Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
ACCOLTE SOLO 5 DELLE 17 RICHIESTE DI TOSI, LE ALTRE 12 SONO STATE ANNULLATE O CONVERTITE IN RICHIAMI SCRITTI.. ERA PRESENTE ANCHE BOSSI
Via Bellerio ha deciso: via alle espulsioni. 
Una nota di Roberto Calderoli, responsabile Territorio del partito, ha annunciato che il Comitato di Disciplina e Garanzia della Lega, integrato dai Segretari nazionali di Lombardia, Veneto, Piemonte, Marche e Toscana, ha accolto 5 richieste di espulsione avanzate dalle segreterie nazionali.
Sono state respinte, però, 12 delle 17 proposte avanzate.
“La discussione si è svolta in un clima di massima collaborazione e serenità e tutte le deliberazioni sono state assunte all’unanimità ”, ha assicurato Calderoli.
L’incontro, a cui erano presenti anche il segretario federale Roberto Maroni, il segretario della Liga Veneta Flavio Tosi e il segretario del Piemonte Roberto Cota, è stato presieduto dal presidente della Lega Umberto Bossi.
“Le 12 richieste di espulsioni respinte sono state annullate oppure convertite in richiami scritti o sospensioni temporanee” ha fatto sapere il responsabile organizzativo del Carroccio.
Tra i nomi degli espulsi c’è anche quello del consigliere regionale veneto Santino Bozza, padovano, figura presente nell’elenco dei 35 leghisti per i quali il segretario veneto Flavio Tosi aveva chiesto l’espulsione sabato scorso in relazione alle proteste avvenute a Pontida.
Il consigliere veneto alle scorse elezioni aveva annunciato di aver votato Pd come protesta contro la gestione Maroni-Tosi del Carroccio.
Santino Bozza ha replicato: “Il problema non è Roberto Maroni o Umberto Bossi, l’unico problema è Flavio Tosi e quanti non hanno a cuore il Veneto”.
Il neo-espulso ha inoltre annunciato che parlerà con il governatore del Veneto Luca Zaia “assieme, agli altri puniti — dice — e faremo un gruppo autonomo”.
Il consigliere sottolinea la “solitudine di Tosi”, definendolo “unico vero artefice della sconfitta elettorale della Lega in Veneto”.
“Fascista” è l’accusa che il consigliere regionale lancia al sindaco di Verona e annuncia che contro di lui c’è ”un asse tra Treviso, Venezia e Vicenza”.
C’è anche un altro veneto tra gli espulsi. E’il consigliere comunale Claudio Viviani, eletto nelle liste del Carroccio a Negrar.
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
BINDI: “GIA’ SAREBBE TANTO TROVARE UNA FIGURA CONDIVISA TRA NOI”
I bersaniani, i mariniani, i dalemiani, i fioroniani, i prodiani, i renziani, i «giovani turchi», gli ulivisti, i lettiani, i veltroniani, i bindiani, i franceschiniani…
E non è detto che l’elenco sia completo, perchè il partito che nacque da due partiti per fonderli in uno, è omai null’altro che un’affollata e confusa somma di tribù, guidate da capi rancorosi, assetati di rivincita e in guerra tra loro.
È il peggiore dei declini: e va in scena nel momento peggiore.
Tanto che, dopo che l’aveva già fatto Franceschini, stavolta tocca al vicesegretario – a Enrico Letta – dire «c’è un rischio di spaccatura del partito… io sono preoccupato, non possiamo spaccarci in questo momento».
In questo momento no, ma dopo si potrà : e forse si dovrà .
Ed è un dopo che non potrà esser comunque spostato troppo in là , a giudicare dalla micidiale giornata di ieri, filata via tra accuse e offese senza precedenti.
Del resto, la brace ardeva sotto la cenere fin dalle durissime primarie combattute nell’autunno scorso tra Bersani e Renzi: poi, le elezioni andate male, le tensioni nel partito e la necessità di formare un governo e rinnovare contemporaneamente tutte le più alte cariche dello Stato, hanno letteralmente trasformato il Pd in un vulcano. Giovani contro vecchi, laici contro cattolici (e da ieri anche cattolici contro cattolici…), ex diessini contro ex popolari, liberal contro radicali…
È un durissimo tutti contro tutti, con un continuo giro di mosse di interdizione per stoppare l’avversario interno che hanno prodotto un risultato certo (la paralisi del partito e dell’intero quadro politico) ed uno imminente: l’addio, perfino, alla possibilità di eleggere da soli un «presidente di parte».
L’aria è pessima praticamente su ogni fronte.
Ieri, per esempio, Franco Marini e Anna Finocchiaro hanno duramente risposto a Renzi (che li aveva giudicati inadeguati come candidati al Quirinale) nascondendo però a fatica la rabbia per il mancato intervento di Bersani: «Un segretario che non ha mai difeso nessuno dagli attacchi di Renzi accusava uno dei più stretti collaboratori della Finocchiaro -. Uno che da due mesi pensa soltanto al suo governo, mandando alla malora il partito e tutto il resto»
E le cose non migliorano per nulla se ci si sposta sul fronte-Quirinale.
