Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
MENTRE GLI SPAZI ELETTORALI DI FLI A GENOVA SONO GLI UNICI A RIMANERE PRIVI DI MANIFESTI, ANCHE LA COMPONENTE CHE AVEVA SUPPORTATO IL COORDINATORE REGIONALE CON QUALCHE TESSERA ABBANDONA LA TRAVERSATA NEL DESERTO
Futuro e Libertà in Liguria perde l’appoggio di “Gente d’Italia”. 
Il movimento aveva aderito alla causa di Fli, ma le scelte nazionali fatte di recente hanno convinto Enzo Assereto e un’altra decina di sostenitori a lasciare il partito di Fini.
«Credevamo che Fli fosse il partito giusto per dare spinta a una rivoluzione liberale e all’inizio i presupposti c’erano – racconta Assereto -. Ma la scelta di appoggiare il governo Monti, poi quella di sostenerlo alle politiche ci ha spinto fuori. Noi restiamo alternativi alla sinistra di Bersani e non disposti a inciuci».
Queste le motivazioni ufficiali che riportiamo.
Più probabile che abbiano inciso fattori più terreni, ovvero l’impossibilità di ottenere una gratificazione personale, visto l’indice al ribasso che caratterizza da tempo il grafico di Fli nei sondaggi nazionali.
Ricordiamo che la componente di “Gente d’Italia” era stata presentata dal coordinatore regionale Nan come una risorsa essenziale nel momento in cui erano stati cacciati centinaia di iscritti per le ragioni ben note.
A differenza di tanti militanti, a loro si erano persino dischiuse le porte di colloqui privati con Fini, con reciproci impegni.
“Gente d’Italia” avrebbe dovuto portare l’adesione di categorie dell’autotrasporto, secondo il coordinamento regionale: alla fine se ne vanno in dieci, non sappiamo se dopo aver gettato giù dal camion il “navigatore a vista”, abbandonandolo nel deserto.
La maggior parte di coloro che vedevano in Fli un tram in corsa su cui salire per raggiungere il capolinea di una poltroncina in similpelle sono ormai scesi a fermate intermedie, spesso cambiando linea e direzione.
Anche quelli che hanno impiegato un anno di governo per capire che la linea di Monti non era la loro.
E i disadorni cartelloni elettorali dove tutti i partiti normali hanno i propri manifesti, salvo Fli che a Genova non ha provveduto neanche a farli affiggere, ci fanno pensare che, putroppo per Fli, qualcuno è ancora rimasto.
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
COTA PERDE I PEZZI, I BOSSIANI PENSANO DI ANDARSENE E MARONI HA LA VALIGIA IN MANO…MENTRE TOSI INCONTRA IL LEADER DELLA DC PER UNA “COSA NUOVA”
Il Veneto che ribolle, tra minacce di scissione e progetti di una «nuova Lega», dal momento che quella vecchia attraversa una paurosa crisi di consensi.
Il Piemonte sempre più in bilico dopo le dimissioni di un assessore regionale leghista indagato, dimissioni congelate dal governatore Roberto Cota, ma che potrebbero addirittura portare alla caduta della giunta se Maroni dovesse perdere in Lombardia.
E la prospettiva di una pesante ricaduta anche in Regione Veneto, dove le tensioni tra Pdl e Carroccio a quel punto potrebbero deflagare.
Comunque vadano queste elezioni, non sarà più la stessa Lega.
Altro che macroregione: il partito di Maroni rischia di passare dal progetto del Grande Nord all’irrilevanza.
Forse alla scomparsa. E c’è chi sta correndo ai ripari.
Gli scossoni più forti si registrano nel Veneto, dove i sondaggi danno la Lega in caduta libera, a tutto vantaggio dei grillini.
E dove i bossiani epurati dalle liste son pronti a rialzare la testa, soprattutto se l’”usurpatore”
Maroni dovesse perdere la battaglia della vita in Lombardia: nel qual caso la scissione viene data quasi per scontata.
In questo quadro a dire poco movimentato si inserisce l’iniziativa di Flavio Tosi.
Il segretario regionale del Carroccio, nonchè sindaco di Verona, dovrebbe prendere la guida del movimento dopo Maroni (l’attuale segretario si dimetterà in ogni caso).
E guarda con crescente preoccupazione alla piega che han preso gli eventi, senza nascondere di avere altri progetti in testa.
Il nuovo matrimonio, di pura convenienza, con il Pdl lo ha schifato: «Se non ci fossero state le elezioni regionali in Lombardia – ribadisce a tre giorni dal voto – la Lega non si sarebbe mai alleata con Berlusconi».
La novità è che questa Lega non gli piace e non gli basta, vuole costruire una “cosa” più larga, federata con altre forze, addirittura «più civica».
