Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
INCONTRA LETTA PER PREPARARE UNA MISSIONE IN CINA
È tornato a palazzo Chigi e stavolta ci è rientrato a piedi.
Cinque anni dopo il suo addio alla politica, Romano Prodi è tornato nel palazzo del governo per fare quattro chiacchiere col suo amico Enrico Letta, che l’ultima volta gli aveva fatto da sottosegretario alla Presidenza.
Il Professore è entrato da quello stesso portone dal quale era uscito, con un magone indimenticabile.
Era l’8 maggio del 2008 e – dopo le elezioni vinte da Berlusconi e perse dal Pd – nel cortile di palazzo Chigi, davanti al picchetto d’onore e con i dipendenti che lo applaudivano dalle finestre, il «Prof» si congedò dando una carezza alla moglie Flavia.
Dopodichè i due salirono sull’auto di servizio che li riportò a Bologna.
Da allora Prodi è rimasto lontano dalla politica, salvo rientrare involontariamente in scena, quando Pier Luigi Bersani lo ha candidato al Quirinale e i 101 franchi tiratori lo hanno cecchinato nel segreto dell’urna.
Da quel giorno Prodi, amareggiato, non ha più parlato di quella vicenda.
D’altra parte nei mesi e nelle settimane precedenti il Professore non aveva brigato per essere candidato e dunque la superficialità con la quale era stato messo in campo e il «tradimento» dei 101 hanno finito per convincerlo che la crisi del Pd è molto più grande della sua vicenda.
Una crisi che Prodi giudica quasi irreversibile, al punto che l’ex premier sta meditando una decisione clamorosa: lasciar consumare il suo rapporto col partito, sia pure senza strappi plateali, ma con un gesto simbolico: non ritirando la tessera in occasione del prossimo congresso di autunno.
Naturalmente non c’è nulla di deciso e l’imminente stagione congressuale potrebbe invertire tante opinioni, compresa quella di Romano Prodi.
E d’altra parte tornare a palazzo Chigi come se nulla fosse – dimostra la tempra del personaggio.
Naturalmente l’incontro ha scatenato subito mille dietrologie.
Di cosa hanno parlato? Perchè subito dopo Letta si è visto anche con Mario Monti?
E dopo due ex premier, Letta vedrà anche Silvio Berlusconi?
Da quel che trapela da palazzo Chigi l’incontro con Prodi e quello con Monti non sono tenuti assieme da un unico filo.
Quella col Professore è stata una rimpatriata, una panoramica a tutto campo, perchè come ha detto Letta, «con Romano parlo di tutto».
Appunto, anche della Cina: Letta ha chiesto consigli a Prodi, grande amico dei cinesi, per realizzare una mega missione di imprenditori in quel Paese.
Con Monti invece si è trattato di un incontro a tutto campo con uno dei leader della maggioranza.
E naturalmente Letta ha chiesto a Monti suggerimenti sui prossimi Consigli europei, in particolare per quello di fine giugno, dove l’Italia ha intenzione di giocarsi tutte le sue carte sul piano straordinario per l’occupazione giovanile.
Oggi Letta potrebbe vedersi con Giuliano Amato e a quel punto il suo giro di orizzonte finirebbe per assomigliare ad una summa di opinioni e informazioni tra coloro che sono stati i presidenti del Consiglio degli ultimi 15 anni.
Certo, mancherebbe ancora Berlusconi.
Dal punto di vista formale nulla osta, anche se un incontro col leader del Pdl proprio in queste ore cozzerebbe con ragioni di opportunità politica per via delle polemiche sul processo Ruby e sulla manifestazione di Brescia.
Ovviamente di Europa, Letta ha parlato anche con Prodi, col quale peraltro si era già scambiato opinioni diverse volte negli ultimi giorni.
E d’altra parte non sempre le consultazioni dei primi giorni portano lontano: qualche settimana dopo l’insediamento del suo governo, anche Monti si consultò con Prodi. Era l’8 gennaio 2012, ma non se ne seppe nulla, anche perchè l’incontro si svolse nella casa milanese dell’allora presidente del Consiglio. In quella occasione Prodi diede un consiglio a Monti: «Fai asse con Francia e Spagna».
Monti non volle seguire quel consiglio se non in seguito e invece nelle ultime settimane quel consiglio è stato concretizzato proprio da Letta, nei suoi recenti incontri di Parigi con Hollande e di Madrid con Hollande.
