Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
DA UN TERRAZZO CHE SI AFFACCIA SU PIAZZA DEL DUOMO OSSERVO LO SCONTRO TRA ELETTORI DEL PDL E CONTESTATORI, DIVISI DA UN CORDONE DI POLIZIA…POI ACCENDO LA TV E CAMBIA LA REALTA’: I CONTESTATORI SPARISCONO E RESTANO SOLO I SUPPORTER DI SILVIO
Due Italie a confronto oggi a Brescia per il comizio di Silvio Berlusconi.
Palese è la spaccatura: da una parte il Popolo della Libertà , esiguo rispetto al passato, dall’altra la nebulosa della protesta, più corposa, più determinata e più intelligente che mai.
Un’ora prima dell’arrivo di Silvio Berlusconi sotto il palco sventolano le bandiere, ma di gente ce ne è poca, riempiono poco più di un quarto della piazza.
In fondo alla piazza invece la folla di chi protesta cresce.
Dal terrazzino di un amico che si affaccia su piazza del Duomo osservo il servizio d’ordine di Berlusconi manovrare l’antisommossa.
Spingono i poliziotti verso gli anti-berlusconiani, vorrebbero che li cacciassero dalla piazza ma sono tanti, troppo.
Si cerca la provocazione ma nessuno degli anti-berlusconiani raccoglie.
Inizia invece una sorta di ruba-bandiera, quelle con sopra il logo del Popolo della Libertà vengono facilmente strappate di mano ai fan di Silvio e finiscono in una pila al centro della piazza.
La gente le calpesta, molti le stracciano, alcuni bambini con i pattini ai piedi cercano di andarci sopra.
Arrivano Brunetta e Formigoni i fischi e gli slogan: evasori, ladri, parassiti si alzano come un boato.
Scortato dal servizio d’ordine Brunetta stringe qualche mano, ma si vede che è confuso, non si aspettava una piazza dove la maggioranza è l’opposizione, e così imbocca il palco sbagliato, quello della stampa.
Sul monitor attaccato al palco viene proiettato il video della vita e dei successi di Silvio Berlusconi.
Dalle foto in bianco e nero di lui bambino con l’amata madre si passa a quelle delle vallette di Mediaset, degli sceneggiati e varietà delle sue televisioni.
Rifletto che in qualsiasi altro paese occidentale una cosa del genere farebbe inorridire l’elettorato, e infatti la protesta nella metà della piazza ormai isolata dall’antisommossa esplode: “Evasori, evasori, evasori”, grida la folla.
Poi arriva Berlusconi e con lui c’è Alfano, il ministro dell’Interno.
Anche questo, la presenza del vice premier ad un comizio contro la magistratura, sarebbe inaudito in un qualsiasi paese occidentale.
Il boato di protesta è talmente potente da sovrastare i microfoni, non si riesce a sentire nulla, solo chi è a ridosso del palco capta le sue parole.
I miei amici accendono la televisione, Retequattro manda in onda in tempo reale il comizio e noi ci accorgiamo che le telecamere sono posizionate in modo tale da tagliare fuori metà della piazza e cancellare le voci della protesta.
E’ surreale ma abbiamo l’impressione di trovarci di fronte a due realtà separate. Quella fuori della finestra e quella dentro il televisore.
Benvenuti in Italia dove ormai si è persa la percezione della realtà e dove due nazioni, due popoli si scontrano a colpi di comunicazione.
Ma la piazza questa volta io ce l’ho davanti e posso vedere ciò che succede. L’atmosfera è tesa come quella dei vecchi anni ’70, la polizia pronta con i manganelli. Ma questa volta a protestare non sono ragazzini del liceo e giovani universitari, c’è tanta gente con i capelli bianchi, signore borghesi di mezza età .
E infatti lo scontro fisico non c’è.
La televisione continua ad inquadrare giovanissimi sostenitori di Silvio che gridano il suo nome come a un concerto pop.
Anche la demografia è dualista: i più maturi contro, i più giovani a favore.
E’ questa l’Italia? E la risposta è “no”.
Me ne accorgo alla fine del comizio quando i sostenitori del Popolo della Libertà vengono raccolti dai pullman parcheggiati fuori.
Come scritto nelle loro bandiere arrivavano da tutto il nord est, pochi erano quelli di Brescia.
I bresciani sono quelli che continuano a protestare in piazza, a gridare i loro slogan anche quando Berlusconi e la sua claque sono ormai lontani.
