Febbraio 28th, 2013 Riccardo Fucile
CAMBIA IL POPOLO DELLE PARTITE IVA, IL MOVIMENTO CINQUE STELLE DIVENTA IL PRIMO PARTITO
In Veneto il Movimento 5 Stelle è diventato in un colpo solo il primo partito con il 24,3%, eppure la
prima reazione dei politici locali di lungo corso è stata quella di procedere ad epurazioni oppure di chiedere il rimpasto di giunta a Palazzo Balbi, sede della Regione.
Appena uscite le proiezioni la presidente della Provincia di Padova, Barbara Degani (Pdl), ha dimissionato l’assessore all’Interporto Domenico Riolfatto, reo di aver lasciato nelle settimane scorse gli azzurri e di esser passato armi e bagagli con la Lista Monti.
Più preoccupante è il conflitto che si è aperto tra i due partiti del forzaleghismo a proposito della giunta Zaia: i berlusconiani Giancarlo Galan e Dario Bond hanno chiesto senza mezzi termini il rimpasto in Regione.
Contando i voti del Senato la Lega appare in Veneto come la grande sconfitta (a Treviso città è scesa sotto il 9%!), i suoi elettori sono stati il bacino di consenso di Beppe Grillo visto che il partito del Carroccio aveva alle ultime politiche incassato il 27% dei consensi, alle Regionali il 35% e ieri è passato a un misero 11,1%.
Il 24,3% di voti presi da 5 Stelle sono la traduzione nelle urne delle piazze che Beppe Grillo ha riempito in quasi tutte le città del Nord Est e dell’appoggio che ha trovato presso il popolo delle partite Iva, tra gli artigiani e i commercianti.
La «pancia del Paese» che era stata la leva del forzaleghismo da queste elezioni esce come in condominio, parte con il centrodestra e parte con i grillini.
Ci sarà tempo per analizzare questa mutazione repentina ma nel Nord Est il voto sembra aver preso questa strada.
E del resto gli ultimi comizi di Grillo, che è andato fino a Belluno e Rovigo, sono stati dedicati almeno per metà a temi come la difesa del made in Italy, l’abolizione dell’Irap, i soprusi di Equitalia e la revisione degli studi di settore.
È interessante notare come in Piemonte il Movimento 5 Stelle ieri abbia preso grosso modo i voti del Veneto (attorno al 25,3%) mentre resta relativamente dietro in Lombardia, attorno al 17-18%.
Il paradosso è che anche in una piazza come Varese, dove pure Grillo è rimasto basso (17,4%), pareggia grosso modo i voti presi dalla Lega Nord in quella che è considerata la sua capitale politica per aver espresso le leadership prima di Umberto Bossi e poi di Roberto Maroni.
Intuita la mala parata il sindaco di Verona, Flavio Tosi, già negli ultimi giorni di campagna elettorale aveva iniziato a sostenere la necessità di creare un nuovo contenitore politico che andasse «oltre la Lega».
Dopo i dati che hanno visto il suo partito conquistare un misero 13% a Verona, ha individuato nell’alleanza con il Cavaliere la causa prima della sconfitta della Lega ma tutto ciò non potrà evitare che si riapra il contenzioso con Zaia.
Il governatore è parso poco impegnato nei comizi e l’unica affermazione degna di nota che si ricorda di lui nelle ultime settimane è stata sibillina («Il Nord Est è finito») e poca adatta a rastrellare voti. Zaia pressato dai cronisti se l’è cavata dichiarando che «il vero bocciato di queste elezioni è Mario Monti» ma è il primo a sapere di aver solo tirato il pallone in tribuna.
Il risultato delle regioni del Nord boccia anche il neo laburismo di Pier Luigi Bersani, in Veneto il Pd con il 23,3% segna una performance più bassa di quella delle elezioni politiche del 2008 dove aveva fatto toccato il 26,5%.
Il leader piacentino aveva puntato su una candidatura locale, Laura Puppato, che non sembra aver prodotto valore aggiunto.
Il risultato delle regioni settentrionali resta amaro per il centrosinistra: al Senato in alcune province come Bergamo e Brescia il distacco dal centrodestra oscilla tra i 17 e i 15 punti. Durissima è stata la competizione in Piemonte che era considerata una regione sicura per il centrosinistra e che invece lo ha visto prevalere sulla coalizione di Berlusconi solo sul filo di lana. Scelta civica, la lista promossa da Mario Monti, non è riuscita a entrare in sintonia con la società nordestina.
È stata vissuta come un’operazione di establishment appoggiata da qualche struttura confindustriale di base ma poco più.
E nemmeno lo svuotamento della lista di Oscar Giannino, che in un primo tempo aveva attirato molte attenzioni, sembra averlo aiutato.
Anche in questo caso è stato Grillo a fare da magnete e ad attirare il voto di una protesta indirizzata in primo luogo contro la soffocante pressione fiscale.
Uno dei risultati migliori Monti l’ha raggiunto nella sua Varese (11,4%) ma anche a Bergamo e in Piemonte è stato raggiunto lo stesso livello di consensi.
Ma non c’è dubbio che dovendo scegliere tra il Cavaliere e il Professore che l’ha sostituito a Palazzo Chigi la risposta del Nord è stata nettamente a favore del primo.
L’elettorato moderato continua a pensare che Berlusconi sia il miglior campione che si possa schierare in campo contro la sinistra e anche questa volta non gli ha fatto mancare il suo appoggio.
Di sicuro davanti a un voto così frammentato e alla palese mancanza di indirizzi condivisi la società produttiva del Nord si ritrova oggi un po’ più sola.
I giovani per sperare di trovare lavoro aprono la partita Iva ma non pare che portino con sè una vera idea di business, nel Nord Est almeno due delle grandi imprese (Electrolux e Benetton) hanno denunciato esuberi di personale, non si riesce a trovare sedi certe nelle quali decidere se sviluppare o meno il traffico cargo dall’aeroporto di Montichiari e intanto sono 12 mila le imprese che rispetto a quattro anni fa hanno chiuso i battenti in Veneto.
