Destra di Popolo.net

LA SANTA ALLEANZA FRA ALEMANNO E LA CURIA: LA CHIESA DICE NO A MARINO

Maggio 30th, 2013 Riccardo Fucile

VALLINI E FISICHELLA OFFRONO AIUTO E CONSIGLI AL SINDACO… INCONTRO NEGATO AL CHIRURGO PD

Se vuoi un miracolo, terreno, non puoi che bussare in Vaticano.
E il privilegio di cui gode Gianni Alemanno, il sindaco uscente, non è poco rilevante: non deve bussare ai portoni santi perchè quei portoni, già  aperti per il primo turno, sono spalancati per il ballottaggio con Ignazio Marino, cattolico adulto, troppo per essere un interlocutore affidabile.
Non è un mistero, e di trasparenze spesse il Vaticano si ammanta, che Alemanno (giorni fa) abbia incontrato il cardinale Agostino Vallini, plenipotenziario per la diocesi di Roma e monsignor Rino Fisichella, presidente del Consiglio pontificio per la nuova evangelizzazione: strategie, consigli, rassicurazioni.
E non stupisce che la stessa Santa Sede, che osserva con tensione e timore la caduta di Alemanno, abbia rifiutato qualsiasi contatto con il chirurgo, qualsiasi colloquio, seppur diplomatico e formale, che il candidato democratico ha chiesto nelle scorse settimane.
In questi dieci giorni abbondanti che separano la capitale dal prossimo sindaco, il Vaticano è mobilitato, non sono rassegnati, non sono schiacciati dal peso di una rimonta numericamente improbabile, se non proprio impossibile: 12 punti di distacco, il doppio rispetto al primo turno con Rutelli di cinque anni fa, ma Alemanno ci crede, “ce la faremo”.
Un aiuto santo può servire: “Non possiamo consentire la vittoria di Marino, un uomo che vuole secolarizzare la società  italiana. Le parrocchie, i sacerdoti e persino le suore sono chiamate a svolgere un ruolo di protezione”, dicono con enfasi dentro le mura leonine.
Marino ha cominciato la compagna elettorale con quel tratto laico, e non laicista, di un medico che si definisce un cattolico praticante.
Ha promesso il testamento biologico e le unioni civili, temi che fanno inorridire la curia romana: voleva rimarcare i suoi principi, quasi rompere la tradizione che spinge il Campidoglio verso il Vaticano per cancellarne le distanze.
I sondaggi (e il pragmatismo) hanno persuaso Marino: meglio dare segnali distensivi, meglio allargare i confini.
Si è concesso persino un saluto in udienza pubblica con papa Francesco.
E così, mentre Alemanno reggeva lo striscione durante la “Marcia per la vita”, il chirurgo ha smussato, precisato, finanche emanato segnali di comprensione e vicinanza al movimento ultracattolico: “Non partecipo perchè non voglio strumentalizzare politicamente un’iniziativa giusta. Io sono per la difesa della vita in ogni suo stadio, ma non si può prendere parte alla marcia solo perchè le elezioni comunali sono vicine. L’impegno deve essere quotidiano e lontano dai riflettori mediatici”.
Non è bastato, però, per il candidato che vuole condizionare, parole sue, “il governo nazionale istituendo un registro per le coppie omosessuali”.
I collaboratori di Alemanno, per agire in simbiosi e sincrono con la Chiesa, preparano l’offensiva: cartelloni e manifesti per dire che soltanto Gianni può garantire la famiglia tradizionale.
Il sindaco ha recuperato le varie incomprensioni con il cardinale Vallini e, caso più unico che raro, riesce a mettere insieme, fra i suoi grandi elettori, anche Tarcisio Bertone, il segretario di Stato e monsignor Georg Ganswein, assistente personale di Benedetto XVI e asse portante fra il papa emerito e papa Francesco.
L’arcivescovo Rino Fisichella, che conosce la politica e ne espiava i peccati quando era cappellano di Montecitorio, fa da raccordo fra il Campidoglio e il Vaticano, fra Alemanno e i curiali.
Per riconoscenza e ammirazione, il sindaco di Roma — unico amministratore assieme al collega di Brescia, Adriano Paroli — lo scorso gennaio è andato in pellegrinaggio in Terra Santa proprio con Fisichella.
La conferenza episcopale, attraverso il quotidiano Avvenire, non ha coperto le sue posizioni: Marino significa pericolo.
L’ex ministro nel governo di Berlusconi, discepolo non fedelissimo di Gianfranco Fini, ha piazzato capolista l’ex assessore per la famiglia, Gianluigi De Palo, politico di origine ruiniana, nel senso del cardinale Camillo Ruini e del suo metodo pratico di affrontare le istituzioni.
Nè Ignazio Marino nè Alfio Marchini hanno ricevuto ospitalità  dal Vaticano e pensare che Alemanno, per il funerale di Pino Rauti (suocero) ha convocato a Roma Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare a L’Aquila.
D’Ercole, fra i saluti romani, si è dovuto giustificare: “Sono qui per amicizia con Gianni”.

Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)

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CINQUESTELLE: E’ SCONTRO TRA DIALOGANTI E TALEBANI IN UN CLIMA DI INTIMIDAZIONE

Maggio 30th, 2013 Riccardo Fucile

ORA SPUNTA L’IDEA DI UN “GRUPPO PONTE”… STRETTA SUI PARLAMENTARI: “I DECRETI LEGGE PRIMA PRESENTATELI SUL BLOG”

Hanno paura, i dissidenti del Movimento 5 stelle.
La notizia della cena di martedì scorso, quando davanti a pizza e birra hanno condiviso il loro malessere, ha creato più problemi di quanto non si aspettassero.
Il post di Grillo che invita chi pensa ancora ad accordi col Pd «ad avviarsi alla porta», la lettera di Roberta Lombardi che dà  loro delle «merde», l’attacco del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio al dialogante per antonomasia Tommaso Currò, la richiesta di espulsione di Lorenzo Battista da parte di una senatrice, sono i segnali di una stretta che temevano, ma che non credevano potesse arrivare così improvvisa e violenta.
Sonia Alfano, l’altroieri, ha raggiunto alcuni di loro in un ristorante di Roma. E li ha trovati così: confusi e spaventati.
La parlamentare europea ex Idv, un tempo sostenuta da Grillo in persona, ha proposto da tempo un percorso comune nel nome della legalità .
Sa che arrivare a formare un gruppo autonomo in Parlamento non è facile, bisogna essere in 20, ma pensa che «anche se non fossero abbastanza il primo giorno, darebbero il via a un effetto domino che neanche i talebani riuscirebbero a controllare».
È sfiduciata, però: «Mancano di coraggio, aspettano tutti che uno di loro faccia il primo passo».
Soprattutto, sperano in una sorta di “gruppo ponte” che nasca dagli scontenti di centrosinistra, quelli contrari al governo di larghe intese, cui poi aderire una volta capito quel che succede all’interno del gruppo.
«Mi hanno contattato alcuni che prima non conoscevo — racconta l’europarlamentare — mi dicono di aver paura del gruppetto dei “pattugliatori”».
I talebani, sempre loro.
Ieri nel mirino è entrato il senatore Lorenzo Battista per un’intervista rilasciata al Messaggero in cui parlava di un possibile accordo col Pd (nel caso in cui Berlusconi facesse cadere il governo).
Una senatrice ne ha chiesto l’espulsione.
Lui non commenta, non vuole alimentare le polemiche, ma altri, al suo posto, dicono netti: «È una tecnica. Come Grillo che invita sul blog ad andar via, come Crimi che parla di mele marce senza fare nomi. Si chiama intimidazione».
Va quasi peggio a Tommaso Currò, che viene attaccato frontalmente dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio in un post su Facebook.
Se la prende per le parole dette in un’intervista, Di Maio, parla di «malafede», di una persona che vuole male al gruppo, si augura che così ne rimangano in pochi, si chiede che cosa stesse facendo il catanese mentre gli altri erano a lavoro, e insinua: «Forse era a parlare di strategie con la stampa».
Una chiara minaccia di scomunica, alla quale anche il deputato siciliano sceglie di non rispondere.
In un corridoio della Camera fa spallucce e ripete piano: «Dicano quel che vogliono».
Il più vicino a uscire, comunque, sembra essere Adriano Zaccagnini.
Da tempo critico con la gestione del gruppo, dopo l’intervista a Repubblica il deputato a 5 stelle non ha voluto fare altri commenti post voto.
Aspetta la riunione congiunta di oggi per dire quel che pensa, ma annuncia che prima sarà  a un incontro della rivista Left con Salvatore Settis: «Sul manifesto c’è un’immagine molto bella, un agricoltore in un campo di libri con una penna in mano». Poi svela un dettaglio non da poco: «C’è un nuovo protocollo per i nostri disegni di legge. Adesso, prima di presentarli, dovremo metterli per 48 ore sul blog. E poi farli approvare dall’assemblea».
Il che vuol dire che quel po’ di libertà  che alcuni parlamentari si erano concessi finora ha già  fatto in tempo a dar fastidio.
Tancredi Turco, altro dialogante, non ha paura di definire i risultati elettorali «una batosta», e dice che il post di Grillo “Fuori chi vuole accordi col Pd” non lo convince del tutto.
«Io una porticina la lascerei aperta, non sarei così drastico ». Quanto alle espulsioni, «sono certo che Beppe sia come un bravo padre di famiglia. Non caccerà  nessuno per qualche dichiarazione ».
Sarà , ma l’aria è pesante.
Alla vigilia della riunione congiunta di questo pomeriggio alle quattro e mezza, la mail con cui Roberta Lombardi (ufficialmente a casa con la febbre) ha inviato ai deputati tutta la sua rabbia, non fa sperare in un cielo sereno.

Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)

argomento: Grillo | Commenta »

LETTA: “RENZI VUOLE FARMI ANDARE FUORI STRADA”, VERDINI: “IL PORCELLUM E’ LA NOSTRA POLIZZA SULLA VITA”

Maggio 30th, 2013 Riccardo Fucile

IL PREMIER HA RIVISTO IL FILM DELLA BATTAGLIA PER IL QUIRINALE. PD DIVISO, RENZIANI SCATENATI E MALUMORI DIFFUSI

Stavolta in gioco c’era il governo, il suo. È finita bene, con il gruppo democratico che ha tenuto sulle riforme e isolato il dissenso.
Ma il premier teme altre repliche, nuovi problemi e soprattutto sa che Matteo Renzi non mollerà  facilmente la presa. «Voi volete buttare il governo fuori strada. E mandarlo a sbattere», ha detto in faccia al ribelle Roberto Giachetti, vicinissimo al sindaco di Firenze.
Poi, Letta e Giachetti si sono spiegati e si sono capiti. Ma certo Renzi ieri non ha fatto nulla per evitare che il governo inciampasse sulla legge elettorale.
Quando ha telefonato a Giachetti, anzi, lo ha invitato ad andare fino in fondo.
«Ma come fanno a chiedere a te, che hai fatto quattro mesi di sciopero della fame, di ritirare la mozione sul Matterellum? Che c’entra il governo? È un atto di indirizzo parlamentare. Non ti fermare, Roberto».
Il governo, e la solidità  del Pd, ossia del partito del presidente del Consiglio, in realtà  c’entravano, eccome.
Altrimenti ieri l’asse che collega Palazzo Chigi e Largo del Nazareno non avrebbe vissuto un giorno sul filo del rasoio.
Con un occhio inevitabile puntato sulle mosse del centrodestra.
Per Silvio Berlusconi il Mattarellum, ovvero il sistema maggioritario con i collegi uninominali e una piccola quota proporzionale, è il male assoluto, una trappola da evitare a tutti i costi, sarebbe la tomba del berlusconismo e il potenziale strumento per un’alleanza tra sinistra e Movimento 5stelle.
Ecco perchè la legge “porcata”, almeno fino a quando non sarà  completato il processo di riforma costituzionale, non va toccata, nemmeno con delle correzioni light.
I falchi del Pdl lo hanno fatto capire (alzando la voce) al ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, faticosamente preso in mezzo tra le preoccupazioni di Giorgio Napolitano e i diktat dei suoi.
«Nell’ordine del giorno, la legge elettorale non va nemmeno sfiorata – ha tuonato in una riunione notturna Denis Verdini – . Lo volete capire che noi il Porcellum ce lo dobbiamo tenere, che è la nostra polizza sulla vita?».
L’accusa che Renzi e i suoi parlamentari rivolgono a Dario Franceschini e a Letta è appunto quella di aver «ceduto di nuovo a un ricatto di Berlusconi, come sull’Imu».
E di ricatto in ricatto, il Partito democratico finirà  schiacciato dal Pdl.
«Ma a me nessuno può dirmi che sono un difensore del Porcellum – si ribella Letta – . Nessuno, questo dev’essere chiaro. Mi sono battuto, anche prima dello sciopero della fame di Giachetti, per cambiare quella legge lo scorso anno. La mia associazione “360” lanciò anche il count down per incardinare la riforma in Parlamento».
Con Renzi il chiarimento è stato freddo, senza diventare tempestoso. Democristiano, insomma. Uno scambio di sms.
«Non c’entro niente», quello del sindaco. «La mozione però è sbagliata», quello del premier.
Di certo, c’è che il Pd, appena pacificato e appena uscito da un turno delle amministrative positivo per le sue sorti e per l’esecutivo, appare di nuovo un accampamento di tribù litigiose. Roberto Speranza, il giovane capogruppo della Camera, ha deciso di uscire dall’impasse con la prova di forza in assemblea.
Mettendo ai voti le mozioni: una conta che Speranza ha vinto e che in aula si è trasformata in un trionfo perchè i numeri finali hanno sancito due diverse linee dentro le componenti renziane e veltroniane.
Qualcuno ha votato il documento della maggioranza, qualcun altro è uscito dall’aula
in dissenso.
Ma si è riaperta una caccia all’uomo dentro al Pd. E quell’uomo è in particolare Renzi.
Secondo Beppe Fioroni soffre di «ansia da prestazione» che sfoga sulla tenuta dell’esecutivo.
Quanto a Giachetti «un vicepresidente della Camera votato da centinaia di noi, dopo aver preso atto della decisione del gruppo, o ritira la mozione e se ne va dal partito», dice il deputato cattolico.
Nico Stumpo, bersaglio fisso del sindaco di Firenze, scherza: «Se quelli di Matteo fanno casino, voglio cominciare anch’io. Proporrò una mozione per accorpare Firenze e Prato».
Il veltroniano Andrea Martella denuncia le troppe pressioni dentro il centrosinistra. «Io non mi faccio condizionare da operazione strumentali, da qualunque parte vengano ».
Il pericolo sono le manovre tattiche, il tiro al bersaglio sul governo, il tentativo di togliergli una visione di lungo periodo.
E la sofferenza del Pd nell’alleanza col Pdl, è testimoniata dal documento di 43 parlamentari critici con il percorso delle riforme scelto da Palazzo Chigi.
Rosy Bindi l’ha firmato e con i colleghi commenta: «Io la pacificazione con loro non la farò mai. A meno che un giorno Berlusconi vada in televisione e dica: Rosy, sei bella».

