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MARONI PENSA DI ESSERE AL “DISTRETTO” DI POLIZIA: ASSUNTI IN REGIONE ANCHE DUE MUSICISTI DELLA SUA BAND

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

LOTTIZZAZIONE PADAGNA: GIOVANNI DAVERIO, IN ARTE JONNY, DIVENTA ASSESSORE ALLA FAMIGLIA DOPO AVER GIA’ LAVORATO AL WELFARE CON MARONI… GIUSEPPE ROSSI, IN ARTE GEGE’, MESSO A CAPO DEL POLO OSPEDALIERO DI LODI… LA VOCALIST SIMONA ALL’OSPEDALE DI TREVIGLIO, IL SAX TENORE IVAN CAICO A QUELLO DI GALLARATE

Giovanni Daverio in arte Johnny e Giuseppe Rossi, nome da chitarrista Gegè.
Sono due dei tredici musicisti del Distretto 51, la band di Roberto Maroni, a cui l’amico Bobo, diventato presidente della Lombardia, ha assegnato incarichi nella sanità  regionale.
Daverio, già  direttore generale della Asl di Varese è ora in Regione a capo dell’assessorato alla famiglia e aveva già  lavorato nel ministero del Welfare guidato da Maroni; Rossi è invece a capo del polo ospedaliero di Lodi.
Sono il fulcro del cosiddetto “gruppo sanità  Varese” a cui il neogovernatore ha affidato, assieme al “gruppo sanità  Milano”, la gestione del comparto più importante del bilancio regionale: 23,2 miliardi (previsione 2013) di cui 17,5 per il finanziamento del servizio sanitario.
“Persone di specchiata fiducia e professionalità ”, dicono dal Pirellone.
E soprattutto amici da sempre del neopresidente, che ha a cuore i compagni della sua band: uniti dal 1981.
Nella villa che il suocero gli regalò per il matrimonio, Maroni è entrato prima con loro che con la moglie: la cantina, quando il resto della casa era ancora un cantiere , veniva usata come sala prove.
E da allora sono rimasti quasi tutti uniti.
Gli stessi saliti sul palco in corso Como poche domeniche fa per festeggiare la conquista della Lombardia e gli stessi che domenica suoneranno, secondo il programma della giornata (salvo contestazioni o ripensamenti) a Pontida.
Prima la band, poi il Nord.
L’altra vocalist, Simona Paudice, è tuttora “coadiutore amministrativo esperto” all’ospedale di Treviglio, nonostante le proteste che la nomina scatenò nell’agosto 2011 e le interrogazioni del Pd, rimaste senza risposte.
“Tutto regolare”, secondo Cesare Ercole, direttore dell’azienda nonchè altro uomo dalla bandiera leghista.
E nel distretto sanitario Treviglio-Gallarate c’è un altro componente della band: Ivan Caico, sax tenore e baritono, primario di cardiologia all’ospedale di Gallarate.
Tutti professionisti prima che musicisti.
L’unico ad avere tentato la carriera da professionista è stato Luca Fraula, tastierista.
Ha suonato anche nel tour di Alberto Fortis, per poi però tornare a Varese per lavorare nello studio del padre, commercialista.
Oggi si alterna alla tastiera con Maroni.
Finite le nomine a ritmo di blues il neo-governatore, sta ora assegnando gli ultimi incarichi. Sistemato Andrea Gibelli, architetto leghista privo di esperienza amministrativa nominato direttore generale della presidenza e segretario generale in Regione (incarico da 363.186,00 annui, come indicato sul sito della Lombardia) dopo aver fallito l’elezione al Parlamento, Maroni ha fatto accomodare al Pirellone anche Anna Tavano, moglie dell’amico Domenico Aiello, avvocato di fiducia dell’ex ministro.
Tavano è direttore generale dell’assessorato alle infrastrutture, che controlla appalti e grandi opere per Expo 2015, e arriva dalla Regione Calabria dove era dirigente della programmazione comunitaria.
Ancora da definire, invece, i nomi per gli uffici di corrispondenza a Bruxelles e a Roma.
Caselle con cui molti non candidati perchè indagati potrebbero essere ricompensati.
Uno dei papabili è Stefano Galli, capogruppo che si fece rimborsare dalla Regione il pranzo di nozze della figlia.
Ma la lista è lunga.
Si trova sulla scrivania della fedelissima Isabella Votino che ha, anche lei, persone di sua fiducia da inserire.
Come il conterraneo beneventano Giacomo Ciriello, già  nel gabinetto di Maroni al Viminale e ora capo della segreteria del governatore lombardo.
Ognuno ha il proprio Distretto.

Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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MARO’ LA VERITA’ DEGLI ITALIANI SU QUEI 33 MINUTI: I FUCILI CHE HANNO SPARATO ERANO QUELLI DI ALTRI DUE ITALIANI

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

IL CONTENUTO SEGRETO DI UNA INCHIESTA RAPIDA DOPO L’INCIDENTE… I SEGNALI LUMINOSI, LE PRIME RAFFICHE IN ACQUA E LE PERSONE ARMATE SULLA BARCA

Dall’11 maggio del 2012 il governo italiano è in possesso di una “Inchiesta sommaria” sull’incidente della Enrica Lexie che ha visto coinvolti i Marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
Il rapporto dettagliato è dell’ammiraglio Alessandro Piroli, allora capo del terzo reparto della Marina, l’ufficiale più alto in grado inviato in India subito dopo l’incidente.
Piroli elenca i fatti, le prove, le ipotesi note in quel momento sulla morte dei due pescatori. Un’inchiesta che non accusa, non contesta, ma elenca fatti o perlomeno versioni di fatti.
E che riporta, nero su bianco, anche i risultati delle perizie balistiche indiane, secondo cui il calibro dei proiettili ritrovati nei corpi dei pescatori uccisi è il 5,56 Nato, e le armi che hanno sparato non sono quelle di Girone e Latorre, ma quelle di altri due marò che erano a bordo della Lexie.
Sono le ore 12 quando “in acque internazionali, a circa 20 miglia dalla costa indiana, secondo quanto riportato dal giornale di bordo di Nave Lexie …. Latorre e il sergente Girone sono stati allertati per la scoperta al radar di una piccola imbarcazione…”.
L’avvistamento avviene alle 11,55 (ora indiana 16,25), a sole 2,8 miglia dal mercantile, che fino al momento non si era accorto di nulla.
L’equipaggio calcola che il battello sia in rotta di collisione con la petroliera.
Quando il peschereccio è ad 800 metri dalla Lexie iniziano le prime segnalazioni luminose. “Latorre ed il sergente Girone si adoperano per effettuare segnalazioni luminose sicuramente visibili dall’esterno – si legge nel rapporto – e mostrano in maniera evidente le armi al di sopra del loro capo”.
L’imbarcazione non cambia rotta e procede dritta contro la Enrica Lexie.
Raggiungendo i 500 metri di distanza.
Il dubbio, dichiareranno poi i due marò, per loro diventa una certezza: sono pirati.
Anche il comandante Umberto Vitelli, ne è convinto.
“Il comandante della nave attiva l’allarme generale, al quale sono combinati anche i segnali sonori antinebbia (sirene), avvisa via interfono l’equipaggio che si tratta di un attacco pirata”.
E’ a quel punto che “Latorre e Girone sparano le prime due raffiche di avvertimento in acqua”.
Il natante si avvicina ancora.
Il sospetto che si tratti di pirati si fa ancora più concreto quando le due imbarcazioni si trovano a 300 metri l’una dall’altra ed in continuo avvicinamento.
A questo punto un evento decisivo: “Girone identifica otticamente tramite binocolo la presenza di persone armate a bordo del motopesca. In particolare si accorge che almeno due dei membri dell’equipaggio sono dotati di armamento a canna lunga portato a tracolla con una postura evidentemente tesa ad effettuare un abbordaggio della nave. Latorre esegue la terza raffica di avvertimento in acqua, costituita da quattro proiettili”.
Non ci sono maggiori dettagli nè sul tipo di armi che si è ritenuto di individuare, e neppure su cosa sia la “postura tesa ad effettuare l’abbordaggio”.
Ma da quel momento in poi chiaramente il Nucleo militare è in massimo allarme.
Il peschereccio non accenna a cambiare rotta.
Anzi continua ad avvicinarsi fino a raggiungere una distanza di 100 metri, puntando al centro della nave.
A quel punto i due marò riferiranno all’ammiraglio Piroli di aver sparato l’ultima raffica, ancora una volta in mare (non sui pescatori-pirati), quando soltanto 50 metri separano la petroliera dal St. Antony.
Ed ecco che finalmente il peschereccio sfila verso il mare aperto.