Un “partito del Nord” molto più eterogeneo, o magari addirittura un contenitore nazionale finalmente sganciato dalla dicotomia Nord-Sud e destinato, secondo i suoi promotori, a scomporre il quadro politico che uscirà dalle imminenti elezioni.
Il primo passo è stato fatto alla Fiera di Verona, dove si sono dati appuntamento gli aderenti a quella lista Tosi (parecchi pdl ora sospesi dal partito) grazie alla quale il sindaco è stato riconfermato un anno e mezzo fa al primo turno.
Adesso quelli della lista invitano a votare Lega, e anche questo è un segno delle contaminazione che il sindaco ritiene ormai indispensabile, pena la morte per consunzione.
Il titolo della serata dice tutto: «Guardiamo al futuro politico con Flavio Tosi».
La domanda è: quale Lega?
Una Lega nuova: «Più larga, che cambia pelle, federata con altri soggetti politici e in grado di raccogliere i consensi di chi non vota più», va ripetendo Tosi in queste settimane di passione che lo hanno visto impegnato non solo per la campagna elettorale.
Domenica scorsa, per dire, dopo aver partecipato a Sirmione alla firma del patto per la macroregione tra i governatori in carica Zaia e Cota e l’aspirante Maroni, si è fiondato a Vicenza.
Era l’invitato d’onore a una riunione della Dc di Gianni Fontana, suo concittadino. Che è intervenuto con parole che non sembrano lasciare dubbi su quel che bolle in pentola nel Veneto ex democristiano poi passato armi e bagagli alla Lega: «Abbiamo colto qualche segnale di novità nell’esperienza nuova e diversa che nella Lega rappresenta Tosi; si tratta di prefigurare qualcosa di nuovo sotto il cielo, dopo che il voto di febbraio avrà reso definitivamente morta e sepolta la Seconda Repubblica».
Gli eredi della Balena bianca sono una piccolissima parte, e non quella decisiva, della partnership che dovrebbe accompagnare il nuovo corso leghista.
Si dice che Tosi abbia buoni rapporti con Corrado Passera, non a caso l’unico esponente del governo Monti invitato agli Stati generali della Lega a Torino, lo scorso settembre. E pure con Oscar Giannino
Addirittura, e suona come una bestemmia nel partito, ha più di una volta sdoganato «la Puglia virtuosa di Vendola».
Tutto in movimento, il rischio di scomparire è mortale.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
SUSY DE MARTINI, CAPOLISTA DEL PARTITO ALLE COMUNALI DI GENOVA, HA DENUNCIATO STORACE PER NON AVER FATTO FRONTE A UN IMPEGNO SCRITTO DI RIFONDERLE 40.770 EURO ANTICIPATE PER LA CAMPAGNA ELETTORALE… ARRIVA L’INGIUNZIONE DEL TRIBUNALE MA INCREDIBILMENTE NON SI TROVANO CONTI CORRENTI INTESTATI AL PARTITO
Ingiunzione di pagamento a carico de “la Destra” di Francesco Storace: non ha pagato le spese
elettorali del candidato a sindaco di Genova, Susy De Martini, in lizza lo scorso anno.
Ma il provvedimento del tribunale di Genova, varato ormai oltre due mesi fa, non ha ancora avuto effetto: gli avvocati della De Martini, non solo non hanno avuto risposta dal partito, ma non hanno trovato conti correnti intestati a “la Destra” su cui far valere l’ingiunzione, anche con un pignoramento.
La notizia, però, ieri è trapelata perchè finalmente un conto corrente intestato al movimento di Storace è uscito fuori: è su una banca di Tivoli, ma il timore dei legali è che non sia così florido da coprire le spese.
La De Martini d’altra parte, ha pagato di tasca sua fatture per la Destra per 40.770 euro, forte di un documento agli atti che le consentiva di spendere fino a 50.000 euro.
Due questioni.
Prima: non era mai accaduto che un candidato sindaco si dovesse rivolgere alla macchina della Giustizia per ottenere un rimborso spese, con una legge vigente peraltro estremamente precisa.
Secondo: le difficoltà dei suoi legali a reperire beni mobili e immobili intestati a la Destra hanno fatto pensare il peggio alla candidata: “Dove finiscono i soldi del partito?”.
E, in assenza di risposte da parte di Storace, i legali hanno già fatto fare un calcolo di quanto possa valere la sede romana del partito o di quanto potrebbe valere un pignoramento di strumenti informatici o di arredo.
De Martini ieri ha ammesso la circostanza e, dopo qualche titubanza, ha svelato la sua ira verso l’attuale candidato governatore alla Regione Lazio: “Gli avevo dato fiducia perchè pensavo fosse la parte sana del centrodestra. Invece dopo aver esposto il mio nome e aver coinvolto persone che stimo nel progetto della candidatura a sindaco, in cambio sto ricevendo oltre al danno morale anche quello economico. La politica dovrebbe dare fiducia ai cittadini onesti: altro che rimborso dell’Imu, se non viene rispettato neppure un minimo accordo scritto, come accaduto a me”.