Non a caso, uno dei primi «bersagli» del sindaco di Firenze – e cioè Rosy Bindi, Presidente dell’Assemblea nazionale del Pd va ripetendo da giorni ai compagni di partito un suggerimento che ancora fino a ieri pochi intendevano: «Cominciamo con l’individuare un nome che sia condiviso almeno da noi, all’interno del Pd. Già questo, vista l’aria che tira, sarebbe da considerare un successo… ».
D’altra parte, la «pasionaria» al tempo del rinnovamento della Dc sa bene cosa voglia dire la paralisi e la spaccatura del partito di maggioranza relativa, e che effetti possa produrre quando c’è da eleggere un Capo dello Stato.
Primavera 1992, lei era europarlamentare e in Italia bisognava eleggere il successore di Francesco Cossiga: Forlani e Andreotti si contrastarono per settimane, col risultato che il nuovo Presidente (Oscar Luigi Scalfaro) fu eletto il 25 maggio alla sedicesima votazione.
E forse il braccio di ferro sarebbe andato avanti chissà quanto, se non ci fosse stato il terribile attentato di Capaci (23 maggio).
Quella situazione – cioè quelle divisioni – rischiano di riproporsi oggi in maniera perfino più paralizzante, considerata la varietà (e la rigidità ) delle posizioni in campo nel Pd.
Ci sono i giovani che non vogliono un presidente sul profilo Amato-D’Alema-Marini perchè «occorre dare un segno di cambiamento»; ci sono i renziani – e naturalmente non solo – che puntano su Prodi, convinti che con quel nome «si torna alle elezioni in autunno»; ci sono i cattolici che vogliono un cattolico al Quirinale, ma poi si dividono su chi (Marini? Prodi?) ; e infine i bersaniani, che guardano con un occhio al Quirinale e con l’altro a Palazzo Chigi, sperando possa essere conquistato dal proprio leader: aggiungendo, così facendo, confusione a confusione.
In questo lunedì di fine aprile, il pessimismo su un’intesa per il Quirinale e sul futuro del Pd sembra dunque più che giustificato, anche se nei corridoi si sussurra di incontri risolutori e patti già stretti.
Gli incontri ci sono, naturalmente: solo che da una settimana quel che viene costruito nel primo viene poi demolito nel secondo…
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
QUIRINALE: DECISIVI IL SECONDO E TERZO VOTO
Fuori i secondi, trattano solo i leader. 
Non è più tempo ormai di sherpa e messaggeri, per chiudere l’intesa sul Quirinale Berlusconi aspetta di incontrare nuovamente Bersani e di sentirsi proporre una rosa di «candidati presentabili», o forse un solo nome, purchè – appunto – sia «presentabile». L’ironia con cui aggettiva la richiesta, testimonia come il Cavaliere si approssimi alla corsa per il Colle sapendo di avere un ruolo centrale nel negoziato.
È vero che la storia delle elezioni per la presidenza della Repubblica è piena di colpi di scena, perciò il leader del Pdl fa mostra di prudenza.
Tuttavia le difficoltà in cui versa il Pd gli garantiscono al momento una posizione di vantaggio.
Allora non resta che attendere il rendez vous tra Bersani e Berlusconi, che sancirà l’accordo o la rottura.
Era scontato che si sarebbero visti a ridosso del momento decisivo, perciò è presumibile che l’appuntamento sia stato fissato.
Comunque ci sarà , se lo sono ripromessi, se è vero che ieri ci sarebbe stato un contatto telefonico tra i due.
D’altronde la cartina di tornasole per intuire che il dialogo intrapreso da Bersani e Berlusconi – pur tra mille difficoltà – non si sia interrotto, è dato dall’atteggiamento di Renzi, dal modo in cui il sindaco di Firenze ha posto rumorosamente il veto su alcuni candidati al Quirinale, così da sbarrare il passo al segretario.
L’affondo avrà anche portato il Pd sull’orlo di una scissione, ma per quanto possa apparire paradossale ha agevolato il lavoro di mediazione di Bersani.
Con il «niet» a Marini e alla Finocchiaro, infatti, Renzi ha scremato la lista dei pretendenti al Colle, spianando la strada ad una possibile intesa sul nome di Amato, su cui sarebbero già pronti a convergere i centristi.
E dato che sul nome dell’ex sottosegretario di Craxi il «rottamatore» sa di non poter opporre resistenza, Bersani avrebbe ora la possibilità di fare a Berlusconi il nome di una personalità che il Cavaliere considera «presentabile».
Il leader del Pdl d’altronde – pur dichiarandosi pronto a votare per un esponente del Pd – in realtà non avrebbe accettato candidati che agli occhi dei suoi elettori farebbero lo stesso effetto di una patrimoniale. E con l’opzione delle urne in campo…
Il primo a capirlo è stato D’Alema, che pure nei giorni scorsi stava giocando per sè la partita del Colle e ora avrebbe dirottato le proprie ambizioni sulla presidenza del Parlamento europeo, al posto di Schulz.