Piroli però riporta poi il racconto dell’unico testimone del St. Anthony, Freddy, il proprietario.
Il quale spiega alla polizia del Kerala “di essersi svegliato a seguito di un suono e di aver scoperto il timoniere (Jelestine) già  deceduto. Nel mentre, transitava una nave la cui descrizione è coerente con quella della Lexie – riporta l’inchiesta – che apriva il fuoco contro la sua imbarcazione con il “continuous firing” da circa 200 metri di distanza provocando la morte di un secondo membro dell’equipaggio, Aiesh”.
A bordo erano presenti 11 pescatori: tutti dormono dopo una notte di pesca, gli unici svegli sono quelli che moriranno, e forse lo stesso timoniere si era assopito.
L’unico a testimoniare sarà  il proprietario Freddy, svegliato dal suono delle sirene.
Quindi la barca avrebbe avanzato senza essere governata fino ad andare in rotta di collisione con la petroliera italiana.
Gli inquirenti, concludono: “E’ singolare che, pur avendo diritto di precedenza, una piccola imbarcazione facilmente manovrabile rimanga su rotta di collisione con una petroliera fino a meno di 100 metri, esponendosi ad enormi rischi per la navigazione (…) Tali evidenze hanno fatto valutare come una minaccia il comportamento del natante da parte del personale presente a bordo di E. Lexie”.
Chi dette l’autorizzazione alla petroliera di rientrare in porto?
Questo ormai è chiaro.
Il ministro della Difesa, nel novembre scorso, rispose così: “L’autorizzazione a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò tuttavia, per la presenza del Nucleo militare di protezione di bordo è avvenuto a seguito di preventiva informazione della catena di comando militare nazionale”.
La decisione fu dell’armatore, la Marina diede il suo nulla osta, ma è chiaro perchè, e il rapporto Piroli lo spiega: l’equipaggio aveva ricevuto una telefonata sul telefono Inmarsat, la Guardia Costiera indiana chiedeva alla Lexie di tornare in porto per identificare due battelli di pirati. La collaborazione giudiziaria con la polizia indiana non era un optional.
Il rapporto ha un intero, delicatissimo paragrafo sulle prove balistiche effettuate dalla polizia indiana alla presenza di ufficiali dei Ros e del Ris dei Carabinieri.
“Per completezza di informazione si sintetizzano i risultati cui sarebbero giunte le autorità  indiane (…) sono stati analizzati 4 proiettili, 2 rinvenuti sul motopesca e 2 nei corpi delle vittime.
E’ risultato che le munizioni sono del calibro Nato 5,56mm fabbricate in Italia.
Il proiettile tracciante estratto dal corpo di Valentine Jelestine è stato esploso dal fucile con matricola assegnata al sottocapo Andronico.
Il proiettile estratto dal corpo di Ajiesh Pink è stato esploso dal fucile con matricola assegnata al sottocapo Voglino”.
Le prove balistiche indiane individuerebbero quindi non solo che i proiettili sono italiani, ma anche che provengono da fucili mitragliatori assegnati ad altri 2 fra i 6 membri del Nucleo del Battaglione San Marco.
La relazione della Marina a questo punto non esclude nulla: “Qualora dovessero essere confermati i risultati ottenuti dalle prove indiane o se, a seguito di ulteriore attività  forense riconosciuta anche dalla parte italiana, si riscontrasse l’attribuibilità  dei colpi ai militari italiani, a quel punto, nelle pertinenti sedi giudiziarie dovrà  essere appurato se l’azione di fuoco è stata interamente condotta con la finalità  di effettuare tiri di avvertimento in acqua erroneamente o accidentalmente finiti a bordo”, oppure se si sia deciso intenzionalmente di “indirizzare il tiro a bordo del natante”.
Questo soltanto se le prove balistiche indiane saranno confermate.
Ma ormai una cosa è sicura: sarà  la giustizia indiana a tenere il processo sulla morte di Valentine Jelestine e Ajiesh Pink, e terrà  conto delle prove della sua polizia.

