Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
TRAMONTATA LA VARIABILE RENZI, NAPOLITANO VORREBBE UNA PERSONALITA’ CHE DIA UNA IMMAGINE DI AFFIDABILITA’ ALL’ESTERO, MA SUL NOME DI AMATO SONO MOLTI I MALPANCISTI
Ancora qualche ora e l’Italia avrà un governo, a 56 giorni dal voto: domani mattina infatti il
presidente Napolitano potrebbe affidare l’incarico a Giuliano Amato o, in subordine, a Enrico Letta.
Dove i due nomi non sono intercambiabili ma indicano due governi con profili diversi e probabilmente due maggioranze parlamentari diverse, visto il «niet» della Lega Nord al Dottor Sottile.
Oggi durante le consultazione del presidente Giorgio Napolitano, sono emerse le posizioni note dei partiti.
Dal Pdl è giunta la richiesta di un governo «forte e duraturo» con un accordo politico tra i partiti che lo sostengono e un sì ad Amato; sulla stessa onda Scelta Civica, mentre Sel e Lega si sono chiamati fuori, annunciando di voler stare all’opposizione.
Così come il Movimento Cinque Stelle.
Una cosa che preoccupa Pd e Pdl che temono di ripetere lo schema del governo Monti, con le due rispettive estreme che cavalcano l’opposizione sociale.
In tal senso non è chiaro se il «no» della Lega a Amato sia una scusa per tenersi fuori dal governo o è il motivo reale di tale scelta.
Complicata la posizione del Pd, la cui Direzione ha approvato a stragrande maggioranza il sì ad appoggiare il governo del Presidente, con propri uomini nella compagine governativa.
Ma le quasi due ore di permanenza al Quirinale della delegazione, guidata da Enrico Letta e non dal dimissionario Pier Luigi Bersani, indica che il partito con più voti in Parlamento ha seri problemi.
Il primo di essi è che i gruppi parlamentari non rispecchiano la Direzione del partito, come si è visto la scorsa settimana, e c’è quindi un margine di incertezza su eventuali defaillance al momento di votare la fiducia o anche nei mesi successivi.
La richiesta fatta a Napolitano è che il profilo del governo non dia l’immagine dell’«inciucio» di basso profilo, e abbia un certo tasso di discontinuità .
Il presidente Napolitano parrebbe optare per personalità consolidate che all’estero diano una immagine di affidabilità , magari a scapito dell’innovazione.
Per questo il nome di Giuliano Amato, tra i partiti, risulta il più gettonato, specie se affiancato da altre personalità politiche di esperienza nei dicasteri chiave, e cioè Esteri, Tesoro, Difesa.
Ma il Pd, pur lasciando mano libera al Capo dello Stato, ha sottolineato all’inquilino del Quirinale l’indigeribilità di Amato per molti dei propri deputati.
Per questo Napolitano non può scartare a priori l’ipotesi di una guida dell’esecutivo di Enrico Letta.
Ed anche per questo motivo si è preso qualche ora in più di riflessione.
Per le altre caselle si parla di Fabrizio Saccomanni al Tesoro, di Mario Monti agli Esteri.
Qui potrebbe essere chiamato Massimo D’Alema così come alla Difesa, mentre è plausibile la conferma di Anna Maria Cancellieri all’Interno.
La sua collega Paola Severino vuole invece lasciare la Giustizia e a via Arenula potrebbe approdare Niccolò Zanon.
Infine c’è il tema dei vice premier con Enrico Letta (nel caso dovesse prevalere alla fine Amato al comando), Mario Mauro e Angelino Alfano in pole position, ma con qualche mal di pancia del Pd a vedere il proprio numero due a fianco di quello del Pdl.
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DECORRENZA IMMEDIATA PER STIPENDI E PENSIONI SOTTO I 5.000 EURO
Pignorare il conto corrente su cui si accredita lo stipendio o la pensione non sarà più possibile.
Soltanto però se la busta paga o l’assegno non supera i 5 mila euro netti al mese. Equitalia tampona così, con una “nota interna” diffusa ieri, una falla normativa che negli ultimi mesi aveva provocato un effetto paradossale.