La rabbia cresce: “Berlusconi ha scelto Storace nel Lazio, ma è proprio Storace che non mantiene gli impegni, nonostante a luglio abbia ricevuto i fondi del rimborso elettorale”.
Giovanni Mari
(da “il Secolo XIX“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER: “MA IO SONO PRONTO AL BLIND TRUST”
In privato Silvio Berlusconi la definisce la «vendetta».
Quella che i suoi avversari – e tra loro ormai mette in testa Monti – starebbero mettendo a punto ai suoi danni.
«Se vincono, c’è Mediaset nel mirino: quelli sono capaci di tutto, mi vogliono rovinare», va ripetendo tra una registrazione e l’altra in tv. E l’uscita mattutina del premier sulla incandidabilità del Cavaliere per via del conflitto di interessi, raccontano, non ha fatto altro che alzare la soglia dell’allarme.
Le sirene, al quartier generale berlusconiano, sono già risuonate l’8 febbraio, quando Pier Luigi Bersani annuncia, in una lettera all’associazione Articolo 21, che «un provvedimento sul conflitto di interessi sarà tra le prime leggi da approvare».
Ma soprattutto, a far tremare le mura di Palazzo Grazioli è l’indiscrezione secondo la quale in Largo del Nazareno un gruppo di studio ristretto è già al lavoro sulla nuova disciplina destinata a spazzare via, nel giro di poche settimane, la legge Gasparri. Anche perchè, per dirla col segretario Pd, «questa volta è in gioco la nostra credibilità ».
Il testo allo studio, a sentire chi ci sta lavorando, punterebbe su due nodi ritenuti centrali per aggredire al cuore il conflitto di interessi e la stessa anomalia berlusconiana nel sistema mediatico italiano.
Il primo: la normativa antitrust sulla titolarità di emittenti e stampa.
Quella, per intendersi, che proprio grazie alla Gasparri ha consentito a Mediaset di fagocitare fette esorbitanti del mercato pubblicitario.
Il secondo nodo: la incandidabilità futura di chi, anche indirettamente, è riconducibile alla titolarità di una o più imprese radiotelevisive.
Nessuna vendetta, «solo regole più chiare e trasparenti, da democrazia occidentale» assicurano dalla segreteria democrat.
Ma aggiungono pure che, se Berlusconi pensa di cavarsela con l’escamotage con cui ha tagliato corto sulla questione ieri sera nel salotto di Vespa, «stavolta si sbaglia».
Il Cavaliere in effetti, in prima battuta, a Porta a Porta ha glissato sull’argomento. «Non vedo perchè ossequiare una legge che non esiste: non avrei nessuna difficoltà a mettere un blind trust, non avrei nessuna difficoltà se ci fosse una legge che lo prevedesse », ha ripetuto quando gli hanno chiesto che farà se sarà modificata davvero, e subito, la disciplina sul conflitto di interessi.
Poi ha perso le staffe: «Raccontano menzogne e mi minacciano: da parte di Bersani è arrivata una minaccia mafiosa rivolta a me perchè ha detto che se andranno al potere Mediaset ne passerà delle belle».
Alza già le barricate in difesadell’impero.
«La televisione di cui io sono azionista non ha fatto mai una trasmissione di contrasto alla sinistra. Anzi mi criticano perchè l’unica trasmissione “Quinta colonna” dà ragione alla sinistra, prima almeno c’era Fede, adesso non c’è più nemmeno lui. Mediaset è una tv commerciale che non appoggia nessuno».
Ma, finita la campagna elettorale, Berlusconi sa bene che lo attende la vera battaglia campale, quella in Parlamento per fronteggiare con tutti i mezzi la riforma del sistema televisivo.
D’altronde, presentarsi in trincea con quanti più parlamentari possibile è il motivo fondamentale per il quale ha deciso di «tornare in campo», due mesi fa.
Solo che i «nemici» alla Camera e al Senato saranno due: non più solo il centrosinistra di Bersani e Vendola, ma anche un motivatissimo Mario Monti e il suo centro.
Tanto che proprio contro il Professore ieri per tutto il giorno si è scatenata la batteria dei falchi Pdl. Se continuerà a insistere sulla Gasparri, è l’avvertimento, partirà il fuoco di fila sulla sua carica di senatore a vita.
«Le sue ultime dichiarazioni sul conflitto di interessi – sostiene per esempio un intimo del Cavaliere come Sandro Bondi – ripropongono la questione enorme dell’incompatibilità fra il suo status di senatore a vita e quello di leader politico, immemore di essere stato nominato in seguito alla firma dell’allora premier Berlusconi».