Quanto a Prodi, la sua eventuale candidatura entrerebbe in scena dalla quarta votazione, ma sulle macerie del Pd, perchè vorrebbe dire che la mediazione di Bersani è fallita.
Sarebbe un evento traumatico per i democratici, che oggi nemmeno Berlusconi vuole si verifichi.
Al Cavaliere interessa il patto, perciò aspetta.
Resta da capire quando l’intesa sul Quirinale si potrebbe realizzare.
E c’è un motivo se ieri il leader del Pd non ha fissato il timing: «Giovedì, forse venerdì».
È probabile che alla prima votazione i partiti decideranno di misurare le proprie forze, per mostrare la capacità di tenere unito l’esercito dei grandi elettori.
Sarà un test decisivo per capire se il patto potrà essere onorato alla votazione successiva.
Perciò alla prima chiama il Pdl è pronto a far convergere i propri voti sul candidato di bandiera: e la «bandiera» del Pdl è Berlusconi.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI REPORT: AFFARI E CRESTE, CRIMINE ORGANIZZATO E APPALTI… ALEMANNO QUERELA: “MENZOGNE”
È Massimo Carminati, il “nero” di Romanza criminale (che racconta la Banda della Magliana), il nome che tuona nell’inchiesta di Report “Romanzo Capitale”.
Domenica la trasmissione di Milena Gabanelli ha raccontato la collisione tra l’amministrazione comunale e mafie romane.
Che adesso entrano negli appalti pubblici, anche nell’affare metro C.
Si tratta di una torta dal costo totale di 3,5 miliardi di euro, troppo appetitosa per non attrarre interessi.
Ed è in questo ambito che un imprenditore, rimasto anonimo, racconta a Report i rapporti tra Riccardo Mancini (ex Avanguardia Nazionale), braccio destro di Alemanno, ora in carcere, e Carminati, ritenuto il capo più rispettato della criminalità organizzata a Roma.
Carminati all’età di 55 anni non ha conti in sospeso con la giustizia.
Accusato dell’omicidio Pecorelli (poi assolto) e arrestato per decide di rapine e omicidi, del passato porta un segno indelebile: un colpo di pistola esploso a distanza ravvicinata da un carabiniere, che gli è valso il soprannome di “Cecato”.
“Nel 2008 — racconta la fonte a Report- Mancini si mette al tavolo con le imprese e spartisce subappalti per realizzare la metro C. In cambio chiedeva dal 5 al 7%”.
E ancora: “ Ci sono tanti giri di criminalità intorno alla metro C. Anche se Carminati lo si trova di più nel ramo “dimissioni del patrimonio del Comune”, che vuol dire anche le rimesse nell’Atac e alcune caserme che 3 anni fa sono tornate di proprietà del campidoglio”.
Nel 2006 a vincere il bando per la metro C è il consorzio costituito da Astaldi, Vianini Lavori (del gruppo Caltagirone), Ansaldo Sts e il consorzio cooperative costruzioni. Poi Mancini avrebbe spartito i subappalti tra diverse aziende.
Tra queste il Consorzio Stabile Roma Duemila che, in Ati con la Marcantonio Spa, ha ottenuto appalti per 16 milioni di euro.
Presidente del Consorzio è Maurizio Marronaro, della stessa famiglia di Lorenzo Marronaro, (ex calciatore della Lazio e del Bologna), socio in affari con Marco Iannilli, commercialista di Lorenzo Cola, indagato per le tangenti dell’appalto romano sui filobus affidato a Finmeccanica.
“Il gruppo -continua l’imprenditore- subaffitta poi forniture alle società Fravesa, La Palma, Tripodi Trasporti. Tutte escluse per mafia ma solo dopo aver preso i lavori”. La Fravesa è di proprietà dell’imprenditore calabrese Giovanni Tripodi di Melito Porto Salvo. Nel 2010, a lavoro già affidato, riceve un’informativa interdittiva della Prefettura di Roma.
La Palma srl invece dall’Ati Marcantonio-Consorzio ottiene tre appalti. Poi riceverà anche questa una misura interdittiva.
Ma c’è di più. Perchè nell’affare della metro C in totale ci sono state 5.265 richieste di informative antimafia, 12 interventi per bloccare gli appalti, 11 informative atipiche su aziende vicine ad ambienti criminali.
Ora si apre il capitolo Carminati, che con Alemanno condivide il passato nelle file dei Nar.
Proprio come molti che il sindaco ha portato nella propria amministrazione.
Da Antonio Lucarelli, portavoce di Forza Nuova, diventato poi capo della segreteria del sindaco. A Stefano Andrini, condannato nel 1989 a 3 anni e mezzo, finito a dirigere l’azienda pubblica dei rifiuti.