L’ente poteva riscuotere il suo credito attingendo nei conti bancari o postali dei contribuenti morosi con lo Stato, anche prosciugandoli se necessario, senza distinguere tra risparmi ed entrate mensili, talora indispensabili per la sopravvivenza. Laddove però per stipendi e pensioni la legge prevede limiti rigorosi di prelievo, al massimo un quinto, che così venivano di fatto aggirati.
Un vero e proprio pasticcio.
Equitalia non lo farà più, «con decorrenza immediata ».
Ma si rivolgerà a datori di lavoro e Inps.
E solo per i redditi alti, correrà in banca o alla posta
I casi finora denunciati da contribuenti beffati sono in realtà appena un paio, tra l’altro già risolti.
Fino ad oggi, in effetti, il cittadino poteva “fermare” Equitalia dimostrando che sul conto veniva accreditato solo lo stipendio (o la pensione), necessari per vivere.
E a quel punto la quota pignorabile scendeva.
Una procedura lenta, però, che di sicuro non favoriva i meno abili a districarsi nelle faccende di fisco e cartelle.
Per questo, Equitalia è intervenuta, «facendosi carico di un vuoto normativo ».
Per «evitare futuri casi» e per «tutelare le fasce più deboli che soffrono la crisi e hanno stipendi e pensioni basse».
Nella consapevolezza, come ha ripetuto anche il presidente Attilio Befera qualche giorno fa, che «il problema esiste e serve una regola». Regola che solo governo e Parlamento possono mettere a punto
Il «corto circuito normativo», come lo chiamano a Equitalia, si è creato con il Salva-Italia del dicembre 2011.
La prima legge del governo Monti ha reso obbligatorio l’accreditamento su conto corrente di stipendi e pensioni superiori ai mille euro.
Da allora quindi, anche le fasce basse di reddito, in caso di debiti verso lo Stato non pagati e poi pretesi da Equitalia, rischiano lo svuotamento del conto.
La legge difatti non dice a Equitalia in quale ordine di priorità procedere nel caso di pignoramento (tra immobili, mobili e crediti). E certo, sebbene lo faccia solo per debiti ingenti, la preferenza va ai denari liquidi depositati in banca o alle poste.
Da ieri, un ordine c’è.
Equitalia si rivolgerà «in prima battuta» al datore di lavoro o all’ente pensionistico e procederà al pignoramento “per gradi”, come stabilito dal Semplifica-Italia, la legge di un anno fa: un decimo trattenuto su redditi sotto i 2.500 euro (netti) mensili, un settimo tra 2.500 e 5.000 euro, un quinto sopra i 5mila (prima di questa legge era un quinto per tutti, senza soglie).
Nel caso in cui il contribuente in rosso col Fisco sia nella fascia sopra i 5mila, Equitalia può scegliere: la trattenuta mensile di un quinto o andare sul conto corrente ed estinguere il debito.
Ma solo dopo aver verificato che quel cittadino ha redditi alti e non di default come avviene adesso, senza distinzioni tra chi vive solo di stipendio o pensione, appena sufficienti a tirare avanti, e chi invece gode di un discreto gruzzolo con cui ripagare, com’è giusto che sia, il debito con lo Stato.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
BOCCIATI I LORO EMENDAMENTI AL BILANCIO REGIONALE, ORA DENUNCIANO L’INCIUCIO PDL-PD
Addio al “modello Sicilia”, tanto decantato da Beppe Grillo. 
È rottura totale tra i quindici deputati del Movimento cinque stelle e il Governatore siciliano Rosario Crocetta.
Ad annunciare la svolta è stato uno dei deputati grillini, Salvatore Siragusa, tra i più attivi parlamentari di Palazzo dei Normanni che spiega: «Non parliamo di rottura perchè in realtà non siamo mai stati legati a Crocetta, ma certamente abbiamo constatato che più che il “modello Sicilia” a Crocetta piace il “modello Pd-Pdl”, insomma il modello dell’inciucio».
A scatenare la rabbia dei grillini è stata soprattutto la fotografia scattata a Montecitorio tra il Presidente Rosario Crocetta e il leader del Pdl, Silvio Berlusconi.