Tutto fermo, intanto, sul fronte della riforma elettorale, compresa un annuncio del ministro Quagliariello: «Subito intervento sul premio di maggioranza».
Fabio Martini
(da “La Stampa“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
IN CABINA CON LO STRASCICO: LA LISTA PREFERITA ANDRA’ CERCATA TRA LE SEI FACCIATE CHE COMPONGONO LA SCHEDA
Sono 19 i candidati a sindaco di Roma e così la scheda elettorale sarà lunga 1 metro e 20
centimetri.
Ieri c’è stato un nuovo sorteggio per la posizione sulla scheda, diventata necessaria dopo il rientro in pista deciso dal Tar della lista Roma Risorge di Matteo Corsini. Nessuno dei big ha conquistato le prime posizioni.
La scheda che si troveranno davanti i romani alle prossime elezioni del 26 e 27 maggio sarà dunque più lunga rispetto al sorteggio precedente.
E conterà ben sei facciate.
Questo perchè ognuna può contenere al suo interno nove simboli e nessuna coalizione di un candidato sindaco può essere spezzata tra una pagina e l’altra.
Quindi il numero delle facciate dipende dal sorteggio.
Il sindaco uscente Alemanno risulta essere il primo della quarta facciata, mentre De Vito ultimo; nella quinta colonna c’è Marino.
E nell’ultima, la sesta, compare l’imprenditore “dal cuore spezzato” Marchini in compagnia del candidato di Casapound Simone Di Stefano.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
SCHIACCIATO DALLA POTENZA INVISIBILE DEL “GRANDE CREDITORE” E’ IL NUOVO PROLETARIO DEL TEMPO CONTEMPORANEO
Lo riconosciamo in Giovanni Guarascio. È il muratore di Vittoria che si è dato fuoco ieri quando la sua casa è stata messa all’asta perchè non era in grado di restituire diecimila euro alla banca. Prima di lui riconosciamo l’uomo indebitato in tanti altri protagonisti dei gesti disperati di cui sono piene le cronache recenti.
Ma non basta.
Interi popoli, ormai, fra i quali gli italiani, vivono soggiogati dal debito.
Una condizione esistenziale che li colpevolizza — siete voi stessi i responsabili della vostra disgrazia! — e li sollecita a modificare le proprie abitudini di vita attraverso una disciplina imposta.
Prima ancora del sopraggiungere dell’indigenza, è la dottrina economica del debito, divenuta senso comune, ad ammonirci quotidianamente: non lavoriamo abbastanza, consumiamo troppo, godiamo di tutele sociali che non dovremmo permetterci.
Ma davvero l’uomo indebitato deve rassegnarsi a chinare il capo e a prendersela solo con se stesso?
È come se la crisi di un’economia globale fondata sul debito infinito, che si riverbera come debito sovrano degli Stati, debito privato delle imprese e debito individuale delle famiglie rimaste senza risparmi, ci costringesse a modificare il nostro sguardo sulle classi sociali.
Anche i marxisti devono rivedere i loro schemi: la classica relazione capitale/ lavoro soppiantata dalla relazione creditore/debitore?
Se pure il creditore non assume le fattezze prossime della banca o di Equitalia, esso incombe come entità sovranazionale che si fa beffe delle frontiere e ci travolge insieme al flusso dei capitali finanziari.
Velleitaria, e pericolosamente reazionaria, sarebbe la pretesa di frenarlo col ricorso a barriere protezionistiche.
Di conseguenza anche l’uomo indebitato si trasforma in figura trasversale, oltrepassa le tradizionali barriere sociali: può essere disoccupato o artigiano, operaio o imprenditore, precario o impiegato pubblico.
Ma sempre uomo indebitato.
Maurizio Lazzarato, autore del saggio La fabbrica dell’uomo indebitato (Derive/Approdi), sostiene che la fabbrica dei debiti, ovvero la costruzione e lo sviluppo di un rapporto di potere tra creditori e debitori, è il cuore strategico delle politiche neoliberiste.
In altre parole, sarebbe l’esito naturale del predominio della finanza sui nostri sistemi economici. Ciò spiega perchè, nella tempesta della recessione, il salvataggio delle banche è stato considerato prioritario rispetto al soccorso delle popolazioni in difficoltà : secondo questo schema, i governi vengono chiamati dal “Creditore universale” a imporre nel suo interesse sempre più deroghe ai diritti sociali: i cittadini devono rassegnarsi alla loro condizione di debitori.
