Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
LA TASSA SULLA PRIMA CASA VERRA’ COMPENSATA GRAZIE ALL’AUMENTO DEL GETTITO LEGATO ALL’ADEGUAMENTO DELLE RENDITE CATASTALI AL VALORE REALE DELL’IMMOBILE…COSI’ I SOLDI RISPARMIATI DA UNA PARTE USCIRANNO DA UN’ALTRA
Abolire l’Imu sulla prima casa, cancellarla su tutte, sospenderla a giugno, ottenere la restituzione di quanto si è già pagato.
Quali di queste affermazioni è più vicina a quello che il governo Letta si appresta a fare?
Andiamo per gradi.
La rata di giugno
Dalla discussione in Parlamento è emersa un’unica certezza: lunedì 17 giugno non si pagherà l’acconto dell’Imu e i Comuni si troveranno due miliardi in meno nelle loro casse rispetto alle previsioni.
Prorogare la rata a dicembre (o sospenderla a giugno, come alcuni preferiscono dire) consente di mantenere una copertura nel caso in cui la riforma non vedesse la luce: una sorta di «clausola di salvaguardia». Dopodichè i partiti hanno già detto che faranno di tutto per cambiare l’imposta perciò il pagamento di dicembre resta un’ extrema ratio che tutti intendono evitare.
La prima casa
Per il centrodestra va abolita sulla prima casa restituendo quella già pagata, sempre sulla prima casa. Quanto vale quest’operazione? L’Imu sull’abitazione principale porta un incasso complessivo per i Comuni di circa quattro miliardi di euro all’anno. Restituire quanto è stato pagato nel 2012 raddoppia il conto, portandolo a otto miliardi.
L’effetto sui cittadini sembra scontato: un sospiro di sollievo.
Ma è meglio andarci piano: il mancato pagamento dell’Imu, già da giugno, provoca un buco di cassa per i Comuni che va compensato per evitare di creare dei problemi sui pagamenti delle spese già impegnate.
Ad esempio i Comuni potrebbero rischiare di non avere le risorse necessarie per attuare il decreto legge sui pagamenti dei debiti dei Comuni alle imprese.
La soluzione più semplice è che il governo trasferisca risorse ai Comuni, già da subito con un anticipo di cassa, e poi integrando le somme mancanti.
Ma si pone un problema: a quanto devono ammontare questi trasferimenti?
Come è noto, entro il 9 maggio i Comuni hanno l’obbligo di indicare al ministero dell’Economia l’aliquota Imu che intendono applicare. Dunque ogni Comune, secondo le attuali norme, può regolare entro certi limiti l’aliquota.
Lo Stato dovrà rimborsare ciascun Comune tenendo conto dell’aliquota da questo scelta o dell’aliquota base?
Nel primo caso i Comuni che hanno deciso di tassare maggiormente i cittadini ne trarrebbero maggiori rimborsi.
Nel secondo caso i Comuni dovrebbero coprire in altro modo il mancato introito, con tagli o nuove tasse.
Palazzo Chigi lavora a un decreto legge che dovrà normare il rinvio della rata di giugno e compensare i Comuni, per un miliardo e 600 mila euro.
Il ministro Delrio è già stato oggetto di centinaia di telefonate e ha il suo da fare per rassicurare i sindaci sulle entrate legate all’Imu: basti dire che a Salerno le banche hanno già bloccato il fido al Comune… Niente Imu, niente fido.
E il rischio è che da giugno molti Comuni saltino per aria: niente più asili e servizi pubblici, per capirci.
L’alleggerimento
Tra i tecnici del Tesoro è scattato l’allarme sulle coperture, che potrebbero richiedere tagli lineari alla spesa pubblica, sanità e istruzione in primis.
Molti non sono d’accordo sulla abolizione dell’Imu sulla prima casa.
Lo stesso premier ha parlato di una riforma mirata a dare «ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti».
L’ipotesi sarebbe aumentare le detrazioni sull’abitazione principale per le famiglie più numerose. Costo: 2-2,5 miliardi.
Quale la soluzione per fare gli italiani cornuti e contenti?