«Effettivamente – dice Siragusa – quella foto ci ha colpiti. È solo la conferma di ciò che pensavamo. Noi, comunque, continueremo a fare quello che facevamo prima, cioè approviamo solo quei provvedimenti che ci convincono. E basta».
La rottura tra i grillini e il Governo Crocetta si è consumata piano piano, a partire dalla notte in cui è stata approvata la legge per la doppia preferenza di genere, quando il Movimento cinque stelle ha votato contro il disegno di legge portato in aula dal Presidente della Regione.
Il ddl è stato poi votato da Pd e Pdl ma non dai grillini, secondo cui con la doppia preferenza di genere c’era il rischio di «inquinamento del voto».
Poi, oggi Crocetta incontrando i giovani democratici ha detto di provare «disprezzo» quando sente parlare «di golpe da Grillo».
Stasera la rottura totale.
(da “La Stampa“)
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
ANCHE GIORGIA MELONI APRE A UNA COLLABORAZIONE CON RENZI: “LA NOSTRA E’ UNA GENERAZIONE POST-IDEOLOGICA”…”RENZI DICE COSE INTERESSANTI”: QUALI NON CI E’ DATO SAPERLO
Se Matteo Renzi diventasse premier – come viene sempre più insistentemente ipotizzato -, una collaborazione quantomeno «anomala» potrebbe essergli garantita anche da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e già alla guida dei giovani di An e del Pdl.
È stata lei stessa, ministro del governo Berlusconi, a spiegarlo ai microfoni di Pierluigi Diaco a «Onorevole Dj», su Rtl102.5.
«Se fosse eletto come esponente di una maggioranza di centro-sinistra presumibilmente non parteciperei al suo governo, perchè io sono una persona di centro-destra – precisa l’esponente ex An – ma questo non vuol dire ciò che abbiamo visto fino ad oggi in politica. Secondo me quello che può fare di diverso una nuova generazione è anche saper dialogare in un altro modo. Non siamo più la generazione ideologica o post ideologica del “ti devo odiare se la pensi in maniera diversa da me perchè sei un mostro”, noi possiamo essere quella generazione che, pur rappresentando visioni diverse del mondo, poi cerca comunque un terreno sul quale mettere gli interessi del popolo italiano prima del bisogno di dividersi per lucrare consenso».
E ancora: «Non potrei mai andare al governo con lui, ma potrei fare un patto generazionale con lui».
«SCELTA CORAGGIOSA»
Nell’intervista, andata in onda in mattinata, Giorgia Meloni sottolinea che «proporre Renzi premier sarebbe una scelta molto coraggiosa per la direzione del Pd, perchè sappiamo che Matteo Renzi all’interno del Pd è molto amato ma anche abbastanza osteggiato per il suo coraggio, perchè è una persona abituata a dire quello che pensa. Sicuramente sarebbe un bel segnale da parte del centro-sinistra raccogliere quella domanda di rinnovamento, di ricambio, che arriva dagli italiani e che la politica stenta a raccogliere”.
«DIMOSTRIAMO DI ESSERE MIGLIORI»
«Io credo che noi siamo in un tempo nel quale la nostra generazione deve dimostrare che è meglio delle precedenti – dice ancora l’ex ministro -. Può essere migliore delle precedenti nella sua capacità di parlare, di dialogare, di trovare un terreno comune di soluzioni ai problemi su cui la gente si aspetta un impegno comune. Noi non abbiamo il problema che hanno avuto le passate generazioni che, se stavi dall’altra parte della barricata, dovevi essere un mostro. Per me Matteo Renzi non è un mostro: è una persona che dice cose interessanti che, in alcuni casi condivido, in altri no. Ma su alcune cose che dice Renzi sono pronta a collaborare».
Il commento del nostro direttore
Un caro amico, commentando tempo fa un intervento pubblico di un notabile di partito, un giorno mi disse: “Non ha detto nulla, ma l’ha detto bene”.
L’eloquio facile è una dote che in politica ha sempre pagato, come quello di cambiare discorso a secondo della platea che ti trovi davanti: dichiararsi liberisti di fronte agli imprenditori, per lo Stato sociale di fronte agli operai, sensibili alla terza età dinanzi ai pensionati, rockettari se parli ai giovani.
