Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
STORACE PER AFFIGGERE I MANIFESTI DEL “QUOZIENTE ITALIA” SI DEVE AFFIDARE AGLI IMMIGRATI… CHE ABBIA CARENZA DI MILITANTI? NON SI DISPERI, TRA POCO POTRA’ CONTARE SULL’AIUTO DI MENIA
Roma, zona stazione Termini. 
La campagna elettorale per la corsa al Campidoglio offre spunti di riflessione: giovani immigrati che attaccano i manifesti de La Destra di Storace a sostegno di Gianni Alemanno (Pdl), sui quali campeggia in bella vista lo slogan: ‘Roma s’è Destra. Quoziente Italia. Asili nido e servizi sociali agli italiani’.
Chissà se Storace e Alemanno sanno che la loro campagna elettorale è resa possibile, dall’alba alla notte, dalle persone contro le quali si scagliano per farsi eleggere.
La domanda che si pone “il Fatto Quotidiano” (che ha realizzato il video da cui abbiamo tratto la foto che pubblichiamo) è solo retorica: lo sanno, lo sanno…
Una volta le affissioni venivano effettuate dai militanti, ma, in mancanza di questi, ci si affida agli immigrati tanto disprezzati…
Che esempio di coerenza…
Sarebbe interessante sapere se l’agenzia cui si sono affidati ha messo in regola questi attacchini o meno: basterebbe che il comune di Roma, guidato da Alemanno, mandasse in giro qualche vigile per gli opportuni controlli.
Sarebbe il colmo che le due “anime sociali che più sociali non si può” della destra italiana fossero inconsapevoli mandanti di sfruttamento del lavoro nero.
Certo, una volta il problema non si sarebbe posto, perchè a destra i manifesti li affiggevano i militanti.
Forse non ci saranno più, forse i copiosi rimborsi elettorali hanno indotto a meno sacrifici personali, forse gli immigrati li attaccano meglio, chissà …
Ma appena andrà in porto la riunificazione della destra italiana, Storace può stare tranquillo: per le affissioni potrà contare almeno sull’aiuto di Menia.
Dal manifesto di Bastia Umbra a quelli della stazione Termini il passo per qualcuno è breve.
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
IN ITALIA UN SISTEMA DI ACCOGLIENZA INEFFICIENTE CHE NEGA OGNI FORMA DI INSERIMENTO E DI CURE
Prima di iniziare la sua alba da omicida, Adam Kabobo, il 31enne ghanese che ha ucciso a picconate Alessandro Carolè, Daniele Carella ed Ermanno Masini, aveva dormito nei ruderi di villa Trotti, nel quartiere Niguarda di Milano.
Come lui, decine di migliaia di richiedenti asilo si incontrano ogni notte nei tunnel ferroviari, nei palazzi abbandonati, nei meandri delle stazioni, nelle baraccopoli ai margini della campagna pugliese o calabrese.
Sono i reietti di un sistema d’accoglienza per pochi, e di una burocrazia inefficiente e costosa che trascina per anni le loro pratiche fra uffici e tribunali con il risultato di lasciarli in un limbo: non respinti, non accolti, dimenticati.
Sono tutte persone che nel loro Paese potrebbero essere perseguitate o maltrattate per motivi di razza, religione, per le loro idee politiche.
Per questo si appellano alla legge per avere protezione.
Nel 2012 le domande presentate in Italia sono state poco più di 15 mila.
Poche, in confronto alla Germania (77.500), alla Francia (60.600) o alla Svezia (43.900). Anche in Belgio i richiedenti asilo sono stati quasi il doppio che da noi.
Con la differenza che lì le risposte arrivano normalmente in tre mesi, mentre qui si possono aspettare anche un anno e mezzo.
«Il rispetto di queste richieste è un diritto che abbiamo il dovere di garantire», ricorda Luca Pacini, responsabile welfare, scuola e immigrazione dell’Associazione nazionale dei comuni italiani: «Ce lo chiedono tutti gli organismi internazionali. E in attesa della sentenza è necessario che queste persone stiano in Italia, è una questione di sicurezza».
In attesa di avere un documento però le loro esistenze restano ai bordi della società , e diventano spesso dei drammi dell’emarginazione, soprattutto in un periodo di crisi economica come questo: non c’è lavoro nei cantieri, nei campi, nei magazzini. Non c’è speranza.
Non ne aveva Dek, il ragazzo somalo di 28 anni morto lo scorso 27 gennaio in un incendio nel sottopassaggio di Corso Italia a Roma, a due passi dalla centralissima via Veneto.