Basta rivedere i coefficienti di calcolo dell’Imu, facendo intendere che inizialmente si potrebbe fare per i meno abbienti per poi estenderla a tutti.
L’apripista è il sindaco Gianni Alemanno che, per motivi elettorali contingenti, ha già detto che l’Imu sulla prima casa non la pagheranno le famiglie con reddito Isee inferiore ai 15 mila euro.
E dove prenderebbe i soldi?
Aumentando le rendite catastali di 175 mila famiglie.
L’operazione romana è possibile grazie alla Finanziaria del 2005 che per ora consente solo ai Comuni che hanno almeno tre microzone (250 comuni su 8 mila) di operare una perequazione delle rendite catastali, avvicinandole al valore di mercato.
In Italia sono stati 16 i Comuni a operare in questo senso.
E gli altri? La riforma generale degli estimi catastali, quella che avrebbe consentito a tutti i Comuni di riclassificare gli immobili, si è arenata al Senato, ma basta rimettere in moto e perfezionare il meccanismo, estendendolo a tutti i comuni, e il gioco è fatto.
Si triplica il valore degli immobili e poi si fa pagare un’Imu ridotta in percentuale a un terzo rispetto a quello attuale: il gettito non cambia.
Il gran bluff renderà gli Italiani cornuti e mazziati, ma forse è quello che meritano: chissà quando la finiranno di farsi prendere per i fondelli.
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
DEMAGOGIA E REALTA’: IL PIANO PDL AZZEREREBBE TUTTI GLI INTERVENTI URGENTI
Per finanziare le misure più immediate, inserite nel programma del nuovo governo, servirebbero quasi 18
miliardi: dal credito di imposta per il lavoro al bonus ristrutturazioni, dal fondo per le piccole e medie imprese alla cassa in deroga.
Restano forti i dubbi sulle coperture: un secondo round di spending review, nuove tasse su giochi, tabacchi e alcolici oppure un inasprimento di quelle sulla seconda casa.
E se l’Imu si mangia tutte le risorse?
Tanto più che si tratta di risorse, per ora assolutamente virtuali e tutte da trovare.
L’aut aut di Silvio Berlusconi, che insiste perchè il governo adotti interamente la sua linea, imperniata sull’abolizione dal 2013 e sulla restituzione di quanto versato nel 2012 per la prima casa, costa 8 miliardi tondi.
Una misura in grado di vanificare anche un eventuale, e tutto da negoziare con Bruxelles, allentamento dei criteri che potrebbe liberare lo 0,5% del Pil pari a 7-8 miliardi.
Se passasse l’ipotesi sostenuta con forza ieri da Brunetta e appoggiata dal vicepremier Angelino Alfano non si potrebbe fare niente altro.
Tra le misure annunciate dal presidente del Consiglio Letta rimarrebbero un semplice “spot” la rinuncia all’aumento dell’Iva, il rifinanziamento della Cig in deroga, la proroga dei precari dello Stato, il credito d’imposta per le assunzioni, le missioni militari, i bonus energia, il fondo anti credit cruch.
Veramente allora si tratterebbe del libro dei sogni del neopremier: perchè complessivamente queste misure costano altri 9,7 miliardi.
Che sommati all’Imu berlusconiana fanno salire il conto a circa 18.
Anche se, per pura ipotesi, si arrivasse a mettere insieme 0,8 punti di Pil, circa 12 miliardi, non si arriverebbe a soddisfare tutte le emergenze perchè la proposta mangiatutto di Berlusconi non lascerebbe spazio alle altre misure.
Ad un teorico bonus europeo si potrebbero infatti aggiungere le traballanti proposte del Pdl che contano di recuperare 2 miliardi dall’aumento della tasse su giochi, tabacchi e alcolici oltre ad altri 2 dal concordato con la Svizzera (peraltro messo in dubbio dal recente accordo tra i 5 maggiori Paesi europei, Italia compresa, a favore della trasparenza bancaria sul modello Obama).
Anche in questo caso ci sarebbe solo lo spazio per sterilizzare l’Iva (1,9 miliardi), rifinanziare la cig in deroga (1 miliardo), e rimarrebbe circa un miliardo per missioni militari e ristrutturazioni.