Chi la chiama “diversificazione programmatica”, chi presa per fondelli, ma il prodotto non cambia: sempre un Matteo Renzi ti ritrovi davanti.
Che si faccia ritrarre in bici o con la De Filippi, ammiccante o con la bocca aperta da ebete, scattante o sornione, versione sindaco o premier, rimane sempre un omogeneizzato scremato: nato dal nulla e che rappresenta il nulla ( e pure pessimo amministratore, vista la condanna della Corte dei Conti).
Apparterrà anche alla “generazione post-ideologica” come ricorda (e nella quale si identifica) la Meloni, ma non è necessaria tale nobilitazione di termini per definire quelli che una volta si chiamavano semplicementi “fighetti”.
Renzi viene dai giovani Dc, è entrato per caso nel Pd (causa fusione coi popolari), è stato eletto per caso sindaco di Firenze (scelta di ripiego dopo solite lite tra maggiorenti) e ha una caratteristica che ha ben ricordato Marini: ha un’ambizione sfrenata.
Ha cavalcato meglio della Meloni il tema “rottamazione” e “ricambio generazionale”, ha curato solo la sua immagine di “piacione” rincorrendo ogni telecamera, ha sparato a zero sulla “croce rossa” cui le correnti hanno ridotto il Pd, adottando in parte i metodi di comunicazione del leader del Pdl.
Ma almeno Berlusconi qualche proposta concreta (giusta o sbagliata che sia) ogni tanto la fa, Renzi è lo Zanichelli della banalità , del vuoto a rendere, dei luoghi comuni.
Al netto della bandiera del “fatevi da parte, io sono giovane”, non c’è un concetto o una sua proposta che gli italiani abbiano memorizzato, solo riciclaggio di concetti altrui e spesso poco di sinistra.
Non credo sia rilevante che uno “dica quello che pensa” (come cita la Meloni) se quello che dice sono cazzate.
Tanto che la stessa Meloni non ricorda quali idee di Renzi sarebbero “interessanti”.
Forse la “sorella d’Italia” dovrebbe più pensare a “innovare” all’interno del suo gruppo d’appoggio a Silvio: capisco che sia passata (come da tempo anche per Alemanno) la fase della “destra identitaria” dei convegni estivi, ma una destra moderna forse dovrebbe cercare di non affettare mortadelle in piazza Montecitorio o fare da ruota (sgonfia) di scorta altrui.
Mai sentito parlare di visione del mondo e di idee da contrapporre al vuoto pneumatico della sinistra?
O preferiamo “giovani per età anagrafica” ma senza idee a “cervelli pensanti senza confini generazionali”?
Che una destra si riduca a coccolare un bamboccione non è un destino: è solo ammettere la propria sconfitta.
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
VE LO IMMAGINATE RENZI CON OBAMA?… MISTER EGO PRONTO A SFILARE IN PASSERELLA: VENDERE FUMO E’ IL SUO MESTIERE
Piero Grasso si allontana senza alcuna dichiarazione. E così anche Laura Boldrini. Aperte le
consultazioni al Colle.
Il giorno le bacchettate di Napolitano alla classe politica italiana comincia la strada per il nuovo governo.
Il capo dello Stato non vuole far trascorrere altro tempo senza arrivare ad una conclusione.
Consultazioni lampo che serviranno sostanzialmente ad avallare la nascita di un governo.
L’incarico secondo Pino Pisicchio, gruppo misto: «Verrà dato tra pochissime ore».
GLI INCONTRI
Il primo faccia a faccia è stato, come da prassi, con i presidenti di Senato e Camera. Entrambi non si sono fermati a parlare con i giornalisti.
Poi sono saliti al Quirinale i rappresentanti delle diverse forze politiche, partendo dai gruppi misti e dalle autonomie.
No a un governo di larghe intese.
Stesse posizioni di Fratelli d’Italia. Stessa scia per Sel.