Da qui a sognare la rivolta dell’uomo indebitato come prossima forma che assumerà la lotta di classe, il passo è breve, nelle intenzioni dei pensatori rivoluzionari.
Ma la realtà mal si presta a simili slogan.
Se è vero infatti che il debito incide profondamente nella soggettività di chi ne è afflitto, presentandosi a lui come limitazione insuperabile e condizione eterna, l’effetto immediato è la disperazione sociale.
Depressione, vergogna, solitudine, rabbia. Istinto autodistruttivo — come nel caso di Giovanni Guarascio che ha trascinato con sè nel fuoco anche la moglie, la figlia e due agenti di polizia — oppure volontà di rivalsa quando subentra il bisogno di individuare gli artefici della propria disgrazia: di volta in volta i politici, gli esattori del fisco, i banchieri, i funzionari pubblici, gli immigrati.
Il pericolo poi è che entri in azione qualche imprenditore politico della disperazione, abile nel riversare su un nemico interno o esterno la responsabilità del debito insolvibile.
Per secoli l’antisemitismo si è nutrito di simili pulsioni, ma domani potrebbe toccare ad altri divenire vittime dell’odio di altre vittime.
L’uomo indebitato si sente ripetere dai leader di paesi più “virtuosi”, e dai tecnocrati nostrani prestati alla politica, che potrà salvarsi solo “facendo i compiti a casa”.
Ma intanto perde la casa, come dimostrano anche le cifre del crollo del mercato immobiliare.
La società si divide fra chi è ancora in grado di usare una carta di credito, restando così associato al mondo della finanza, e chi invece quel credito nominale l’ha perduto.
Insieme al disagio sociale, ne deriva una nuova psicologia del debito privato come condanna esistenziale
La filosofa Elettra Stimilli (Il debito del vivente, Quodlibet) individua le radici culturali di tale condizione nella natura stessa del capitalismo.
Cita Walter Benjamin che nel pieno della crisi della Repubblica di Weimar, travolta dai debiti di guerra, additava il capitalismo come la più estrema delle religioni: «Il capitalismo è il primo caso di un culto che non redime il peccato, ma genera colpa… Un’enorme coscienza della colpa, che non sa rimettere i propri debiti».
È ben noto che in tedesco la parola schuld si adopera ugualmente per dire debito e per dire colpa.
Poco importa processare a ritroso il ricorso capitalistico all’economia del debito nel corso della sua storia.
Resta il fatto che al giorno d’oggi l’uomo indebitato è una figura sociale talmente generalizzata da farci dubitare che accetti di sentirsi colpevole ancora a lungo.
Nel frattempo il debito pubblico italiano ha raggiunto a marzo la cifra record di 2.034,725 miliardi di euro.
Gad Lerner
(da “la Repubblica“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI CALTANISSETTA ACQUISISCE UN FILMATO E CERCA DI VENIRE A CAPO DEL MISTERO DELLA SPARIZIONE DELLE CARTE CHE PAOLO PORTAVA CON SE’
Girava su Youtube da circa un anno e mezzo con il titolo “via D’Amelio, video inedito”, e
nessuno se n’era accorto.
Le immagini sono nitide, ma su quell’iPad le hanno viste ieri mattina solo i pubblici ministeri Nico Gozzo e Stefano Luciani e il testimone d’eccezione, il colonnello Giovanni Arcangioli: lo ritraggono nell’inferno di via D’Amelio, il pomeriggio del 19 luglio del 1992, insieme a due sottufficiali dell’arma e la borsa di Paolo Borsellino, appoggiata sugli avambracci di uno dei due, il maresciallo Calabrese, in servizio allora al nucleo operativo.
Per la prima volta un video svela un passaggio di mano della borsa di pelle marrone prelevata dall’auto del giudice ucciso, dalle mani del colonnello Arcangioli, incriminato e poi prosciolto dal furto dell’agenda rossa, a quelle (anzi, alle braccia) di uno dei suoi uomini.
È questo il momento più significativo della deposizione in aula, a Caltanissetta, al processo Borsellino quater del colonnello Arcangioli, protagonista ieri di uno sfogo condito da una serie di ‘non ricordo’: “Sono passati 20 anni e io di via D’Amelio ho due ricordi: l’odore e la desolazione. Poi ho solo dei flash”.
Arcangioli non ricorda da chi ha preso la borsa e a chi l’ha consegnata.
