Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
E NAPOLITANO RIFIUTA INCONTRO CON LEADER SPD CHE AVEVA DEFINITO BERLUSCONI E GRILLO “DUE CLOWN” (DICENDO IN FONDO LA VERITA’)
Alta tensione tra Italia e Germania.
Mercoledì sera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe dovuto incontrare il candidato Spd alla cancelleria Peer Steinbrueck (in Germania le elezioni politiche sono a settembre): l”incontro è stato annullato.
Martedì Steinbrueck aveva commentato il voto italiano dicendo di essere «inorridito dalla vittoria di due clown», e il capo dello Stato ha ritenuto offensivo il commento.
Intanto in Italia Beppe Grillo sembra chiudere la porta in faccia al Pd. Attacca duramente BersanI. “E’ un morto che parla. Fa proposte indecenti. Si dimetta”.
E aggiunge: “Il M5S non darà alcun voto di fiducia al Pd (nè ad altri). Voterà in aula le leggi che rispecchiano il suo programma chiunque sia a proporle”.
Il vicesegretario del Pd Letta invece dichiara: il segretario “ha vinto le primarie e ha avuto la maggioranza, tutto il partito in campo”.
Ancora incertezze sui mercati dopo i risultati del voto per le politiche italiane. L’agenzia di rating valuta rischi per l’eurozona.
Il commento del ns. direttore
Napolitano ha fatto sicuramente bene, nella sua veste istituzionale, ad annullare l’incontro con il leader della Spd tedesca, dovendo egli rappresentare l’intero Paese.
Ma se dovessimo entrare nel merito di quanto affermato dal politico tedesco, non potremmo che dargli ragione, magari estendendo il concetto all’intera classe politica italiana, da destra a sinistra.
Solo una classe dirigente da circo potrebbe permettere che si vada a votare con liste bloccate, senza preferenze e con il Porcellum che di fatto impedisce a qualsiasi coalizione di governare.
Avessero vinto Berlusconi o Grillo sarebbe stata la stessa cosa, non esisterebbe una maggioranza.
Quindi Pd e Pdl sono i principali responsabili della ingovernabilità del nostro Paese e dello spread che è tornato a salire.
Grillo lo sta invece diventando perchè pensa solo al tuo tornaconto elettorale e non all’emergenza del Paese e a quanti sono economicamente con l’acqua alla gola, pur sostenendo a parole di volerli rappresentare.
In un caso analogo in Germania si diede vita a una seria grande coalizione che gestì l’emergenza: da noi c’è chi prima ha votato tutte le misure di Monti, giuste o sbagliate che fossero, per poi dissociarsi a legislatura terminata, uno squallore tipicamente italiano, da giuda della politica o da pagliacci, decidete voi.
Grillo ora sostiene che gli altri facciano pure un governicchio e poi valuterà di volta in volta come votare i singoli provvedimenti, in modo da non compromettersi e tra un anno sostenere che di questo governo non faceva parte.
Anche lui ha imparato il gioco delle tre tavolette, insomma.
Bersani, reo di fatto di avere vinto realmente le elezioni (con un’altra legge elettorale governerebbe senza problemi) avendo avuto più voti sia alla Camera che al Senato, finisce impallinato persino all’interno del proprio partito.
A questo punto, se avesse un minimo di elasticità mentale, Bersani dovrebbe provocatoriamente indicare Grillo come premier, assicurandogli che, una volta trovata una maggioranza, il Pd valuterà di volta in volta come votare.
Così anche i Cinquestelle tornano sulla Terra.
Quindi ci aspettano solo mesi da circo e economia a puttane.
Anche perchè tornare a votare con questa legge a che serve?
Per spostare di qualche decimale i voti?
O forse Grillo si illude di arrivare al 50,1% da solo?
Tanto vale ritornare al proporzionale, dove, per dirla alla Grillo, uno vale uno.
E le forze politiche devono sforzarsi di mediare un programma comune, non di pretendere di imporre il proprio.
Hanno ragione all’estero di diffidare dei nostri politici: non pensano all’interesse nazionale, ma solo a quello della propria bottega.
Lo stacco culturale è tutto qua.
argomento: governo, Politica | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
NON HANNO BISOGNO DELL’APPORTO DI PDL E M5S
Probabilmente si pentiranno a lungo di non aver dato vita a un fronte antiberlusconiano, ripetendo
l’errore di Mario Segni e Achille Occhetto nel ’94.
Rimpiangeranno di non avere difeso insieme il senso e l’operato del governo dei tecnici e di aver ceduto a una comprensibile ambizione personale.