Eppure aperte le urne e contati i voti assisteremo a un duello per il rimpasto della Regione e a un regolamento di conti in casa leghista tra Tosi e Zaia. Il teatrino della politica non conosce pause.
Dario Di Vico
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Febbraio 28th, 2013 Riccardo Fucile
“SIAMO IL PRIMO PARTITO, VALORIZZEREMO IL MERITO”…LE PRIORITA’? LEGGE SUL CONFLITTO DI INTERESSI ELEGGE ELETTORALE”
Il palazzo da “espugnare” è la Bastiglia ormai conquistata, con un risultato senza precedenti: il Movimento 5 stelle – primo partito alla Camera- si lascia dietro Pd e Pdl. Sono 162 gli attivisti del M5S in marcia verso il Parlamento.
Riduttivo oggi parlare di antipolitica.
“Abbiamo parlato alla testa e al cuore degli italiani, non alla pancia” precisa Davide Bono che del M5S è consigliere regionale in Piemonte e che respinge così la teoria del solito voto di protesta.
Tutti carichi e determinati gli “onorevoli”, o meglio i portavoce, a 5 Stelle.
E soprattutto preparati, fanno sapere. “Abbiamo studiato e a breve faremo anche dei corsi di formazione“, spiega ancora Bono che poi elenca le priorità del Movimento, come da programma: “Subito il reddito di cittadinanza a chi è in sofferenza per non lasciare indietro nessuno. Adesso dobbiamo cercare di salvare, più che far ripartire il paese”.
“Ogni giorno — ricorda il consigliere regionale piemontese — chiudono mille aziende, un dato grave dal punto di vista economico, bisogna ridare credito alle imprese e far in modo che l’Italia riparta, non in senso di Pil, che non significa nulla, occorre ridare speranza alle persone e lavoro”.
E’ su questo che il Movimento 5 Stelle si confronterà con le altre forze politiche, anche dall’opposizione, è la promessa.
Niente inciuci. Beppe Grillo docet: “Il M5S non si allea, no al governassimo”.
Anche se in serata fa sapere: “Il metodo è Sicilia è meraviglioso”.
La supervisione del programma spetterà alla rete, ai cittadini che da casa potranno dire la loro, chiosa ancora Bono, che poi “ipoteca” Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) e commissione di Vigilanza Rai: “Spettano a noi, siamo il primo partito”, a Montecitorio.
“L’obiettivo è controllare e vigilare per ridare libertà al paese — conclude Bono- e magari fare luce sui tanti misteri d’Italia degli ultimi 40 anni”.
Di sicuro gli attivisti del M5S, anche se di poltrone al momento non vogliono parlare, saranno costretti a farlo e a confrontarsi con tutte le altre forze politiche.
In ballo ci sono le presidenze delle commissioni per salire su fino ai vertici dei due rami del Parlamento e del Quirinale.
Il rischio è che in mancanza di un coordinamento chiaro tutto possa sfuggire di mano e finire nel caos, che non è una strategia politica.
Ci sono poi regole e regolamenti da rispettare. Dire — come ha già fatto qualcuno — che i ruoli di capigruppo di camera e senato nel M5S saranno ricoperti a rotazione, sarà pure molto democratico ma anche poco realistico.
Ecco appunto, è proprio il caos che nel Palazzo si teme di più.
E la nuova legislatura che si apre, la diciassettesima, non nasce sotto i migliori auspici al netto appunto del responso delle urne.
Tante teste, tante competenze.
“Valorizzeremo il merito” assicura Carla Ruocco, eletta alla Camera in Lazio. “L’Italia è da sempre il paese dei talenti, siamo preparati e ci sentiamo all’altezza — rivendica con orgoglio- basta con la vecchia politica“.
La road map è tracciata nel programma che viaggia sul web.
Le priorità ? “Legge sul conflitto di interesse e legge elettorale per dare stabilità al paese — afferma Ruocco- temi fondamentali che sono scritti nel nostro programma e a cui noi resteremo fedeli, poi ovviamente i temi economici, il reddito di cittadinanza e il taglio delle province e dei comuni”.
Questa insomma la stura immediata per far ripartire l’economia, conclude Ruocco. Appuntamento dunque in Parlamento: pronti a “scardinare le vecchie logiche”, garantisce Vito Crimi, neo eletto a palazzo Madama.
E pure lui rivendica: “Abbiamo studiato il diritto parlamentare, siamo preparati a quello che è, o meglio, a quello che dovrebbe essere il Parlamento”.
Quindi una promessa che sembra anche una “minaccia”, “preparati anche a stravolgere le prassi, perchè ce ne sono di anomalie, rispetto alla struttura e alla legislazione italiana. Andremo a rivedere i regolamenti parlamentari che sono un elemento fondamentale”, chiosa ancora Crimi.
Ne vedremo delle belle dagli anti -casta tra la casta.
E c’è già chi tra i neo eletti assicura: niente ristorante o bouvette, il pranzo sarà al sacco, in segno di discontinuità . Altri invece, annunciano che in Parlamento ci arriveranno in bici. Comunque andrà a finire, l’onda dei “barbari” — come qualcuno si è divertito a sbeffeggiarli in passato- è in arrivo come uno tsunami e punta dritto sui palazzi della politica, che saranno il primo vero banco di prova per il Movimento 5 stelle nazionale.
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Febbraio 28th, 2013 Riccardo Fucile
“A BEPPE DICO UN SOLO NO; IL REFERENDUM SULL’EURO”
Adriano Celentano, come si sta nei panni del vincitore? Dico così perchè il suo sostegno a Beppe Grillo
è stato totale e manifestato pubblicamente. Credo sia la sua prima vera vittoria politica.O sbaglio?
«Non credo di aver vinto qualcosa, se non il grande regalo che Grillo ha fatto a tutti gli italiani, compreso me».