Ha detto di averla aperta “forse alla presenza di Ayala, ma non posso esserne sicuro al punto da affermarlo sotto giuramento” e di aver dato disposizione di rimetterla nella vettura, sostenendo di averne parlato al suo superiore, l’allora capitano Minicucci.
Il video, inedito, non è stato ancora acquisito dalla procura di Caltanissetta che non ha deciso se citare il nuovo testimone.
Postato nel novembre del 2011 su Youtube, la procura ha scovato il fimato grazie ad una segnalazione confidenziale.
Stamattina è stato mostrato in aula ad Arcangioli, che deponendo come teste è stato protagonista di un lungo sfogo: “Sono 8 anni che vivo in questa situazione che ha distrutto me e la mia famiglia con gli attacchi di giornali e tv”.
Arcangioli si è lamentato del fatto che, in questi anni, sia stato ritenuto strano che lui non avesse scritto una relazione di servizio sull’episodio: “Non ritenevo, probabilmente sbagliando, quel reperto di interesse, e non viene ritenuto strano che l’operatore di polizia la relazione l’abbia fatta dopo 6 mesi”.
L’allusione è all’ispettore della polizia Maggi, che intorno alle 18,30 prelevo’ la borsa dal sedile posteriore della blindata, dove nel frattempo era stata riposizionata, per portarla in questura. Maggi verrà sentito alla prossima udienza, prevista il 20 maggio, ed il giorno dopo, il 21, proseguirà la deposizione del giudice in pensione Giuseppe Ayala: anch’egli presente sul luogo della strage pochi minuti dopo l’esplosione, ha già deposto in aula ieri mattina.
Ayala ha confermato la sua versione sulla borsa, consegnata, ha detto, ad un ufficiale dei cc in divisa (“e non era quella estiva”) ma ha fornito nuovi e inediti dettagli, in qualche caso contraddicendosi, sul suo arrivo in via D’Amelio (“in auto”), sulla collocazione della borsa (“sul sedile” e non sul pianale come aveva detto prima) e sulla presenza di sua moglie a casa al momento dello scoppio della bomba.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
E SACCOMANNI PENSA A COME AIUTARE LE IMPRESE
Riforma delle pensioni da cambiare. Solo ritocchi per quella del lavoro.
Mentre spuntano problemi di copertura per la Cassa integrazione in deroga.
Il Consiglio dei ministri di venerdì potrebbe mettere in campo solo «un intervento tampone», ha fatto intendere ieri il ministro del Lavoro Giovannini (il governo puntava a 1,2 miliardi, si accontenterà forse di 800 milioni).
Sul fronte Imu, intanto, si studia l’esenzione anche per i capannoni industriali. «Vediamo quello che è possibile fare», assicurava ieri il ministro dell’Economia Saccomanni, mentre la Banca d’Italia certificava il nuovo record storico del debito pubblico: 2.034,725 miliardi a marzo.
Uscite flessibili, ma penalizzate.
Tradotto: andare in pensione qualche anno prima, ma con un assegno decurtato. Questo il piano del governo, scandito ieri da Giovannini, in audizione al Senato, per dare «una soluzione strutturale» alla questione “esodati”, come aveva promesso il premier Letta nel suo discorso di insediamento.
«Non è il tema di ora», ha precisato Giovannini, tuttavia «occorre ripensare alcuni meccanismi della riforma delle pensioni».
Una proposta di legge in tal senso già esiste, depositata alla Camera e a firma Damiano-Gnecchi (Pd), che prevede meccanismi di penalizzazione per chi lascia il lavoro (o è costretto a farlo) tra i 62 e i 65 anni (dall’8 al 2% in meno di pensione). Ma anche premi per chi vuole proseguire tra i 65 e i 70 (dal 2 all’8% in più).
Tagli e bonus aperti alle decisioni dei singoli, senza paletti.
Non solo dunque una proposta a protezione degli esodati, ma il tentativo di restituire ai lavoratori la possibilità di scegliere quando ritirarsi.
Nel 2013 potrà farlo chi ha 41 anni di contributi (se donne) o 42 (se uomo), oppure 66 anni per le pensioni di vecchiaia.
Il premier Letta tuttavia aveva sì parlato di «gradualizzazione» ma solo in «forme circoscritte» per consentire «l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale ».