La lista d’attesa per i dormitori, nella capitale, è di sei mesi, e Dek, scappato dalle guerre somale, non aveva altra scelta che quella galleria in cui è morto.
Era convinto di non avere un futuro anche l’uomo eritreo di 32 anni che si è tolto la vita a marzo, a Crotone.
Scappato dalla dittatura, in Italia è finito nel campo profughi di Sant’Anna, uno dei centri di accoglienza più contestati dalle organizzazioni umanitarie, dove sono numerose le rivolte e gli episodi di autolesionismo.
E’ rimasto lì per mesi, senza corsi di formazione o contatti con l’esterno.
Poi, finalmente, la sua domanda di protezione è stata accolta, e con lo status di rifugiato è potuto uscire dal campo profughi, per iniziare la sua vita nel nostro Paese.
Ma una volta fuori non sapeva dove andare, senza soldi, amicizie, lavoro. L’unico rifugio che ha trovato è stata una baraccopoli ad Isola Capo Rizzuto, poco lontano dal centro di Sant’Anna.
Dove si è impiccato.
Anche se sono rifugiati, protetti da leggi internazionali che danno loro diritto ad una vita degna nel nostro Paese, in migliaia finiscono così a vivere fra le rovine.
A Milano decine di eritrei si nascondono ogni notte nello scalo ferroviario di Porta Romana, buttati in un tunnel. In Campania «dormono nei palazzi fatiscenti sul Litorale Domizio», racconta Maria Teresa Terreri, responsabile del servizio regionale di mediazione culturale: «E nelle baraccopoli della piana di Eboli.
Vivono alla giornata.
Come i ragazzi africani che si incontrano di mattina sulla “strada degli americani”, a Nord di Napoli, in attesa di un caporale che li faccia lavorare nei campi».
Ma nel sistema distorto dell’accoglienza italiana ciò che manca a chi richiede asilo non sono solo i posti letto.
Manca soprattutto il resto: l’assistenza legale, sanitaria, psicologica, i percorsi formativi dedicati anche a chi vive per strada, come Kabobo.
«Abbiamo un vuoto enorme di risorse», lamenta Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali di Milano: «Non basta garantire un tetto. Queste persone sono spesso molto fragili. Hanno bisogno di servizi dedicati, di assistenza. Ma non ci sono soldi per garantirla».
Chi arriva in Italia e chiede asilo infatti ha subito spesso violenze e torture, che dovrebbero dar loro diritto a una cura, oltre che all’accoglienza: «Ne incontriamo a centinaia che non parlano», racconta Berardino Guarino, direttore del Centro Astalli di Roma: «Che non sanno dove sono. Fissano il vuoto. Eppure vengono abbandonati in balia di sè stessi».
Per paura di essere denunciati, non si rivolgono nemmeno ai servizi che esistono sul territorio. «Noi abbiamo aperto apposta uno sportello nei locali per le docce pubbliche», racconta Peppe Monetti della Casa della Carità di Milano: «Lì ogni anno passano 30 mila persone, e di richiedenti asilo ne incontriamo parecchi. Garantiamo assistenza medica e psicologica, grazie a dei volontari».
Un aiuto che Kabobo, che ha dichiarato di sentire le voci, non ha mai incontrato. Come non ha mai conosciuto nessuno che gli insegnasse la lingua, tanto che nonostante fosse qui da 12 anni ha avuto bisogno, in questura, di un interprete dal suo dialetto ghanese.
Come lui non parlano ancora italiano molti dei profughi scappati dalle rivolte del Nord Africa e sbarcati in Italia dal febbraio del 2011, per i quali la protezione civile ha speso un miliardo e trecento milioni di euro, finiti in un’accoglienza scandalosa, fra case vacanza in alta montagna e alberghi vuoti, come l’Espresso ha denunciato mesi fa. Quando l’emergenza è finita, il 28 febbraio scorso, in decine di migliaia si sono ritrovati per strada, con in tasca una buonuscita da 500 euro e alle spalle due anni di ozio, durante i quali in pochi hanno avuto l’occasione di inserirsi, imparare qualcosa, mentre i più sono rimasti parcheggiati senza nulla da fare.
Abbandonati dallo Stato, alcuni si sono organizzati a modo loro.
A Torino 450 migranti hanno occupato tre palazzi costruiti per le Olimpiadi del 2006 e poi abbandonati, dove vivono da mesi senza gas, ma con luce, acqua e l’aiuto dei volontari: «Pochi di loro hanno un lavoro», racconta Cristina Molfetta, presidente del coordinamento “Non solo asilo” di Torino: «Ma insieme si sentono protetti. Per questo non entrano in conflitto col Comune, che del resto fa finta di non vedere quello che succede».