In questo caso i precari potrebbero aspettare, come pure il credito d’imposta per le nuove assunzioni e il fondo per le Pmi anti credit crunch: in tutto all’appello, in questo caso, mancherebbero 5,8 miliardi.
La parola chiave è, come ha detto il responsabile economico del Pd Stefano Fassina, «compromesso», tra le due ipotesi di cancellare l’Imu dalla faccia della terra e alleggerirne saggiamente il peso.
L’intervento ispirato al buon senso è quello proposto in campagna elettorale da Pd e Scelta civica: si tratta di agire sulla detrazione di base, attualmente a 200 euro, per elevarla con la spesa di un paio di miliardi.
Ma sul campo c’è anche l’idea di esentare i redditi bassi, sotto i 15 mila euro di Isee (la denuncia dei redditi sociale) oppure di rilanciare a dicembre la fusione tra Imu e Tares-rifiuti facendo nascere la Ics, l’imposta su casa e servizi, ben modulata e progressiva.
Se lo “sfondamento controllato” in Europa trovasse ostacoli tra gli ultimi alfieri dell’austerità , incapaci di andare oltre, e se si volessero mantenere le promesse di Letta al Parlamento, bisognerebbe raschiare il barile.
Si potrebbe essere costretti a “cifrare” la lotta all’evasione, continuare con la spending review con esiti incerti ed essere pronti a respingere le tentazioni parlamentari — mai sopite — di un condono da parte del Pdl che potrebbe contrabbandare la necessità di una sanatoria con la crisi delle imprese.
Altrimenti la strada è quella minimale: 5 miliardi per l’ingorgo fiscale: tra rata di giugno e Iva.
E poi si vedrà .
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
PER PROTESTA CONTRO IL GOVERNO, NIENTE SCORTA A DIRIGENTI E PARLAMENTARI: “CI PENSI LA POLIZIA, SIAMO SETTANTA VOLONTARI E SIAMO STUFI”
“Da anni lavoriamo come volontari alle feste dell’Unità , ai cortei del Primo Maggio, in ogni occasione dove serve garantire la sicurezza. Adesso siamo stufi. Questa mattina al corteo ci siamo preoccupati di tutelare donne, bambini, gente comune. Ma ai dirigenti del partito abbiamo lalsciato che ci pensasse la polizia”.
Diego Simioli è un volto conosciuto del Pci torinese, da anni è il responsabile della sicurezza del Pd.
Chiunque nel partito conosce la sua dedizione e il suo spirito di collaborazione.
Ieri sera ha scelto la riunione dei giovani dissidenti della Pallacorda e OccupyPd, un’assemblea di cento ragazzi riuniti per contestare la nascita del governo delle larghe intese, per annunciare pubblicamente che questa mattina al corteo i dirigenti del partito avrebbero dovuto contare e affidarsi soltanto alle forze dell’ordine.
“A Torino siamo in settanta – racconta Diego – tutti volontari. Fra di noi ci sono disoccupati, cassintegrati, persone che soffrono pesantemente per la crisi. E adesso abbiamo perso la pazienza. Non ci piace pensare a quei 101 parlamentari che hanno affossato il governo Prodi e hanno consentito l’elezione di questo governo”.
Una ribellione aperta, dopo anni di servizio silenzioso e paziente. Mai retribuito.
“Ne abbiamo parlato a lungo e seguiamo con attenzione il movimento dei ragazzi. Abbiamo deciso insieme, tutti convinti che sia arrivato il momento di lanciare un messaggio”.
Ma non si tratta di un’autosospensione, precisa: “Oggi noi ci eravamo, soltanto che non intendiamo preoccuparci della sicurezza della dirigenza di un partito, soprattutto onorevoli e senatori, che hanno contribuito a queste scelte”.
Nessun nome, non ci interessa, insiste: “Parliamo in generale di un gruppo dirigente che ci ha portato sin qui, quando i cittadini comuni, e noi siamo fra loro, soffrono pesantemente per la crisi”.
Oggi al corteo, Diego e gli altri 69 addetti alla sicurezza hanno partecipato alla manifestazione con il gruppo “Resistenti democratici” e hanno sfilato con un loro striscione e un furgone.