Si attendeva che potesse ottenere un risultato così sorprendente nei numeri, tanto da risultare alla fine il primo partito alla Camera?
«Fin dai suoi primi interventi, e parlo di qualche anno fa, ho subito visto in lui il seme del cambiamento. Quel seme che, sotto le fronde della sua innata comicità , si nascondeva, forse volutamente, ai tanti farisei concentrati solo a deriderlo. Lui ha incarnato la rabbia degli italiani, stanchi di essere spudoratamente manipolati per i loro sporchi interessi e giochi di potere in tutti i settori».
Sia sincero, il programma di Grillo, che ho letto, appare a tratti confuso e farraginoso. A tratti anche banale. Lei lo ha letto? Come lo giudica?
«Si, l’ho letto. Non ho trovato niente di banale. Può darsi che manchi qualche voce per essere perfetto, ma gran parte dei suoi punti sono condivisibili: l’abolizione del finanziamento ai partiti , l’abolizione delle Province che nessuno ha voluto fare, l’abolizione della devolution fatta dalla Lega che, affidando il finanziamento alle regioni, non fa altro che accentuare le differenze fra i territori dove, anche non volendo, è facile cadere in comportamenti razzisti, in cui più che altro prevalgono gli obiettivi economici rispetto alla salute. E ancora, la battaglia agli inceneritori che uccidono (vedi l’Ilva di Taranto), il dimezzamento dei parlamentari e altri e, senza snocciolare tutto il programma, già questi darebbero al Paese segni di vero cambiamento».
Ma per governare un grande paese non basta scagliarsi contro il cemento e puntare a energie alternative.
«Il fatto è che, persino in nome delle energie alternative, si è trovato il modo di fregare la gente, Ha visto il Molise? E’ letteralmente bombardato dalle pale eoliche. Anche quello è un modo per distruggere la terra».
Lei crede davvero che Grillo e i suoi ragazzi siano in grado di occuparsi di occupazione, di pensioni, di sanità , di temi europei, degli impegni internazionali assunti dal governo Monti, impegni che siamo chiamati a onorare?
«Lei forse non ci crederà ma se guarda più attentamente le facce di quei ragazzi così pieni di entusiasmo si accorgerà che anche il suo respiro sarà meno affannoso. ‘Occuparsi di occupazione’, pensioni e sanità non è difficile quando si è onesti. E per non sbagliare basta essere trasparenti prima di tutto con se stessi. È questo che ci sta dicendo Grillo».
Lei mi sta dicendo che il Movimento 5 stelle sarebbe in grado di occupare sin da subito posti di responsabilità istituzionale?
«Si. Le sto dicendo questo».
Si rende conto che, visti i risultati del voto, siamo in una situazione di quasi assoluta ingovernabilità ?
«Io toglierei il quasi».
E allora? Come si gestisce questo nostro povero paese?
«Bersani, che ha vinto le elezioni ma non abbastanza, dovrà sedersi al tavolo con Grillo e vedere quali sono i possibili punti di incontro. Qualcuno, per esempio, dovrà rinunciare alla Tav. E per Grillo non credo che questo sia un problema. Poi ci sono le grandi opere, gli F35, lo smaltimento dei rifiuti e tante altre cose che, purtroppo, li accomunano appassionatamente in un profondo disaccordo».
Lei sta dimenticando il ruolo del Cavaliere, una sorta di araba fenice della politica italiana. Pensi che sia finito e lui risorge, un altro uomo di spettacolo.
«Eccolo. A questo punto entra in campo il secondo vincitore: Berlusconi. Con una ‘vittoria’ diversa da quelle a cui era abituato. Questa si può dire che è una vittoria lampo. Una vittoria che se non stai attento si può perdere anche il giorno dopo, se non addirittura mentre ti consegnano il ‘premio di maggioranza’. Qualche punto di incontro fra lui e Bersani c’è. Tutti e due parlano di edilizia, non importa quale ma bisogna riaprire i cantieri e costruire. Anche cose che non hanno senso, ma costruire. Pare che l’edilizia sia l’ultimo baluardo contro la crisi. Senza contare che è proprio nell’edilizia l’origine del fallimento della politica. Ma basterà questo per metterli d’accordo? E quantunque lo fossero, poi dovranno sempre fare i conti con Grillo».
Ha parlato di programma quasi perfetto. C’è un tema difeso dal comico genovese sul quale non è d’accordo?
«Si. Il referendum sull’euro. Penso che uscire dall’euro sarebbe un cataclisma. Nel giro di una settimana l’Italia si troverebbe in ginocchio. Gli investitori e i grandi finanzieri si spaventerebbero, con una inevitabile fuga di capitali all’estero e con un aumento dell’inflazione dovuto a un’impennata dei prezzi sui consumi di prima necessità . Un brusco innalzamento dei costi soprattutto per quanto riguarda le fonti energetiche da cui noi siamo fortemente dipendenti. Senza contare l’effetto panico, come ad esempio la richiesta di ritirare i propri risparmi da parte dei risparmiatori. Con uno spread al massimo, il quale indurrebbe lo Stato a pagare più alti tassi di interesse ai creditori. E poi, mi domando, che importanza avrebbe questo referendum se poi risultasse vincente l’idea di non uscire dall’euro?».
Quali sono stati gli errori compiuti da Bersani e dal Pd in campagna elettorale?
«Non ho visto errori da parte di Bersani, se non quello di non aver calcolato che il tempo è cambiato. E quindi non aver capito che il tempo era Grillo».
Il voto sarebbe andato diversamente con Matteo Renzi candidato premier della coalizione di centrosinistra?
«Per certi aspetti sì. Con Renzi il Pd sarebbe stato all’altezza dei tempi, ma non so fino a che punto. Berlusconi forse non si sarebbe rituffato. Tuttavia il Pd, anche con Renzi, non avrebbe minimamente intaccato l’ascesa di Grillo. Queste elezioni erano un uragano annunciato dal quale non si poteva sfuggire».