Andrà tutto bene, però, fino alla fine del 2013, ovvero fino a quando sarà valido il permesso umanitario che l’ex ministro Anna Maria Cancellieri ha garantito a tutti i profughi dal Nord Africa.
Dopo, rischieranno di rimanere anche loro intrappolati nella burocrazia, respinti, accolti, o semplicemente dimenticati.
Michele Sasso e Francesca Sironi
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
CHI PREDICA BENE E RAZZOLA MALE: DA VERONA A TREVISO, DA FROSINONE A BRESCIA, HANNO ALZATO LE ALIQUOTE SIA PER LA PRIMA CASA CHE PER I CAPANNONI
Predicano bene, razzolano male. Silvio Berlusconi ha posto il diktat sull’Imu: o viene
cancellata oppure il Pdl toglie la fiducia al governo di Enrico Letta.
Ma la realtà è assai diversa, poichè anche i sindaci del Pdl e della Lega si sono sbizzarriti ad aumentare la tassazione sulla prima casa.
O almeno stanno cercando di farlo, se il governo non sospenderà la rata di giugno.
Aumenti previsti anche sui capannoni artigiani e industriale: uno schiaffo in faccia agli imprenditori e a chi combatte giornalmente contro la crisi.
I più “coerenti” sono tuttavia i leghisti.
Solo pochi giorni fa Roberto Maroni ha esortato a togliere l’Imu su tutto.
”E’ chiaro che l’Imu deve essere cancellata e non solo sulla prima casa. Sono d’accordo con Berlusconi”, ha dichiarato.
Ed è proprio l’uomo di fiducia di Maroni, il sindaco di Verona Flavio Tosi, che ha proposto al consiglio comunale, che ha approvato, l’aumento dell’Imu sulla prima casa per il 2013, dal 4 al 5 per mille.
Ha fatto anche di più, lasciando invariata la tassa sulla seconda casa al 7,6 per cento, tra le più basse in Italia.
Infatti, fra i comuni capoluogo di provincia la media dell’Imu si aggira sul 10 per mille.
E’ sempre a Verona si registra la massima fedeltà dei pidiellini a Berlusconi, dove i transfughi del Pdl ma pur sempre iscritti al partito, hanno votato in massa il provvedimento del sindaco.
Il sindaco Tosi si è affrettato a dire che e «necessario per consentire il pareggio del bilancio. Questo provvedimento si è reso quindi necessario per mantenere invariati i servizi erogati dal Comune», ha aggiunto.
Ma non ha toccato la seconda casa, come invece hanno fatto molti altri sindaci, eppure la percentuale è tra le più basse se non la più bassa d’Italia fra i centri maggiori.
E si è così giustificato: «Andare a colpire le seconde case, ci sembrava infatti una scelta devastante, date le aliquote attuali che sono già dei salassi».
Spostandoci da Verona a Treviso, sindaco Giampaolo Gobbo, sempre leghista, ha fatto aumentare l’Imu sui capannoni dall’8,30 all’8,70.
Proprio lì, in una delle aree di maggiore concentrazione di attività produttive e capannoni, dove s’aggira lo spettro della crisi e dei suicidi di imprenditori.
A un soffio da Mestre, sede della Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese, che ha calcolato un aumento medio nazionale della tassa sui capannoni del 35 per cento, con punto fino al 51, con un vero e proprio salasso a Brescia, città governata dal sindaco Adriano Paroli, Pdl.
Se dal Nord si scende al Centro Italia la musica non cambia e l’incoerenza del Pdl è sempre la stessa.
A Frosinone, il sindaco di Centrodestra Nicolo Ottaviani, in carica da appena un anno, ha fatto fare un balzo alla tassazione sulla prima casa di due punti, dal 4 al 6 per mille.
Anche le parole del ministro allo sviluppo economico del Pd cadono nel vuoto riguardo all’Imu sui capannoni: «E’ giusto che non si paghi perchè sarebbe come farla pagare su un tornio».
Ma è anche al Sud, dove la poca industria arranca, che la tassazione è notevolmente aumentata. Nella terra dell’Ilva e, a Taranto, il sindaco di Centrosinistra, Ippazio Stefà no, ha fatto fare alla tassa un balzo all’insù.
Così hanno fatto i sindaci del Pd di Asti, Benevento, La Spezia e pure il sindaco di Cuneo.