E con lo stesso nome è nato un gruppo su facebook dove hanno riportato le loro motivazioni.
Michele Paolino, responsabile organizzativo del Pd, è informato dell’iniziativa e tenta di sdrammatizzare: “È una posizione che rispettiamo. Sono volontari, persone che legittimamente hanno scelto di manifestare un loro disagio. Siamo un partito dove è in corso una discussione aperta”.
Sara Strippoli
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
QUANDO SAPREMO DARE SPAZIO ALLE FORMICHE DI TALENTO?
Laura ha 24 anni e scrive dal cantiere di un palazzo del Cinquecento dove presta gratis la sua opera di
restauratrice, in attesa di un contratto che chissà quando arriverà .
Il suo sogno era lavorare con la Maestra che firma il restauro.
Ha scoperto una donna insensibile e una professionista approssimativa, abile solo nel conoscere la «gente giusta»: alla sua ombra spocchiosa faticano tecnici formidabili.
Poi ci sono i muratori impegnati nella ristrutturazione del palazzo, in maggioranza non italiani. Ogni tanto si perdono nei gesti precisi di Laura: «Ma non fai prima a buttare quel pezzo e a rifarlo daccapo?».
Lei spiega che si tratta di un reperto rinascimentale e i muratori arretrano di un passo, intimiditi dal peso della Storia.
Un giorno uno di loro, un egiziano dal volto solenne, ha sgridato due colleghi albanesi: «Parlate italiano! Se qui ognuno usa la sua lingua, come facciamo a capirci?».
E lì, dice Laura, «nella mente mi si è srotolato un mondo di pensieri: la torre di Babele e la nostra lingua che ci legava tutti in quella stanza, un cantiere multietnico che costruisce il nuovo sulla nostra storia, dove i padroni non si accorgono della competenza e dell’umanità di chi lavora per loro, delle tante piccole formiche che rimettono insieme i pezzi del passato e vedono nell’Italia un’occasione per vivere, la nazione più emozionante che il Mediterraneo abbia generato».
Buon Primo Maggio, Laura, lavoratrice senza stipendio e sognatrice coi piedi saldamente appoggiati alle nuvole.
Anche se il Primo Maggio tornerà a essere una festa soltanto quando saremo riusciti a dare certezze alle formiche di talento come te.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
NON HA MAI VENDUTO PIU’ DI 3.000 COPIE, MA LO PAGHA IL CONTRIBUENTE…. LO DIRIGE MENICHINI, SCUDIERO DELL’INCIUCIO PD-PDL
Cosa ne pensa, direttore?
Perchè il Pd ha sbagliato, direttore?
Mi scusi, direttore, ha ragione Enrico Letta?
Senta direttore, Obama è il miglior presidente di sempre?
E Stefano Menichini, inquadrato in varie pose in vari canali, argomenta con profonde osservazioni.
Ma la miglior risposta, quella che il telespettatore attende con trepidazione, arriva con la messa in onda del sottopancia: direttore di Europa.
Per chi non lo sapesse è un quotidiano del Partito democratico.
Europa è sopravvissuto a un partito defunto, la Margherita che fu tesoretto di Luigi Lusi, incidentalmente amministratore di un quotidiano con un’esistenza poco evidente. Mai oltre le tremila copie in edicola, mai in pareggio con i conti, mai regolare tra entrate e uscite.
Già il primo bilancio che riportava un mese di attività , a rotative ancora ferme, non prometteva nulla di buono: il rosso di 16 mila è poi lievitato a 5,5 milioni.
Il direttore Stefano Menichini non ha festeggiato l’anno tondo: le occasioni per un brindisi, anche per un momentaneo sollievo, capitano di solito tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio.
Quando il governo dispone il bonifico per il contributo, ora diventato rimborso, per l’editoria politica o cooperativa: l’ultimo assegno staccato è di 2,3 milioni di euro.
Un gruzzolo di denaro pubblico che fa superare un traguardo di prestigio, finora l’unico: 30 milioni di euro e spiccioli, tanto ha incassato la società Edizioni Dlm Europa dal 2003.