Ma Pier Luigi Bersani e Mario Monti hanno almeno una certezza matematica con cui consolarsi: possono decidere da soli (insieme) chi sarà il prossimo presidente della Repubblica anche in caso di muro contro muro con Grillo e il Cavaliere.
LE REGOLE
Riepilogo delle regole: il capo dello Stato viene eletto dal Parlamento riunito in seduta comune insieme a tre delegati per ogni Regione (uno per la Valle d’Aosta).
Dunque: 630 deputati più 315 senatori più 58 delegati regionali più 4 senatori a vita, fanno un totale di 1.007 grandi elettori.
Nelle prime due votazioni servono i due terzi dei voti, dalla terza basta la maggioranza assoluta.
I NUMERI
In attesa di attribuire i 18 seggi destinati ai parlamentari eletti all’estero e di definire i 58 delegati regionali (eletti dai Consigli regionali assicurando la rappresentanza delle minoranze), ci sono già dati sicuri.
Il centrosinistra (compresa la Svp) ha per ora 459 grandi elettori (340 deputati e 119 senatori). La coalizione di Monti ne ha 63 (45 deputati e 18 senatori).
Sono in tutto 522 grandi elettori, e dalla terza votazione ne basteranno 504.
Ora, è chiaro che in caso di intese di governo con il centrodestra e perfino con i grillini, la scelta del prossimo presidente della Repubblica andrebbe concordata con loro.
Ma se invece tutto dovesse precipitare, Monti e Bersani possono almeno accordarsi su chi mandare sul Colle.
Gianluca Mercuri
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: Monti, Napolitano | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
200.000 PERSONE IN PIAZZA SAN PIETRO PER SALUTARE UN GRANDE E CORAGGIOSO PAPA: “NON ABBANDONO LA CHIESA, RESTO NEL RECINTO DI DIO”
”Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima udienza generale del mio pontificato. Grazie di cuore, sono veramente commosso e vedo la Chiesa viva e penso che dobbiamo dire grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona anche se è inverno!”.
Con queste parole Benedetto XVI ha salutato i quasi 200mila fedeli presenti questa mattina in piazza San Pietro per la sua ultima udienza generale.
“Il 19 aprile del 2005 ho pensato: Signore, che cosa mi chiedi? È un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi sulla Tua parola getterò le reti” e ”il Signore mi ha veramente guidato”, ha detto il Papa, ripercorrendo il suo pontificato e sottolineando le difficoltà attraversate.
“In questi 8 anni il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto sentire la sua presenza ogni giorno. La Chiesa ha vissuto giorni felici, ma anche momenti non facili, nei quali mi sono sentito come San Pietro in barca con i pescatori. Il Signore sembrava dormire, ma ho sempre saputo che in quella barca c’era. La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua, e il Signore non la lascia affondare”.
In prima fila.
Hanno assistito all’ultima udienza generale numerosi cardinali. In prima fila, sul sagrato della Basilica di San Pietro, i cardinali di Curia Re, Braz de Aviz, Canizares e Antonelli chiacchierano con alcuni arcivescovi residenziali già arrivati per il Conclave, tra i quali l’italiano Bagnasco, gli statunitensi Dolan e Wuerl, l’australiano Pell.
Mai solo.
“Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino”. Tra gli applausi, Benedetto XVI ha ringraziato i cardinali e i collaboratori, “ad iniziare dal mio Segretario di Stato Bertone, che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni”.
Nessuna privacy.
”Chi assume il ministero petrino – ha detto ancora Papa ritornando con il pensiero ai sentimenti del giorno dell’elezione – non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare – ha aggiunto – e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona”.
“Non abbandono la croce”.
Da oggi la sua vita non sarà comunque un ”ritornare nel privato”. Benedetto XVI ha detto che non avrà ”una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze, eccetera. Nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso.
Passo grave, ma sereno.
Il Papa è tornato a sottolineare la gravità della sua decisione, ma conferma di aver fatto il passo con serenità : “Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità , ma anche con una profonda serenità d’animo. Negli ultimi mesi – ha aggiunto – ho sentito che mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio di illuminarmi nella preghiera per farmi prendere la decisione più giusta non nel mio bene, ma per il bene della Chiesa”.
Preghiere per il successore.
Un pensiero è stato rivolto anche al successore: “Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito”, ha detto il pontefice, che ha colto l’occasione anche per ringraziare i media: “Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio”.
Grazie Italia.
Un particolare saluto il Pontefice lo ha riservato ”alla cara Italia e a Roma”. Rivolgendosi ai pellegrini di lingua itaiana il Papa ha aggiunto: ”grazie per il vostro affetto e amore, grazie”. ”Cari amici – ha quindi aggiunto – grazie per questi otto anni, grazie per la gioia della vostra fede”.