Paolo Tessadri
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
HA PATTEGGIATO LA PENA: SI SAREBBE APPROPRIATO DEI CONTRIBUTI DEL GRUPPO PER CIRCA UN MILIONE DI EURO
L’ex tesoriere della Lega Nord al Senato Piergiorgio Stiffoni è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione, previo patteggiamento, dal gup di Roma Cinzia Parasporo in relazione alla gestione dei fondi del Carroccio.
All’ex parlamentare sono state riconosciute le attenuanti per aver riconsegnato le somme a lui affidate.
Stiffoni era accusato di peculato in relazione alla gestione tra il 2008 e il 2009, nella veste di segretario amministrativo della Lega a Palazzo Madama, dei contributi erogati al gruppo per circa 955mila euro.
La pena di due anni e sei mesi di reclusione era stata concordata dai difensori dell’ex tesoriere, Agostino D’Antuoni e Francesca Pellò, con il pubblico ministero Roberto Felici.
“L’ammissione di responsabilità del senatore Stiffoni — hanno dichiarato durante l’udienza i due avvocati — attiene unicamente alle modalità di gestione delle somme della tesoreria del gruppo parlamentare. Il Senatore non si è appropriato di alcuna somma, ma ha replicato un metodo di amministrazione sulla base delle precedenti gestioni amministrative delle altre legislature”.
“Nel corso dell’interrogatorio reso al pm — hanno aggiunto — Stiffoni ha fornito importanti elementi sull’uso del denaro pubblico che integrano precise fattispecie di reato a carico di altri parlamentari. Confidiamo nell’azione di indagine della magistratura perchè possano emergere tutte le responsabilità ”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
SI RITORNA ANCHE SULLA RESPONSABILITA’ DELLE TOGHE
Il Pdl riparte dal disegno di legge Alfano sulle intercettazioni. 
Lo fa alla Camera dove il capogruppo in commissione Giustizia, Enrico Costa lo propone come punto di partenza del dibattito. “E’ un disegno significativo del nostro Governo”, risponde, interpellato, il parlamentare che annuncia: “Presenterò anche un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati”.
Costa pensa anche anche al disegno di legge sulla messa alla prova ed è “partito dal presupposto di proporre come base di discussione testi già approvati almeno da un ramo del Parlamento”.
A questi, infatti, l’articolo 107 del regolamento consente una sorta di “corsia privilegiata” per la calendarizzazione.
Tutto questo accade pochi giorni dopo la requisitoria del procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini nel processo Ruby in cui il magistrato ha chiesto 6 anni di reclusione per Silvio Berlusconi.
La notizia, per giunta, arriva in una giornata già carica di tensione per il settore della giustizia.
Da una parte il documento del plenum del Csm che chiede al ministro della Giustizia di intervenire per far sentire il sostegno alla magistratura dopo gli attacchi degli ultimi giorni.
Dall’altra anche la famiglia Berlusconi che torna a far sentire tramite un’intervista rilasciata a Panorama da Marina, primogenita del leader del Pdl. Il processo Ruby “è una farsa che non doveva neppure cominciare” dice.
La prima reazione è quella del Partito Democratico: “Il tema delle intercettazioni non è certamente una priorità nell’ambito delle importanti riforme che attendono i cittadini per l’efficienza della Giustizia — dice Anna Rossomando — Gli orientamenti del Pd sono noti: riteniamo che si tratti di uno strumento investigativo fondamentale con la doverosa tutela della riservatezza delle persone”.
“La riproposizione da parte del Pdl del testo già proposto nella passata legislatura — osserva infine l’esponente democratica — rischia di far fare un grave passo indietro al confronto politico”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
NITTO PALMA: “I CITTADINI NON POSSONO VEDERE LA LORO CASA ANDARE GIU'”, MA QUANDO SALE SU, LUI NON LA VEDE… OGNI ANNO 6.000 IMMOBILI ABUSIVI, CIRCA 170.000 QUELLI CENSITI
Abusiva era abusiva, una villetta costruita senza uno straccio di licenza edilizia, ma il boss che l’aveva tirata su ad Afragola l’aveva dotata di un modernissimo impianto fotovoltaico.
Abusivo sì, ma ecologico.
La scoperta è di ieri, ed è l’ultima in quel Vietnam che è la lotta all’abusivismo edilizio in Campania.
I dati sono impressionanti. 129mila case illegali, 6mila ogni anno, 500 al mese, 16 al giorno, una industria che non risente di spread e crisi e che per rilanciarsi aspetta una sola parola d’ordine: sanatoria.
È questa la linea Maginot del Pdl: riaprire i termini del condono edilizio del 2003 per aggirare una legge regionale del 2004 (giunta Bassolino) che riteneva insanabili gli immobili edificati senza licenze e in aree vincolate.