L’Avanti! di Valterino Lavitola ha fatto scuola.
Addio finanziamento che non certificava gli investimenti e premiava chi spendeva di più (anche per finta): a chi vuole restare in edicola, il governo garantisce il 50%; a chi vuole riprovare in rete, con un quotidiano online a pagamento, l’indennizzo sfiora il 70%.
Al bivio, Europa non ha deciso: si è buttata un po’ su internet e un po’ conserva la carta, 4 pagine di commenti che svariano dal medesimo Menichini al maturo Pier Luigi Castagnetti.
Che l’impresa in edicola non fosse possibile, anche a una lettura rapida, lo testimoniano i bilanci.
Quello depositato a giugno 2012 spiega che i ricavi dalle vendite, non più di 1.500 esemplari al giorno, sfondano a malapena il muretto dei 400.000 euro l’anno, ma l’acquisto per la stessa carta è di 373 mila euro più 1,2 milioni per la distribuzione e il trasporto.
Non si può dare torto a Menichini di non avere percepito la pericolosa situazione economica, però — con estremo coraggio — non ha esitato a far aumentare il costo per il personale da 1,6 a 1,8 milioni con un gruppo di condirettori e di vicedirettori da far impallidire le multinazionali che tagliano e tagliano senza aiutini pubblici.
Qualche milioncino si è disperso nel tempo: già contattato in passato, Menichini non ha saputo motivare una stramba consulenza da 150 mila euro l’anno per la raccolta pubblicitaria: praticamente la società disperdeva i ricavi di tre mesi per fare un miracolo matematicamente impossibile.
Il Consiglio di amministrazione non ha rinunciato ai compensi nè il quotidiano ha cercato di risparmiare con la sede: affitto di 100 mila euro.
Per capire: un quarto di quello che Europa incassava tramite le edicole.
Il quotidiano non ha mai avuto proporzioni universalmente valide: lo stesso Meni-chini dichiarò di guadagnare 5 mila euro netti al mese — e si stima un lordo di circa un milione in 10 anni — e ora annuncia che il nuovo sito ha registrato 250.000 visite al mese.
Che vuol dire 8 mila al giorno.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
IL CALENDARIO DELLE VICENDE GIUDIZIARIE DEL CAVALIERE PESERA’ SULLA TENUTA DEL GOVERNO
Countdown giudiziario per Silvio Berlusconi che nell’ultima versione della sua rinascita politica si erge a
“pacificatore” dell’Italia.
Vedremo se sarà proprio così, in caso di sentenze avverse, o se minaccerà crisi istituzionali.
Il fattore B, si sa, pesa tanto sulla tenuta del governo.
Lunedì prossimo, 6 maggio, la Cassazione (dopo aver già rinviato il 18 aprile per l’elezione del capo dello Stato) dovrà pronunciarsi sulla richiesta della difesa del leader del Pdl di far trasferire i processi in corso da Milano a Brescia.
L’appiglio è una norma ad personam votata dal centrodestra nel 2005: la legge Cirami sul legittimo sospetto.
Con questo giochino Berlusconi è riuscito a far congelare il processo Mediaset, a un soffio dalla sentenza d’appello e il processo Ruby, a un soffio dalla richiesta di condanna dei pm Ilda Boccassini e Antonio Sangermano.
Tutto fermo, per legge, in attesa della decisione della Cassazione.
Nell’istanza degli avvocati, e sempre parlamentari, Niccolò Ghedini e Piero Longo, si parla di un palazzo di Giustizia milanese “ostile” a Berlusconi.
Vengono indicati la presidente del processo Mediaset, Alessandra Galli, attaccata a livello personale, per un suo discorso da figlia del magistrato ucciso dai terroristi, Guido Galli; immancabili gli odiati pm Fabio De Pasquale e Ilda Boccassini.
Nel girone dei persecutori finiscono anche il procuratore generale Manlio Minale e il presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio per aver chiesto e promosso il procedimento disciplinare a carico di Francesca Vitale, la presidente del processo stralcio per la corruzione di David Mills che nelle motivazioni della sentenza di prescrizione per Berlusconi si è spinta a criticare i colleghi del processo al testimone Mills.