O anche Lattarulo, ex banda della Magliana, ora consulente per le politiche sociali. Intanto il sindaco ha già annunciato querela contro Report e sul suo blog ha aggiunto: “La Gabanelli se vuole, si candidi. In un documento confuteremo tutte le menzogne”. La giornalista risponde: “Nella sua replica Alemanno ha espresso una critica, ma non è entrato nel merito di nessuna questione
Valeria Pacelli
(da “La Repubblica”)
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIUDICE COSTITUZIONALE HA RICOPERTO RUOLI CHIAVE PER LE RIFORME… IN ALTERNATIVA C’E’ GALLO, ATTUALE PRESIDENTE DELLA CONSULTA
Il suo nome non è mai uscito finora. 
Incredibilmente, da un certo punto di vista: è ritenuto vicino al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ancor di più al presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi.
Non ha un curriculum politico, al contrario degli altri candidabili al Colle, ma per tutta la vita si è dedicato alla riforma (e al rafforzamento) dello Stato e — con le dovute proporzioni — ai tagli dei costi superflui.
Lui stesso mise in file in un piccolo ma esauriente rapporto le spese strampalate del Palazzo del Quirinale.
Sabino Cassese, 78 anni, giudice della Corte Costituzionale, potrebbe essere la colomba da estrarre dal cilindro per Pier Luigi Bersani.
In queste ore è difficile scommettere su chiunque, visto che l’elezione del successore di Napolitano risulta fino a questo momento tra le più incerte della storia della Repubblica.
Ma Cassese potrebbe incarnare la figura “di garanzia” auspicata da Silvio Berlusconi e di “non politico” ribadita giusto alcune ore fa da Gianroberto Casaleggio.
In più Beppe Grillo ha confermato che i Cinque Stelle nell’elezione del nuovo capo dello Stato vogliono contare: “Voteremo la Gabanelli fino alla terza votazione, poi vedremo“.
Il segnale è chiaro.
Da una parte il segretario del Pd ha vaticinato: “Si decide all’ultimo”: quindi i nomi “buoni” si tengono nascosti, mentre infuria la bufera intorno a tutti quelli apparentemente bruciati, Giuliano Amato compreso.
Dall’altra parte è proprio Europa, l’organo di partito del Partito Democratico, a leggere in questa direzione un articolo di Repubblica: “Si parla a bassa voce di un nome molto autorevole e stimato — scrive il quotidiano diretto da Ezio Mauro — un giudice della Corte costituzionale attualmente in carica. Dal profilo bipartisan e senza precedenti parlamentari ma con esperienza politica”.
Sembra un profilo cucito addosso come dalla sarta di fiducia.
Come suggerisce Europa sarebbe così tagliato fuori Sergio Mattarella, spuntato fuori come outsider votabile anche dal Pdl.
Resta da capire se la figura — autorevole — possa piacere anche ad altre forze politiche.
La vicinanza di Cassese — ministro della Funzione Pubblica nel 1993 — sia con Ciampi che con Napolitano mettono il giudice costituzionale sotto una luce non del tutto sgradita allo sguardo del centrodestra.
Docente in diverse università di diritto pubblico e diritto amministrativo e alla Normale di Pisa, ma anche in alcuni atenei fuori d’Italia, Cassese si è “sporcato le mani”.
Con la necessaria moderazione la sua storia personale potrebbe piacere anche al Movimento Cinque Stelle.
Qualche esempio.
Da ministro è ha riformato il sistema della pubblica amministrazione, introducendo concetti fino a quel momento (1993) inediti per l’Italia: la centralità del cittadino, i suoi diritti a poter fruire pienamente dei servizi.
E allora più trasparenza, più semplificazione, riduzione delle norme, via libera alle autocertificazioni.
Tutto questo non solo per riavvicinare finalmente i cittadini allo Stato (materia che Cassese ha sempre ritenuto centrale), ma proprio come carburante per risanare la macchina statale. In quell’occasione tagliò commissioni interministeriali, collegi, organismi di varia natura. Insomma: una revisione della spesa, avant la lettre.
Certo il Pdl potrebbe ricordarsi quando Cassese scrisse sul Corriere della Sera contro i “suoi” commissari all’Antitrust, Giorgio Guazzaloca e Antonio Pilati, ricordando come i requisiti per far parte dell’Autorithy fosse la “notoria indipendenza” (laddove Guazzaloca era stato il sindaco di Bologna con Forza Italia e Pilati consulente di Fininvest).
Certo, Berlusconi si dovrebbe dimenticare la “solerzia” con cui il giudice costituzionale pose diverse domande di carattere tecnico (e ben mirate) agli avvocati Ghedini e Longo che davanti alla Consulta intendevano difendere la legge sul legittimo impedimento.
Il giorno successivo, peraltro, la Corte si espresse per mantenere la legge, ma nella sostanza la svuotò perchè con una sentenza interpretativa ne eliminò alcune parti considerate ”incompatibili” con gli articoli 3 e 138 (uguaglianza e riserva di legge costituzionale).