Perchè in Campania si è costruito dovunque, nella città di Napoli, dove il simbolo dell’abusivismo è un intero quartiere, Pianura, sulle coste (dal Cilento alla Penisola Sorrentino) e finanche nella “zona rossa” vesuviana, quella a più alto rischio eruzione. Secondo l’Agenzia del territorio nel 2012 in Campania sono state censite 2222 case abusive ogni 100mila abitanti, migliaia di famiglie e di voti.
Basta promettere il colpo di spugna ed è fatta.
Silvio Berlusconi ha vinto così le elezioni politiche in Campania, una delle regioni chiave per impedire la vittoria del centrosinistra anche al Senato.
Bastava essere alla chiusura della campagna elettorale a Napoli nel catino della Fiera, piena zeppa di abusivi, tutti di necessità , ovviamente, con i loro cartelli “Sì alla casa”, “No alle demolizioni”, per capire.
I gerarchi del Pdl, Nitto Palma, Gigino Cesaro, Alessandra Mussolini e Carlo Sarro, promisero sanatorie e riaperture di termini, e gli abusivi votarono compatti per il Cavaliere.
Ora il Pdl si appresta a pagare la ricca cambiale.
Francesco Nitto Palma nella sua prima intervista da presidente della Commissione giustizia del Senato, lo ha giurato: “Presenteremo subito una iniziativa di legge per tutelare gli interessi dei cittadini campani che non possono vedere andar giù la loro casa”. Un disegno di legge è già pronto.
“Il condono — dice Arturo Scotto, deputato napoletano di Sel — è l’autobiografia del Pdl in Campania, qui alle scorse elezioni, in due settimane, Berlusconi è riuscito a recuperare migliaia di voti concedendo quella che è una vera e propria licenza di uccidere il territorio.
Ora vogliono riaprire i termini del condono, una iattura, con il Pd che sembra essere dentro un incantesimo e vuole trasformare i rospi (Alfano, Cesaro, Nitto Palma) in fatine”.
“L’abusivismo in Campania — è la reazione di Michele Buonomo, presidente di Legambiente — ha creato situazioni di non ritorno, le case illegali sono migliaia, quelle costruite per necessità una piccolissima percentuale. Si vada a vedere piuttosto chi c’è dietro l’urbanistica totalmente abusiva”.
La camorra, parlano i dati.
L’81% dei comuni sciolti per mafia in Campania negli ultimi vent’anni è stato commissariato anche per gli abusi edilizi e per il mattone illegale. In provincia di Napoli sono l’83%, il 77 in quella di Caserta. Napoli città ha anche un record, Pianura, 58mila abitanti e 70mila domande di sanatoria, il quartiere con il più alto indice di abusivismo d’Italia.
Debole e malamente attrezzato l’esercito che combatte mattone selvaggio.
Nell’ufficio condoni del Comune di Napoli si sono accumulate 110mila pratiche di sanatoria, quando verranno evase è un mistero.
Sta di fatto che nel corso degli ultimi trent’anni è bastato il solo annuncio di un provvedimento di condono perchè case e villette abusive spuntassero come funghi.
La prima sanatoria, quella del 1985 varata dal governo Craxi, che metteva in regola gli abusi fino al 1983, in soli due anni provocò l’edificazione di 230mila vani abusivi. “Ecco perchè — sostiene il presidente di Legambente Campania — questa nuova offensiva sulla sanatoria è pericolosissima”.
Difficile sanzionare gli abusivi, al limite dell’impossibile abbattere le case costruite in zone vincolate, molti Comuni preferiscono chiudere un occhio.
“I procuratori della Repubblica denunciano che a fronte del dilagare del fenomeno — che, assieme alla devastazione del territorio, afferma la presenza di una illegalità così diffusa tanto da non essere più percepita come tale — si registrano gravissime inerzie degli amministratori locali che non procedono alla demolizione dei manufatti abusivi, consentendo, di fatto la prosecuzione del godimento da parte dell’occupante”, ha denunciato nella sua ultima relazione il procuratore della Corte dei conti della Campania, Tommaso Cottone.
Insomma, chi costruisce abusivamente non solo ha altissime probabilità di farla franca, ma ci guadagna pure.
Perchè sulle “case fantasma” l ‘Imu è stata cancellata all’origine.