Maura Gualco e Vincenzo Nigro
(da “La Repubblica“)

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IL PIANO SEGRETO DI RENZI SE NON GLI RIUSCIRA’ LA SCALATA AL PD

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

NON C’E’ ANCORA UN NOME E UN SIMBOLO, MA CI SONO I FINANZIATORI E LA MACCHINA ORGANIZZATIVA PER IL NUOVO PARTITO CHE SI ISPIRERA’ AL PROGRAMMA DELLE PRIMARIE… OBIETTIVO 100.000 ISCRITTI E UNA STRUTTURA SNELLA

Nega: “Ci sono già  troppi partiti, sarebbe stupido farsene un altro”.
Ma poi tira la stoccata: “O Bersani riuscirà  a spaccare i 5 Stelle oppure farà  un accordo con il Pdl. Si stanno parlando: Migliavacca ha parlato più volte con Verdini”. Vero.
Anche tre giorni fa, il coordinatore organizzativo del Pd è stato visto uscire dalla villa fiorentina del ras pidiellino toscano. E a Matteo Renzi tutto questo non piace.
La parola “scissione” gli resta ancora indigesta, getta acqua sul fuoco quando viene tirato per la giacca nella sua Firenze e gli dicono “dà i, sindaco, mollali che sennò perdi i’ treno…”, però anche a lui è chiaro che non potrà  attendere ancora molto a prendere una decisione sul suo futuro, pena un’uscita di scena senza aver mai giocato il ruolo di vero protagonista.
Molto si potrà  capire giovedì, dopo il faccia a faccia Bersani-Berlusconi che potrebbe definire un assetto contrario agli auspici del sindaco.
La realtà  è che Renzi si sta davvero organizzando.
E che una sua lista, un soggetto politico agile, pronto a cogliere l’onda di rinnovamento del momento, c’è.
Non ha un nome e neppure ancora un simbolo, mentre tutto il resto esiste: ci sono i finanziatori, c’è la macchina organizzativa, c’è il programma.
D’altra parte, è tutto fieno che Renzi aveva già  messo in cascina all’epoca delle primarie perse tanto male da farlo riflettere sull’idea di restare davvero a fare il sindaco di Firenze a vita.
O quasi.
Poi, però, la ruota ha girato: Bersani ha di fatto perso elezioni che credeva di avere in tasca.
Non c’è un governo nè ci sarà  (forse) dopo la nomina del prossimo Capo dello Stato. A meno che Bersani, pur di conquistare Palazzo Chigi, faccia un accordo con il Pdl. Questo, per Renzi, sarebbe il grimaldello che lo farebbe uscire allo scoperto.
“Tanto si va comunque a votare — sostiene uno a lui molto vicino — ma adesso i tempi sono fondamentali; un giorno in più o in meno e si può rovinare tutto…”.
La parola “scissione” dunque, non si pronuncia, ma aleggia nell’aria.
La riflessione, dicono, è semplice perchè nel Pd ci sono solo due scenari possibili.
Il primo che la scissione avvenga a sinistra, come beffardamente ha buttato lì anche D’Alema (“se Renzi conquista il partito io me ne vado con Vendola”).
Oppure che avvenga — molto più probabilmente — a destra.
Che, cioè, il partito si ricompatti intorno a Bersani, renda complicate le primarie e induca (o costringa) in questo modo Renzi a diventare leader di un partito.
Il suo.
Renzi ha fatto capire in ogni modo di voler azzerare la vecchia nomenclatura del Partito democratico.
E tra dossier sui costi del Pd e proposte di legge per abolire il finanziamento pubblico si può dire che il sindaco sia visto davvero da una parte della classe dirigente democratica quantomeno come uno scardinatore del sistema, più che un semplice rottamatore.
C’è, poi, anche dell’altro. Ossia il fatto che a Renzi non sfugge che sia Fabrizio Barca — e, quindi, non lui — il candidato della nomenklatura piddina alla successione di Bersani alla segreteria.
Al punto che si era sparsa la voce che nella testa del sindaco ci fosse anche la possibilità  di proporre al ministro della Coesione territoriale una sorta di patto: Barca segretario, Renzi premier.
Dire che la questione ha fatto venire l’orticaria a più d’uno al Nazareno è dire poco. Ecco perchè il piano “b” resta comunque in piedi.
Appunto, c’è.
Non tutti se ne ricordano, ma due scissioni sono già  avvenute negli anni scorsi in terra democratica, con esiti disastrosi per gli scissionisti.
Nel 2008, erano stati gli irriducibili dei Ds (autodefiniti Sd, ovvero Sinistra democratica) a tentare l’avventura con la lista Arcobaleno, nel 2009 era stato Rutelli a fare l’irriducibile, con la mai decollata Alleanza per l’Italia.
Molti indizi, a partire dai sondaggi, fanno ritenere che oggi le cose andrebbero diversamente: il Pd è così diviso che c’è spazio sia per una robusta scissione a sinistra, sia per una robusta scissione a destra.
Anche se dovesse avvenire, come si augurano in parecchi nel capoluogo toscano, “senza traumi, ma in modo naturale quanto inevitabile”.
Ecco dunque cosa bolle nella pentola dell’ “officina” renziana. Anzi.
Sarebbe meglio dire nelle “officine democratiche” che hanno già  sostenuto il sindaco durante le sue primarie e di cui restano soci personaggi e parlamentari come Ivan Scalfarotto, Pietro Ichino e Andrea Marcucci.
Al momento la discussione è in corso, ma si parla di un possibile programma elettorale molto snello, fatto di dieci punti al massimo.
Anche la squadra “c’è già , se servirà ”, così come il pool di finanziatori non aspetta altro che mettere la mano al portafoglio.
In prima fila Diego Della Valle con Montezemolo (ma soprattutto il primo, con cui Renzi ha un rapporto molto stretto), ma anche il patron di Eataly, Oscar Farinetti, renziano della prima ora e una serie di imprenditori toscani del pellame (sfiorati dalla crisi ma meno di altri).
A Firenze la consegna del silenzio è di rigore.
Anche perchè, al di là  delle questioni legate alla possibilità  che Renzi sia anche un “grande elettore” del nuovo presidente della Repubblica, sarà  subito dopo, quando si parlerà  del governo e Bersani potrebbe tornare alla carica per la conquista di Palazzo Chigi che il sindaco di Firenze si troverà  davanti al bivio.
Certo, la speranza è quella di non trovarsi nell’obbligo di uno strappo, di non essere davvero costretto dagli eventi a chiudere la sua vicenda personale e politica dentro il Partito Democratico.
Variabili, tuttavia, sul tappeto, che Renzi, con il suo think tank, stanno già  valutando da settimane, per essere pronti a cogliere l’attimo “oppure a lasciare ancora il camper dentro il garage; dipende”.
Segnali, per il momento.
E se poi si dovesse partire, di sicuro Renzi non farebbe “un partitino di quarta classe”, ma punterebbe in alto, con una base di partenza di almeno 100 mila iscritti e una struttura di vertice snella, “dove faremo grande uso del web — dicono sempre nel suo entourage — ma senza cadere negli eccessi e nelle ridicolaggini di Grillo”, con l’obiettivo di catturare consensi “ovunque; se rubiamo a Berlusconi per noi è solo una vittoria”.
I sondaggi, al momento, sono altamente favorevoli.
Li confeziona la Ghisleri, la stessa “signora dei numeri” di Berlusconi: “Solo a Firenze e in Toscana saremmo fin da subito il primo partito” ma anche fuori dal “Granducato” il consenso verso il giovane sindaco gigliato è dato in ascesa. All’appello manca solo la scelta di Renzi.
Che per il momento resta nel Pd sperando che il “piano A” (lui candidato premier alle prossime elezioni) si concretizzi.
Ma il “piano B” è sempre vivo e lotta insieme a lui.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL DRAMMA DI CIVITANOVA: QUANDO LA REALTA’ SCHIAFFEGGIA IL POTERE