In sostanza lo scudo al Cavaliere.
E poi la relazione sulle spese del Quirinale. Glielo commissionò proprio il presidente Ciampi subito dopo l’insediamento: “49 pagine, allegati compresi, non furono mai rese note — scrivono Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ne La Casta — E si capisce: le conclusioni, fra le righe, non erano lusinghiere. Nonostante i paragoni non fossero fatti con la monarchia inglese ma con la presidenza francese e quella tedesca”. Ricordano Stella e Rizzo che nell’estate del 2000 il totale dei dipendenti era 1859: 274 corazzieri, 254 carabinieri, 213 poliziotti, 77 finanzieri, 21 vigili urbani e 16 guardie forestali.
“Numeri sbalorditivi — proseguono i giornalisti del Corriere della Sera nel loro libro, citando la relazione di Cassese — Il solo gabinetto di Gaetano Gifuni era composto da 63 persone. Il servizio Tenute e Giardini da 115, fra cui 29 giardinieri ( ) e 46 addetti a varie mansioni. Quanto ai famosi 15 craftsmen di Elisabetta II, artigiani vari impegnati nella manutenzione dei palazzi reali, al Quirinale erano allora 59 tra i quali 6 restauratrici al laboratorio degli arazzi, 30 operai, 6 tappezzieri, 2 orologiai, 3 ebanisti e 2 doratori”.
Alla fine, però, ci potrebbe essere una scheda di riserva.
Quella di Franco Gallo, l’attuale presidente della Corte Costituzionale, eletto a gennaio con 14 voti a favore e una scheda bianca (la sua).
Anche lui ha fatto il ministro nel governo Ciampi (aveva la delega alle Finanze). Anche lui è un “semplificatore”, ma nel campo fiscale.
Anche lui può “vantare” una carriera priva di qualsiasi incarico politico.
Di lui si parlò già per qualche ipotesi di governo istituzionale e di transizione per superare il momento di impasse.
Gallo ultimamente ha pronunciato parole nette sia sull’urgenza di una riforma della legge elettorale sia l’apertura ai diritti civili per le coppie omosessuali.
Ma questo potrà bastare?
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
“COMMOSSA MA SOPRAVVALUTATA”… SECONDO STRADA E TERZO RODOTA’… IGNOTO IL NUMERO DEI VOTANTI, SI PRESUME VICINO A QUELLI DI SANT’ILARIO DOVE ABITA GRILLO
Urne virtuali chiuse per le Quirinarie.
Vince la giornalista di Report Milena Gabanelli, giornalista di Report, seguita dal fondatore di Emergency Gino Strada e dal giurista Stefano Rodotà .
”Si è conclusa la verifica dei voti assegnati ai nove candidati per la Presidenza della Repubblica. Ringrazio chi ha votato”, ha scritto Beppe Grillo sul suo blog dove annuncia l’esito delle consultazioni, senza però svelare quanti siano stati i votanti, nè quante preferenze abbia preso ciascun candidato.
Si conosce solo il dato degli aventi diritto, 48.282, che, ribadisce Grillo, “dovevano essere iscritti al Movimento 5 Stelle al 31 dicembre 2012 con un documento di identità digitalizzato”.
Seguono Gustavo Zagrebelsky, Ferdinando Imposimato, Emma Bonino e Gian Carlo Caselli. Infine Romano Prodi e Dario Fo.
”Quando pensano che tu sia all’altezza di un compito così grande si può solo essere onorati, perchè è altamente gratificante”, ha commentato Gabanelli all’Ansa.
”In merito alla candidatura — ha puntualizzato — quando i proponenti mi chiederanno però risponderò. Ora posso dire che sono assolutamente commossa e anche sopravvalutata”.
E’ un premio alle sue battaglie? “Le battaglie le faccio nel campo di mia competenza, ovvero nel territorio che conosco”, ha risposto.
Nessun commento invece da Gino Strada.
“Lo apprendo adesso — ha detto — non ho commenti da fare, non sarebbe serio. Sto a guardare”, si è limitato a dire il medico impegnato negli aiuti alle popolazioni nelle aree in conflitto.
La vittoria della Gabanelli sulla pagina Facebook del leader 5 Stelle è stata accolta molto positivamente dagli utenti, soddisfatti anche della “sconfitta” online di Prodi, che già nei giorni scorsi era stato criticato perchè considerato papabile per il Colle. Anche Gianroberto Casaleggio, durante l’incontro con gli imprenditori a Torino, aveva dichiarato di preferire un nome super partes non legato al mondo della politica, ma aveva poi aggiunto che, se il Movimento lo avesse scelto allora lo avrebbero votato.
Per Paolo Becchi, docente di Filosofia del Diritto a Genova considerato l’ideologo del Movimento 5 Stelle, ”ha vinto il cuore e non la testa ma è un cuore grande quello del M5S”.
Un risultato per il quale Becchi dice di avere “pregato più di Santa Teresa D’Avila”.