Nichi Vendola: «Se sarà governissimo per noi sarà il tempo dell’opposizione». No a «qualsiasi esecutivo abbia un blocco berlusconiano al suo interno. Nessuna novità nemmeno con Matteo Renzi potrà farci accettare il Pdl al governo».
I PARTITI
Nel pomeriggio toccherà alle forze politiche tradizionali a partire dalle 16.30 quando al Colle saliranno i capigruppo della Lega al Senato e alla Camera.
Dopo il Carroccio sarà la volta dei capigruppo di Scelta civica, quindi, se decideranno per il sì, a colloquio con Napolitano ci saranno i capigruppo del Movimento 5 stelle. Solo verso sera, dalle 18, saranno ricevuti al Colle i rappresentanti del Pdl e del Pd. Quest’ultimo dovrà decidere in direzione chi inviare al confronto con il presidente, essendo l’intera segreteria dimissionaria.
E se Renzi prende le distanze: «Mai segretario di questo Pd», Orfini lo candida a premier. Gli fa eco Roberto Speranza: «Non c’è alcun veto».
Resta aperta l’ipotesi di un esecutivo guidato dal pd Enrico Letta.
Intanto i democratici, nel pomeriggio dovranno decidere che linea appoggiare: se un governo del presidente oppure un esecutivo guidato dai «big».
Un’opzione che sembra piacere al Pdl che vorrebbe nomi di peso del partito.
E non disdegna nemmeno il sindaco di Firenze.
Per Sandro Bondi un incarico a Renzi «sarebbe un vero segno di cambiamento». Ancora incerta la posizione di M5S, secondo l’agenda l’incontro con il capo dello Stato sarebbe alle 17.30, ma Vito Crimi e Roberta Lombardi potrebbero decidere di non andare.
I TEMPI
In ogni caso, l’intenzione di Napolitano è di accelerare i tempi, considerando che incontri analoghi si sono già svolti pochi giorni fa e che la linea guida su cui dovrebbe nascere il nuovo esecutivo è quella tracciata dal lavoro dei dieci «saggi» che hanno stilato un programma di possibili riforme istituzionali e di interventi rapidi sul fronte dell’economia.
Intanto Giuliano Amato, in pole come prossimo presidente del Consiglio, fa sapere di non aver ricevuto nessuna telefonata da Napolitano.
E su un possibile prelievo forzoso sui conti correnti, come avvenne nel ’92, scherza con un giornalista: «Lei quanti soldi ha in banca?».
Per poi fare marcia indietro: «Non ci sarà alcun prelievo forzoso».
Intanto la Lega ribadisce il proprio «No» ad Amato.
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DEL POPOLO DEI “CITTADINI” DICE SI’ ALL’ESPULSIONE DI MASTRANGELI, ORA IL WEB DECIDERA’ LE MODALITA’ DI ESECUZIONE DELLA CONDANNA
Il processo comincia alle sette di sera.
Dopo aver compilato una nota per dire che il Movimento «non prende lezioni» da Giorgio Napolitano, i parlamentari 5 stelle — riuniti insieme alla Camera — passano al primo punto all’ordine del giorno: la proposta di espulsione del senatore Marino Mastrangeli, colpevole di essere andato troppo in tivù.
La richiesta passa con 62 sì, 25 no e 3 astenuti.
Non ci sono tutti, i grillini.
Non tutti pensano sia un evento degno di nota (dopo l’insediamento del presidente della Repubblica, la sconfitta alle regionali del Friuli, la fallita chiamata a Roma del popolo contro il «golpetto istituzionale»).
Quelli che ci sono, però, sono tutti contro di lui.
Anche chi lo difende, Mastrangeli, lo fa «perchè altrimenti otterrà quello che vuole: un posticino comodo al gruppo misto, lo stipendio da parlamentare e la medaglia di vittima del Movimento». Poliziotto congedato per motivi di salute, eletto a Frosinone, il senatore ha passato i giorni dell’elezione del capo dello Stato a cercare di farsi intervistare.
Da agenzie, televisioni, radio.
Per dire tutto il suo sdegno contro Vito Crimi, che gli ha rubato un’apparizione a Porta a Porta («Avevo registrato un’intervista bellissima, lui invece si è anche seduto sulla poltroncina di Vespa. Proporrò di espellerlo»).