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

IN UN MONDO DI VITTIMISTI E PAGLIACCI, AVEVANO IL TORTO DI AVER CONSERVATO LA LORO DIGNITA’

Che per un attimo cali il silenzio sulle danze consumate intorno alle poltrone del potere.
La realtà  pulsa altrove e oggi urla. Oggi muore.
Anna Maria Sopranzi e Romeo Dionisi erano una coppia intorno alla sessantina che tutti conoscevamo perchè tutti ne abbiamo incontrata una al supermercato o in coda alla posta.
Abitavano la vita con riservatezza, troppa riservatezza.
E con dignità , troppa dignità  per un mondo di vittimisti e di pagliacci.
Il signor Dionisi era un muratore di Civitanova Marche che a sessantatrè anni era stato lasciato a casa dalla ditta, ma dopo una vita coi calli alle mani non riusciva ancora ad andare in pensione.
Cercava lavoro e ne raccattava soltanto briciole, mezze giornate a spezzarsi la schiena per una manciata di euro in nero.
Andava bene tutto, pur di onorare il debito con l’Inps per i contributi obbligatori che avrebbero dovuto consentirgli di traghettare le sue ossa stanche sulla riva della pensione.
Nel frattempo lui e la moglie Anna Maria tiravano avanti con quella di lei: meno di 500 euro al mese.
Ma quel debito era diventato un’ossessione che toglieva il respiro a entrambi.
La paura, questo mostro che ti sale dalla pancia e ti conquista i pensieri fino a sottometterli, aveva trasformato la vecchiaia serena di un uomo e di una donna perbene in un inferno zoppicante sull’orlo della depressione.
Ancora l’altro giorno il presidente del consiglio comunale di Civitanova, che abita nello stesso condominio, ha consigliato al signor Dionisi di rivolgersi ai servizi sociali, ma l’orgoglio e la dignità  di una vita intera hanno impedito a quella coppia in disgrazia di rendere pubblico il proprio disagio.
Nella rovina economica c’è sempre una componente di vergogna che si allea con la solitudine nell’annerire scenari già  cupi.
Così Romeo e Anna Maria hanno preso l’ultima decisione.
Riservati e dignitosi fino alla fine, hanno scritto un biglietto di scuse e lo hanno appoggiato sul cruscotto dell’utilitaria di un’amica. «Guarda nello sgabuzzino».
E nello sgabuzzino l’amica ha trovato i loro corpi appesi al soffitto.
Ah, come vorrei che l’ombra – solo l’ombra – di quell’immagine venisse proiettata nelle stanze del potere, quasi un pendolo che detti il tempo a chi deve cambiare le leggi e non lo fa, a chi deve dare risposte ai deboli e non le dà , a chi deve trovare parole nuove e non ne ha, ma proprio per questo continua a usare solo quelle vecchie, intrise di caos.
Come vorrei che quell’immagine diventasse il loro tormento, il loro fantasma di Banquo, mentre si accingono a celebrare i loro incomprensibili riti.
Invece purtroppo l’ha vista il fratello di Anna Maria, un altro anziano solo e impaurito, che è scappato dalla scena del suicidio per correre al molo ad affogarsi, completando con un tuffo nel blu questa carneficina familiare e nazionale.
Non c’è più niente da dire. Niente.
Soltanto un avvertimento alla politica, che ha già  cominciato ad agitare i morti di Civitanova come miccia della prossima polemica.
Che non si azzardi a utilizzarli per i suoi scopi di fazione.
Il signor Romeo Dionisi, la signora Anna Maria Sopranzi e il signor Giuseppe Sopranzi non appartengono al mondo dei giocatori del potere, ma all’immensa tribù degli italiani normali che hanno lavorato una vita e che in questo Titanic di popolo hanno maturato una sorta di prelazione, un sacrosanto diritto di essere salvati per primi. In fretta.
Prima che arrivino altri biglietti sul cruscotto, altri drammi inaccettabili, altri articoli dolorosamente inutili come questo.

Massimo Gramellini
(da “la Stampa”)

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TRIPLICE SUIDICIO DI CIVITANOVA, LA FOLLA ESASPERATA AI FUNERALI GRIDA “ASSASSINIO DI STATO”

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

LA BOLDRINI CI METTE LA FACCIA: “AVEVO IL DOVERE DI   ESSERCI, TROPPO FACILE ANDARE SOLO DOVE TI ACCOLGONO CON APPLAUSI. LORO HANNO DIRITTO A ESSERE INDIGNATI”