Ma in queste ore finali della campagna, a preoccupare gli strateghi pidiellini è anche il pessimo ritorno avuto dallo scivolone del leader in Veneto con la dipendente della Green Power, Angela Bruno.
Berlusconi si è scusato, in parte.
Ma c’è il rischio di una fuga fatale del voto femminile.
È la ragione per cui le big del partito, Santanchè, Gelmini, Ravetto, presenteranno oggi a Milano un manifesto dal titolo “Sono una donna, non sono una bambola”.
In risposta alle accuse di Bersani, ufficialmente, in realtà per illustrare le ragioni per cui una donna dovrebbe ancora votare il loro capo.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
BERSANI, PRESO IN CONTROPIEDE, SI ADEGUA: “SILVIO SI RASSEGNI, FAREMO RISPETTARE LE REGOLE”
Mario Monti si lancia contro il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi. 
L’ex rettore della Bocconi afferma che se tornerà al governo farà «con urgenza» una nuova legge che impedirebbe al Cavaliere di candidarsi e a maggior ragione di andare al governo.
Un tema che anche il candidato del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, dice di voler toccare.
E intanto Monti attacca il Pdl, si dice certo che dopo le elezioni riprenderà la diaspora dei suoi parlamentari verso altri schieramenti: «Credo che Berlusconi non vincerà e non resterà a lungo leader della sua coalizione. Dopodichè riprenderà quel flusso verso altre parti politiche che vecchi e nuovi eletti del Pdl avevano già iniziato».
Una frase che ancora una volta rivela la strategia del premier uscente, intenzionato a cucirsi intorno una coalizione formata anche dai transfughi berlusconiani.
Monti non si ferma qui, carica a testa bassa dicendo che «se votano ancora Berlusconi il problema non è lui, ma gli italiani».
Eppure il tema che scalda la giornata — a sole 72 ore dal voto — è quello del conflitto di interessi del Cavaliere.
Intervistato da Repubblica Tv, Monti risponde che «sì, il conflitto di interessi andrà regolato con urgenza e posso dire che Berlusconi non potrebbe candidarsi alla Camera o al Senato con Scelta Civica», la lista del premier uscente.
I cui candidati hanno sottoscritto un documento contro il conflitto di interessi che sarebbe alla base della legge immaginata da Monti nel caso di permanenza a Palazzo Chigi.
E lo stesso premier spiega: «Tra le condizioni che ogni nostro candidato ha firmato c’è l’istituzione di un blind trust o, in rarissimi casi, l’impossibilità di fare il ministro o il sottosegretario in materie colpite da un conflitto di interessi». Monti fa proprio l’esempio del mondo televisivo parlando di un aspirante parlamentare ligure editore di una tv locale che «ha firmato l’impegno» a non andare al governo.
D’altra parte nel documento sottoscritto dai “civici” che ispirerebbe l’eventuale legge montiana per poter essere candidati si deve assicurare di non avere condanne, patteggiamenti o processi penali in corso, così come ci si impegna ad alienare o mettere in un blind trust le partecipazioni, dirette o indirette, in società concessionarie di pubblico servizio, di licenze televisive o di testate editoriali.
E lo staff elettorale dell’ex rettore della Bocconi ricorda che Berlusconi al momento va proprio dicendo di voler fare il superministro dell’Economia e dello Sviluppo, dal quale gestirebbe direttamente la Rai.
Un conflitto di interessi ancora più macroscopico di quello che per 20 anni ha dato vita all’anomalia italiana.
La linea Monti piace a Bersani, che d’altre in passato aveva già annunciato di voler mettere mano alle norme sul conflitto di interessi.
«Quando parlo di regole Berlusconi prende subito la pistola e mi dà del mafioso, non se ne può più. Le regole le stabiliremo a partire dal conflitto di interessi e dal falso in bilancio passando per la cancellazione delle leggi ad personam: Berlusconi si rassegni, leggi contro nessuno ma uguali per tutti».
Nel Pd intanto si riflette sul come riscrivere, una volta eventualmente al governo, la legge Frattini.
L’idea è quella che i detentori di grandi patrimoni non possano andare al governo e chi agisce in settori particolarmente sensibili, come appunto la televisione, non si possa proprio candidare.
A meno di non disfarsi definitivamente di quote, partecipazioni e asset sensibili.
E sul settore televisivo il Pd studia anche una riforma della legge Gasparri con regole antitrust contro le posizioni dominanti imponendo un tetto del 45% alla raccolta pubblicitaria o dando alle authority il compito a di indagare e sanzionare eventuali abusi di posizione dominante. Anche se gli specialisti del Nazareno ammettono che «sarà un processo abbastanza lungo perchè si tratta di norme complicate contro le quali Berlusconi scatenerà tutti i suoi poteri di interdizione».