Ci sono pure le due ossessioni del Cavaliere: i giudici che hanno condannato la Fininvest a 560 milioni di risarcimento a Carlo De Benedetti per il lodo Mondadori (appello civile) e i 3 milioni al mese assegnati all’ex moglie Veronica Lario (Tribunale civile).
Questi fatti, insieme ad altri, devono essere valutati dalla Cassazione per decidere se Berlusconi, che pure ha goduto di provvedimenti generosi (vedi la derubricazione del reato e le attenuanti generiche per la vicenda Mondadori che gli permisero di uscire dal processo in udienza preliminare) possa essere giudicato a Milano oppure no.
A dirla tutta, leggere di “clima ostile” suona paradossale se si pensa che l’11 marzo scorso il Pdl fece una manifestazione al limite dell’eversione: marcia sul Palazzo di giustizia e sua invasione nel giorno di un’ udienza del processo Ruby finita in nulla per l’uveite dell’imputato, per diversi giorni ricoverato in una suite dell’ospedale San Raffaele.
E tra una uveite , uno “sbalzo pressorio” e un ricorso per legittimo sospetto, i processi Mediaset e Ruby sono fermi da un paio di mesi.
I giudici, però, in vista della Cassazione, hanno fissato nuove udienze: l’8 maggio, appello Mediaset e il 13 maggio, Ruby.
Se la Cassazione respingerà la richiesta di trasferimento a Brescia, i giudici del processo Ruby potranno emettere la sentenza tra fine maggio e i primi di giugno. Quelli d’appello Mediaset entro fine maggio: mancano soltanto l’arringa di un difensore e le eventuali repliche dell’avvocato generale Laura Bertolè Viale che ha chiesto la conferma della condanna per Berlusconi: 4 anni di pena (3 indultati) 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e 3 dalle cariche societarie per frode fiscale.
Ma sul processo Mediaset pende anche la decisione della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione sollevato da Berlusconi, quando era premier, contro i giudici di primo grado, per un legittimo impedimento negato nel 2010.
La sentenza, già rinviata nel 2012, si aspettava per settimana scorsa.
La Corte, però, a camera di consiglio già iniziata, per “opportunità politica”, per non turbare il governo nascente, l’ha lasciata a metà e non ha fissato ancora un’altra seduta.
Se la Consulta dovesse accogliere le ragioni di Palazzo Chigi, i giudici d’appello Mediaset potrebbero dover valutare non solo l’annullamento di quell’ordinanza di 3 anni fa ma tutti gli atti seguenti.
Persino, in astratto, la sentenza di condanna in primo grado.
Sarebbe assicurata la prescrizione: è nella primavera-estate del 2014.
Ma se Berlusconi fosse condannato fino in Cassazione (a bocce ferme c’è tutto il tempo per un verdetto definitivo) rischierebbe l’interdizione dai pubblici uffici e il Senato dovrebbe riunirsi per il suo decadimento.
Sempre che per quel periodo ci sia ancora questo governo e questo Parlamento.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
CAMBIA LO STATUTO, IL LEADER NON SARA’ CANDIDATO PREMIER… EPIFANI VERSO LA REGGENZA….PER LA SEGRETERIA IPOTESI ZINGARETTI
«Bisogna prepararlo bene il congresso… io sono un semplice parlamentare, inutile dire ora se sarò o no il “reggente”. Certo non è che ci siano molti candidati». Guglielmo Epifani ha ricevuto un’incoronazione dall’ovazione nell’assemblea dei deputati democratici, riuniti prima della fiducia.
Ha invitato a metterci la faccia con convinzione nell’appoggio al governo Letta, perchè «quando si fa una scelta va fatta fino in fondo, le difficoltà cominciano con la navigazione ».
Bisognava motivare, dice: una cosa che quand’era segretario della Cgil ha fatto spesso.
Ora c’è di mezzo un partito tramortito dalle faide interne e diventato una sede vacante. Il primo passo per rifondarlo è l’Assemblea dell’11 maggio, già slittata di una settimana e che qualcuno vorrebbe rimandare al 18, per prepararla bene.