La cittadina marchigiana non solo piange i suoi morti. Grida anche.
Quando nella Chiesa di San Pietro e Paolo di Civitanova Marche sono arrivati i feretri dei tre anziani che si sono tolti la vita per difficoltà  economiche, la folla presente ha cominciato a urlare: “Questo è un omicidio di Stato”, “Omicidio della politica”, “Ladri”, “Vergogna”, “Neanche gli animali sono trattati così”.
Una donna ha detto: “Non è vero che non hanno chiesto aiuto, non glielo hanno dato”, “Abbiamo persone in condizioni di indigenza”.
I segnali c’erano stati già  la mattina.
In visita per incontrare i familiari di Romeo Dionisi, Anna Maria Sopranzi e del fratello Giuseppe, il presidente della Camera Laura Boldrini è stata contestata.
Perchè la ferita del triplice suicidio che ha colpito Civitanova Marche è aperta.
Dallo Stato e da chi, ora, lo rappresenta. “Boldrini, hai paura a parlare con noi? Eppure sei una marchigiana”, ha detto un uomo rivolgendosi alla terza carica dello Stato mentre stava entrando nel palazzo comunale per incontrare il sindaco.
Qualcuno tra le persone radunate fuori l’ha anche applaudita. “Faceva meglio a non venire”, ha detto la sorella di Romeo Dionisi.
Dopo aver partecipato alla cerimonia in Comune, la presidente della Camera ha fatto visita alle tre salme, presso la sala mortuaria dell’ospedale cittadino.
Si è raccolta in silenzio di fronte alle bare e si è intrattenuta a parlare, per qualche minuto, con alcuni parenti, tra i quali Gianna Dionisi, sorella di Romeo.
“Ci tenevo ad essere qui, è una tragedia immensa. Bisogna stare vicino alle persone e passare ai fatti, dando risposte ai bisogni concreti”, ha detto Boldrini senza fermarsi a parlare con i giornalisti.
Davanti al comune un capannello con diverse persone. “Non ce la facciamo più”, “Non c’è futuro per i giovani” dicevano.
Al suo arrivo nella cittadina dove è in corso una riunione aperta in memoria, ad attenderla c’era il sindaco Tommaso Claudio Corvatta.
Non si è accorta della contestazione. Il presidente della Camera ha invece rivendicato in una nota inviata dopo la visita “il primo dovere delle istituzioni” ad “esserci, a metterci la faccia, tanto più nei momenti duri. Sarebbe troppo comodo, e per quanto mi riguarda inaccettabile, scegliere di essere presenti soltanto dove è garantito l’applauso”.
“Non mi sono accorta di alcuna contestazione, nè all’ingresso, nè all’uscita dal Comune di Civitanova”, ha scritto Boldrini.
“E comunque – spiega ancora nella nota – chi sopporta il peso di queste tragedie ha tutto il diritto di esprimere come ritiene il suo dolore e la sua indignazione, che non hanno niente a che vedere con le strumentalizzazioni politiche imbastite da qualche frangia estremista. A maggior ragione dopo aver incontrato i familiari delle vittime, che inizialmente avevano espresso qualche perplessità  sulla mia presenza, e la comunità  di Civitanova, ritengo che fosse giusto venire qui oggi, come cittadina di questa Regione e come presidente della Camera”.
I conoscenti però ripetono che nessuno aveva capito il loro dramma: “Li ha uccisi la dignità “.
“Ti vergognavi di essere caduta in povertà “, ma non dovevi essere tu a vergognarti”, ha letto durante la cerimonia un’amica di Anna Maria Sopranzi a nome di tutte le altre amiche.
“Ciao Anna, ci mancherà  tanto il tuo sorriso buono, ti ricorderemo quando leggevi le riviste sul terrazzo. Non dimenticheremo – ha detto ancora l’amica – l’onestà , l’umiltà  e la tua discrezione. Il tuo sorriso ci accompagnerà  sempre, stacci vicino perchè abbiamo ancora bisogno di te”.
Anche il cognato di Dionisi, Giuseppe Giudici, ieri aveva espresso la propria rabbia: “Tanto è inutile girarci attorno, lo sanno tutti chi li ha uccisi: l’Inps, che inseguiva Romeo da quattro anni. Ma anche Equitalia. Insomma lo Stato. Vale per loro ma anche per tanta altra brava gente. Romeo e Anna non volevano chiedere aiuto ed erano terrorizzati”, ha aggiunto l’uomo davanti all’obitorio dove sono stati portati i corpi.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “è molto provato”, ha riferito il presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca a cui il Capo dello Stato ha affidato un messaggio di cordoglio da portare ai familiari delle tre persone morte suicide.
“Il presidente della Repubblica – ha detto Spacca, presente ai funerali – mi ha chiesto di portare alle famiglie il suo cordoglio e il senso profondo di dolore per questo dramma che rappresenta il dramma che vive la comunità  nazionale”.