Loretta Napoleoni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
PIAZZA DUOMO SPACCATA A META’ TRA SOSTENITORI E AVVERSARI
Un piazza spaccata tra contestatori e sostenitori.
Da una parte le urla “vergogna!”, “buffone!”, “mafioso”.
Dall’altra le grida “Silvio, Silvio, Silvio” dei militanti Pdl accorsi a sostegno di Silvio Berlusconi, sceso in piazza Duomo a Brescia per una manifestazione “contro l’uso politico della giustizia”.
Fischi e applausi che si contrappongono continuamente durante il comizio del Cavaliere.
Una situazione a cui Berlusconi non è abituato, ma che ultimamente si è già trovato a fronteggiare.
Come a Udine quando durante il comizio in occasione delle elezioni regionali il 18 aprile scorso, si trovò di fronte non solo ai supporter osannanti ma anche molti contestatori soprattutto appartenenti al Movimento 5 stelle.
Ora, però, i contestatori sono molto più numerosi e appartenenti a più correnti, dai centri sociali al M5s.
Lo scontro comincia ancora prima che Berlusconi comincia parlare Piazza del Duomo è piena (diverse persone affacciate a finestre e balconi, anche), ma sostanzialmente divisa a metà .
Nella prima, immediatamente sotto il palco, i sostenitori del Pdl, con anche una bandiera della Lega; nella seconda i contestatori che fischiano Berlusconi durante il suo intervento, gli gridano ‘buffone”.
Mentre davanti, simpatizzanti del suo partito chiedono con uno striscione ‘Aiuto Silvio, no comunismò, più indietro un altro cartello avverte ‘occhio gente, Silvio mentè.
Per chi assiste al comizio da metà piazza in su è quasi impossibile sentire chiaramente le parole dell’ex premier.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO SI RIFIUTO’ DI AFFIDARE RUBY ALLA MINETTI: “MI ASPETTAVO LA CONDANNA, MA LO RIFAREI, HO PENSATO AGLI INSEGNAMENTI DI MIO PADRE MAGISTRATO”
Annamaria Fiorillo, pubblico ministero minorile di Milano, invece, ieri è stata condannata
dal Csm alla censura, in sede disciplinare, per aver difeso il suo onore di magistrato dicendo la verità alla stampa: la notte del 27 maggio 2010 (come pm di turno) non ho mai autorizzato la Questura ad affidare Ruby all’ex consigliera regionale Nicole Minetti (come si evince anche dalla registrazioni delle telefonate, ndr).
Se la condanna sarà confermata dalle sezioni unite civili della Cassazione, avrà ripercussioni sulla carriera del magistrato.
Ma lei rivendica la sua scelta: “Non sono stupita, lo avevo messo in conto. Rifarei quello che ho fatto”.
NEL 2010 si è decisa a rompere il silenzio, durato sei mesi, solo dopo l’intervento del ministro dell’Interno Roberto Maroni in Parlamento.
Il 9 novembre Maroni riferisce che la polizia ha operato “sulla base delle indicazioni del magistrato. La correttezza della Questura è stata confermata anche dell’autorità giudiziaria”.
Il riferimento è a una nota pubblica del procuratore Edmondo Bruti Liberati.
Fiorillo, circondata dai cronisti fuori dalla procura minorile, risponde: “Voglio si sappia che non ho mai autorizzato l’affido alla Minetti anche perchè se Ruby è la nipote di Mubarak io sono Nefertiti regina del Nilo”.
La pm minorile chiede pure tutela al Csm. Riceve un due di picche: “Nella vicenda non vi è spazio per l’intervento, pur legittimamente richiesto”.
Nell’atto di incolpazione si insiste sulla sua partecipazione alla trasmissione In 1/2 ora di Lucia Annunziata: Maroni potrebbe aver dato quella versione dei fatti “per una ragione di Stato che non può essere così assorbente da consentire la violazione della legalità ”.
Ieri, la sezione disciplinare del Csm ha condannato Fiorillo alla censura per “violazione del riserbo”.
Accolta, dunque, la richiesta del sostituto pg della Cassazione Betta Cesqui. La richiesta di giudizio era stata avanzata il primo ottobre 2012 dall’ufficio guidato dal pg Gian-franco Ciani.
Fiorillo, ieri, si è difesa fino a commuoversi: “Sono capitata in questa vicenda come Forrest Gump”.
Nel 2010 decise di parlare per “un intento di natura etica”. Sull’affidamento di Ruby “diedi indicazioni assolutamente difformi” da Maroni.