Per ripetere che nel regolamento non c’è scritto da nessuna parte che non si possono fare interviste a titolo personale («L’ho fatto scrivere perfino nei sottopancia, che parlo per me»). Per ricordare che bisogna solo «evitare», di andare ai talk show («Non ho mai accettato contraddittori»).
Queste cose le ripete anche al “processo”.
Vestito scuro, cravatta gialla, è seduto al tavolo del moderatore accanto alla senatrice Elisa Bulgarelli, un’emiliana bionda e bonaria che deve riprenderlo più volte.
Perchè parla, si dibatte, risponde, attacca.
Marino è solo contro tutti: «Sono come Bruce Lee, ne atterro cinquanta alla volta, ma essere processato per il gravissimo delitto di intervista giornalistica mi sembra una farsa».
L’“accusa” è rappresentata dal capogruppo al Senato.
«Non lavora, non viene alle riunioni. La seconda volta che è andato da Barbara D’Urso a Pomeriggio 5- racconta Crimi — l’abbiamo scoperto da un tweet che lo mostrava sullo schermo. Eppure digli avevamo detto di avvertirci».
E Roberta Lombardi: «L’altro giorno è venuto come tuo collaboratore un avvocato romano sedicente attivista che mi ha querelato per percosse, ingiurie e intimidazioni a gennaio. Agirò in sede legale».
Di Battista: «Non sei da Movimento, quando si tratta di dare tutto tu non dai niente. Quando dovevamo placare la folla eri in giro per le tv».
Walter Rizzetto prende la parola: «Non diamogli quello che vuole. Questo streaming lo sta rendendo un eroe».
Gli unici un po’ più comprensivi sono i romani Stefano Vignaroli, che la tv la faceva da tecnico («Spero che l’entusiasmo dei talk show verso di lui vada scemando e inizi a fare il parlamentare»), e Adriano Zaccagnini («Il gruppo dovrebbe abbracciarlo e gestirlo diversamente. Gli chiedo un’autocritica, ma se lui diventa il capro espiatorio si apre la gogna mediatica»).
Paola Taverna: «Ha bisogno di restare nel Movimento per imparare cos’è il Movimento».
E il sardo Roberto Cotti: «L’espulsione è una scemenza. Può fare più danni fuori che dentro». Giulia Grillo si arrabbia: «Io ti avevo chiesto di stare una settimana senza tv e tu sprezzante mi hai risposto che te ne saresti fregato».
Lui prova a interrompere, lei se la prende: «Vedete quant’è democratico? Viene fuori il vero carattere, prendi in giro fino a un certo punto».
Siparietto con Alberto Airola (operatore tv di Torino): «Sai benissimo cosa pensiamo della televisione». «Tu lo pensi». «In vent’anni di tv ho visto cadere i migliori retori. Perchè non sei andato alla Cosa se volevi parlare?». «Non mi avete invitato, ci vado domani», prova lui.
Ma è tardi. I toni si alzano.
Sulla bagarre, lo streaming stranamente si interrompe.
Il voto affossa Mastrangeli e grazia Crimi (per una sorta di par condicio si è votata anche la sua espulsione).
Ora c’è l’“appello”, il voto degli iscritti al portale.
Che però, a giudicare dai commenti sul blog, non cambierà le cose.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA REGIONE PASSA AL CENTROSINISTRA, SCONFITTO TONDO
Una battaglia all’ultimo voto doveva essere e una battaglia all’ultimo voto è stata. 
I sondaggi, che prevedevano un testa a testa serrato, sono stati confermati.
Alla fine a spuntarla è Debora Serracchiani, nuova governatrice del Friuli Venezia Giulia.
L’europarlamentare del Pd si è imposta con meno di duemila voti di vantaggio sul presidente uscente Renzo Tondo, che capeggiava la coalizione di centrodestra, allargata all’Udc.
Il primo test dopo il voto di febbraio, insomma, fa emergere, almeno in Friuli, un orizzonte di rilancio per i democratici e mostra le crepe di un centrodestra che si è lasciato sfuggire la vittoria.