I magistrati contabili hanno fatto delle simulazioni contabili arrivando a scoprire che se le 170mila case illegali già censite dall’Agenzia del territorio della Campania pagassero tutte le imposte, porterebbero nelle casse di comuni oltre 120 milioni di Imu e 53 milioni per il recupero dell’Ici non pagata.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2009 LA BANCA FA GIRARE 100 MILIONI DI EURO SU UN CONTO CORRENTE ROMANO PER EVITARE MULTE DOPO LA FUSIONE CON ANTONVENETA
Non ci sono solo gli ormai celebri derivati Alexandria e Santorini. 
Per la Procura della Repubblica di Siena il Monte dei Paschi è una miniera inesauribile di storie ai confini della realtà .
Tutte, a quanto pare, derivanti dalla sventurata acquisizione della Banca Antonveneta, con cui nell’autunno del 2007 l’allora presidente Giuseppe Mussari segnò di fatto l’inizio della fine della sua carriera di manager e, forse, della stessa banca senese.
Tutte imbarazzanti per le autorità di vigilanza, Bankitalia, Antitrust e Consob: se nel gennaio scorso qualcuno ha accusato soprattutto gli uomini dell’allora governatore Mario Draghi di essere stati quantomeno distratti, adesso appare evidente che il Montepaschi è riuscito con una certa facilità ad aggirare i controlli e a trarre in inganno gli ispettori di palazzo Koch.
I pronti contro termine
Dalle carte dei pm senesi (Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso) risulta che tra novembre e dicembre 2009 i vertici del Montepaschi organizzarono un complesso movimento di denaro dei clienti da una città all’altra, all’apparente scopo di trarre in inganno la Banca d’Italia e l’autorità Antitrust.
La storia va ricostruita perchè finora lo scandalo senese ci ha raccontato manovre spericolate e, secondo la procura senese, illecite per occultare le difficoltà della banca.
In questo caso, invece, pare di assistere a una gratuita e disinvolta furbata per ingannare Banca d’Italia e Antitrust.
La vicenda è sul tavolo dei magistrati senesi.
Il 27 novembre 2009 il direttore amministrativo del Monte, Attilio Di Cunto, telefona a Lorenzo Biscardi, alto dirigente della FondazioneMps, azionistadicontrollodellabanca. Dice Di Cunto: “Bisognerebbe far aprire alla filiale del Monte a Roma un conto corrente intestato alla Fondazione nella quale far trasferire cento milioni di nostri Pct [pronti contro termine, ndr] che al momento abbiamo sulla filiale di Siena, invece di farli sulla filiale di Siena si trasferiscono cento milioni sulla filiale di Roma, questo gli serve perchè ai livelli Antitrust per voler far le statistiche… ”.
Biscardi sembra già informato della cosa, e spiega: “Marco ci ha chiesto codesta… come ti posso dire codesta… ci ha posto la domanda: se e che quando potevamo trasferire su un conto corrente a Roma o a Milano per i motivi dell’Antitrust e quant’altro, perchè non si può avere piu del 58% e via andare…”.
La quota di mercato
Spiegazione del dialogo. Quando Montepaschi acquista l’Antonveneta, l’Antitrust autorizza l’operazione (potenzialmente dannosa per la concorrenza) in cambio di precisi impegni del Monte dei Paschi a ridurre il proprio dominio sul mercato soprattutto toscano.
Saranno venduti numerosi sportelli nella regione e, in particolare, la banca si impegna a ridurre la propria quota di mercato nella provincia di Siena dal 65-70 per cento dei depositi al 58 per cento.
Gli ispettori della Banca d’Italia, per conto dell’Antitrust, devono rilevare a fine 2009 se davvero il Montepaschi sia sceso sotto il 58 per cento della raccolta nella provincia.
Il Marco che, come dice Biscardi, “ci ha chiesto codesta… ”, è presumibilmente il suo capo, Marco Parlangeli, allora direttore generale della Fondazione Mps, ma anche consigliere d’amministrazione di Mediobanca e del fondo pubblico F2i.
Dunque il Montepaschi deve superare l’esame Antitrust e chiede a un cliente fidato come la Fondazione (padrona della banca) di spostare i suoi soldi da Siena a Roma, per far risultare più bassi i depositi a Siena. Si noti che la controllata ordina e la controllante e cliente esegue.
Biscardi solleva un problema, a lui quei 100 milioni servono a Siena. Dice: “Se ce li vuoi tenere i cento milioni da qui al sedici di dicembre va bene, però poi vanno riportati”.
Di Cunto replica pronto: “Loro la rilevazione la fanno al sette di dicembre”. Biscardi si rischiara: “Ah… allora va bene, si può fare… ”. Di Cunto ribadisce: “La rilevazione la fanno il 7 di dicembre… quindi… l’importante è che il 7 di dicembre figurino cento milioni la sopra”.