Non c’è solo il reggente da decidere, ma anche un paio di cambiamenti che segneranno la “fase 2” del Pd.
La prima novità è questa: il segretario non sarà eletto con le primarie.
Veltroni come Bersani sono stati eletti segretari nei gazebo, dal popolo delle primarie. (Franceschini fu segretario protempore con il voto dell’Assemblea dopo le dimissioni di Veltroni di cui era vice, nel 2009).
Ma adesso, si cambia. O meglio, si rende definitiva la modifica che Bersani aveva voluto introdurre per consentire a Renzi e a Puppato di sfidarlo.
La proposta sarà di disgiungere la figura del segretario da quella del candidato premier.
Quindi il nuovo segretario democratico si occuperà del partito e non correrà automaticamente per Palazzo Chigi. Così si evitano le competizioni e i trabocchetti. Chi guiderà il Pd non avrà alcun interesse a fare cadere Letta prima del tempo.
«Mai più come Veltroni con Prodi nel 2008», esemplificano ieri i Democratici che, sia pure tra contraddizioni, dissensi e madipancia, votano sì al governo Pd-Pdl. «Intanto siamo riemersi, o almeno ci stiamo provando», afferma Piero Martino, di Areadem, la corrente di Franceschini.
D’accordo anche i renziani. «Matteo quando sarà il momento, è pronto a correre per la premiership. Fare il segretario del partito — ripete Dario Nardella non è nelle sue corde».
Il sindaco ‘rottamatore’ l’ha ribadito, domenica.
È un via libera all’operazione distinzione tra leadership del Pd e premiership. E che si porta, come allegato, la fine del congresso-primarie.
Il segretario alla guida del Pd non avrebbe la forza dell’investitura popolare — che resterebbe per le cariche monocratiche, a cominciare dalla presidenza del Consiglio.
Intanto c’è il dossier-reggente da aprire e — ribadisce Rosy Bindi, la presidente dimissionaria da concludere nella prossima Assemblea.
«A settembre faremo il congresso — prevede — quindi c’è bisogno di un reggente, di un coordinatore attorniato da un comitato che rappresenti tutte le sensibilità del partito».
I bersaniani sono dell’opinione che basterebbero alcuni garanti capitanati da un reggente.
Epifani? «A me andrebbe bene, però in dieci giorni ormai cambia il mondo», commenta Paolo Gentiloni, renziano, diffidando di chi dà il pole position l’ex segretario Cgil. Gentiloni ha attaccato Bersani e la sua gestione del partito arrivato ai minimi termini: «Bisogna ripartire dal Lingotto più Renzi».
Con un governo guidato da un ex dc-Popolare-Margherita (è il percorso politico di Letta), il Pd deve essere in grado di fare argine e connotarsi subito, sin dalla reggenza, con una leadership più a sinistra.
Gli ex Ds insomma battono un colpo.
Gianni Cuperlo potrebbe essere un altro candidato. Cuperlo, nell’assemblea pre-fiducia, ha galvanizzato con il suo appello alle ragioni di una scelta tanto difficile da digerire quanto indispensabile «per mettere a frutto un Parlamento con un forte ricambio».
Per il partito tutto è ancora in ballo. Sostiene Michele Meta che già bisognerebbe pensare al futuro segretario.
Per i renziani, «squadra che perde si cambia»: con l’era di Bersani bisogna farla finita. Già qualcuno si sta muovendo pensando a Nicola Zingaretti come segretario. Zingaretti è benvisto dai bersaniani, dai cattolico democratici e ha un rapporto buono con Renzi.
Anche se è neo eletto “governatore” del Lazio, potrebbe pensarci a rifondare il Pd? «Siamo in un’epoca nuova, tutto è aperto», spiega il renziano Michele Anzaldi.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Maggio 1st, 2013 Riccardo Fucile
“GLI EX PCI HANNO ABDICATO, I DEMOCRATICI NON SANNO PIU’ RAPPRESENTARE LA SINISTRA”
E’ saltata una generazione intera che viene dal Pci, onorevole Occhetto: nel governo nessun nome a
rappresentare quella storia..
«La cosa in sè, per la verità , non mi scandalizza. Prima o poi una generazione salta, c’è una forte richiesta di rinnovamento, che viene dai grillini e anche dal Pd».