Ora sarà felice di poter consegnare la Coppa del nonno alla giornalista di Report.
Si cali il sipario.
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
SULLA QUARTA VOTAZIONE EMERGE TRA I GRILLINI L’ESCAMOTAGE DELLA LIBERTA’ DI COSCIENZA..E IERI SERA VITO CRIMI HA AVUTO IL PERMESSO DI ANDARE A “PORTA A PORTA”, FINO AL GIORNO PRIMA CONSIDERATO UN REATO
Il buongiorno, per i Cinque Stelle, arriva di mattina tardi. 
Precisamente intorno a mezzogiorno quando il blog — salvo cambi di programma — dovrebbe pubblicare il nome del candidato del Movimento alla presidenza della Repubblica.
E l’andazzo di questo martedì pre-quirinalizio dipende molto dal profilo che gli attivisti del Movimento avranno disegnato. Gino Strada, Stefano Rodotà o Gustavo Zagrebelsky?
Con quale carta si presenteranno al tavolo del Pd?
La strategia degli eletti, nei giorni scorsi, era stata quella di provare a concentrare voti sui secondi due: giuristi di alto profilo, vicini al mondo di centrosinistra, buoni per tentare di costruire quel rapporto con i democratici che non si è mai avviato.
Eppure, dal ballottaggio che si è chiuso ieri sera alle 21, l’exploit di Strada non sorprenderebbe nessuno.
Il voto si è “disperso” tra Rodotà e Zagrebelsky (ieri, sul blog di Grillo Marco Travaglio ha spiegato che è l’unico a cui non ha trovato “controindicazioni”).
E poi tutti quelli che avevano scelto Beppe Grillo, da quando il capo si è ritirato — “ringrazio per la stima tutti coloro che hanno fatto il mio nome”, ha scritto — hanno sicuramente preferito il rivoluzionario chirurgo di Emergency ai due saggi esperti di diritto.
Così, il travaso da Grillo a Strada potrebbe complicare la strada per il Colle .
I Cinque Stelle sanno di trovarsi di fronte a uno dei momenti più difficili della loro breve vita parlamentare.
E sanno che stavolta non si può sbagliare.
A ricordarglielo c’è Gianroberto Casaleggio: il guru che non parla mai, ha deciso di pronunciarsi niente meno che a urne aperte: “Il Presidente della Repubblica deve essere super partes, possibilmente non politico, che rappresenti tutti gli italiani”.
Fa fuori in un colpo Prodi e Bonino, salvo precisare poi che “noi ci rimettiamo sempre alle decisioni del Movimento, per cui se il Movimento dovesse scegliere Prodi, voteremo lui…”.
Il vero nodo riguarda la quarta votazione.
Se vince Strada, addio dialogo con il Pd e addio pace interna.
Si è già visto ieri, quando la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi si è permessa di dire in conferenza stampa che i Cinque Stelle continueranno “a votare il nostro candidato anche se non avrà i voti sufficienti per l’elezione e non voteremo altri candidati”.
Deputati e senatori non l’hanno presa bene: “Si mette a parlare di cose di cui non abbiamo mai discusso, ma come le viene in mente?”.
In assemblea, ieri, la discussione (e l’ennesimo processo alla Lombardi) è cominciata. Ma non si è ancora arrivati ad un voto (probabilmente si farà oggi). Lo spauracchio è quello di un caso Grasso/bis.
“Speriamo di aver imparato dagli errori — spiegano a Montecitorio — Se si vuole libertà di coscienza, basta votarla”.
Tradotto, se l’assemblea si spacca, se una parte di parlamentari crede sia giusto votare uno come Prodi, l’unico modo per evitare di cadere nel tranello dei franchi tiratori è stabilire il “libera tutti”.
Non sarà facile far passare questa linea, decisamente poco nello spirito del Movimento. Eppure, la pressione della Rete sembrerebbe piuttosto relativa: tra una chiacchiera e l’altra, dalle bocche dei parlamentari esce un numero assai risibile.
Alle Quirinarie avrebbero votato circa in 20mila.
Bisognerà aspettare i dati certificati dalla Dnv, l’ente terzo a cui si è affidato Casaleggio, ma non è ancora chiaro se verrà mai diffuso il numero degli elettori nè tantomeno se verrà resa pubblica la classifica completa dei candidati.
Oggi, i capigruppo Cinque Stelle incontrano i presidenti degli eletti Pd, Luigi Zanda e Roberto Speranza.
I grillini hanno chiesto che venga trasmesso in diretta streaming.
Vito Crimi è convinto che il nome uscito dalle Quirinarie “potrà essere votato anche da tutti gli altri partiti”.
Lo ha spiegato ieri sera a Porta a Porta. Ebbene sì. Il capogruppo al Senato si è seduto sulle poltroncine bianche del salotto di Bruno Vespa.