Adriano, quale scenario politico si prefigura adesso nella sua testa di artista-politico?
«Grillo non è un irresponsabile, appoggerà il governo qualunque forma abbia. Ma non potrà assolutamente retrocedere dai punti che riguardano il suo programma: proprio in virtù di quei punti lui è esploso in quel cambiamentoche gli italiani si aspettavano».
Quindi il messaggio è?
«O i partiti faranno quello che dice lui o, altrimenti, come egli stesso prevede, si ritornerà alle urne».
Dario Cresto-Dini
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
E NAPOLITANO RIFIUTA INCONTRO CON LEADER SPD CHE AVEVA DEFINITO BERLUSCONI E GRILLO “DUE CLOWN” (DICENDO IN FONDO LA VERITA’)
Alta tensione tra Italia e Germania.
Mercoledì sera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe dovuto incontrare il candidato Spd alla cancelleria Peer Steinbrueck (in Germania le elezioni politiche sono a settembre): l”incontro è stato annullato.
Martedì Steinbrueck aveva commentato il voto italiano dicendo di essere «inorridito dalla vittoria di due clown», e il capo dello Stato ha ritenuto offensivo il commento.
Intanto in Italia Beppe Grillo sembra chiudere la porta in faccia al Pd. Attacca duramente BersanI. “E’ un morto che parla. Fa proposte indecenti. Si dimetta”.
E aggiunge: “Il M5S non darà alcun voto di fiducia al Pd (nè ad altri). Voterà in aula le leggi che rispecchiano il suo programma chiunque sia a proporle”.
Il vicesegretario del Pd Letta invece dichiara: il segretario “ha vinto le primarie e ha avuto la maggioranza, tutto il partito in campo”.
Ancora incertezze sui mercati dopo i risultati del voto per le politiche italiane. L’agenzia di rating valuta rischi per l’eurozona.
Il commento del ns. direttore
Napolitano ha fatto sicuramente bene, nella sua veste istituzionale, ad annullare l’incontro con il leader della Spd tedesca, dovendo egli rappresentare l’intero Paese.
Ma se dovessimo entrare nel merito di quanto affermato dal politico tedesco, non potremmo che dargli ragione, magari estendendo il concetto all’intera classe politica italiana, da destra a sinistra.
Solo una classe dirigente da circo potrebbe permettere che si vada a votare con liste bloccate, senza preferenze e con il Porcellum che di fatto impedisce a qualsiasi coalizione di governare.
Avessero vinto Berlusconi o Grillo sarebbe stata la stessa cosa, non esisterebbe una maggioranza.
Quindi Pd e Pdl sono i principali responsabili della ingovernabilità del nostro Paese e dello spread che è tornato a salire.
Grillo lo sta invece diventando perchè pensa solo al tuo tornaconto elettorale e non all’emergenza del Paese e a quanti sono economicamente con l’acqua alla gola, pur sostenendo a parole di volerli rappresentare.
In un caso analogo in Germania si diede vita a una seria grande coalizione che gestì l’emergenza: da noi c’è chi prima ha votato tutte le misure di Monti, giuste o sbagliate che fossero, per poi dissociarsi a legislatura terminata, uno squallore tipicamente italiano, da giuda della politica o da pagliacci, decidete voi.
Grillo ora sostiene che gli altri facciano pure un governicchio e poi valuterà di volta in volta come votare i singoli provvedimenti, in modo da non compromettersi e tra un anno sostenere che di questo governo non faceva parte.
Anche lui ha imparato il gioco delle tre tavolette, insomma.
Bersani, reo di fatto di avere vinto realmente le elezioni (con un’altra legge elettorale governerebbe senza problemi) avendo avuto più voti sia alla Camera che al Senato, finisce impallinato persino all’interno del proprio partito.
A questo punto, se avesse un minimo di elasticità mentale, Bersani dovrebbe provocatoriamente indicare Grillo come premier, assicurandogli che, una volta trovata una maggioranza, il Pd valuterà di volta in volta come votare.
Così anche i Cinquestelle tornano sulla Terra.
Quindi ci aspettano solo mesi da circo e economia a puttane.
Anche perchè tornare a votare con questa legge a che serve?
Per spostare di qualche decimale i voti?
O forse Grillo si illude di arrivare al 50,1% da solo?
Tanto vale ritornare al proporzionale, dove, per dirla alla Grillo, uno vale uno.
E le forze politiche devono sforzarsi di mediare un programma comune, non di pretendere di imporre il proprio.
Hanno ragione all’estero di diffidare dei nostri politici: non pensano all’interesse nazionale, ma solo a quello della propria bottega.
Lo stacco culturale è tutto qua.
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
NON HANNO BISOGNO DELL’APPORTO DI PDL E M5S
Probabilmente si pentiranno a lungo di non aver dato vita a un fronte antiberlusconiano, ripetendo
l’errore di Mario Segni e Achille Occhetto nel ’94.
Rimpiangeranno di non avere difeso insieme il senso e l’operato del governo dei tecnici e di aver ceduto a una comprensibile ambizione personale.
Ma Pier Luigi Bersani e Mario Monti hanno almeno una certezza matematica con cui consolarsi: possono decidere da soli (insieme) chi sarà il prossimo presidente della Repubblica anche in caso di muro contro muro con Grillo e il Cavaliere.
LE REGOLE
Riepilogo delle regole: il capo dello Stato viene eletto dal Parlamento riunito in seduta comune insieme a tre delegati per ogni Regione (uno per la Valle d’Aosta).
Dunque: 630 deputati più 315 senatori più 58 delegati regionali più 4 senatori a vita, fanno un totale di 1.007 grandi elettori.
Nelle prime due votazioni servono i due terzi dei voti, dalla terza basta la maggioranza assoluta.