I magistrati intercettano questa telefonata a fine novembre, e accertano che in effetti la Fondazione ha aperto in tutta fretta, nel giro di tre giorni, il conto a Roma.
Interrogano qualche mese dopo Roberto Bianchini, vicedirettore della filiale di Siena del Montepaschi, che così testimonia: “La richiesta specifica fu quella di azzerare il c/c di Siena riversando il saldo intero sul conto appena aperto a Roma (…). Non so dirle il motivo di tale operazione e perchè ci fosse tale fretta potrei solo fare supposizione e non mi pare quindi opportuno riferire opinioni personali”.
Poi aggiunge: “Per quel che ricordo analoga operazione è stata compiuta su una società del gruppo che si occupa di partecipazioni con sede a Siena mi pare sia la Mps Capital Service ma non ne sono sicuro; in quel caso ricordo che fu attivato un c/c su Milano ove tra l’altro la società ` in questione già operava da tempo in titoli parte dei quali depositati gia` a Milano… ”
La rilevazione di Bankitalia
Il 7 dicembre dunque la Banca d’Italia rileva i dati, e può comunicare all’Antitrust che il Monte dei Paschi è effettivamente nei limiti imposti.
I magistrati a quel punto si chiedono se non ci sia qualcosa di strano in quel tramestio di conti correnti su e giù per l’Italia “per voler far le statistiche”.
E chiedono ragguagli alla stessa Banca d’Italia, specificando che quei movimenti erano sicuramente da mettere in relazione con la necessità di Mps di adempiere entro il termine del 30 novembre 2009 (poi prorogato al 31 maggio successivo) all’obbligo di ridurre la quota di mercato dei depositi detenuta nella provincia di Siena.
La Banca d’Italia risponde che tutto sembra regolare, ma facendo riferimento solo ai movimenti dei soldi da una città all’altra, di per sè normali.
A quanto pare i magistrati non avrebbero informato gli ispettori di palazzo Koch e l’Antitrust delle intercettazioni agli atti, che, all’apparenza, darebbero alle stesse operazioni la luce particolare dell’ostacolo doloso alla vigilanza.
Forse un reato, sicuramente un’altra pagina quanto meno di dubbia eleganza nella ormai sgarrupatissima storia del Monte dei Paschi.
Giorgio Meletti e Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
“L’ECCEDENZA” DELLA DIARIA VERRA’ RESTITUITA, MA NELLA “NOTA RIMBORSI” OGNUNO METTERA’ QUELLO CHE GLI PARE… COSI’ SI SALVA LA FACCIA DEI “DURI E PURI”, MA NELLA SOSTANZA CHI VUOLE SE LA TERRA’ TUTTA
Notte fonda, si sbaracca. Fine della riunione fiume sui soldi.
Da uno degli ultimi banchi del mini emiciclo sotterraneo il deputato Cinque Stelle Adriano Zaccagnini spara le ultime stanche bordate.
L’eccedenza della diaria sarà restituita (in teoria), ma ciascuno avrà diritto di mettere nei rimborsi più o meno quello che gli pare.
Se qualcuno si troverà in difficoltà sarà aiutato. Con una colletta? «Sì, se fosse necessario».
Qual è il confine tra la solidarietà e l’umiliazione? Difficile che finisca qui. Zaccagnini, che molti dei suoi colleghi considerano ormai un eretico sulla via dell’espulsione, riprende la parola.
«Siamo in una situazione bruttissima, in cui si è incrinato il rapporto di fiducia. Continuo a lavorare, ma mi sento a disagio». La pausa per respirare è fatale. «Per i soldi», gli grida il furibondo senatore Airola. Brusio.
Commenti acidi. Zaccagnini li ignora.
«Le dinamiche oramai sono da KGB», sbotta mettendo l’epigrafe su un dibattito ormai sgangherato.
Ma come si è arrivati a questo punto?
La seduta inizia alle sette.
Vito Crimi si prende il centro del tavolo dei relatori. Alle 22, con modi morbidi, mette i colleghi riottosi (poco meno della metà , ma la conta è difficile visto che un’ottantina se ne sono già andati a casa) con le spalle al muro.
«Ho solo una domanda da fare: c’è qualcuno che intende non restituire l’eccedente della diaria?». Caos. «Mi basta un sì o un no. Se non c’è nessuno non votiamo neanche. Ognuno poi si prenderà la responsabilità di ciò che rendiconta».
Il deputato Alessio Tacconi, eletto in Svizzera, è il primo a replicare.
Spiega che la domanda è posta male. «Parlate di casi speciali da aiutare. Ma quali sarebbero?».