Però nell’esecutivo Letta la storia della Dc è ben rappresentata.
«Ecco il punto politico. Non mettiamoci a fare il manuale Cencelli degli ex Pci e degli ex Dc, ma il fatto stesso che venga sollevata la questione è la prova provata del fallimento del Pd: una fusione a freddo, una mancata contaminazione delle culture e delle storie di origine. In Francia per esempio, dopo il big bang della sinistra lanciato da Mitterand, nessuno più stava a chiedersi quale maglietta mettere a uno come Delors. Tutti nella stessa squadra. Nel Pd non è mai successo».
Ma perchè resiste in campo l’anima democristiana e non quella comunista?
«Perchè c’è un male oscuro che divora la sinistra: ha rotto con l’atto costitutivo della svolta, che io lanciai dopo la caduta del Muro cambiando il nome al Pci. C’erano due modi di uscire dalla crisi del comunismo: uno legato al socialismo europeo, che ho tentato di perseguire, e l’altro invece moderato. Si è imboccata proprio questa seconda via».
E quindi?
«La sinistra ha abdicato alla sua funzione, e il Pd è nato sotto un segno conservatore. Ma, a questo punto, perchè scegliere la brutta copia, l’imitazione, se c’è la versione originale, se ci sono i moderati doc che vengono dalla Democrazia cristiana? Meglio scegliere loro, no? C’è una storia eclatante che lo conferma, e che si è ripetuta ancora pochi giorni fa».
Quale?
«Il trattamento riservato a Romano Prodi, la vittima designata di questi perversi meccanismi di risse e guerre per bande interne. Lo hanno ucciso due volte».
Ma non viene dalla Dc?
«Prodi è sempre stato un democristiano assai particolare, una figura autonoma, che davvero puntava a rimescolare le carte, a dare al Pd quella contaminazione fra le componenti che è sempre mancata. Ecco perchè lo hanno fatto fuori. Una prima volta affossando l’Ulivo, la sua creatura. E la seconda volta pochi giorni fa, con la carica dei 101: l’assalto dei franchi tiratori per sbarrargli al passo alla presidenza della Repubblica e favorire il progetto delle larghe intese».
Però c’era di tutto in quel voto nel segreto dell’urna, tante correnti e tanti “desiderata”…
«Certo, ma mica cani sciolti o ubriachi. Sono scesi in pista i capi delle correnti del Pd per affossare Prodi, e con lui ogni possibile tentativo di governo del Pd aperto ai 5Stelle».
Insomma, non sembra molto sorpreso dell’assenza nel governo dei big che vengono dal Pci.
«Mi pare, del resto, che la condizione per il varo di questo esecutivo sia stata precisa: fuori Berlusconi e Brunetta e fuori anche D’Alema e Violante».
E non la colpisce che vengano messi sullo stesso piano?
«No. Forse qualcuno è colpito dal fatto che resti fuori Violante che alla Camera in un memorabile intervento difese apertamente Berlusconi?».
Non sarà che è una certa idea di “sinistra” ad essere ormai vecchia, che non è tanto la fusione fredda del Pd che non funziona ma certi modelli che vengono dalla storia del Pci?
«La domanda di sinistra nella nostra società è molto forte e presente. Anche in modo scomposto, disordinato, anarcoide, il che può essere un male ma anche un bene: ha bisogno di rappresentanza. E il Pd non ce la fa».
Sogna un’implosione dei democratici per tornare a riaffermare i valori della sinistra?
«Nient’affatto, sarebbe una catastrofe. Serve una costituente per un nuovo partito democratico, ci sono molte forze di sinistra prigioniere nel Pd».
Vendola ha fatto l’alleanza con Bersani ma ora vota contro il governo Letta.
«Nichi ha fatto un patto con gli elettori: mai con Berlusconi. Anche il Pd lo aveva sottoscritto, ma adesso cambia le carte in tavola. Non durerà molto però. Il rapporto fra Pd e Pdl andrà a rotoli, e si aprirà un rapporto nuovo fra Sel e il partito democratico».
Umberto Rosso
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