La gioia di Cristo su Twitter, domani account chiuso.
”Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano, di essere amato da Dio che ha dato suo Figlio per noi”.
È questo il nuovo messaggio diffuso da Benedetto XVI su Twitter. Domani, ultimo giorno di pontificato, l’account del papa sarà chiuso.
Alemanno a incontro privato.
Al termine dell’ultima udienza di Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha partecipato ad un incontro privato, nella sala Clementina del Vaticano, che il Santo padre ha avuto con i capi di Stato giunti da tutto il mondo per rendergli omaggio.
Grandi misure di sicurezza.
Il Pontefice è stato accolto da un’ovazione, quando la jeep ha fatto il suo ingresso: accanto al Papa, come sempre, il segretario, monsignor Georg Gaenswein.
La vettura si è fermata qualche istante per permettere a Benedetto XVI di prendere in baccio un bambino. La zona è sorvegliata a vista da centinaia di uomini delle forze dell’ordine.
Massiccia anche la presenza degli addetti della Protezione civile.
Via della Conciliazione, ovviamente chiusa al traffico, è stata completamente transennata ed è stato creato un corridio centrale per i mezzi di soccorso mentre maxischermi sono stati montati in previsione di un afflusso di pellegrini e fedeli. Ieri sera sono iniziate le bonifiche delle forze dell’ordine.
Giro della piazza in papamobile.
L’udienza generale è iniziata alle 10.30.
Il Papa dimissionario, il cui pontificato si concluderà domani alle 20, ha fatto il giro dei settori nella piazza con la ‘papamobile’ per salutare da vicino quanti più fedeli possibile.
Poi, come di consueto, la catechesi dal sagrato.
Ci sono innanzitutto i fedeli della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ma a San Pietro ci sono fedeli e personalità anche dal resto d’Italia e dall’estero.
In piazza le bandiere testimoniano la provenienza di persone da ogni parte del mondo: dagli Usa alla Polonia, dall’Egitto alla Cina, dalla Bolivia alla Germania, patria di Joseph Ratzinger.
Benedetto XVI “sta ricevendo messaggi da ogni parte del mondo, anche da personalità di grande rilievo e da capi di Stato”, ha riferito ieri padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede.
Tanti hanno annunciato la loro presenza, dal Granduca Ereditario Guillame de Luxembourg al ministro italiano della Salute Renato Balduzzi.
Per associazioni e movimenti cattolici ci saranno Maria Voce del Movimento dei Focolari, Kiko Arguello del Cammino Neocatecumenale, Frere Alois e il Priore della Comunità di Taizeè.
Udienza n°348.
Quella odierna è la 348ma udienza generale di Benedetto XVI nei suoi otto anni di pontificato. Incontri con fedeli e pellegrini, quelli del mercoledì mattina in piazza San Pietro o nell’Aula Paolo VI in Vaticano, che hanno radunato in totale 5.116.600 fedeli (dall’aprile 2005 al 27 febbraio 2013).
La partecipazione più numerosa è avuta nel 2006 quando, alle 45 udienze generali di quell’anno, hanno preso parte 1.031.500 fedeli.
È, invece, il 2011, con un totale di 45 udienze generali, a far registrare il numero più basso di fedeli, in tutto 400.000.
Per quanto riguarda, invece, l’anno in corso quella odierna è l’ottava udienza generale di Papa Ratzinger.
Nuove dimissioni.
Ancora dimissioni nelle alte sfere della Chiesa: il Papa ha accettato oggi le dimissioni “per infermità o altra grave causa” di due vescovi, l’inglese Patrick Altham Kelly, arcivescovo di Liverpool, e l’ausiliare di Armagh in Irlanda, Gerard Clifford.
(da “La Repubblica“)
argomento: Chiesa | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
ALL’INTERNO DEL PD SI CONFRONTANO DIVERSE POSIZIONI SULLE SCELTE TATTICHE E SULLE ALLEANZE
Governo di minoranza, di scopo, di salute pubblica, governo tecnico, governo Monti o simil-Monti per
tornare al voto subito dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato…
Nel Partito democratico circolano molte idee e altrettanta confusione.
In conferenza stampa il segretario Pier Luigi Bersani sembra aprire la porta a Beppe Grillo, ventilando la possibilità che il suo movimento possa ottenere persino la presidenza di uno dei rami del Parlamento.
Ma quello del segretario appare più un tentativo di prendere tempo e tenere unito il partito.
In realtà , già ieri a Largo del Nazareno circolava il possibile organigramma di un governo delle larghe intese con Giuliano Amato come possibile premier.