Prevedendo le urla allo scandalo, Crimi ha spiegato le ragioni del “sacrilegio”: “Porta a Porta, oggi, ha invitato il senatore Mastrangeli , che i più ricorderanno per la sua partecipazione al programma di Barbara D’Urso, il quale ha accettato. I senatori portavoce del Movimento Cinque Stelle hanno ritenuto, in un momento così delicato per il Paese come quello che coincide con l’elezione del Presidente della Repubblica, che a parlare su un palcoscenico così seguito non dovesse essere chi diffonde informazioni parziali in rappresentanza solo di se stesso”.
Paolo Zanca
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
DURA UN’ORA L’INCONTRO TRA IL CAVALIERE E IL “DELFINO” RENZI
Un’ora di colloquio, palco numero 17, al primo loggione del teatro Regio di Parma.
È qui che il sindaco di Firenze Matteo Renzi e l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si sono incontrati.
Faccia a faccia, intenso e prolungato quanto almeno lo fu la celebre visita ad Arcore.
Niente di predefinito nell’agenda, il colloquio è stato voluto da entrambi, anche se fatto apparire come del tutto casuale, nella platea del teatro dove si celebravano i cento anni dalla nascita e i venti dalla morte di Pietro Barilla, l’uomo che ha fatto della pasta un marchio italiano.
Berlusconi è arrivato a Parma accolto da fischi.
Una volta dietro le quinte ha rotto il ghiaccio col sindaco di Firenze grazie a una di quelle che considera memorabili battute: “Ma tu Renzi, quanto sei alto?”, ha detto col volto ricoperto di mascara.
Nessuna risposta dal sindaco di Firenze, ma poi, come due vecchi amici, si sono appartati. Poco prima lo stesso Berlusconi aveva detto di non essere assolutamente preoccupato per la sfida lanciata da Renzi: “Sono abituato a vincere”.
Presidenza della Repubblica, il primo punto sull’agenda.
Ma con un inizio — l’epilogo è difficile prevederlo — molto distante: Renzi non ha mai nascosto le simpatie per Romano Prodi, l’uomo che da sempre annebbia i sogni di Berlusconi.
E sul tema degli incubi, proprio il leader del centro-destra, si è lanciato in un’improvvisazione di apertura anticipata della campagna elettorale: “Ero molto amico di Pietro Barilla e mi ricordo che nel 1993, pochi giorni dopo aver preso la decisione di scendere in campo, passeggiavamo nel giardino di casa sua. Io gli parlai del pericolo che in Italia vincesse un partito legato a un’ideologia che non mi lasciava dormire la notte. A quel punto lui mi disse che messe le mani in pasta me ne avrebbero fatte di tutti i colori. Me ne hanno fatte molte di più e me ne stanno facendo ancora adesso”.
Ha preso la parola dal pubblico Silvio Berlusconi, intervento non programmato.
Alla domanda dei giornalisti: “È cominciata ufficialmente la campagna elettorale?”, Berlusconi ha risposto con un sì ironico, prima di seguire la scorta nei cunicoli di camerini e loggioni, dove nei successivi minuti è avvenuto l’incontro con Renzi.
Che cosa si siano detti non è dato sapere.
All’uscita del loggione 17 pochissimi gli infiltrati tra guardie del corpo e forze dell’ordine in borghese.
A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo è arrivato Federico Pizzarotti, sindaco grillino e padrone di casa della città ducale.
Ha aspettato a lungo davanti alla porta chiusa, fino all’uscita dell’altro sindaco Matteo Renzi, che ha minimizzato l’accaduto.
Strette di mano, convenevoli e auguri.
E il sindaco di Firenze è passato all’attacco: “Allora cosa farai con questo inceneritore ?”. Bisbigli e imbarazzi su quello che è il punto cardine della gestione a 5 Stelle, promesse e divieti mai rispettati.
“Mi spiace per la questione di quell’assessore del Movimento in Veneto cacciato dalla giunta, cos’è successo?”. Ordinaria amministrazione, problemi montati dalla stampa, ha fatto eco il primo cittadino di Parma.
Dietro la porta Berlusconi aspettava il via libera per uscire e lasciare il luogo del incontro.
“Che cosa vi siete detti?”, ha incalzato qualcuno.
Renzi fa scena muta sugli argomenti del colloquio, e del resto Pizzarotti non chiede nulla.
Nel frattempo al Teatro Regio di Parma è sfilata mezza seconda Repubblica, uno per tutti Fedele Confalonieri, anche lui molto legato alla famiglia Barilla. Luca Cordero di Montezemolo è arrivato da solo in Ferrari.
Al Fatto Quotidiano ha parlato della figura di Barilla, ma soprattutto del momento politico: “Sono molto preoccupato”.
Intanto Silvio Berlusconi ha fissato una riunione, come ha confermato al Tg1: “Ci vedremo domani, abbiamo già previsto un ufficio di presidenza la mattina e la riunione dei gruppi congiunti il pomeriggio.
In quella sede prenderemo la decisione”, in riferimento all’elezione del presidente della Repubblica.