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
“NON FORNICARE, NON RUBARE” I DUE COMANDAMENTI VIOLATI NEL DOSSIER CHE SCONVOLGE IL PAPA… LOTTE DI POTERE E DENARO…E L’IPOTESI DI UNA LOBBY GAY
La zizzania. I pesci cattivi. Le “strutture del peccato”.
È giovedì 11 ottobre, Santa Maria Desolata. È il giorno in cui la Chiesa fa memoria di papa Giovanni XXIII, cinquant’anni dal principio del Concilio. Benedetto XVI si affaccia al balcone e ai ragazzi dell’Azione cattolica raccolti in piazza dice così: «Cinquant’anni fa ero come voi in questa piazza, con gli occhi rivolti verso l’alto a guardare e ascoltare le parole piene di poesia e di bontà del Papa. Eravamo, allora, felici. Pieni di entusiasmo, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa».
Breve pausa. Eravamo felici, al passato. «Oggi la gioia è più sobria, è umile. In cinquant’anni abbiamo imparato che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa”. Che c’è la zizzania, ci sono i pesci cattivi.
Nessuno ha capito, in quel pomeriggio di ottobre. I ragazzi in piazza hanno applaudito e pianto il ricordo di papa Giovanni.
Nessuno sapeva che due giorni prima Benedetto XVI aveva di nuovo incontrato il cardinale Julian Herranz, 83 anni, lo spagnolo dell’Opus Dei da lui incaricato di presiedere la commissione d’indagine su quello che i giornali chiamano Vatileaks.
Il corvo, la fuga di notizie, le carte rubate dall’appartamento del Papa. Herranz ha aggiornato Ratzinger con regolarità .
Ogni settimana, in colloquio riservato, da aprile a dicembre.
Il Papa ha appreso con crescente apprensione gli sviluppi dell’inchiesta: decine e decine di interviste a prelati, porporati, laici. In Italia e all’estero.
Decine e decine di verbali riletti e sottoscritti dagli intervistati. Le stesse domande per tutti, dapprima, poi interviste libere. Controlli incrociati. Verifiche.
Un quadro da cui veniva emergendo una rete di lobby che i tre cardinali hanno diviso per provenienza di congregazione religiosa, per origine geografica. I salesiani, i gesuiti. I liguri, i lombardi.
Infine, quel giorno di ottobre, il passaggio più scabroso.
Una rete trasversale accomunata dall’orientamento sessuale.
Per la prima volta la parola omosessualità è stata pronunciata, letta a voce alta da un testo scritto, nell’appartamento di Ratzinger.
Per la prima volta è stata scandita, sebbene in latino, la parola ricatto: «influentiam», Sua Santità . Impropriam influentiam. 17 dicembre 2012, San Lazzaro.
I tre cardinali consegnano nelle mani del Pontefice il risultato del loro lavoro. Sono due tomi di quasi 300 pagine.
Due cartelle rigide rilegate in rosso, senza intestazione.
Sotto “segreto pontificio”, sono custodite nella cassaforte dell’appartamento di Ratzinger. Le conosce soltanto, oltre a Lui, chi le ha scritte.
Contengono una mappa esatta della zizzania e dei pesci cattivi.
Le «divisioni nel corpo ecclesiale che deturpano il volto della Chiesa», dirà il Papa quasi due mesi dopo nell’Omelia delle Ceneri. È quel giorno, con quelle carte sul tavolo, che Benedetto XVl prende la decisione tanto a lungo meditata.
È in quella settimana che incontra il suo biografo, Peter Seewald, e poche ore dopo aver ricevuto i tre cardinali gli dice «sono anziano, basta ciò che ho fatto».
Quasi le stesse parole, in quell’intervista poi pubblicata su Focus, che dirà a febbraio al concistoro per i martiri di Otranto: “»Ingravescente aetate».
«Noi siamo un Papa anziano», aveva già allargato le braccia molte volte, negli ultimi mesi, in colloqui riservati. Dunque nella settimana prima di Natale il Papa prende la sua decisione.
Con queste parole la commenta il cardinale Salvatore De Giorgi, un altro dei tre inquisitori che redigono la “Relationem”, presente al momento della rinuncia: «Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza. Lo ha fatto per il bene della Chiesa. Ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. Ha visto i problemi e li ha affrontati con un’iniziativa tanto inedita quanto lungimirante ».
Ha assunto su di sè la croce, insomma. Non ne è sceso, al contrario.
Ma chi sono «coloro che si ritengono insostituibili? ».
Riecheggiano le parole dell’Angelus di domenica scorsa: bisogna «smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi».
La “Relationem” ora è lì. Benedetto XVI la consegnerà nelle mani del prossimo Papa, che dovrà essere abbastanza forte, e giovane, e «santo» – ha auspicato – per affrontare l’immane lavoro che lo attende.