“Se fossi stata zitta avrei prestato acquiescenza a quella ricostruzione”.
La pm ha ricordato che “per 10 giorni sono stata bombardata. Nelle trasmissioni televisive e sui giornali si metteva in discussione il mio operato”.
“Orgogliosa di essere un magistrato”, con le lacrime gli occhi, ha raccontato di aver parlato pensando a suo padre, magistrato come lei. Persino Cesqui, che ha chiesto la condanna, perchè “il riserbo” innanzitutto, ha riconosciuto il clima di “elusività e ambiguità ” che c’era rispetto a quanto accaduto in Questura.
Appassionata l’arringa del difensore, il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, che ha espresso un concetto fondamentale in merito all’accusa: Fiorillo non è malata di protagonismo, poteva difendersi solo parlando. Non c’è, infatti, alcun atto giudiziario che avrebbe potuto farlo al posto suo.
“Nel riferire del suo intervento da magistrato ha detto solo la verità , tutta la verità , nient’altro che la verità . So bene che in questa sede non si discute direttamente della verità di ciò che ha detto il magistrato incolpato, ma delle forme… La verità è sempre importante in sè, ma in questo caso la verità è il fondamento del diritto che noi invochiamo a difesa: il diritto a ristabilire la verità sull’operato di un magistrato a fronte di rappresentazioni inesatte del suo modo di agire professionale”.
Ma la sezione disciplinare del Csm, evidentemente, ha ritenuto, come il pg della Cassazione, che Fiorillo dovesse stare zitta anche di fronte alla “ricostruzione nociva” di Maroni, sia pure “in buona fede”.
In conclusione, Rossi aveva chiesto l’assoluzione facendo un parallelo con Mani Pulite: “Il magistrato Fiorillo è sotto procedimento disciplinare. Un dato malinconico ma non nuovo. È già accaduto all’epoca di Mani Pulite a Davigo, Colombo, Greco… ”.
Furono assolti.
A quell’epoca proprio Rossi era giudice disciplinare: “Con lo stesso spirito con cui scrissi quelle sentenze ho difeso Anna Maria Fiorillo”.
Ieri, a giudicare la pm sono stati due consiglieri laici del Pdl, Annibale Marini e Nicolò Zanon; Paolo Auriemma, togato di Unicost; Francesco Vigorito, togato di Area; Tommaso Virga, togato di Mi; Nello Nappi, togato indipendente (ex Area).
Chissà se sulla sentenza abbia pesato la contemporaneità del processo a carico di Berlusconi. Anche se, come sottolineato dal difensore, il Csm non doveva emettere un verdetto sul merito dei fatti legati al caso Ruby (lunedì ci sarà la fine della requisitoria) ma solo sulla violazione del riserbo.
Evidentemente ha pensato che Fiorillo non avrebbe dovuto smentire pubblicamente Maroni nonostante il silenzio, per usare le parole del difensore, l’avrebbe fatta apparire come “un magistrato poco scrupoloso e credulo verso la notizia” di Ruby nipote di Mubarak.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO COMMISSARIO DEL POPOLO (DELLE LIBERTA’): PRIMA MINACCIA I SUOI, POI I GIORNALISTI..INFINE, DA ESPERTO DI “SOLE”, CREDE DI POTER PARLARE ANCHE DI JUS SOLI
A un certo punto, Adriano Zaccagnini prende la parola in assemblea: “Vorrei avere a disposizione lo stesso tempo che ha avuto Beppe”.
Nella sala cala il gelo.
Grillo ha appena finito la sua invettiva sulla diaria da restituire e questo 31enne romano esperto di permacultura, oggi deputato Cinque Stelle, dice che anche lui vuole mezz’ora per spiegare perchè quei soldi, adesso, sono roba sua.
Basterebbe questa scena per raccontare che cosa si è consumato, giovedì pomeriggio, nell’aula dei gruppi di Montecitorio.
La prima rivolta contro il capo.
Che non finirà così. Sono una ventina quelli che affrontano il leader a muso duro. “Arroganti”, li descrivono. “Pezzi di merda”, aggiungono, parafrasando l’epiteto che Grillo ha riservato ad Antonio Venturino, il siciliano espulso per non aver rendicontato lo stipendio.
Uno a uno spiegano perchè non se la sentono di restituire quello che avanza.
Alessio Tacconi, residente in Svizzera, argomenta: “Lì le tasse sono più alte”.