Tondo è stato tradito dal voto disgiunto: le liste che lo sostenevano hanno ottenuto oltre il 43%, lui ha sfiorato il 39%.
Ad affossare l’ex presidente anche un altro ex, l’ex assessore comunale triestino del Pdl Franco Bandelli che, schierato a capo della lista «Un’altra regione», ha strappato il 2,4% dei consensi. Una guerra interna al centrodestra che ha diviso le forze e penalizzato la corsa di Tondo.
Voti decisivi, così come decisivo è stato l’astensionismo, con una percentuale di votanti del 50,5%, in netto calo rispetto a cinque anni fa (72,3%, ma allora si votò anche alle Politiche). Undici mila invece i voti nulli.
Il leghista Luca Zaia, che governa il Veneto, commenta: «È un risultato che ci deve far riflettere, perchè il primo partito è quello degli astensionisti».
Ma il dato politico della giornata, oltre al trionfo del Pd, è senza dubbio la sconfitta dei Cinque Stelle, che escono dalle urne dimezzati rispetto alle Politiche: primo partito in Regione a febbraio alla Camera con il 27,7%, il Movimento ieri ha raggranellato il 13,8% dei voti, con il candidato governatore, Saverio Galluccio, più brillante (oltre il 19,2%).
«Quello che è successo a Roma, e come è stato raccontato dai media, ha avuto un’influenza, ma più che sul risultato del movimento ha pesato sull’astensionismo – spiega Galluccio –. Siamo stati presentati come i responsabili dell’impasse politica».
Come l’ha presa Beppe Grillo?
Alle 19.30 il candidato Cinque Stelle diceva di non averlo sentito: «Sta dormendo», affaticato dal tour in camper.
Il Pd festeggia. A Udine uno striscione dice: «Nè Renzi nè Bersani, ma solo Serracchiani».
I democratici, dopo che le divisioni sul voto per eleggere il capo dello Stato hanno travolto i vertici del partito, ripartono proprio dal Friuli Venezia Giulia.
Si affermano come primo partito con il 26,8% e strappano una Regione al centrodestra.
«È un miracolo», commenta il sindaco di Trieste, Roberto Consolini, mentre lo spoglio non è ancora finito e il margine rispetto al centrodestra, mai ampio, si riduce piano piano da settemila preferenze a poco meno di duemila.
Un’erosione lenta, che nel centrosinistra ha creato l’incubo (poi svanito) della rimonta. «Abbiamo vinto», annuncia verso le 20 Debora Serracchiani.
Gli ultimi seggi non sono ancora stati scrutinati, ma Tondo le ha già telefonato per congratularsi. E a Roma i democratici tornano a respirare.
«Brava Debora. E bravo il Pd. È la dimostrazione che il Partito democratico anche in un momento difficile riesce a raccogliere la fiducia degli elettori».
Matteo Renzi parla di «un giorno bellissimo».
Anche Massimo D’Alema si complimenta: «Un riconoscimento del lavoro svolto da Debora Serracchiani in questi anni».
Lei, renziana, esulta e promette di essere «pronta a lavorare con tutti».
«È una vittoria mia e della mia squadra e di tutte le persone che dall’inizio hanno creduto con me a questa opportunità mettendoci cuore, passione, testa, ma sicuramente sono anche tante le persone da non ringraziare, soprattutto nelle ultime ore», commenta.
E poi aggiunge: «Mi dispiace per il mio partito, per gli errori fatti. Spero che questo faccia capire che i territori meritano più rispetto. Anche noi meritiamo più rispetto e meritiamo un partito che non ci crei imbarazzi».
Alle 21 e 20 arriva al palazzo del Consiglio regionale, accolta dal grido «Debora, Debora» e da abbracci.
Sorride raggiante, chiusa in un cappotto rosso.
È l’inizio della sua era.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DOPO LA RETROMARCIA SU ROMA, IL CAPOCOMICO AL GIORNALE TEDESCO “BILD” FA LA CASSANDRA: “IN AUTUNNO ITALIA IN BANCAROTTA”
“L’Italia in autunno va in bancarotta”. Beppe Grillo parla col tabloid tedesco Bild, che così titola l’intervista. “Berlusconi è finito. Le Pmi vanno in bancarotta. Fra settembre e ottobre allo Stato finiranno i soldi, e sarà difficile pagare pensioni e stipendi”.