Un riferimento implicito alla questione “esodati” (privi di pensione e reddito), lungi dall’essere risolta dopo la copertura dei primi 130 mila casi, costata 10 miliardi.
Il ministro del Lavoro ha incaricato l’Inps di preparare una «mappa concettuale» per una «quantificazione precisa» degli “esodati” che distingua tra «casi variegati».
Meno spazi invece per una modifica all’altra legge Fornero, quella sul lavoro.
La riforma «sta finalmente producendo una serie di effetti voluti» ha detto ieri Giovannini, riferendosi ai risultati del monitoraggio Isfol secondo cui diminuiscono i contratti precari a favore di quelli a tempo.
«Modifiche limitate e puntuali» sono possibili, ma «bisogna essere molti attenti prima di toccarla». D’altronde è «irrealistico », per il ministro, «pensare che interventi normativi, fiscali o contributivi possano generare lavoro».
«Se la produzione non cresce — ha aggiunto — impossibile riassorbire la disoccupazione ».
Nel breve si punterà sul piano europeo per i giovani (6 mi-liardi), semplificazioni per le imprese che assumono, impostazione della staffetta generazionale («costosa, ma dai vantaggi evidenti»).
Lo «smottamento preoccupante» di posti alla fine del 2012 sembra essersi fermato.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
CONTROLLARE LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI PER BLOCCARE L’INTERDIZIONE
Dovrà pronunciarsi sulla conferma o meno della pena a quattro anni di reclusione e
sull’interdizione dai pubblici uffici.
Con conseguente decadenza (potenziale) dal mandato parlamentare.
Ossia, l’addio al Senato e alla politica attiva
Un’ipotesi con cui il Cavaliere e l’intero stato maggiore del Pdl hanno già iniziato a fare i conti.
Mettendo a punto le possibili contromosse. O meglio, la “possibile contromossa”.
E già , perchè nel fortino di Arcore ormai non si parla d’altro.
Mettendo nel conto le opzioni più radicali. Compresa la crisi di governo. Da provocare non ora, ma quando e soprattutto se i “messaggeri” dell’ex premier avranno maturato la convinzione che la Cassazione non offre «chances positive»
Il “Piano B” di Berlusconi è dunque pronto.
Poggia su tre pilastri: il mantenimento dell’attuale legge elettorale — il Porcellum — il ricorso alle elezioni anticipate e il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.
«È chiaro — va ripetendo il capo del centrodestra — che io non mi faccio incastrare dalle bugie di quei magistrati. Come ho detto a Brescia, “io ci sono e ci sarò”. Se fosse per me, il governo Letta potrebbe durare anche tutta la legislatura, ma se la Cassazione…»
L’ex presidente del consiglio lo considera un extrema ratio, eppure ha messo a punto il suo “disegno” in quasi tutti i suoi aspetti e passaggi.
Il punto di riferimento è costituito dai regolamenti parlamentari in vigore a Palazzo Madama e alla Camera.
Perchè? Basta leggere l’articolo 66 della Costituzione: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità ».
Questo significa che se la Cassazione confermasse l’interdizione quinquennale dai pubblici uffici, toccherebbe comunque al ramo parlamentare di appartenenza stabilire se l’eletto va considerato “decaduto”.
Nel caso del Cavaliere, sarebbe al momento il Senato.
Spetterebbe dunque alla Giunta delle Elezioni e dell’Immunità avviare la «Procedura di contestazione dell’elezione», così viene chiamata.
Una sorta di vero e proprio “processo” che nel caso dell’ex premier prevederebbe un relatore della Regione Molise, suo collegio elettorale.
Il parere della Giunta poi dovrebbe ricevere il definitivo e vincolante via libera dall’aula.
Ma gli attuali rapporti politici nella Giunta e nell’Assemblea non offrono alcuna garanzia al Pdl: il Pd con il M5S e Sel hanno la maggioranza per autorizzare la «decadenza».
Ed è questo dato numerico che sta inducendo l’ex premier ad imbracciare l’“arma finale”: quella di provocare appunto la crisi di governo a ridosso della sentenza della Cassazione per poi chiedere le elezioni anticipate candidandosi non più a Palazzo Madama ma a Montecitorio.
Con questo sistema elettorale, infatti, se il centrodestra dovesse prevalere alla Camera anche solo di un voto, avrebbe — grazie al premio — la maggioranza assoluta in aula e nella Giunta.
A quel punto sarebbe scontato il voto contrario all’autorizzazione ad applicare la pena dell’interdizione.
