a questo spartiacque storico, davanti a questi rischi di derive populiste, con l’aria che tira tra Berlusconi e Grillo, Monti se la prende con Fassina e mette un veto su Vendola? Non sta in piedi».
E dunque se qualcosa non torna in queste continue bordate contro il Pd del professore, «a maggior ragione è necessaria una vittoria netta».
E anche se il vertice Pd è confortato dai sondaggisti che danno il buon vantaggio alla Camera di 6-7 punti destinato a reggere, provare a strappare una maggioranza sia pur risicata al Senato è importante: per questo Bersani insieme a Renzi si spenderà nelle regioni più ballerine, chiudendo la sua campagna giovedì 21 a piazza Plebiscito a Napoli, andando il giorno prima a Palermo insieme al «rottamatore» e il 17 a Milano sul palco in piazza Duomo con Vendola e Ambrosoli. Per la chiusura a Roma ancora non ha deciso, sembra accantonata l’idea troppo rischiosa di sfidare Grillo in una piazza non lontana da San Giovanni: forse farà un saluto al comizio di chiusura della campagna di Zingaretti; di sicuro il venerdì della vigilia sarà impegnato in un vortice di comparsate televisive, da Uno Mattina alla Gruber, fino all’appello finale sulla Rai in prima serata.
Il leader Pd poi si è premurato di far arrivare in questi giorni a undici milioni di capifamiglia in Piemonte, Lombardia, Veneto, Campania, Sicilia, una sua lettera – con il suo faccione e lo slogan L’Italia Giusta, che comincia così: «Cara elettrice, caro elettore, il nostro Paese sta vivendo il suo momento più difficile e incerto. Ad ogni angolo si vedono sofferenza, disagio, sfiducia. Ma tutto questo non riesce a nascondere le grandi energie e la straordinaria capacità di riscossa che l’Italia ha sempre mostrato e che bisogna oggi risvegliare… Mi rivolgo a Lei senza raccontare favole o promettere miracoli, ma con la certezza che, assieme, sapremo darci tempi migliori».
Ma al di là di tutto – della rimonta di Berlusconi, della concorrenza a sinistra di Ingroia, dell’incognita Grillo – per Bersani e i suoi l’esito sarà questo: «A meno che non succeda chissà cosa, alla Camera dovremmo finire sopra e al Senato, o con la maggioranza o leggermente al di sotto».
Un sentimento di tranquillità dunque che accomuna sia Bersani che Renzi: convinti entrambi che il bacino di indecisi sia ormai sceso al livello più o meno fisiologico, che Berlusconi abbia già drenato quel che poteva, e che non siano da attendersi ulteriori smottamenti.
E che sia possibile vincere in Sicilia e magari con un po’ di fortuna strappare anche la Lombardia, per l’effetto combinato dei due fattori Grillo e Giannino.
Ma a dare una sferzata di ottimismo al leader Pd hanno contribuito gli ultimi incontri avuti in questi giorni con esponenti del mondo economico, industriale, delle organizzazioni sociali, che a detta degli uomini di Bersani, lo hanno trattato già come premier in pectore.
«Tutti a chiedergli dei prossimi provvedimenti sulla cultura, sul lavoro, sugli investimenti, sull’efficienza energetica. Nessuno chiede di Vendola e perciò quello che dice Monti sembra ancora più lontano dalla posta in gioco tra populismo e governabilità . Certo sono interessati al futuro di Monti, ma per capire cosa farà in chiave di collaborazione con Bersani… »
Il quale si gioca il rush finale dando in ogni sede lo stesso messaggio racchiuso nella lettera agli italiani, ripetuto pure nel milione di mail inviate al popolo delle primarie per mobilitarlo: «Siamo oggi la forza fondamentale che porta sulle spalle l’alternativa alla destra e che può prendersi la responsabilità di portare il cambiamento nel governo del Paese».
Un messaggio che si sposa con quello che verrà lanciato nell’ultima tornata di manifesti elettorali per un appello in forma garbata al voto utile: «Il tuo voto sarà importante e decisivo per far vincere l’Italia giusta».
Carlo Bertini
(da “La Stampa“)
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