La verità è che siamo ancora alle schermaglie tattiche: Bersani e i dirigenti del Pd devono far passare un congruo lasso di tempo dalle elezioni prima di poter affrontare l’ipotesi di dare vita per la seconda volta a una maggioranza anomala.
«Temo che questa legislatura non durerà quanto avremmo dovuto», ha ammesso ieri mattina il leader del Partito democratico, conversando con qualche collaboratore.
Ma Bersani, comunque, è contrario a tornare alle elezioni a passo di carica: «Il Paese non se lo può permettere».
Nel frattempo, il Pd dà di sè l’immagine di un partito che torna a dividersi sulle possibili opzioni politiche.
I giovani turchi come Stefano Fassina e Matteo Orfini non vogliono sentir parlare di «governissimo»: loro puntano sui «5 Stelle».
Per Orfini, «è impensabile fare un governo senza Grillo», mentre è «contronatura pensare di mettere in piedi un esecutivo con Monti e il Pdl».
E il consigliere principe del segretario, Miguel Gotor, corteggiava il Movimento 5 Stelle addirittura prima dell’esito elettorale, sostenendo che il Partito democratico avrebbe dovuto aprire un confronto con quel mondo.
I dirigenti più importanti del partito, però, ritengono che un esecutivo che affida le sue fortune ai grillini rischia di terrorizzare i mercati e di avere l’ostilità di Giorgio Napolitano.
Non la giudicano un’ipotesi praticabile nè auspicabile. Massimo D’Alema, per esempio, ritiene che il Pd debba affidarsi al capo dello Stato, senza fare colpi di testa.
Quello che l’ex premier pensa di Beppe Grillo ha avuto modo di dirlo più volte: «Uno come lui può produrre conseguenze gravi sul lavoro, i risparmi e la vita degli italiani: terrorizza gli investitori».
D’Alema, che, come è noto, non si è candidato in Parlamento in questa legislatura, non ha però intenzione di mollare la vita politica.
Come ha avuto modo di spiegare di recente durante la presentazione del libro-intervista di Peppino Caldarola con Miguel Gotor.
Al consigliere di Bersani che sottolineava come l’ex premier avesse concluso la sua carriera politica, D’Alema ha replicato: «Quella parlamentare semmai».
Quindi è chiaro che l’ex presidente del Consiglio a un certo punto farà pesare la sua parola e la sua opinione.
Paolo Gentiloni è convinto che il Partito democratico «più che ipotizzare maggioranze teoriche deve assecondare Giorgio Napolitano e i tentativi che farà per dare uno sbocco a questa situazione».
Una convinzione analoga a quella di Walter Veltroni. Insomma, i pezzi da 90 del Partito democratico temono una deriva per il Pd tipo Unione. O anche peggio.
E guardano con diffidenza al fare insistente con cui Nichi Vendola cerca di spronare il segretari ad agganciare a tutti i costi Grillo.
Ma questa per il leader di Sel è una strada obbligata: il rischio, altrimenti, è che il suo movimento venga escluso dai giochi politici, perchè è chiaro che una delle conseguenze di un eventuale governissimo sarebbe proprio questa.
Nel frattempo ci si interroga anche sulle reali intenzioni di Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze, come dice lo stesso Bersani, «in questa fase resterà alla finestra».
E, soprattutto, non colpirà il segretario, nè tanto meno ne chiederà le dimissioni.
Anche se qualcuno tra i suoi pasdaran lo farebbe volentieri e si stupisce del perchè Bersani non abbia pensato lui a presentarsi dimissionario già ieri.
Renzi attende che i fatti della politica gli diano ragione e che alla fine il Partito democratico ammetta che ciò che il primo cittadino rottamatore sosteneva nella campagna per le primarie è vero.
Ossia che se si fosse presentato lui al posto dell’attuale leader il Pd avrebbe preso il 40 per cento, Silvio Berlusconi non si sarebbe presentato e Beppe Grillo non avrebbe avuto l’exploit che ha avuto. E i primi segnali in questo senso già ci sono se il sindaco di Bologna Virginio Merola, finora bersaniano doc, ieri ha dichiarato: «Credo che Renzi sia il rinnovamento».
Il segretario, che ieri in conferenza stampa sembrava provato, e dava l’aria di non avere ancora deciso che cosa fare e come uscire dalla situazione in cui il Pd si è infilato, esamina tutte le ipotesi sul tappeto.
E invita alla prudenza i compagni di partito: «Facciamo un passo alla volta, evitiamo di peggiorare la situazione».
Intanto stila il programma di governo: riforma elettorale, taglio dei costi della politica, dimezzamento dei parlamentari, provvedimenti anticorruzione e conflitto di interessi.