Del resto, non solo la Costituzione ma anche tutti i precedenti avvalorano la necessità di un passaggio in aula prima di dare efficacia all’interdizione.
I due più espliciti sono quelli di Mario Ottieri, deputato monarchico che nel 1967 — in seguito ad una condanna per bancarotta fraudolenta — decadde dalla carica dopo il voto formale dell’assemblea.
E lo stesso accadde nel ’77 con Mario Tanassi (lo scossone arrivò per lo scandalo Lockheed).
Più di recente Cesare Previti, Totò Cuffaro e per ultimo Giuseppe Drago nel 2010 si dimisero volontariamente prima che venisse formalizzato il giudizio dell’assemblea.
Ma, come hanno verificato gli “esperti legali” di Berlusconi, non esistono precedenti in cui è stata negata la decadenza dal mandato parlamentare.
Se dovesse verificarsi questa ipotesi, lo scontro tra poteri dello Stato sarebbe clamoroso: il legislativo contro il giudiziario.
Un conflitto che farebbe fibrillare le Istituzioni.
Secondo gli studi più accreditati, infatti, e secondo le simulazioni che sono state consegnate sulla scrivania del presidente del Pdl, si darebbe luogo a un conflitto di attribuzione su cui dovrebbe pronunciarsi la Corte Costituzionale.
Sarebbe il Giudice dell’esecuzione sostanzialmente i magistrati di Milano — a sollevare il conflitto contestando la distorta interpretazione dell’articolo 66 della Costituzione. Ma in quel caso la “disputa” tra poteri dello Stato provocherebbe un vero sconquasso. Anche perchè il Cavaliere si avvarrebbe politicamente anche del risultato delle ultime elezioni.
«Come potrebbe qualsiasi giudice — è il suo provocatorio interrogativo — dare ragione ai magistrati in un conflitto del genere e respingere il consenso popolare che i sondaggi già mi attribuiscono?».
Non solo.
I “tecnici” del Pdl avrebbero fatto notare che la scelta di far precipitare il Paese al voto anticipato deve comunque avvenire prima che la Cassazione si esprima: in caso di condanna infatti, se anche Berlusconi non decadesse immediatamente, non potrebbe ricandidarsi perchè tra i requisiti necessari resta il godimento dei diritti politici che mancherebbe in presenza dell’interdizione dai pubblici uffici.
A meno che non sfrutti quel particolare “limbo” che separa la lettura della sentenza dalla sua pubblicazione, momento nel quale effettivamente è operativa la pena.
E del resto che Berlusconi sia particolarmente alla questione, lo dimostra l’insistenza con cui ha bloccato proprio a palazzo Madama gli accordi sulle cosiddette commissioni di garanzia, quelle presiedute da un esponente della minoranza. L’obiettivo — che sembra raggiunto era quello di assegnare la presidenza della Giunta per le Elezioni e l’Immunità ad un esponente della Lega, Raffaele Vulpi, e non ad un grillino o a un senatore di Sinistra e Libertà .
Ma la “vera battaglia” ci sarà alla fine dell’anno.
Claudio Tito
(da “La Repubblica”)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
CASE COMPRATE, VILLE REGALATE, TUTT’ORA PAGHETTE DA 2.500 EURO A 42 RAGAZZE, BONIFICI PER BOLLETTE… NELLA MEMORIA DELLA BOCCASSINI TUTTE LE SPESE PER GLI OSPITI DI ARCORE
C’è un processo in cui gran parte dei testimoni sono pagati dall’imputato.
Il processo è quello sul caso Ruby, l’imputato è Silvio Berlusconi.
Nella sua requisitoria di lunedì, Ilda Boccassini ha riassunto il “sistema prostitutivo” che faceva affluire ad Arcore decine di ragazze, pagate “per compiacere l’imputato”. I pagamenti continuano.
Lo scrivono i pm Boccassini e Antonio Sangermano nella Memoria di accompagnamento alla requisitoria del pubblico ministero consegnata ieri al tribunale presieduto da Giulia Turri: “E non si può davvero non sottolineare la macroscopica anomalia, emersa in dibattimento, per la quale l’imputato ha preso a remunerare, da dopo la emersione dei fatti oggetto di imputazione, gran parte dei testimoni a suo carico, gratificando gli stessi con una lauta prebenda mensile pari a 2.500 euro”. Testimoni “a libro-paga”.