Un’intervista quella del leader del M5S che arriva all’indomani della sconfitta in Friuli Venzia Giulia del candidato dei grillini Saverio Galluccio, superato da Debora Serracchiani.
Ma Grillo su tweeter nega che ci sia stato un flop in Fvg: “Confrontare i dati elettorali delle regionali e delle politiche, e partire da qui per tentare di dimostrare un calo di consensi in atto verso il Movimento, equivale a produrre un evidente falso”.
Nell’intervista a Bild Grillo ritona a parlare di “colpo di Stato”.
“La rielezione di Giorgio Napolitano equivale a un subdolo colpo di Stato – dice – .
I partiti lottano per la sopravvivenza”, aggiunge il leader del M5S.
“In Italia siedono in Parlamento ancora 30 parlamentari condannati, con sentenze passate in giudicato, per reati gravi. A me piacerebbe avere anche persone oneste, competenti, professionali, nelle posizioni giuste – aggiunge – . In questo senso sarei contento di un’invasione tedesca in Italia”.
Al giornalista che gli chiede se la politica non è anche l’arte del compromesso, risponde: “Oh no, nessun compromesso”, risponde il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, intervistato dal tabloid tedesco Bild.
“In Italia sono stati fatti troppo a lungo sempre nuovi compromessi”.
Oggi sul sito di Beppe Grillo sono stati finalmente pubblicati anche i dati delle Quirinarie, numeri che non erano stati pubblicati in un primo momento e che avevano fatto scattare una polemica interna nel M5S sulla questione della trasparenza.
Ora il M5S fa sapere dopo otto giorni, che su 48.292 persone sono state chiamate a partecipare all’elezione del candidato Presidente della Repubblica del M5S, i voti espressi sono stati 28.518,
Così ripartiti: Milena Gabanelli: 5.796; Gino Strada: 4.938; Stefano Rodotà : 4.677; Gustavo Zagrebelsky: 4.335; Ferdinando Imposimato: 2.476; Emma Bonino: 2.200; Gian Carlo Caselli: 1.761 Romano Prodi: 1.394; Dario Fo: 941
Per chi ci vuole credere, ovviamente…
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Aprile 23rd, 2013 Riccardo Fucile
CHI HA AVUTO LA FORTUNA DI CONOSCERLO NON PUO’ DIMENTICARE UNA VITA DEDICATA ALLA SUA COMUNITA’ POLITICA E A RAPPRESENTARE I CETI PIU’ POVERI
Versa in gravi condizioni di salute Teodoro Buontempo, storico esponente dell’Msi, poi di An e ora
presidente de La Destra, originario di Carunchio, provincia di Chieti.
Teodoro sta affrontando in queste ore la sua ultima battaglia terrena, circondato dall’affetto dei suoi familiari e della comunita’ politica che ha servito nella sua vita.
Ha al suo fianco la moglie Marina e i figli Maria, Gianni e Michele.
Buontempo ha 67 anni: nel 1970 diventa il primo segretario del Fronte della Gioventù di Roma, dopo essere già stato dirigente della Giovane Italia.
Nel 1981 viene eletto consigliere comunale di Roma, venendo puntualmente rieletto sino al 1997.
Malgrado gli vengano contestati comportamenti intemperanti, la sua popolarità è molto forte e varca i confini della città .
Nel 1992 è eletto alla Camera dei deputati nelle liste del Movimento sociale italiano-Destra nazionale.
Nel 1994 è rieletto alla Camera, nelle liste di Alleanza nazionale nelle quali, nel frattempo, era confluito l’MSI-DN.
Nel 2001 e nel 2006 è di nuovo deputato con il ruolo di vice capogruppo di Alleanza Nazionale alla Camera ed assume la carica di segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati, con i presidenti Casini, (governo Berlusconi) e Bertinotti (Governo Prodi).
Il 26 luglio 2007 Teodoro Buontempo aderisce al movimento La Destra nel quale riveste il ruolo di presidente della nuova formazione.
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