Un altro sostiene che avrebbe bisogno di un “margine” per vivere dignitosamente. Grillo ribatte: “Si chiama cresta!”.
Una senatrice parla della baby sitter che deve pagare ora che sta a Roma.
Francesco Campanella difende il collega siciliano.
Grillo lo interrompe: “Basta parlare di soldi: tu cosa stai facendo?”.
Vorrebbe discutere di contenuti, chiede notizie da portare in piazza, ai comizi che ricominciano lunedì. Ma non si riesce a venirne a capo.
Soldi, soldi, soldi.
Riccardo Nuti, vicecapogruppo dei deputati, alla fine interviene e ai colleghi fa un discorso, applauditissimo: “Fate schifo”.
Per questo Grillo torna all’hotel Forum, vicino al Colosseo, piuttosto sconsolato.
È arrabbiato, deluso dall’atteggiamento degli attivisti che sono finiti in Parlamento. “L’avete votato voi, nei meet up, il tetto dei 2500 euro — si sfoga — Io non ho deciso niente!”.
Appena il problema dei soldi aveva cominciato a montare, nelle settimane scorse, lui aveva scelto la linea morbida: “Fate quello che volete”. Poi, ha capito che i militanti non avrebbero capito: “Io ci metto la faccia – ha detto agli eletti — Fuori questa cosa è una bomba, i giornali non vedono l’ora! Voi adesso siete qui, ma dovete sempre rimanere con un piede fuori, dovete capire che le vostre azioni hanno delle conseguenze. Anche le mie, lo so. Per questo giuro che d’ora in poi mi darò una calmata. Mi metto a parlare come il Papa”.
Non va così. Ci dorme su, Grillo. E quando si sveglia e ritrova i cronisti appostati fuori dall’albergo, torna subito quello di sempre.
Dice che il governo Letta è frutto di “un golpe” (anche Stefano Rodotà , più tardi, dirà “mi sembra eccessivo”).
Avverte la stampa: “State molto attenti a fare dossier su famiglie e mogli, perchè li faremo anche noi” (poi, cerca di stemperare il clima: “Non è un consiglio — dice ridendo — è proprio una minaccia…”).
Scivola sulla questione della cittadinanza ai figli degli immigrati: “Serve un referendum: una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari” (Vendola gli dice che “sembra La Russa”; il deputato Cinque Stelle Alessandro Di Battista precisa: “Ciò che scrive Grillo sul suo blog equivale a quello che può scrivere Scalfari su Repubblica”, poi spiegherà di essere comunque d’accordo sulla consultazione).
Poi torna sull’annosa questione della diaria: “Chi vuole restituirla, la restituirà , chi no, si prenderà le sue responsabilità . Io sono abituato che se firmo un accordo e mi impegno, lo porto a termine, altrimenti vado da un’altra parte”.
Sono passati i giorni in cui, mascherato sulla spiaggia di Marina di Bibbona, Beppe si divertiva a farsi rincorrere dalle telecamere.
Il “gioco” dell’apriscatole è più impegnativo di quanto sembrasse. E a lui, raccontano, ogni tanto sembra di essere un po’ più solo. Per questo da lunedì bisogna rimettere le cose in fila.
La ventina di dissidenti, se non cambia idea, finirà dritta nella lista nera. Non ci sarà nessuna votazione o almeno così sperano che succeda nello staff.
Se, sulla questione dei soldi, si dovesse arrivare alla conta, significherebbe che il messaggio di Grillo non è stato recepito.
Ieri, chi ha cariche istituzionali (il questore Laura Bottici, il vicepresidente Luigi Di Maio e così via) hanno ripubblicato su Facebook le lettere in cui rinunciano alle indennità aggiuntive.
Nel fine settimana, i personaggi più influenti del gruppo (da Vito Crimi in giù), proveranno a discutere al telefono con i ribelli. Se insistono, adios.
Emiliano Liuzzi e Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL PM ANNA MARIA FIORILLO “CENSURATA” DAL CSM PER IL CASO RUBY: AVEVA OSATO NON CREDERE CHE FOSSE LA NIPOTINA DI MUBARAK
Siccome non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della Magistratura, già
organo di autogoverno della medesima e ora manganello politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo.
Ha insabbiato un’indagine?
È andata a cena con un inquisito?
È stata beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore?
No, altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del 27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti nè fissa dimora fu fermata per furto e trattenuta per accertamenti.
Quella notte, per sua somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile nè manovrabile.
Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come prevede la legge.
Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi direttamente da Parigi.
L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza perchè è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto.
Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola testuale).
“Ciò — annoterà la Fiorillo nella sua relazione — suscitò in me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”.
Cioè, spiegherà la pm, “ricordo di non averlo autorizzato”.
Appena la cosa finisce sui giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente”.
Cioè anticipa l’esito di un’indagine in corso.
Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non esiste.
Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base delle indicazioni del magistrato”.
La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne del governo.
Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il clima di pacificazione nazionale.
Al processo Ruby, forse per non smentire il procuratore, nè l’accusa nè la difesa chiedono di sentirla come teste.
Provvede il Tribunale.
Ma intanto il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per aver “violato il dovere di riserbo”.
Cioè per aver osato dire la verità .
Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione alla sua ricostruzione dei fatti”.
Dunque il plotone di esecuzione del Csm l’ha punita con la censura.
Guai a chi dice la verità , in questo paese di merda.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
TRAMONTATA LA CONVENZIONE, VIENE DI FATTO ARCHIVIATA LA RIFORMA ELETTORALE: IN ATTESA DI TEMPI MIGLIORI
«Io resto convinto del fatto che le riforme costituzionali debbano procedere insieme alla riforma elettorale». Quando nel vertice di maggioranza a Palazzo Chigi, si è passati a discutere anche del capitolo riforme, Enrico Letta ha messo in chiaro la posizione del governo.
Per Letta è meglio lasciare la riforma del Porcellum in coda al processo costituente, senza inutili accelerazioni.
Tanto più che ripristinare la legge Mattarella è un’operazione che potrebbe essere portata a termine in pochi giorni se proprio si vedesse all’orizzonte il voto anticipato. Un interesse, questo di Enrico Letta, che coincide con quello di Berlusconi, anche se con motivazioni molto diverse.
Il leader del Pdl è infatti ancora affezionato al Porcellum, una legge che in cuor suo ritiene la migliore possibile «se solo si attribuisse al Senato un premio di maggioranza unico come alla Camera».
E punta a tornare al voto fra un anno proprio con la vecchia creatura che Calderoli e Verdini copiarono dalla legge toscana.
Per assicurarsi un’ampia maggioranza che lo possa lanciare verso il Colle più alto.
Ci sono ragionevoli spiegazioni tecniche per giustificare la prudenza con cui Letta intende affrontare la riforma del Porcellum.
Una cautela che confligge con quanto dichiarato ieri da Anna Finocchiaro e dieci giorni fa da Massimo D’Alema (ovvero che sarebbe meglio abrogare «immediatamente e preliminarmente» la legge elettorale esistente per evitare il rischio di tornare a votare con la legge Calderoli).
Da palazzo Chigi gli uomini del premier elencano una a una queste motivazioni, la più semplice delle quali è che, volendo ridurre il numero dei parlamentari, non avrebbe senso ripristinare il vecchio Mattarellum con i suoi 475 collegi uninominali fissi per la Camera e 232 per il Senato, oltre ai seggi assegnati con il proporzionale.
Molto meglio attendere la riforma della Costituzione, come va predicando il ministro Gaetano Quagliariello.
Ma la vera ragione che ha spinto Letta a uscire allo scoperto, a costo di mettersi contro una parte del suo stesso partito, è il timore che la riforma elettorale, se messa subito in cantiere, possa essere un potente elemento di destabilizzazione della sua maggioranza. «Già siamo esposti a ogni corrente d’aria – riassume un lettiano di stretta osservanza – e se ci mettiamo pure a terremotare il Parlamento con unanuova legge elettorale rischiamo soltanto di indebolire il governo».
L’esperto di riforme del Pd Gianclaudio Bressa, vicino al ministro Franceschini, la pensa allo stesso modo: «Lo dico con franchezza, sono più d’accordo con Quagliariello che con la Finocchiaro. Mettersi a parlare ora della legge elettorale significa cacciare una spina nel fianco al governo».
Tanto più che il governo, in balia delle fibrillazioni indotte dalla crisi del Pd e dai processi di Berlusconi, già sembra abbastanza debole di suo.
Basta vedere cosa accadrà oggi quando, come sembra, il ministro dell’Interno Angelino Alfano farà la sua apparizione a Brescia alla manifestazione del Cavaliere contro la magistratura.
Per “proteggere” il percorso costituzionale e renderlo più spedito Letta, Quagliariello e Franceschini le stanno studiando tutte.