Un programma che potrebbe interessare ai grillini, ma soprattutto un programma che consentirà al segretario di provare ad avere un mandato, anche solo per uscire di scena.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: governo | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
MONTI E CINQUESTELLE ERODONO IL BACINO DEI VECCHI SCHIERAMENTI… QUASI IL 16% DI CHI NEL 2008 SCELSE IL CENTROSINISTRA HA PREMIATO I GRILLINI
Il Movimento 5 Stelle, con più di 8,5 milioni di voti, è apparso il vero dominatore delle elezioni.
Grillo ha attratto voti da tutti i partiti: in misura simile da ex elettori Pdl e Pd, ma anche (circa il 20% degli attuali votanti per il M5S) da chi, alle precedenti Politiche del 2008, aveva deciso di astenersi ed è stato questa volta motivato dal comico genovese a partecipare.
Ancora, una parte consistente (16%) dei suffragi per Grillo proviene dai giovanissimi che si sono recati alle urne per la prima volta.
Dall’altra parte, i valori assoluti mostrano la dèbacle della gran parte dei partiti tradizionali.
Il Pdl ha subito, in confronto al 2008, l’erosione maggiore, perdendo più di 6 milioni di voti.
Solo circa metà degli elettori di Berlusconi ha confermato la propria scelta di cinque anni fa: molti si sono rifugiati, come si è accennato, nel Movimento 5 Stelle, ma anche, in misura maggiore (24%), verso l’astensione che si è fortemente accresciuta. La campagna elettorale di Berlusconi è riuscita comunque a recuperare consensi per il suo partito, che era stimato attorno al 16% a dicembre ed è giunto a sfiorare il 22%. Ma ciò non ha compensato il declino che, peraltro, si era già manifestato quando nel 2009 si è votato per le Europee.
È vero, dunque, che il Pdl è uscito dalle urne meglio di quanto si ipotizzasse qualche mese fa, ma è vero anche che deve far fronte alla forte perdita di sostegno tra gli elettori
Anche il tradizionale alleato di Berlusconi, la Lega Nord, ha assistito a un crollo di suffragi: dai 3 milioni del 2008 si è passati a meno di metà , 1 milione e 400 mila voti. Ha pesato, naturalmente, la crisi interna del partito, sino alla messa in disparte di Bossi e all’ascesa di Maroni e la forte controversia sull’opportunità o meno di allearsi con il Pdl.
L’erosione della Lega è ancora più evidente se si prendono in considerazione le regioni del Nord: in Lombardia il partito di Maroni ha perso quasi 600 mila voti; più di 500 mila nel Veneto e oltre 600 mila in Piemonte.
Un calo significativo è stato subito anche dall’altro grande partito presente sul nostro scenario politico: il Pd.
Quest’ultimo poteva contare su circa 12,5 milioni di consensi nel 2008.
Domenica e lunedì il partito di Bersani ha colto circa 8 milioni e 600 mila voti, con un decremento di quasi 4 milioni di consensi.
Il Pd gode comunque di un tasso di riconferma dei suoi votanti alle Politiche precedenti (61%) maggiore del Pdl. Ma quasi il 16% del suo elettorato passato si è diretto verso Grillo.
La campagna elettorale di Bersani non è valsa dunque a conquistare nuovi consensi nè, peraltro, a mantenere tutti quelli passati.
Anche nella zona che una volta veniva chiamata «rossa», ove il Pd è sempre stato più presente, il partito perde voti.
In Emilia-Romagna ha lasciato, rispetto al 2008, quasi 300 mila voti. Altrettanto accade in Toscana. Nel Lazio l’erosione supera i 400 mila voti. E in Puglia è pari a 330 mila voti.
Si va dunque erodendo anche la base tradizionale, non ultimo a causa di importanti mutamenti avvenuti nella stessa composizione socio-economica dell’elettorato italiano.
L’erosione del consenso del Pd ha avvantaggiato anche Sel, la forza alleata posizionata alla sua sinistra.
Quest’ultima aveva ottenuto poco più di 500 mila voti nel 2008, salendo sino a quasi un milione nel 2009 e crescendo di altri 100 mila voti in questa occasione. Nell’insieme, Vendola è riuscito, in controtendenza con le altre forze politiche, a recuperare più di 500 mila voti negli ultimi cinque anni.
Rivoluzione Civile di Ingroia ha invece eroso in larga misura il patrimonio di consensi portatogli dall’Idv di Di Pietro.
Quest’ultimo poteva contare nel 2008 su quasi 2 milioni e 200 mila voti, scesi oggi con Ingroia a meno di 800 mila.