(da “la Repubblica”)

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DEBITI P.A., ECCO COME FUNZIONANO I PAGAMENTI ALLE IMPRESE

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

TRE LE FASI DEL CALENDARIO MESSO A PUNTO DAL GOVERNO

Una boccata d’ossigeno immediata che potrebbe valere sui 7 miliardi; quindi l’autorizzazione e la predisposizione del piano per la restituzione fino a completare il primo stock di 40 miliardi in circa 12 mesi; infine il censimento dell’ammontare dei debiti per programmare con la legge di stabilità  le modalità  e le ulteriori tranche di restituzione.
Sono le tre fasi del calendario messo a punto dal Cdm per la restituzione dei debiti della P.A.
Prima fase: via ai pagamenti.
Dopo l’ok del Consiglio dei Ministri il decreto che blocca i debiti della Pa arriva al Quirinale per l’emanazione.
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è prevista per lunedì e rende immediatamente eseguibili i pagamenti da parte degli enti locali, utilizzando la metà  delle disponibilità  di cassa.
A quanto ammontano?
Il Tesoro le stima in 14 miliardi
Seconda fase: richiesta fondi al tesoro.
Entro il 30 aprile Comuni e Province chiedono l’autorizzazione per i pagamenti sulle somme disponibili. Comuni, Province, Regioni e Usl potranno invece chiedere l’accesso al Fondo (di 26 mld) al ministero dell’Economia.
Ovviamente va consegnato un elenco dei debito al Tesoro che risponderà  entro il 15 maggio.
Quindi il ministero dell’economia autorizza gli importi da pagare e indica come queste risorse vanno finanziate.
Di fatto, rispetto alle richieste che arriveranno (di certo superiori ai 40 miliardi) ci sarà  una ripartizione.
Si attivà  così anche le linee di credito (trentennali ai tassi attuali del Btp a 5 anni) con la Cassa Depositi e Prestiti.
Entro il 31 maggio gli enti territoriali, oramai a conoscenza degli importi di cui dispongono, dovranno comunicare alle imprese creditrici il piano dei pagamenti.
Così, con trasparenza, potranno valutare quando e come riceveranno gli importi.
Terza fase: il censimento.
Il 15 settembre è il termine ultimo per completare il censimento dei debiti delle amministrazioni pubbliche.
Le amministrazioni dovranno fare una verifica e verificare tutti i crediti scaduti al 31 dicembre 2012.
Anche le Banche dovranno verificare l’ammontare dei crediti che sono stati loro ceduti con la precedente procedura di rimborso.
Solo così si potranno valutare le ulteriori tranche di rimborso.
Il 15 ottobre, dopo il check up dei debiti il governo stabilirà  con la prossima legge di stabilità  le modalità  di rimborso delle tranche successive, anche attraverso l’emissione di specifici titoli di Stato.
I rimborsi diventano così effettivi.
Ovviamente questi pagamenti scattano dal 2014.

(da “La Repubblica“)

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VIA AL DECRETO 40 MILIARDI PER I DEBITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Aprile 6th, 2013 Riccardo Fucile

GRILLI: “SI PUO’ PAGARE DA LUNEDI”…TITOLI DI STATO AD HOC SOLO PER I CREDITI PASSATI ALLE BANCHE…ABI SODDISFATTA, RETE IMPRESE CRITICA