Tramontata definitivamente la Convenzione per le riforme, non resta che affidarsi alla procedura ordinaria dell’articolo 138 della Costituzione.
E tuttavia potrebbe esserci una sorpresa.
Studiando il caso francese, il governo ha in mente di affiancare alle commissioni affari costituzionali un gruppo ristretto di saggi.
Il modello è quello del “comitato Balladur”: nel 2007 tredici personalità lavorarono per tre mesi e presentarono a Sarkozy e al Parlamento una dettagliata proposta di riforma costituzionale.
Insomma, sarebbe un organismo specializzato ma soltanto consultivo e dunque non solleverebbe le obiezioni costituzionali della defunta Convenzione.
Anche di questo Quagliariello ha discusso ieri al Quirinale con il capo dello Stato, anticipandogli le proposte che illustrerà al seminario di governo a Sarteano.
Per una riforma costituzionale ancora da stabilire, ce n’è un’altra che marcia spedita con il pungolo di palazzo Chigi.
È la riforma dei regolamenti parlamentari, per consentire al governo di avere tempi certi sui suoi provvedimenti, evitando così il ricorso abnorme ai decreti e alla fiducia. In settimana Quagliariello e Franceschini ne discuteranno direttamente con i presidenti
Grasso e Boldrini.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL COMICO GENOVESE PENSA A MONETIZZARE IN AUTUNNO LA PROPRIA NOTORIETA’…SAREBBE L’OCCASIONE PER LA LOMBARDI E CRIMI DI FARGLI DA SPALLA, MAGARI CON BERLUSCONI COME IMPRESARIO, COSI’ IL CIRCO SAREBBE AL COMPLETO
«Dopo le elezioni tornerò a fare il comico, io sono un comico, e un comico
resto…», aveva promesso Beppe Grillo in diverse occasioni durante lo Tsunami Tour, l’ultima alla fine dell’anno scorso a Udine, in un fuorionda che fu ripreso e trasmesso sul web da Byoblu.
All’inizio del docu-film sullo Tsunami Tour – di Chiara Burtulo, Gianluca Santoro e Paolo Valentini – il fondatore del Movimento cinque stelle, disteso sul lettino del camper, spiega «io non ho mai pensato a che lavoro avrei voluto fare da grande, sentivo solo una vocazione, forte, far ridere, stupire…».
Ecco, c’è sicuramente riuscito.
E nonostante ci si possa stupire che qualcuno in Italia faccia ciò che aveva detto, la sua intenzione di tornare a lavorare da comico si tradurrà , presto, in una vera tournèe.
Grillo ci sta lavorando.
Sta scrivendo, prepara testi nuovi – anche nel tour in Friuli erano parzialmente diversi dallo Tsunami Tour – e probabilmente dopo l’estate dovrebbe iniziare un vero e proprio giro nei teatri, da comico, facendo pagare il biglietto.
«Che bello, quando queste piazze le riempivo sempre a pagamento, che nostalgia…», era una battuta ripetuta sempre, negli ultimi, affollatissimi ma purtroppo per lui gratuiti, show elettorali. Adesso Grillo vorrebbe tornare a quello che davvero sa fare meglio: far ridere.
Nei teatri.
A dispetto del clichè sul roco populista, dinanzi a platee di ceto medio riflessivo.
La volontà è accertata da fonte certa, «il suo desiderio sarebbe fare un tour mondiale». L’intenzione è fare sicuramente tappa in alcune capitali come Parigi e Londra, probabilmente concedersi qualche puntata in Nord Europa (ottima sarebbe la Danimarca, che molto s’è interessata al caso cinque stelle), e non sarebbero neanche escluse delle estensioni extraeuropee.
Sbarcare a New York sarebbe un po’ un’incoronazione dello showman, oltretutto in un Paese dove lui avverte media non per forza ostili.
Il New Yorker gli ha dedicato un ottimo ritratto. Il Financial Times, con Gideon Rachman, ha scritto da Londra che lui «non c’entra niente con gli anni Trenta e il fascismo», non è un dittatore, «è uno che fa ridere».
E quello Grillo l’ha sempre preso come il massimo dei complimenti.
Un network già c’è, oltre che un interesse forte, soprattutto in Francia Inghilterra Germania, e in America.
Già nel gennaio di tre anni fa, il 2010, quando ancora non era del tutto progettata la presenza così forte del suo Movimento in campo alle politiche, Grillo era stato a teatro prima a Londra, dove aveva visto Ken Livingstone – ospite anche allo show – quindi era stato invitato al Parlamento inglese dal ministro del cambiamento climatico Joan Ruddock, aveva tenuto un incontro a Oxford e alla London School of Economics.