È disegnata, in quelle pagine, una geografia di «improprie influenze» che un uomo molto vicino a chi le ha redatte descrive così: «Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento». Non commettere atti impuri. Non rubare.
La credibilità della Chiesa uscirebbe distrutta dall’evidenza che i suoi stessi membri violano il dettato originario.
Questi due punti, in specie.
Vediamo il sesto comandamento, atti impuri. La Relazione è esplicita. Alcuni alti prelati subiscono «l’influenza esterna» – noi diremmo il ricatto – di laici a cui sono legati Chiesa è fatta di uomini.
Il Pontefice ha quasi le stesse parole che aveva utilizzato monsignor Attilio Nicora, allora ai vertici dello Ior, nella lettera rubata dalle segrete stanze al principio del 2012: quella lettera poi pubblicata colma di omissis a coprire nomi.
Molti di quei nomi e di quelle circostanze riaffiorano nella Relazione.
Da vicende remote, come quella di monsignor Tommaso Stenico sospeso dopo un’intervista andata in onda su La 7 in cui raccontava di incontri sessuali avvenuti in Vaticano.
Riemerge la vicenda dei coristi di cui amava circondarsi il Gentiluomo di sua Santità Angelo Balducci, agli atti di un’inchiesta giudiziaria.
I luoghi degli incontri. Una villa fuori Roma. Una sauna al Quarto Miglio. Un centro estetico in centro. Le stanze vaticane stesse.
Una residenza universitaria in via di Trasone data in affitto ad un ente privato e reclamata indietro dal Segretario di Stato Bertone, residenza abitualmente utilizzata come domicilio romano da un arcivescovo veronese.
Si fa menzione del centro “Priscilla”, che persino da ritagli di stampa risulta essere riconducibile a Marco Simeon, il giovane sanremese oggi ai vertici della Rai e già indicato da monsignor Viganò come l’autore delle note anonime a suo carico. Circostanze smentite dai protagonisti sui giornali, ma approfondite e riprese dalla Relazione con dovizia di dettagli.
I tre cardinali hanno continuato a lavorare anche oltre il 17 dicembre scorso.
Sono arrivati fino alle ultime vicende che riguardano lo Ior – qui si passa al settimo comandamento – ascoltando gli uomini su cui confida Tarcisio Bertone a partire dal suo braccio destro, il potentissimo monsignor Ettore Balestrero, genovese, classe 1966.
Sono arrivati fino alla nomina del giovane Renè Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità finanziaria dell’Istituto.
Il terzo dei cardinali inquirenti, Josef Tomko, è il più anziano e dunque il più influente della triade. Ratzinger lo ha richiamato in servizio a 88 anni.
Slovacco, era stato con Woijtyla a capo del controspionaggio vaticano. Aveva seguito di persona la spinosa questione dei contributi anche economici alla causa polacca come delegato ai rapporti con l’Europa orientale.
Dopo monsignor Luigi Poggi, scomparso nel 2010, è l’ultimo custode di quella che ancora oggi si chiama l’Entità , il “Sodalitium pianum” di antica memoria, il servizio segreto vaticano formalmente smantellato da Benedetto XV, nel nome predecessore di Ratzinger.
Poichè i simboli e i gesti, a San Pietro, contano assai più delle parole chi è molto addentro alle liturgie vaticane fa notare questo.
Nell’ultimo giorno del suo pontificato, Benedetto XVI riceverà i tre cardinali estensori della Relationem in udienza privata.
Subito dopo, al fianco di Tomko, vedrà i vescovi e i fedeli slovacchi in Santa Maria Maggiore.
La sua ultima udienza pubblica. 27 febbraio, San Procopio il Decapolita, confessore. Poi il conclave.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
DECINE DI PENSIONATI SI PRESENTANO A GENOVA AI CENTRI DI ASSITENZA DEI PATRONATI E GLI UFFICI POSTALI MOSTRANDO LA LETTERE DELL’EX PREMIER E CHIEDENDO I MODULI PER OTTENERE IL RISARCIMENTO DELL’IMPOSTA…APPELLO DEI SINDACATI: “E’ UN MESSAGGIO ELETTORALE, NON PERDETE TEMPO”
I primi sono arrivati alla mattina e al Caf della Cgil quasi si stentava a crederci. «Scusi, mi date il
modulo per riavere indietro l’Imu?» hanno chiesto due anziane signore.
E’ bastato un attimo per capire che più d’uno era caduto nella trappola della lettera firmata dal leader del Pdl Silvio Berlusconi che si concludeva appunto con la promessa del rimborso Imu 2012 sulla prima casa e sui terreni e i fabbricati agricoli. A fine giornata le segreterie sindacali hanno fatto il conto, arrivando a parecchie decine di genovesi, per lo più anziani, che si sono rivolte ai Caf e agli uffici postali della città .