Ancora, colpisce il vero e proprio crollo di consensi subito dall’Udc: dai 2 milioni di voti delle politiche del 2008, si è giunti a poco più di un quarto: 610 mila voti.
Parte dei consensi passati dell’Udc si sono diretti verso la lista Monti che ha ottenuto, in queste elezioni, quasi 3 milioni di suffragi, sottratti, oltre che a Casini, a Pd e Pdl.
In conclusione, sommando le perdite complessive delle principali forze politiche, si rileva come almeno 16 milioni di elettori abbiano abbandonato i partiti votati cinque anni fa per dirigersi verso altri lidi.
Segno del forte mutamento dello scenario elettorale (con l’ingresso di nuovi attori tra cui, specialmente, Grillo e Monti), ma anche, in qualche modo, dell’estendersi dell’insoddisfazione verso l’offerta politica tradizionale.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: elezioni | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
IPOTESI GOVERNO DEL PRESIDENTE APERTO AL SOSTEGNO DEL PDL…SE LA DEPUTATA DEL M5S ANDASSE A PRESIEDERE LA CAMERA AL SENATO ANDREBBE LA FINOCCHIARO
Torna Giuliano Amato o quanto meno se ne riparla. 
Il Dottor Sottile potrebbe infatti essere richiamato in servizio nel caso fallisse il primo tentativo, quello fatto da Bersani per convincere Grillo a una qualche forma di collaborazione.
E del resto Amato, che salvò il paese nella tempesta dell’estate del 1992 e, di recente, è stato artefice di un piano di riforma dei partiti e del finanziamento alla politica, potrebbe avere per Napolitano il profilo ideale per guidare un governo di larghe intese Pd-Monti-Pdl.
Intanto, nella Roma politica ancora sotto choc per il ciclone Grillo, è già partito il risiko delle presidente delle Camere.
Perchè questa volta la possibilità di trovare un accordo di governo andrà verificata sull’elezione dei successori di Fini e Schifani, prima stazione della via crucis verso la creazione di una nuova maggioranza.
Marta Grande, la nuova “Pivetti” grillina, o Dario Franceschini?
Anna Finocchiaro o Silvio Berlusconi? Il gioco delle coppie è in corso.
Un passaggio difficile, da cui tuttavia si capirà quale formula di governo – unità nazionale o intesa Grillo-Bersani – potrà portare il paese verso nuove elezioni. Giacchè nessuno si illude che la legislatura possa durare più di qualche mese.
Al momento è proprio l’apertura di Bersani al Movimento 5 Stelle l’ipotesi di lavoro più concreta.
Il segretario Pd l’ha condita con un’esplicita offerta a Grillo: indicate un vostro candidato per la presidenza di Montecitorio.
Il più convinto sostenitore di questa linea è Nichi Vendola: «La notte delle elezioni – confida il leader di Sel in un Transatlantico ancora deserto – ho parlato a lungo con Bersani. Gli ho detto che l’unica strada è innervare il programma di governo con l’agenda Grillo. Pier Luigi ha capito. Mi piace l’idea di fare da pontiere fra Grillo e Bersani!».
Ma i grillini ci staranno? «Prima o poi – spiega Vendola – scenderanno dal loro Aventino morale. E noi saremo lì ad aspettarli: parlavamo con i leghisti, che quando venivano al Sud si stupivano di trovare i bidet, e non parliamo con loro?».
Certo, trovare un attivista del M5S disposto a sedersi sul trono di Montecitorio non sarà facile.
Ma nel Pd hanno già messo gli occhi sulla giovanissima Marta Grande, la grillina spedita a commentare i risultati in diretta tv.
A quel punto un esponente del Pd, Anna Finocchiaro, si andrebbe a sedere sullo scranno più alto di palazzo Madama.
Certo, la possibilità di reggere le dure prove che si profilano per il paese con un governo appeso ai referendum on line di Grillo è vista da molti, nello stesso Pd, con grande scetticismo.
«L’apertura di Bersani al M5S è una buona mossa – ragiona Paolo Gentiloni – ci fa guadagnare tempo. Ma poi? I presidenti delle Camere si eleggono tra 20 giorni, nel frattempo cosa facciamo?».
Domande che in queste ore risuonano senza risposta nei conciliaboli tra dirigenti democratici.
Il piano di riserva è quello di non assumersi l’onere diretto della presidenza del Consiglio, lasciando che sia Napolitano a sbrogliare la matassa.
Nascerebbe quindi un altro governo del presidente, grazie ai voti del centrosinistra, del Pdl e di Monti.
Un governo con pochi punti nel programma, studiati apposta per spuntare gli artigli a Grillo e poi riportare il paese al voto: in autunno o nella prossima primavera.