Poi a Parigi, al teatro La Cigale, uno storico locale del XVIII arrondissement, dov’era stato a sentirlo tra il pubblico anche Renzo Piano.
Nella capitale francese era tornato un anno dopo, nel tour 2001 – intitolato «Beppe Grillo is back» – in cui tutta l’azione comica ruotava sulle parole, e su un grande schermo che Grillo faceva montare alle sue spalle, un ciclorama sul quale si formavano di volta in volta scritte, concetti, immagini che interagiscono con le sue parole.
È un’idea di fondo che potrebbe tornare.
Ma naturalmente Grillo, come oratore, ha un fortissimo istinto all’improvvisazione, e i suoi testi spesso somigliano a format-scaletta, sui quali introduce variazioni.
Di certo quello che ha promesso e detto di voler fare, tornerà prestissimo a fare, al netto dei suoi proverbiali sbalzi di umore.
Per lui, istinto da palcoscenico, i teatri sono comunque più adatti dei palchi; e in ogni caso, è parecchio più interessante il contatto con moltissimi di questi italiani all’estero che il corpo a corpo, quotidiano e faticoso, con l’establishment italiano.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
POLEMICHE SULLE ADESIONI RACCOLTE DALLE FEDERAZIONI E GIRATE AI CIRCOLI
Nel solo mese di gennaio il partito democratico torinese ha raccolto 4100 nuove adesioni, il cinquanta per cento in più degli iscritti del 2011.
E i 12 mila iscritti totali rappresentano il record di adesioni da quando i democratici hanno avviato il tesseramento, cioè dal 2009.
Caterina Romeo, responsabile organizzativa non nasconde la sua soddisfazione per «la voglia di partecipazione legata anche alle primarie».
Ma è chiaro che questi numeri devono essere anche letti alla luce di quello che si può considerare il testamento politico dell’ex segretario Gianfranco Morgando: «Difficile accettare una frantumazione del partito, una balcanizzazione che non ha nulla di politico ma che si caratterizza per l’utilizzo di aggregazioni che vogliono spartirsi il potere interno e nelle istituzioni».
E allora chissà quali sono le «tribù» del Pd che si sono rafforzate in vista del prossimo congresso.
Già perchè il boom si porta dietro accuse su pacchetti di tessere consegnati in blocco (firmate da una stessa persona o senza indicazione delle quote versate) alla federazione provinciale senza passare dai circoli
Romeo, però, respinge al mittente le accuse di chiunque voglia parlare di un partito in mano alle truppe cammellate: «Credo che un partito debba essere lieto dell’aumento degli iscritti e non entrare in una situazione di panico generalizzato alla ricerca spasmodica del Dna di ogni nuovo militante»
Certo, pacchetti di tessere ci sono ma secondo la responsabile organizzativa sono il frutto della caduta di alcuni steccati politico/ sindacali.
E così in via Masserano sulle 500 iscrizioni raccolte(ma secondo altre fonti le adesioni extra-circoli sarebbero molte di più) la metà circa è di delegati e sindacalisti della Uil che prima dello tsunami elettorale/parlamentare si erano fatti convincere dal programma di Bersani.
Iscrizioni che potrebbero portare acqua al mulino alla componente della sinistra interna che raccoglie un’area vasta che va dal senatore Stefano Esposito al sindaco di Settimo, Aldo Corgiat.
In questa campagna di tesseramento si sarebbero rafforzate l’area liberal-socialista che fa capo al consigliere regionale, Mauro Laus e al circolo Willy Brandt che vede tra gli animatori Prospero Cerabona.
Anche l’ex segretaria provinciale, Paola Bragantini, uscirebbe rafforzata grazie alla adesioni raccolte alle Vallette ma anche nel quartiere 2 (Andrea Stara) e in Barriera di Milano (Nadia Conticelli).
Il rafforzamento dei renziani nasce con le primarie e viene confermato dall’esito delle parlamentarie.
È evidente il tentativo di riequilibrare la forza di alcune componenti interne a partire da quella del premier Enrico Letta che a Torino può contare sull’appoggio dell’associazione IdeaTo guidata da Salvatore Gallo.
Resta da capire con quali regole si svolgeranno i congressi e, soprattutto, se saranno aperti anche ai non iscritti ma agli elettori registrati.