“Per quanto riguarda il nostro movimento c’è la volontà di essere disponibili a quel che il Pd ci propone”, ha concluso Berlusconi.
Emiliano Liuzzi
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Aprile 16th, 2013 Riccardo Fucile
IL GURU AGLI IMPRENDITORI: “NON CHIEDETECI MIRACOLI”
Alla fine, quando proprio tutti hanno portato al microfono le storie della dura vita del piccolo
imprenditore, Gianroberto Casaleggio deve alzare le braccia: «Anche io ho la mia piccola azienda. Sono uno di voi. Solo che da un po’ di tempo non ho vita privata e ho finito per giocarmi anche la reputazione a causa delle falsità scritte dai giornali su di me. Capisco le vostre richieste: gli apicoltori e i piccoli produttori distrutti dai supermercati. Siamo sulla vostra stessa lunghezza d’onda. Ma, per favore, non chiedeteci i miracoli: non abbiamo poteri soprannaturali».
Mentre fuori dalla sala impazza il toto-Presidente, nell’incontro con gli industriali alla Galleria d’arte Moderna di Torino, Casaleggio affronta l’argomento solo indirettamente.
Giacca, cravatta e capelli sciolti, del Colle parla solo per dire che costa troppo.
Messi fuori i giornalisti dalla sala, Casaleggio spiega che «dovremo tagliare».
Sotto la scure finiscono le spese del Colle perchè «l’Eliseo costa tre volte il Quirinale e non si può certo dire che i francesi non ci tengano al loro presidente».
Nonostante la grandeur, il Colle ha costi fuori mercato.
Non sono gli unici da segare via. «Voi sapete quante sono le auto blu?». Gli imprenditori in sala (147 per la precisione, più quattro cronisti infiltrati)) tacciono. Casaleggio spiega: «Sono 7 mila. Ma non sono l’unico costo da tagliare».
Il vero spreco si annida infatti «nelle 59 mila auto grigie. Chi sa che cosa sono le auto grigie?». Si alzano cinque mani.
«Le auto grigie sono quelle senza autista. Un costo che si può eliminare. Si risparmiano così 800 milioni. Dal calcolo abbiamo tolto le auto delle forze dell’ordine”
Ma nel calcolo sono comprese le auto dei messi comunali e delle guardie mediche? Non si sa.
Perchè la scure? Certamente per eliminare gli sprechi: «A parità di dimensione, la spesa pubblica italiana è superiore di 20 miliardi a quella degli altri paesi europei ». Venti miliardi.
Non una cifra casuale: «Sapete qual è il gettito complessivo dell’Irap? Esattamente venti miliardi».
Ergo, spiega Casaleggio, niente sprechi, niente Irap.
Naturalmente per raggiungere l’obiettivo non basta rottamare le auto blu e grigie: «Bisogna anche abolire i Comuni sotto i 5.000 abitanti e le Provincie». Applausi.
Fino a quando il signor Flavio Bonifacio, «titolare di una piccola azienda nel campo della ricerca» va al microfono e chiede: «Nei Comuni e nelle Provincie c’è gente che lavora. Se abolite quegli enti, che fine fanno i dipendenti? Io vi ho votati alle ultime elezioni. Ma adesso quei voti vi chiederei di usarli».
«Ecco sì», incalza un altro dalla platea: «Perchè non fate sapere alla gente quel che state facendo? Oggi tutti pensano che lo stallo della politica sia colpa vostra».
Casaleggio ha il suo bel da fare a rispondere a questi interrogativi: «Lo Stato mantiene 19 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti della Pubblica amministrazione.
In tutto, 23 milioni di persone. Fino a quando saremo in grado di garantirli?».
Ecco dunque la proposta di «tagliare le pensioni al di sopra dei 5.000 euro lordi mensili».
Quanto allo stallo della politica, l’unica ricetta è «far funzionare da subito le commissioni parlamentari».
Altrimenti, «se aspetta il nuovo governo, il Parlamento potrà cominciare a lavorare solo a settembre».
Perchè tenere fuori i giornalisti dalla sala? Perchè non comunicare attraverso tv e giornali?
«Perchè le 7 tv principali sono in mano ai partiti. E i tre giornali principali sono della Fiat, delle banche o vicini al Pd».
Per questo, spiega Arturo Artom che con il nework Confapri organizza la manifestazione, «l’incontro di oggi è a porte chiuse. Perchè magari ci sono argomenti che non volete discutere alla presenza dei giornalisti che sono oltre quella porta».
Riservatezza imprenditoriale. E si capisce.
Altrimenti chissà che cosa succederebbe se i giornali potessero assistere alle invettive della signora che dalla platea incalza Casaleggio: «Perchè non ci portate a Roma con voi? Veniamo a darvi una mano. La polizia non ci fa entrare in Parlamento? Ma noi veniamo lo stesso e li prendiamo tutti a sassate…naturalmente in senso metaforico. Io sono per la non violenza. Sassate metaforiche per evitare che noi commercianti moriamo di tasse ».
Paolo Griseri
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