È appunto lo scenario per cui si fa il nome di Giuliano Amato come presidente del Consiglio, vicino al Pd ma gradito a Berlusconi.
È evidente che un accordo di questo tipo passa anche per i presidenti delle Camere.
A Montecitorio si tornerebbe a un democratico, Dario Franceschini, mentre il presidente del Senato sarebbe ceduto dal Pd agli alleati del governissimo.
A quel punto anche l’impensabile diventerebbe possibile.
Perchè la strada delle larghe intese passa da un accordo con Silvio Berlusconi, che vedrebbe bene se stesso nel ruolo di seconda carica dello Stato.
Lo aveva confidato lui stesso con una battuta la sera dello spoglio: «Vuoi vedere che mi toccherà fare il presidente del Senato?».
In alternativa l’altro candidato “naturale” è Mario Monti, che non fa mistero di considerare proprio il governo di salute pubblica come l’unica soluzione praticabile per far fronte agli impegni presi dal-l’Italia con l’Europa.
Eletti i presidenti delle Camere si aprirà la partita più importante, quella del Quirinale. Anche per il Colle torna in ballo il nome del Dottor Sottile.
L’idea di mandarci Giuliano Amato, come sigillo di un’eventuale intesa Pd-Pdl, è l’alternativa più forte a Romano Prodi, candidato più consono a una maggioranza sinistra-Grillo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
argomento: Parlamento | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
PROMOSSI E BOCCIATI TRA GLI SPORTIVI: LA REGINA DELLA CANOA IN SENATO CON IL PD, LA VEZZALI ALLA CAMERA CON MONTI… ESCLUSI ILLUSTRI LA DI CENTA (PDL), ULIVIERI (SEL) e ANNALISA MINETTI (MONTI)
Se la tornata elettorale assegnasse le medaglie quella d’oro tra gli sportivi andrebbe a Josefa Idem.
La campionessa azzurra della canoa è stata la prima del gruppo a conquistare un posto in Parlamento.
Capolista in Emilia Romagna, dopo 6 Olimpiadi siederà tra i banchi del Pd al Senato.
Sul podio anche Valentina Vezzali. Nonostante il risultato deludente di Monti, la fiorettista passa alla Camera con Scelta Civica grazie ai voti raccolti nelle Marche. Completa il quadro dei promossi, con un bronzo virtuale, Laura Coccia, atleta paralimpica in forza al Pd e futura inquilina di Montecitorio.
Medaglia di legno ex aequo a Manuela Di Centa e Gianni Rivera, i due esclusi più illustri. Già parlamentare del Pdl, l’ex campionessa di fondo non è riuscita a strappare la riconferma alla Camera.
Niente da fare anche per il “Golden boy” del calcio italiano.
Passato al Centro Democratico di Tabacci dopo alcuni trascorsi nell’Ulivo ha pagato il risultato deludente della sua lista, rimediando solo una posizione di rincalzo in Emilia e Friuli.
Bene l’ex presidente della Figc Franco Carraro (al Senato con il Pdl), fuori invece l’ex tecnico Renzo Ulivieri, schierato da Sel in Emilia Romagna e Annalisa Minetti, cantante e primatista italiana nel mezzofondo tra gli ipovedenti.
Alberto Abburr�
argomento: elezioni | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
ETA’ MEDIA 48 ANNI (45 A MONTECITORIO, 53 A PALAZZO MADAMA) … LA PRESENZA FEMMINILE SALE DELL’11%… NEL PD IL 40% SONO DONNE
Età media: 48 anni. Donne: 31%. Eccoli, i due numeri che descrivono il nuovo parlamento italiano. 
Quello più giovane e con maggiore presenza femminile della storia repubblicana.
A fare i conti anagrafici in tasca ai nuovi deputati e senatori è stata la Coldiretti, che racconta il volto nuovo delle istituzioni.
Età .
I deputati eletti avranno una età media di 45 anni e i senatori di 53 anni. Il che significa un consistente ringiovanimento rispetto alla scorsa legislatura in cui l’età media dei deputati era di 54 anni (9 anni di differenza) mentre quella dei senatori di 57 anni (4 anni di differenza).
Il gruppo parlamentare con l’età media più bassa è di gran lunga il Movimento 5 Stelle, con 37 anni (33 alla Camera e 46 al Senato), davanti a Lega Nord con 45 anni (42 alla Camera e 48 al Senato), al Partito Democratico (Pd) con 49 (47 alla Camera e 54 al Senato), a Sinistra ecologia e libertà (Sel) con 47 anni (46 alla Camera e 50 al Senato), al raggruppamento Lista Monti-Udc-Fli con 55 anni (55 anni alla Camera e 56 anni al Senato) e al Popolo della Libertà (Pdl) con 54 anni (50 alla Camera e 57 al Senato).