I NUMERI
In attesa di attribuire i 18 seggi destinati ai parlamentari eletti all’estero e di definire i 58 delegati regionali (eletti dai Consigli regionali assicurando la rappresentanza delle minoranze), ci sono già dati sicuri.
Il centrosinistra (compresa la Svp) ha per ora 459 grandi elettori (340 deputati e 119 senatori). La coalizione di Monti ne ha 63 (45 deputati e 18 senatori).
Sono in tutto 522 grandi elettori, e dalla terza votazione ne basteranno 504.
Ora, è chiaro che in caso di intese di governo con il centrodestra e perfino con i grillini, la scelta del prossimo presidente della Repubblica andrebbe concordata con loro.
Ma se invece tutto dovesse precipitare, Monti e Bersani possono almeno accordarsi su chi mandare sul Colle.
Gianluca Mercuri
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
200.000 PERSONE IN PIAZZA SAN PIETRO PER SALUTARE UN GRANDE E CORAGGIOSO PAPA: “NON ABBANDONO LA CHIESA, RESTO NEL RECINTO DI DIO”
”Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima udienza generale del mio pontificato. Grazie di cuore, sono veramente commosso e vedo la Chiesa viva e penso che dobbiamo dire grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona anche se è inverno!”.
Con queste parole Benedetto XVI ha salutato i quasi 200mila fedeli presenti questa mattina in piazza San Pietro per la sua ultima udienza generale.
“Il 19 aprile del 2005 ho pensato: Signore, che cosa mi chiedi? È un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi sulla Tua parola getterò le reti” e ”il Signore mi ha veramente guidato”, ha detto il Papa, ripercorrendo il suo pontificato e sottolineando le difficoltà attraversate.
“In questi 8 anni il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto sentire la sua presenza ogni giorno. La Chiesa ha vissuto giorni felici, ma anche momenti non facili, nei quali mi sono sentito come San Pietro in barca con i pescatori. Il Signore sembrava dormire, ma ho sempre saputo che in quella barca c’era. La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua, e il Signore non la lascia affondare”.
In prima fila.
Hanno assistito all’ultima udienza generale numerosi cardinali. In prima fila, sul sagrato della Basilica di San Pietro, i cardinali di Curia Re, Braz de Aviz, Canizares e Antonelli chiacchierano con alcuni arcivescovi residenziali già arrivati per il Conclave, tra i quali l’italiano Bagnasco, gli statunitensi Dolan e Wuerl, l’australiano Pell.
Mai solo.
“Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino”. Tra gli applausi, Benedetto XVI ha ringraziato i cardinali e i collaboratori, “ad iniziare dal mio Segretario di Stato Bertone, che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni”.
Nessuna privacy.
”Chi assume il ministero petrino – ha detto ancora Papa ritornando con il pensiero ai sentimenti del giorno dell’elezione – non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare – ha aggiunto – e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona”.
“Non abbandono la croce”.
Da oggi la sua vita non sarà comunque un ”ritornare nel privato”. Benedetto XVI ha detto che non avrà ”una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze, eccetera. Nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso.
Passo grave, ma sereno.
Il Papa è tornato a sottolineare la gravità della sua decisione, ma conferma di aver fatto il passo con serenità : “Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità , ma anche con una profonda serenità d’animo. Negli ultimi mesi – ha aggiunto – ho sentito che mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio di illuminarmi nella preghiera per farmi prendere la decisione più giusta non nel mio bene, ma per il bene della Chiesa”.
Preghiere per il successore.
Un pensiero è stato rivolto anche al successore: “Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito”, ha detto il pontefice, che ha colto l’occasione anche per ringraziare i media: “Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio”.
Grazie Italia.
Un particolare saluto il Pontefice lo ha riservato ”alla cara Italia e a Roma”. Rivolgendosi ai pellegrini di lingua itaiana il Papa ha aggiunto: ”grazie per il vostro affetto e amore, grazie”. ”Cari amici – ha quindi aggiunto – grazie per questi otto anni, grazie per la gioia della vostra fede”.
La gioia di Cristo su Twitter, domani account chiuso.
”Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano, di essere amato da Dio che ha dato suo Figlio per noi”.
È questo il nuovo messaggio diffuso da Benedetto XVI su Twitter. Domani, ultimo giorno di pontificato, l’account del papa sarà chiuso.
Alemanno a incontro privato.
Al termine dell’ultima udienza di Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha partecipato ad un incontro privato, nella sala Clementina del Vaticano, che il Santo padre ha avuto con i capi di Stato giunti da tutto il mondo per rendergli omaggio.
Grandi misure di sicurezza.
Il Pontefice è stato accolto da un’ovazione, quando la jeep ha fatto il suo ingresso: accanto al Papa, come sempre, il segretario, monsignor Georg Gaenswein.
La vettura si è fermata qualche istante per permettere a Benedetto XVI di prendere in baccio un bambino. La zona è sorvegliata a vista da centinaia di uomini delle forze dell’ordine.
Massiccia anche la presenza degli addetti della Protezione civile.
Via della Conciliazione, ovviamente chiusa al traffico, è stata completamente transennata ed è stato creato un corridio centrale per i mezzi di soccorso mentre maxischermi sono stati montati in previsione di un afflusso di pellegrini e fedeli. Ieri sera sono iniziate le bonifiche delle forze dell’ordine.
Giro della piazza in papamobile.
L’udienza generale è iniziata alle 10.30.
Il Papa dimissionario, il cui pontificato si concluderà domani alle 20, ha fatto il giro dei settori nella piazza con la ‘papamobile’ per salutare da vicino quanti più fedeli possibile.
Poi, come di consueto, la catechesi dal sagrato.
Ci sono innanzitutto i fedeli della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ma a San Pietro ci sono fedeli e personalità anche dal resto d’Italia e dall’estero.
In piazza le bandiere testimoniano la provenienza di persone da ogni parte del mondo: dagli Usa alla Polonia, dall’Egitto alla Cina, dalla Bolivia alla Germania, patria di Joseph Ratzinger.