Proposta che oggi sarà rilanciata nel corso del primo Forum che si svolgerà in corso Moncalieri 18.
Maurizio Tropeano
(da “La Stampa“)
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Maggio 11th, 2013 Riccardo Fucile
DIPENDE DA CHE PARTE SI SCHIERERANNO, AMMESSO CHE I CINQUESTELLE NON CAMBINO IDEA
Nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama ci
sono otto senatori democratici.
Dipenderà da loro la sorte di Silvio Berlusconi, perchè dovranno decidere sia sulla sua ineleggibilità , che dichiararlo decaduto in caso di condanna definitiva.
Possono votare con il Pdl (salvandolo) o con i 5 stelle (facendolo fuori).
Di certo per ora si muovono con i piedi di piombo.
Il Caimano conosce l’importanza di quell’organo al punto da aver bloccato l’elezione del presidente premendo sull’elezione di un leghista anzichè di un membro di un’altra delle due opposizioni, Sel o M5S.
“La Lega non mi risulta che stia all’opposizione, a cui spetta la poltrona di quell’organo di garanzia — dice Felice Casson, magistrato, primo degli otto membri Pd della Giunta — si sono astenuti sulla fiducia e hanno addirittura votato a favore di Palma in Commissione Giustizia, non la definirei di fatto opposizione”.
Ma sull’ineleggibilità di Berlusconi come voterete?
“La Giunta è un organo paragiurisdizionale perciò non ci sono vincoli di partito da rispettare. Ognuno studierà le carte e farà la propria valutazione”.
Prudente anche la senatrice Denis Lo Moro, ex magistrato di estrazione diessina, che nella precedente legislatura da deputata ha presentato un progetto di legge per dichiarare ineleggibile anche chi ha una condanna in primo grado.
“Politicamente il mio pensiero è chiaro — dice Lo Moro — ma in questo frangente non bisogna avere idee pregiudiziali. Io sono un tecnico e non posso avventurarmi in valutazioni etiche. Devo leggere le carte e decidere serenamente”.
Claudio Moscardelli, ex Margherita, già consigliere in Regione Lazio, preferisce agire secondo una linea comune: “Non dobbiamo farci influenzare dai sentimenti personali ma discutere insieme e decidere a maggioranza”.
Poi c’è Giorgio Pagliari, anche lui ex Popolare, che insieme al capogruppo Luigi Zanda ha sottoscritto l’appello di Micromega.
“Politicamente ho espresso in quel modo il mio pensiero — dice Pagliari — ma da avvocato Cassazionista, prima di prendere qualsiasi decisione devo valutare tutto”.
Stessa provenienza politica e stesso pensiero quello dell’avvocato Giuseppe Cucca: “Io sono abituato a parlare carte alla mano, chi è chiamato in quel ruolo perde il suo profilo politico”.
Nella Giunta c’è anche l’ex presidente della provincia de L’Aquila, Stefania Pezzopane, politicamente più indipendente ma altrettanto prudente: “Appena la Giunta verrà insediata studierò le carte e mi comporterò di conseguenza” .
Meglio un presidente leghista o di Sel?
“Chiunque sarà dovrà assolutamente interpretare rigidamente le norme vigenti”.
La renziana Isabella De Monte, classe 1971, alla prima legislatura in Parlamento, conferma la volontà di attendere. “Ho visto molta sobrietà nei miei colleghi in questi giorni e vorrei proseguire su questa linea, le larghe intese le abbiamo fatte per affrontare la crisi e non possiamo cambiare idea ogni dieci giorni”.
La più arrabbiata è la senatrice Rosanna Filippin, lettiana di ferro, accusata per questo dalla Lega di aver “tradito” i suoi votando Palma in Commissione Giustizia.
“Non mi faccio fermare da nessuno — dice — nemmeno da chi cerca di incastrarmi. Che bisogno c’è di fare un giochino simile? Vogliono dimostrare che il Pd è diviso? Lo abbiamo fatto vedere in mondovisione. Non mi piace l’approccio e di conseguenza mi comporterò”.
Insomma, un presidente del Carroccio è escluso che lo voti.
E su Berlusconi? “Mi preparerò con onestà e deciderò con trasparenza. Senza fare sconti a nessuno”.
La decisione spetta a loro. A pungolarli i “dissidenti” Civati e Puppato che domani all’assemblea del partito presenteranno un documento dove l’ineleggilibilità di Berlusconi è scontata: per loro “è fuori”.
Caterina Perniconi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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