Non gli piace il metodo. Fiuta la trappola. E gli sembra che Crimi abbia un irricevibile modo da ambasciatore presso la Santa Sede.
Qualcuno vale più degli altri?
L’avvocato toscano Alfonso Bonafede si schiera con i fedelissimi di Grillo. «Io restituisco tutto, anche se c’è da valutare l’aspetto delle spese indirette familiari. Piuttosto mi amareggia che il gruppo in questa storia sia stato molto poco coeso. Specie davanti a Beppe. Voglio ringraziare Fico, Crimi e Di Battista per avere detto all’esterno che il gruppo era unito».
Sguardi torvi. Ma nessuno ha il coraggio di rompere davvero.
Il deputato friulano Walter Rizzetto spiega perchè. «Io rendo tutto. Tra l’altro mi sembra difficile votare dopo gli interventi di Crimi in tv e i post minacciosi che ho visto sul blog di Grillo. Ma una cosa la chiedo: basta con le minacce, basta con parole come black list, basta con i pezzi di merda e con i traditori».
Rispetto. Pretende di non essere trattato come un pezzente.
La stessa linea del senatore Battista che si chiederà – domanda interessante – «perchè sia la Casaleggio&Associati a indirizzare il Movimento».
O del deputato Furnari e della deputata sarda Paola Pinna, che parla di una situazione orwelliana. «La manipolazione della verità sembra quella di 1984. Avevamo firmato dei patti diversi. Ma qui il problema non sono i soldi. L’idea che ci si debba confessare per spiegare i propri problemi è una violazione della privacy e della dignità umana».
Anche lei attacca Crimi. Gli chiede conto della sua apparizione dall’Annunziata. «Con chi è stata concordata?».
La distanza tra le posizioni è apparentemente incolmabile, anche se la formula finale sulla diaria sembra chiudere la partita senza danni collaterali.
Il Movimento cerca una compattezza che oggi non ha.
Anche la leadership di Grillo non è forte come prima.
«Ma forse l’obiettivo di qualcuno è proprio cacciare venti di noi», insinua la Pinna. Fine dello show.
Finta armonia da regalare all’esterno.
I deputati si allontanano disperatamente alla ricerca del balsamo del sonno.
Andrea Malaguti
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
ESTESA L’ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA ANCHE AI CONVIVENTI MORE UXORIO DELLO STESSO SESSO: MA SOLO AI DEPUTATI
I deputati italiani hanno diritto ad estendere l’assistenza sanitaria integrativa anche ai
conviventi more uxorio dello stesso sesso.
I cittadini italiani, invece, no.
Sembra la versione gay della Fattoria degli animali di George Orwell, dove tutti gli animali sono uguali ma alcuni, quelli al potere, sono più uguali degli altri.
Ma è solo il Parlamento italiano dove, ancora una volta, rischia di approfondirsi la distanza tra il Paese legale, le istituzioni, e il Paese reale, le persone comuni.
Su un tema già delicato e divisivo in sè
Ieri l’ufficio di presidenza della Camera di Laura Boldrini ha accolto la richiesta del democratico Ivan Scalfarotto, omosessuale dichiarato.
Favorevoli Pd, Pdl e Sel, astenuti Movimento 5 Stelle e Scelta civica; contrari Lega e Fratelli d’Italia.
Scalfarotto – che è riuscito dove l’ex parlamentare pd Paola Concia aveva fallito – è convinto di aver fatto adottare per la Camera «un principio di civiltà che vale per tutte le casse sanitarie aziendali» e si augura che «l’equiparazione» sessuale venga estesa anche fuori.
Peccato che il Parlamento non sia un’azienda, ma un organo di rappresentanza che, in caso di mancata approvazione di una legge che sancisca questo diritto erga omnes, tradirebbe la propria missione; perchè farebbe godere alla classe politica un diritto negato ai rappresentati.
Hanno infatti parlato di «privilegio» di «casta» anche quanti hanno applaudito, da Nichi Vendola (Sel) a Imma Battaglia (Gay Project); oltre, ovviamente, a chi ha votato contro, come la Lega e Fdi, o si è astenuto, come l’M5S, che ha ricordato la propria proposta di legge al Senato sui matrimoni gay.
In questa confusa (e un po’ sospetta) corsa in avanti, persino Carlo Giovanardi (senatore Pdl) ha ricordato una sua proposta di legge (che però esclude il more uxorio).
Ora tocca al Parlamento dimostrare che non si è trattato di un ipocrita gay pride di Palazzo.
Luca Mastrantonio
(da “il Corriere della Sera”)
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