Benedetto XVI “sta ricevendo messaggi da ogni parte del mondo, anche da personalità di grande rilievo e da capi di Stato”, ha riferito ieri padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede.
Tanti hanno annunciato la loro presenza, dal Granduca Ereditario Guillame de Luxembourg al ministro italiano della Salute Renato Balduzzi.
Per associazioni e movimenti cattolici ci saranno Maria Voce del Movimento dei Focolari, Kiko Arguello del Cammino Neocatecumenale, Frere Alois e il Priore della Comunità di Taizeè.
Udienza n°348.
Quella odierna è la 348ma udienza generale di Benedetto XVI nei suoi otto anni di pontificato. Incontri con fedeli e pellegrini, quelli del mercoledì mattina in piazza San Pietro o nell’Aula Paolo VI in Vaticano, che hanno radunato in totale 5.116.600 fedeli (dall’aprile 2005 al 27 febbraio 2013).
La partecipazione più numerosa è avuta nel 2006 quando, alle 45 udienze generali di quell’anno, hanno preso parte 1.031.500 fedeli.
È, invece, il 2011, con un totale di 45 udienze generali, a far registrare il numero più basso di fedeli, in tutto 400.000.
Per quanto riguarda, invece, l’anno in corso quella odierna è l’ottava udienza generale di Papa Ratzinger.
Nuove dimissioni.
Ancora dimissioni nelle alte sfere della Chiesa: il Papa ha accettato oggi le dimissioni “per infermità o altra grave causa” di due vescovi, l’inglese Patrick Altham Kelly, arcivescovo di Liverpool, e l’ausiliare di Armagh in Irlanda, Gerard Clifford.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
ALL’INTERNO DEL PD SI CONFRONTANO DIVERSE POSIZIONI SULLE SCELTE TATTICHE E SULLE ALLEANZE
Governo di minoranza, di scopo, di salute pubblica, governo tecnico, governo Monti o simil-Monti per
tornare al voto subito dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato…
Nel Partito democratico circolano molte idee e altrettanta confusione.
In conferenza stampa il segretario Pier Luigi Bersani sembra aprire la porta a Beppe Grillo, ventilando la possibilità che il suo movimento possa ottenere persino la presidenza di uno dei rami del Parlamento.
Ma quello del segretario appare più un tentativo di prendere tempo e tenere unito il partito.
In realtà , già ieri a Largo del Nazareno circolava il possibile organigramma di un governo delle larghe intese con Giuliano Amato come possibile premier.
La verità è che siamo ancora alle schermaglie tattiche: Bersani e i dirigenti del Pd devono far passare un congruo lasso di tempo dalle elezioni prima di poter affrontare l’ipotesi di dare vita per la seconda volta a una maggioranza anomala.
«Temo che questa legislatura non durerà quanto avremmo dovuto», ha ammesso ieri mattina il leader del Partito democratico, conversando con qualche collaboratore.
Ma Bersani, comunque, è contrario a tornare alle elezioni a passo di carica: «Il Paese non se lo può permettere».
Nel frattempo, il Pd dà di sè l’immagine di un partito che torna a dividersi sulle possibili opzioni politiche.
I giovani turchi come Stefano Fassina e Matteo Orfini non vogliono sentir parlare di «governissimo»: loro puntano sui «5 Stelle».
Per Orfini, «è impensabile fare un governo senza Grillo», mentre è «contronatura pensare di mettere in piedi un esecutivo con Monti e il Pdl».
E il consigliere principe del segretario, Miguel Gotor, corteggiava il Movimento 5 Stelle addirittura prima dell’esito elettorale, sostenendo che il Partito democratico avrebbe dovuto aprire un confronto con quel mondo.
I dirigenti più importanti del partito, però, ritengono che un esecutivo che affida le sue fortune ai grillini rischia di terrorizzare i mercati e di avere l’ostilità di Giorgio Napolitano.
Non la giudicano un’ipotesi praticabile nè auspicabile. Massimo D’Alema, per esempio, ritiene che il Pd debba affidarsi al capo dello Stato, senza fare colpi di testa.
Quello che l’ex premier pensa di Beppe Grillo ha avuto modo di dirlo più volte: «Uno come lui può produrre conseguenze gravi sul lavoro, i risparmi e la vita degli italiani: terrorizza gli investitori».
D’Alema, che, come è noto, non si è candidato in Parlamento in questa legislatura, non ha però intenzione di mollare la vita politica.
Come ha avuto modo di spiegare di recente durante la presentazione del libro-intervista di Peppino Caldarola con Miguel Gotor.
Al consigliere di Bersani che sottolineava come l’ex premier avesse concluso la sua carriera politica, D’Alema ha replicato: «Quella parlamentare semmai».
Quindi è chiaro che l’ex presidente del Consiglio a un certo punto farà pesare la sua parola e la sua opinione.
Paolo Gentiloni è convinto che il Partito democratico «più che ipotizzare maggioranze teoriche deve assecondare Giorgio Napolitano e i tentativi che farà per dare uno sbocco a questa situazione».
Una convinzione analoga a quella di Walter Veltroni. Insomma, i pezzi da 90 del Partito democratico temono una deriva per il Pd tipo Unione. O anche peggio.
E guardano con diffidenza al fare insistente con cui Nichi Vendola cerca di spronare il segretari ad agganciare a tutti i costi Grillo.
Ma questa per il leader di Sel è una strada obbligata: il rischio, altrimenti, è che il suo movimento venga escluso dai giochi politici, perchè è chiaro che una delle conseguenze di un eventuale governissimo sarebbe proprio questa.
Nel frattempo ci si interroga anche sulle reali intenzioni di Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze, come dice lo stesso Bersani, «in questa fase resterà alla finestra».
E, soprattutto, non colpirà il segretario, nè tanto meno ne chiederà le dimissioni.