«Ci sono due chiavi di lettura di questo episodio – commenta il responsabile dei Caf genovesi della Cgil Renato Zini – La prima riguarda il rapporto fiduciario che soprattutto gli anziani hanno con noi e che li spinge a chiedere informazioni di fronte a cose che non appaiono subito chiare. La seconda è la convinzione di qualcuno che, invece, esistano già dei moduli prestampati per chiedere e ottenere il rimborso dell’Imu, così come promesso da Berlusconi».
Il fenomeno ha spinto le segreterie genovesi di Cgil, Cisl e Uil a diffondere in serata un comunicato stampa per informare «tutti i cittadini che allo stato attuale non è previsto alcun rimborso Imu sulle somme regolarmente dovute secondo l’attuale normativa». In effetti, proseguono i rappresentanti dei lavoratori, «la lettera pervenuta ai cittadini contiene un messaggio elettorale che induce il lettore alla convinzione che si possa realmente ottenere una qualche forma di rimborso. Chi si reca presso le nostre strutture infatti chiede di entrare in possesso di una presunta modulistica per l’ottenimento del rimborso o comunque informazioni in merito.
Al fine di evitare perdite di tempo, Cgil, Cisl e Uil invitano i cittadini a non recarsi presso le sedi sindacali a seguito del ricevimento di questa lettera contenente un messaggio elettorale».
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
SILVIA ENRICO SOSTITUISCE GIANNINO FINO AL CONGRESSO DI MAGGIO… UNA GIOVANE PREPARATA E GRINTOSA: “BASTA CONSIDERARE LE DONNE COME UNA SPECIE PROTETTA, VINCA IL MERITO”
«Il mio appello è oggi a vuoi uomini: insieme possiamo diventare grandi. Insieme possiamo portare le donne a lavorare e ad accedere per merito e per capacità non per disegno di qualcun altro». Chiude così, tra gli applausi, un emozionato intervento all’ «Antimeeting» di Milano, Silvia Enrico, 36 anni, la nuova presidente (pro-tempore) di Fare per Fermare il declino, la giovane avvocata ligure, finalmente un volto femminile presentato alla grande platea elettorale dal movimento di Oscar Giannino.
Alla presidente – giovane volto acqua e sapone, battuta pronta – l’onere di serrare le fila tra i delusi dalle bugie sui titoli di studio raccontate dal fondatore – compito che la impegnerà da qui a al congresso previsto tra fine maggio e inizio giugno – ma non l’onore di essere la nuova candidata premier di Fare.
MERITO E GENERE –
L’ avvocata, specializzata in societario, non crede fino in fondo all’efficacia delle quote di genere.
E ha tutta l’aria di una che la leadership la vuole conquistare sul campo, al congresso.
«Non ci diranno più stai zitta e vai in cucina – aveva ironizzato in quello stesso affollato comizio a Milano – ci diranno stai zitta perchè in questo consiglio di amministrazione abbiamo dovuto metterti».
E dunque, chiede alla parte maschile in sala, «non consentite più che le vostre mogli, figlie, sorelle, madri siano trattate come una minoranza con handicap originario che risiede nel proprio genere».
LA CARRIERA –
Nata ad Albenga, nella Liguria di Ponente, 36 anni fa, Silvia Enrico, si è laureata in giurisprudenza all’ Università degli studi di Genova.
Da avvocato si fa strada a Milano prima nello studio del professor Francesco Galgano e poi in uno studio associato di diritto internazionale.
Nel 2009, sempre a Milano, ha onda 4legal, studio specializzato nel diritto societario e commerciale.
LE AMICIZIE
Silvia Enrico, ha scritto Margherita Nanetti dell’Ansa, fa parte dello più stretto entourage di Giannino: è amica di Margherita Brindisi, la moglie del giornalista, e dell’economista Carlo Stagnaro, anche lui tra i primi esponenti di Fermare il declino.
Nei mesi scorsi, è stata coordinatrice del movimento in Liguria.
Al termine del direttivo-fiume che l’ha incoronata, le prime parole di Silvia Enrico sono state per Giannino: «Ho stima personale e auspico non rinunci al seggio da deputato, anche se questa è una decisione che può prendere soltanto lui».
Paola Pica
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 21st, 2013 Riccardo Fucile
COSI’ IL PORCELLUM AUMENTA IL RISCHIO DI INGOVERNABILITA’
La legge è la numero 270 del 21 dicembre 2005. Ai più nota come «Porcellum». 
E da otto anni disciplina l’elezione dei membri di Camera e Senato.
Si tratta, in breve, della legge elettorale più discussa e criticata dal giorno della sua promulgazione.
E a nulla sono valsi, in questi anni, gli appelli del Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla forze politiche per riformarla.
Come funziona
Nella sostanza si tratta di un sistema proporzionale che prevede liste bloccate, dove, l’elettore non sceglie direttamente i candidati, che sono eletti invece secondo l’ordine di presentazione in base ai seggi ottenuti dalla singola lista.
