DEMOCRATICI IN FRANTUMI: NON C’E’ UN NOME COMUNE NEMMENO NEL PARTITO
BINDI: “GIA’ SAREBBE TANTO TROVARE UNA FIGURA CONDIVISA TRA NOI”
I bersaniani, i mariniani, i dalemiani, i fioroniani, i prodiani, i renziani, i «giovani turchi», gli ulivisti, i lettiani, i veltroniani, i bindiani, i franceschiniani…
E non è detto che l’elenco sia completo, perchè il partito che nacque da due partiti per fonderli in uno, è omai null’altro che un’affollata e confusa somma di tribù, guidate da capi rancorosi, assetati di rivincita e in guerra tra loro.
È il peggiore dei declini: e va in scena nel momento peggiore.
Tanto che, dopo che l’aveva già fatto Franceschini, stavolta tocca al vicesegretario – a Enrico Letta – dire «c’è un rischio di spaccatura del partito… io sono preoccupato, non possiamo spaccarci in questo momento».
In questo momento no, ma dopo si potrà : e forse si dovrà .
Ed è un dopo che non potrà esser comunque spostato troppo in là , a giudicare dalla micidiale giornata di ieri, filata via tra accuse e offese senza precedenti.
Del resto, la brace ardeva sotto la cenere fin dalle durissime primarie combattute nell’autunno scorso tra Bersani e Renzi: poi, le elezioni andate male, le tensioni nel partito e la necessità di formare un governo e rinnovare contemporaneamente tutte le più alte cariche dello Stato, hanno letteralmente trasformato il Pd in un vulcano. Giovani contro vecchi, laici contro cattolici (e da ieri anche cattolici contro cattolici…), ex diessini contro ex popolari, liberal contro radicali…
È un durissimo tutti contro tutti, con un continuo giro di mosse di interdizione per stoppare l’avversario interno che hanno prodotto un risultato certo (la paralisi del partito e dell’intero quadro politico) ed uno imminente: l’addio, perfino, alla possibilità di eleggere da soli un «presidente di parte».
L’aria è pessima praticamente su ogni fronte.
Ieri, per esempio, Franco Marini e Anna Finocchiaro hanno duramente risposto a Renzi (che li aveva giudicati inadeguati come candidati al Quirinale) nascondendo però a fatica la rabbia per il mancato intervento di Bersani: «Un segretario che non ha mai difeso nessuno dagli attacchi di Renzi accusava uno dei più stretti collaboratori della Finocchiaro -. Uno che da due mesi pensa soltanto al suo governo, mandando alla malora il partito e tutto il resto»
E le cose non migliorano per nulla se ci si sposta sul fronte-Quirinale.
Non a caso, uno dei primi «bersagli» del sindaco di Firenze – e cioè Rosy Bindi, Presidente dell’Assemblea nazionale del Pd va ripetendo da giorni ai compagni di partito un suggerimento che ancora fino a ieri pochi intendevano: «Cominciamo con l’individuare un nome che sia condiviso almeno da noi, all’interno del Pd. Già questo, vista l’aria che tira, sarebbe da considerare un successo… ».
D’altra parte, la «pasionaria» al tempo del rinnovamento della Dc sa bene cosa voglia dire la paralisi e la spaccatura del partito di maggioranza relativa, e che effetti possa produrre quando c’è da eleggere un Capo dello Stato.
Primavera 1992, lei era europarlamentare e in Italia bisognava eleggere il successore di Francesco Cossiga: Forlani e Andreotti si contrastarono per settimane, col risultato che il nuovo Presidente (Oscar Luigi Scalfaro) fu eletto il 25 maggio alla sedicesima votazione.
E forse il braccio di ferro sarebbe andato avanti chissà quanto, se non ci fosse stato il terribile attentato di Capaci (23 maggio).
Quella situazione – cioè quelle divisioni – rischiano di riproporsi oggi in maniera perfino più paralizzante, considerata la varietà (e la rigidità ) delle posizioni in campo nel Pd.
Ci sono i giovani che non vogliono un presidente sul profilo Amato-D’Alema-Marini perchè «occorre dare un segno di cambiamento»; ci sono i renziani – e naturalmente non solo – che puntano su Prodi, convinti che con quel nome «si torna alle elezioni in autunno»; ci sono i cattolici che vogliono un cattolico al Quirinale, ma poi si dividono su chi (Marini? Prodi?) ; e infine i bersaniani, che guardano con un occhio al Quirinale e con l’altro a Palazzo Chigi, sperando possa essere conquistato dal proprio leader: aggiungendo, così facendo, confusione a confusione.
In questo lunedì di fine aprile, il pessimismo su un’intesa per il Quirinale e sul futuro del Pd sembra dunque più che giustificato, anche se nei corridoi si sussurra di incontri risolutori e patti già stretti.
Gli incontri ci sono, naturalmente: solo che da una settimana quel che viene costruito nel primo viene poi demolito nel secondo…
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
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