Con una conseguenza sul processo: ottenere in udienza un “approccio fideistico” da parte delle ragazze chiamate a raccontare sotto giuramento le serate di Arcore.
Sono state trasformate in un “compatto blocco dichiarativo”.
Continuano i pm: “Questo blocco dichiarativo, a cui appartengono anche alcuni dipendenti e collaboratori dell’imputato, nella strategia difensiva dovrebbe contrapporsi all’ampio capitolato testimoniale, quasi a volerne esautorare la valenza”.
Berlusconi paga 2.500 euro al mese a 42 ragazze, ad alcune aggiunge il pagamento di affitto e bollette, ad altre un bel contratto Mediaset e per le più fortunate ci sono ricchi bonifici e consistenti aiuti per comprar casa.
“Mantengo queste ragazze”, ha dichiarato Berlusconi, “perchè hanno avuto la vita rovinata da questo processo. Hanno perso il lavoro e non troveranno più il fidanzato. Quando uno ha una barca, non deve preoccuparsi di quanto costa l’equipaggio”.
Costa molto: Boccassini ha rivelato che il ragioniere Giuseppe Spinelli, l’incaricato per le spese personali di Silvio, nel solo 2010 ha tratto in contanti, dal conto di Berlusconi, ben 12 milioni di euro.
Una bella fetta (4,5 milioni) è andata a Ruby, che verrà sentita venerdi 17 maggio nel processo gemello con imputati Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede.
Anche loro hanno ricevuto soldi da Berlusconi.
Come pure i “cantastorie” di Arcore, il cantautore Mariano Apicella e il pianista Danilo Mariani, anch’essi testimoni della difesa: ai due Berlusconi ha comprato case che non riuscivano a vendere.
Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 15th, 2013 Riccardo Fucile
QUATTRO ARRESTI PER LE MANOVRE PER OTTENERE L’AUTORIZZAZIONE ALLA DISCARICA ALL’INTERNO DELLO STABILIMENTO
Nuova pioggia di manette a Taranto nell’ambito dell’inchiesta “ambiente svenduto”. 
L’operazione è scattata alle prime luci del mattino. I militari della Guardia di Finanza stanno eseguendo quattro ordinanze di custodia cautelare spiccate dal gip Patrizia Todisco.
Gli arrestati sono: il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, l’accusa sarebbe di concussione; l’ex assessore all’Ambiente Michele Conserva e l’ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia, per il quale sono stati disposti i domiciliari.
Tra i destinatari dei provvedimenti di custodia cautelare anche Girolamo Archinà , ex responsabile delle relazioni istituzionali del colosso siderurgico che avrebbe lavorato per agevolare l’attività della grande fabbrica accusata di disastro ambientale.
Ad Archinà l’ordinanza è stata notificata in carcere, l’ex dirigente Ilva è detenuto dal 26 novembre.
Al centro del nuovo terremoto giudiziario le manovre attivate per ottenere l’autorizzazione della discarica “Mater Gratiae”, realizzata in una cava all’interno dello stabilimento Ilva.
Nel sito vengono smaltiti i rifiuti industriali e le polveri prodotte dagli impianti ritenuti la fonte dell’inquinamento killer inquadrato con l’indagine per disastro ambientale.
Quella procedura autorizzativa sarebbe stata viziata da una serie di passaggi sospetti e di pressioni indebite tutte fotografate dall’attività condotte dalle Fiamme Gialle del comando provinciale.
Nel mirino l’attività svolta dagli uffici della Provincia, compente al rilascio delle autorizzazioni ambientali.
In quegli uffici la pratica relativa alla discarica sarebbe stata accompagnata da pressioni illecite che hanno portato alla emissione dei provvedimenti restrittivi. Anche in questo caso regista delle operazioni condotte sottotraccia dall’Ilva sarebbe stato Girolamo Archinà , l’ex potentissimo responsabile dei rapporti istituzionali dell’azienda, in carcere dallo scorso 26 novembre.
Per questo all’ex dirigente è stato notificato in cella un nuovo provvedimento restrittivo.
Ma a far rumore è soprattutto il coinvolgimento di Gianni Florido, presidente della Provincia del Pd. Florido, tarantino di 61 anni con alle spalle una lunga militanza nella Cisl, di cui è stato anche segretario provinciale, è stato eletto per la prima volta nel 2004 e nel 2009 è stato confermato con oltre centomila preferenze.
(da “La Repubblica“)
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