Donne.
Rafforzata la presenza femminile che nella legislatura conclusa era pari al 21% alla Camera e al 19% al Senato: nel nuovo Parlamento saranno il 32% alla Camera e il 30% al Senato.
Tra i partiti maggiori il più alto numero di donne si trova nelle liste del Pd, con il 41%, che precede Movimento Cinque Stelle al 38%, Pdl e Lista Monti-Udc entrambi al 22%, Sel al 20%, Lega Nord al 14% e Pdl, con il 25,8%.
Ed è una donna anche la più giovane candidata al Parlamento: Marta Grande 25 anni, che ha conquistato un posto alla Camera sotto le insegne del Movimento Cinque Stelle nel Lazio mentre il candidato più anziano, Sergio Zavoli (89 anni) è stato eletto nelle liste del Pd al Senato in Campania.
Una sfida generazionale.
“Al di là dei diversi schieramenti e delle ipotesi di alleanze, il nuovo Parlamento rappresenta soprattutto una sfida generazionale per i tanti giovani che per la prima volta arrivano in Parlamento per svolgere importanti funzionali istituzionali dalle quali dipende il futuro del Paese” ha detto il presidente della Coldiretti Sergio Marini, sottolineando che “in loro si ripongono le speranze di cambiamento in un Paese come l’Italia che ha la classe dirigente più vecchia in Europa con una età media di 59 anni, con punte di 67 anni per i banchieri, di 63 per i professori universitari e di 61 per i dirigenti delle partecipate statali”.
(da “La Repubblica“)
argomento: Parlamento | Commenta »
Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
SCILIPOTI RIELETTO: PRIMO DIETRO A BERLUSCONI AL SENATO IN CALABRIA… RAZZI ELETTO IN ABRUZZO
Nell’Italia dell’ingovernabilità e delle tante incognite, c’è una certezza: Domenico Scilipoti, l’uomo in più di Berlusconi, il quale, con molta probabilità , tornerà in Parlamento.
La via per tornare in pista è legata al fatto (altamente probabile) che il Cavaliere non occupi il seggio conquistato in Calabria.
Il Pdl si porta a casa cinque seggi che mandano al Senato della Repubblica l’uscente Antonio Gentile, Nico D’Ascola, l’attuale assessore regionale Piero Aiello e il suo compagno di giunta Antonio Caridi.
A seguire in lista c’è il responsabile Domenico Scilipoti che ora, dunque, attenderà l’eventuale dimissione di Berlusconi se sceglierà di risultare eletto in un’altra regione.
A completare il quadro del centrodestra al Senato c’è l’elezione di Giovanni Bilardi (attuale consigliere regionale della Calabria) nella lista Grande Sud.
Il centrosinistra invece ha conquistato due seggi, tutti spettanti al Pd. Gli eletti al Senato sono Marco Minniti e Doris Lo Moro.
I due grillini del Movimento 5 Stelle che varcheranno le soglie di Palazzo Madama sono Francesco Molinari e Nicola Morra.
L’ultima tornata elettorale apre le porte anche ad Antonio Razzi, altro ex Idv, che come Scilipoti è passato con Berlusconi votandogli la fiducia il 14 dicembre 2010.
Il politico abruzzese, che in campagna elettorale andava dicendo: “Conme tornei di tennis, votatemi”, la spunta lasciando al palo il deputato Pd uscente Paolo Concia che su twitter commenta: “Entra Razzi non io… Mi dispiace per gli abruzzesi”.
In un secondo tweet, indirizzato tra gli altri al presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, Concia aggiunge: “Gli abruzzesi hanno preferito Razzi a me… Questa è la democrazia e la volontà del popolo”.
Scilipoti però non attende la decisione (scontata) di Berlusconi è inizia subito a parlare da neo-eletto. “Desidero innanzitutto ringraziare gli elettori calabresi che mi hanno sostenuto ed hanno contribuito in maniera determinate all’affermazione del Pdl al Senato in Calabria”. E ancora: “Questa vittoria è la dimostrazione concreta che quello calabrese è un elettorato maturo che ha bisogno di certezze, credibilità e proposte concrete per il rilancio del territorio e non si accontenta della semplice protesta senza alcuna proposta”.
Quindi conclude: “La prima cosa che intendo fare da neo senatore è mantenere gli impegni presi con i cittadini calabresi durante la campagna elettorale cominciando con il trasferire, nei prossimi giorni, la mia residenza in Calabria”.
argomento: PdL | Commenta »