Insomma, i cittadini non scelgono i loro rappresentati (e questo è il primo elemento di criticità ) ma sono le segreterie dei partiti a stabilire chi avrà o meno chance di entrare nell’emiciclo parlamentare.
Differenze tra il voto per la Camera e quello al Senato
Per ottenere seggi alla Camera ogni coalizione deve ottenere almeno il 10% dei voti nazionali mentre per le liste non collegate la soglia minima viene ridotta al 4%.
Lo stesso parametro (4%) è applicato alle liste collegate a una coalizione che non ha raggiunto la soglia.
Le liste collegate a una coalizione che abbia superato tale parametro partecipano alla ripartizione dei seggi se superano il 2% dei voti, o se rappresentano la maggiore delle forze al di sotto di questa soglia all’interno della stessa, insomma, il miglior perdente.
Per esemplificare se una coalizione, ad esempio quella guidata dal premier uscente Mario Monti, non riuscisse ad ottenere il 10% dei voti nazionali alla Camera, le tre liste collegate componenti la coalizione per avere loro rappresentanti in aula dovrebbero almeno ottenere il 4%.
Diversamente resterebbero fuori.
Mentre se il 10% fosse centrato, alle liste basterebbe loro anche il 2%, e comunque, il miglior risultato sotto questa soglia consentirebbe anche alla prima lista sotto il 2% (il miglior perdente) di ottenere la rappresentanza.
La ripartizione dei seggi
Alla coalizione di lista più votata, cioè quella che ottiene la maggioranza relativa, qualora non abbia già ottenuto 340 seggi, è attribuito il cosiddetto premio di maggioranza qualunque sia la percentuale di voti raccolta.
Anche per il Senato è previsto un premio di maggioranza volto ad assicurare il 55% dei seggi regionali (non nazionali) alla coalizione (o lista) che abbia ottenuto voti.
Il meccanismo però è diverso rispetto alla Camera perchè opera su base regionale con conseguenza che può determinarsi una maggioranza diversa da quella formatasi alla Camera. Per i seggi a Palazzo Madama, infatti, le soglie di sbarramento sono pari al 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, l’8% invece per quelle non coalizzate e per le liste che si sono presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%.
Il rischio ingovernabilit�
Poniamo il caso che ci siano quattro forze con quattro leader destinate a contendersi la sfida elettorale: Bersani, Berlusconi, Grillo e Monti.
E poniamo il caso che Bersani ottenga la maggioranza dei consensi alla Camera.
Da questo successo non discende, però, che lo stesso Bersani abbia un vantaggio, anche minimo, al Senato in ogni regione.
Almeno per due motivi: in primo luogo perchè l’elettorato attivo per i due rami del Parlamento non coincide, e poi perchè l’elettore può esprimere due voti diversi differenti tra Camera e Senato.
Non solo, prevalere a livello nazionale – proprio a causa del funzionamento dei premi di maggioranza delle legge – non comporta il raggiungimento di un vantaggio in ogni circoscrizione elettorale. Inoltre, mentre il premio di maggioranza alla Camera è pari al 54% dei seggi, al Senato per maggioranza si intende quella assoluta di seggi che è 158.
A questo si deve aggiungere la ripartizione estera e il numero di seggi assegnato per le regioni Trentino-Alto-Adige e Valle D’Aosta nonchè i due seggi del Molise.
In tutto fanno 16 seggi, che non sono per nulla influenti, se si tiene conto che sono un ventesimo del totale.
La situazione ottimale, dunque, per una lista o una coalizione sarebbe quella di risultare vincente, non solo alla Camera (anche con la sola maggioranza relativa) ma in ogni singola regione.
Ma ciò, stando agli ultimi sondaggi noti appare difficile.
E così, ad esempio, se la coalizione più votata alla Camera vincesse in tutte le regioni ma non in Lombardia perderebbe 27 seggi di premio conquistandone solo 7 e fermandosi così a 151, tre meno della soglia di maggioranza prevista.
E così, peggio, se perdesse anche in altre regioni. In maniera sintetica, la ipotetica lista vincente alla Camera potrebbe conservare anche la maggioranza in Senato soltanto se la differenza tra i seggi del premio di maggioranza e i seggi conquistati nella file dell’opposizione sia meno di 17.
Le incognite
Al Senato rimane il nodo di quanti seggi i partiti minori potranno «sottrarre» alle forze più accreditate per la vittoria.
Da qui il forte invito elettorale lanciato da Pd e Pdl al «voto utile».
Alla Camera il tema cruciale – come del resto anche a Senato – resta la novità Grillo e il consenso che ruoterà intorno a Mario Monti.
Paolo Festuccia
argomento: elezioni | Commenta »