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che dà  il via libero al pagamento di 40 miliardi di debiti della pubblica amministrazione nei confronti di imprese e banche.
La riunione, presieduta dal premier Mario Monti, ha avuto come principale punto all’ordine del giorno il tema dei crediti delle imprese.
“Quaranta Miliardi erogati nei prossimi 12 mesi alle imprese con un meccanismo chiaro, semplice e veloce” e “rispettando la soglia del debito del 3%”.
Così Mario Monti ha riassunto il succo del decreto. Il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, ha annunciato che la ripartizione dei fondi avverrà  a partire dal 15 maggio.
“E’ arrivato il momento di voltare pagina”, ha detto Monti nella conferenza stampa finale. Quello dei debiti della PA è “un caso molto emblematico di come, mentre si facevano più stretti i vincoli di obbligo disciplina, le amministrazioni avevano invece risposto con forme che hanno scaricato gli oneri sul futuro e le imprese e i cittadini”, ha aggiunto il premier, sottolineando polemicamente che coloro che oggi sono più critici sono gli stessi “che hanno creato il problema”.
“Esprimo una leggera indignazione – ha detto – per le critiche al governo che ha impiegato qualche giorno in più per il decreto. Sono stati severi con noi i partiti che negli ultimi 10 anni hanno causato questi problemi”. Monti ha parlato anche di “comportamenti poco seri che in passato caratterizzavano la gestione della cosa pubblica”.
Secondo Monti, il decreto non ostacolerà  il rispetto dei parametri Ue: “C’è la fondata aspettativa che a maggio l’Italia sarà  dichiarata uscita dalla procedura” Ue per deficit eccessivo, ha detto.
Il premier ha ricordato che il decreto è il frutto del lavoro fatto negli ultimi due anni, visto che fino al 2011 l’andamento dell’indebitamento era ancora in ascesa: a fine 2011 lo stock di debiti della p.a. non ceduto alle banche ammontava a 80 miliardi di euro, contro i 61 miliardi del 2009 e i 74 miliardi del 2010.
Il presidente del consiglio, infine, ha auspicato un percorso di conversione senza intoppi per il decreto: “Confido nella volontà  espressa dal Parlamento per uno scorrevole iter del decreto”. ha detto.
Il testo intanto sarà  inviato oggi alla firma del capo dello Stato e salvo sorprese potrebbe essere pubblicato già  lunedì sera.
Il ministro Corrado Passera ha poi spiegato che fra le modalità  di pagamento dei debiti della P.A. ci sarà  anche la compensazione fra debiti e crediti: “Abbiamo allargato la tipologia di crediti che potranno essere compensati: non solo i debiti passati a ruolo”, ha detto.
Riferendosi alle banche che hanno acquistato crediti delle imprese, Passera ha detto che in tal caso il pagamento avverrà  attraverso emissioni ad hoc.
Il ministro ha spiegato inoltre che, nell’intento di semplificare le procedure, il decreto stabilisce che “l’impresa non dovrà  certificare i crediti, ma sono le pubbliche amministrazioni a fare gli elenchi” dei debiti e dei creditori.
La certificazione e il censimento dei debiti della Pubblica Amministrazione, ha detto poi Corrado Passera, verrà  fatto “nell’ambito della prossima Finanziaria”: dei 40 miliardi del dl, 15 o 20 sono già  ceduti e 3 o 4 dovranno essere compensati, “poi tutto si chiuderà “, ha detto Passera.
Il ministro Vittorio Grilli ha anticipato quello che sarà  il percorso dei pagamenti: “Entro il 30 di aprile – ha detto Grilli – tutte le amministrazioni dovranno farci pervenire l’elenco e la richiesta di spazio finanziario. Entro il 15 di maggio provvederemo alla ripartizione degli spazi e delle risorse finanziarie pervenute”.
Nelle situazioni già  definite, ha aggiunto Grilli, ossia quando gli enti hanno disponibilità  di cassa, “le amministrazioni potranno cominciare a pagare i debiti subito dopo la pubblicazione del decreto, che immagino sarà  lunedì”.
“Per non ritardare nemmeno di un secondo i pagamenti, gli enti territoriali che hanno disponibilità  finanziarie, possono cominciare a pagare. Ovviamente partendo dai debiti più anziani – ha ribadito Grilli – : non bisogna aspettare il riparto. Chi ha disponibilità , comincia a pagare”.
Oltre i 40 miliardi stabiliti oggi arriveranno ulteriori tranche “sia in termini di cassa che per le emissioni” con la Legge di Stabilità  per il 2014.
Quanto alla copertura dell’intera operazione, Grilli ha detto che “dal 2015 in poi ci saranno tagli orizzontali, ma riteniamo che potranno essere sostituiti con molto anticipo da tagli più intelligenti realizzati dai governi futuri”.
Tares, aumenti rinviati
Per quanto riguarda la Tares, il decreto dà  ai Comuni la facoltà  di intervenire sul numero delle rate e sulla scadenza delle stesse come previsto dal Salva Italia e prevede che a tutela del contribuente la deliberazione sia adottata dai Comuni almeno trenta giorni prima della data di versamento.
Viene inoltre rinviato all’ultima rata relativa al 2013 il pagamento della maggiorazione di 0,30 euro per metro quadrato già  previsto dal Salva Italia.
Fino ad allora, ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Antonio Catricalà , “resta in piedi il meccanismo della Tarsu per le prime due rate: si pagherà  quanto pagato l’anno scorso e non ci saranno sorprese. Il bollettino sarà  inviato dalle amministrazioni. Sull’ ultima rata ci potrà  essere un conguaglio”.
Le reazioni
Secondo l’Abi, il decreto del governo va nella giusta direzione. Lo ha detto il presidente Antonio Patuelli, secondo il quale il consiglio dei ministri “ha riconosciuto, come avevamo sollecitato, l’estrema importanza, necessità  ed urgenza del pagamento dei debiti della Pa verso le imprese come premessa della ripresa economica e occupazionale”.
Diversa la valutazione di Reteimprese: “Il provvedimento del governo – afferma il presidente Carlo Sangalli – dimostra che non si è ancora compreso che il sistema delle imprese del terziario di mercato, dell’artigianato e dell’impresa diffusa è al collasso”. Secondo Sangalli, malgrado le pressioni delle aziende e della risoluzione della commissione speciale, il decreto ignora “i due elementi fondamentali per rispondere alle emergenze delle imprese: immediato sblocco e disponibilità  delle risorse e modalità  semplificate di accesso”.
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. ha definito migliorato il dl, rimarcando che serve un intervento “immediato” sui debiti della P.A: “E’ necessario perchè le imprese sono disperate e la situazione è tale che la cronaca ne dà  tragiche conferme”.
La Cgia.
Secondo l’associazione degli artigiani, nei debiti della pubblica amministrazione, non sono conteggiati quelli spettanti alle piccole e medie imprese che porterebbero ad un importo complessivo tra i 120-130 miliardi di euro.
Secondo la Cgia, nella relazione della Banca d’Italia i 91 miliardi stimati sono stati calcolati attraverso un’indagine campionaria condotta solo sulle imprese con più di 20 addetti.
“Ciò vuol dire che le aziende con meno di 20 addetti – attacca Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia – che rappresentano il 98% del totale delle imprese presenti nel nostro Paese, non sono state monitorate. Pertanto, i 91 mld di debiti in capo della pubblica amministrazione sono decisamente sottodimensionati: se in tempi ragionevoli sarà  possibile effettuare un nuovo monitoraggio, è molto probabile che il debito della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese lieviti tra i 120/130 miliardi di euro”.

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