Anche se qualcuno tra i suoi pasdaran lo farebbe volentieri e si stupisce del perchè Bersani non abbia pensato lui a presentarsi dimissionario già ieri.
Renzi attende che i fatti della politica gli diano ragione e che alla fine il Partito democratico ammetta che ciò che il primo cittadino rottamatore sosteneva nella campagna per le primarie è vero.
Ossia che se si fosse presentato lui al posto dell’attuale leader il Pd avrebbe preso il 40 per cento, Silvio Berlusconi non si sarebbe presentato e Beppe Grillo non avrebbe avuto l’exploit che ha avuto. E i primi segnali in questo senso già ci sono se il sindaco di Bologna Virginio Merola, finora bersaniano doc, ieri ha dichiarato: «Credo che Renzi sia il rinnovamento».
Il segretario, che ieri in conferenza stampa sembrava provato, e dava l’aria di non avere ancora deciso che cosa fare e come uscire dalla situazione in cui il Pd si è infilato, esamina tutte le ipotesi sul tappeto.
E invita alla prudenza i compagni di partito: «Facciamo un passo alla volta, evitiamo di peggiorare la situazione».
Intanto stila il programma di governo: riforma elettorale, taglio dei costi della politica, dimezzamento dei parlamentari, provvedimenti anticorruzione e conflitto di interessi.
Un programma che potrebbe interessare ai grillini, ma soprattutto un programma che consentirà al segretario di provare ad avere un mandato, anche solo per uscire di scena.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
MONTI E CINQUESTELLE ERODONO IL BACINO DEI VECCHI SCHIERAMENTI… QUASI IL 16% DI CHI NEL 2008 SCELSE IL CENTROSINISTRA HA PREMIATO I GRILLINI
Il Movimento 5 Stelle, con più di 8,5 milioni di voti, è apparso il vero dominatore delle elezioni.
Grillo ha attratto voti da tutti i partiti: in misura simile da ex elettori Pdl e Pd, ma anche (circa il 20% degli attuali votanti per il M5S) da chi, alle precedenti Politiche del 2008, aveva deciso di astenersi ed è stato questa volta motivato dal comico genovese a partecipare.
Ancora, una parte consistente (16%) dei suffragi per Grillo proviene dai giovanissimi che si sono recati alle urne per la prima volta.
Dall’altra parte, i valori assoluti mostrano la dèbacle della gran parte dei partiti tradizionali.
Il Pdl ha subito, in confronto al 2008, l’erosione maggiore, perdendo più di 6 milioni di voti.
Solo circa metà degli elettori di Berlusconi ha confermato la propria scelta di cinque anni fa: molti si sono rifugiati, come si è accennato, nel Movimento 5 Stelle, ma anche, in misura maggiore (24%), verso l’astensione che si è fortemente accresciuta. La campagna elettorale di Berlusconi è riuscita comunque a recuperare consensi per il suo partito, che era stimato attorno al 16% a dicembre ed è giunto a sfiorare il 22%. Ma ciò non ha compensato il declino che, peraltro, si era già manifestato quando nel 2009 si è votato per le Europee.
È vero, dunque, che il Pdl è uscito dalle urne meglio di quanto si ipotizzasse qualche mese fa, ma è vero anche che deve far fronte alla forte perdita di sostegno tra gli elettori
Anche il tradizionale alleato di Berlusconi, la Lega Nord, ha assistito a un crollo di suffragi: dai 3 milioni del 2008 si è passati a meno di metà , 1 milione e 400 mila voti. Ha pesato, naturalmente, la crisi interna del partito, sino alla messa in disparte di Bossi e all’ascesa di Maroni e la forte controversia sull’opportunità o meno di allearsi con il Pdl.
L’erosione della Lega è ancora più evidente se si prendono in considerazione le regioni del Nord: in Lombardia il partito di Maroni ha perso quasi 600 mila voti; più di 500 mila nel Veneto e oltre 600 mila in Piemonte.
Un calo significativo è stato subito anche dall’altro grande partito presente sul nostro scenario politico: il Pd.
Quest’ultimo poteva contare su circa 12,5 milioni di consensi nel 2008.
Domenica e lunedì il partito di Bersani ha colto circa 8 milioni e 600 mila voti, con un decremento di quasi 4 milioni di consensi.
Il Pd gode comunque di un tasso di riconferma dei suoi votanti alle Politiche precedenti (61%) maggiore del Pdl. Ma quasi il 16% del suo elettorato passato si è diretto verso Grillo.
La campagna elettorale di Bersani non è valsa dunque a conquistare nuovi consensi nè, peraltro, a mantenere tutti quelli passati.
Anche nella zona che una volta veniva chiamata «rossa», ove il Pd è sempre stato più presente, il partito perde voti.
In Emilia-Romagna ha lasciato, rispetto al 2008, quasi 300 mila voti. Altrettanto accade in Toscana. Nel Lazio l’erosione supera i 400 mila voti. E in Puglia è pari a 330 mila voti.
Si va dunque erodendo anche la base tradizionale, non ultimo a causa di importanti mutamenti avvenuti nella stessa composizione socio-economica dell’elettorato italiano.
L’erosione del consenso del Pd ha avvantaggiato anche Sel, la forza alleata posizionata alla sua sinistra.
Quest’ultima aveva ottenuto poco più di 500 mila voti nel 2008, salendo sino a quasi un milione nel 2009 e crescendo di altri 100 mila voti in questa occasione. Nell’insieme, Vendola è riuscito, in controtendenza con le altre forze politiche, a recuperare più di 500 mila voti negli ultimi cinque anni.
Rivoluzione Civile di Ingroia ha invece eroso in larga misura il patrimonio di consensi portatogli dall’Idv di Di Pietro.
Quest’ultimo poteva contare nel 2008 su quasi 2 milioni e 200 mila voti, scesi oggi con Ingroia a meno di 800 mila.
Ancora, colpisce il vero e proprio crollo di consensi subito dall’Udc: dai 2 milioni di voti delle politiche del 2008, si è giunti a poco più di un quarto: 610 mila voti.
Parte dei consensi passati dell’Udc si sono diretti verso la lista Monti che ha ottenuto, in queste elezioni, quasi 3 milioni di suffragi, sottratti, oltre che a Casini, a Pd e Pdl.
In conclusione, sommando le perdite complessive delle principali forze politiche, si rileva come almeno 16 milioni di elettori abbiano abbandonato i partiti votati cinque anni fa per dirigersi verso altri lidi.
Segno del forte mutamento dello scenario elettorale (con l’ingresso di nuovi attori tra cui, specialmente, Grillo e Monti), ma anche, in qualche modo, dell’estendersi dell’insoddisfazione verso l’offerta politica tradizionale.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
IPOTESI GOVERNO DEL PRESIDENTE APERTO AL SOSTEGNO DEL PDL…SE LA DEPUTATA DEL M5S ANDASSE A PRESIEDERE LA CAMERA AL SENATO ANDREBBE LA FINOCCHIARO
Torna Giuliano Amato o quanto meno se ne riparla. 
Il Dottor Sottile potrebbe infatti essere richiamato in servizio nel caso fallisse il primo tentativo, quello fatto da Bersani per convincere Grillo a una qualche forma di collaborazione.
E del resto Amato, che salvò il paese nella tempesta dell’estate del 1992 e, di recente, è stato artefice di un piano di riforma dei partiti e del finanziamento alla politica, potrebbe avere per Napolitano il profilo ideale per guidare un governo di larghe intese Pd-Monti-Pdl.
Intanto, nella Roma politica ancora sotto choc per il ciclone Grillo, è già partito il risiko delle presidente delle Camere.
Perchè questa volta la possibilità di trovare un accordo di governo andrà verificata sull’elezione dei successori di Fini e Schifani, prima stazione della via crucis verso la creazione di una nuova maggioranza.
Marta Grande, la nuova “Pivetti” grillina, o Dario Franceschini?
Anna Finocchiaro o Silvio Berlusconi? Il gioco delle coppie è in corso.
Un passaggio difficile, da cui tuttavia si capirà quale formula di governo – unità nazionale o intesa Grillo-Bersani – potrà portare il paese verso nuove elezioni. Giacchè nessuno si illude che la legislatura possa durare più di qualche mese.
Al momento è proprio l’apertura di Bersani al Movimento 5 Stelle l’ipotesi di lavoro più concreta.
Il segretario Pd l’ha condita con un’esplicita offerta a Grillo: indicate un vostro candidato per la presidenza di Montecitorio.
Il più convinto sostenitore di questa linea è Nichi Vendola: «La notte delle elezioni – confida il leader di Sel in un Transatlantico ancora deserto – ho parlato a lungo con Bersani. Gli ho detto che l’unica strada è innervare il programma di governo con l’agenda Grillo. Pier Luigi ha capito. Mi piace l’idea di fare da pontiere fra Grillo e Bersani!».
Ma i grillini ci staranno? «Prima o poi – spiega Vendola – scenderanno dal loro Aventino morale. E noi saremo lì ad aspettarli: parlavamo con i leghisti, che quando venivano al Sud si stupivano di trovare i bidet, e non parliamo con loro?».
Certo, trovare un attivista del M5S disposto a sedersi sul trono di Montecitorio non sarà facile.
Ma nel Pd hanno già messo gli occhi sulla giovanissima Marta Grande, la grillina spedita a commentare i risultati in diretta tv.
A quel punto un esponente del Pd, Anna Finocchiaro, si andrebbe a sedere sullo scranno più alto di palazzo Madama.
Certo, la possibilità di reggere le dure prove che si profilano per il paese con un governo appeso ai referendum on line di Grillo è vista da molti, nello stesso Pd, con grande scetticismo.
«L’apertura di Bersani al M5S è una buona mossa – ragiona Paolo Gentiloni – ci fa guadagnare tempo. Ma poi? I presidenti delle Camere si eleggono tra 20 giorni, nel frattempo cosa facciamo?».
Domande che in queste ore risuonano senza risposta nei conciliaboli tra dirigenti democratici.
Il piano di riserva è quello di non assumersi l’onere diretto della presidenza del Consiglio, lasciando che sia Napolitano a sbrogliare la matassa.
Nascerebbe quindi un altro governo del presidente, grazie ai voti del centrosinistra, del Pdl e di Monti.
Un governo con pochi punti nel programma, studiati apposta per spuntare gli artigli a Grillo e poi riportare il paese al voto: in autunno o nella prossima primavera.
È appunto lo scenario per cui si fa il nome di Giuliano Amato come presidente del Consiglio, vicino al Pd ma gradito a Berlusconi.
È evidente che un accordo di questo tipo passa anche per i presidenti delle Camere.
A Montecitorio si tornerebbe a un democratico, Dario Franceschini, mentre il presidente del Senato sarebbe ceduto dal Pd agli alleati del governissimo.
A quel punto anche l’impensabile diventerebbe possibile.
Perchè la strada delle larghe intese passa da un accordo con Silvio Berlusconi, che vedrebbe bene se stesso nel ruolo di seconda carica dello Stato.
Lo aveva confidato lui stesso con una battuta la sera dello spoglio: «Vuoi vedere che mi toccherà fare il presidente del Senato?».
In alternativa l’altro candidato “naturale” è Mario Monti, che non fa mistero di considerare proprio il governo di salute pubblica come l’unica soluzione praticabile per far fronte agli impegni presi dal-l’Italia con l’Europa.
Eletti i presidenti delle Camere si aprirà la partita più importante, quella del Quirinale. Anche per il Colle torna in ballo il nome del Dottor Sottile.
L’idea di mandarci Giuliano Amato, come sigillo di un’eventuale intesa Pd-Pdl, è l’alternativa più forte a Romano Prodi, candidato più consono a una maggioranza sinistra-Grillo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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