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

argomento: Letta Enrico | Commenta »

INTERVISTA A GIACHETTI: “L’HANNO DATA VINTA AL PDL, VOTEREMO COME IN PASSATO”

Maggio 30th, 2013 Riccardo Fucile

“A PAROLE TUTTI DICONO CHE VOGLIONO CANCELLARE IL PORCELLUM, NEI FATTI LO VOGLIONO MANTENERE A VITA”

«Intempestivo io? E certo, dopo aver atteso anni per cambiare il Porcellum, di questo passo ne attenderemo altri dieci. Addio, hanno preferito bocciare la mia mozione e darla vinta al Pdl. La riforma elettorale è rimandata alle calende greche».
E ora, Roberto Giachetti, vicepresidente democratico della Camera?
«E ora, in qualsiasi momento dovesse andare in crisi il governo, è chiaro che andremo a votare nuovamente con la legge di Calderoli. Chissà  se la Consulta si pronuncerà  e in che modo. A quel punto, larghe intese tutta la vita».
Il premier Letta ha provato a dissuaderla?
«Mi ha chiamato in mattinata, mi ha chiesto in modo molto amichevole di ritirare la mozione. Gli ho spiegato che non potevo farlo, che era una battaglia per la quale ho messo a repentaglio la mia salute, che mi ero limitato a mettere per iscritto 15 giorni fa quanto lui e il governo avevano sostenuto fino all’altro ieri. Cioè che il Porcellum andava cancellato. Non ha insistito, mi conosce bene».
Poi, in aula, l’ha accusata di mettere il carro davanti ai buoi per farlo deragliare.
«È il governo che si mette fuori strada da solo, su questa storia».
Il suo Pd l’ha lasciata solo.
«Falso. Settanta delle 98 firme alla mozione sono del Pd. E ne sono state ritirate solo 17. Andate a controllare gli assenti al voto: almeno una cinquantina tra prodiani e renziani hanno preferito non presentarsi piuttosto che votare contro il testo».
Confessi, ha sperato in una spaccatura del partito, sulla scia di quanto avvenuto per l’elezione del capo dello Stato.
«Io sono tra coloro che ha votato con convinzione Prodi. Magari questo sospetto lo alimenta qualcuno che quel giorno ha fatto altre operazioni. Ho preso l’iniziativa della mozione in tempi non sospetti».
La Finocchiaro dice che il suo è stato un atto di prepotenza.
«Proprio lei che fino a pochi giorni fa aveva presentato un ddl per tornare al Mattarellum? So solo che dopo 123 giorni di sciopero della fame, l’anno scorso, quando ero sull’orlo di un’emorragia l’unica persona che mi ha scritto è stato il presidente Napolitano. E anche in questi 15 giorni dalla presentazione della mozione, nessuno nel Pd si è preoccupato di aprire un confronto».
Si è ribellato. Teme ripercussioni interne?
«Per niente. Mi inventerò qualcosa per riprovarci. Figurarsi se mi arrendo. È il mio contributo per il bene del Pd. E dei suoi elettori, stanchi di andare al voto con questo sistema».
Accusano lei, renziano, di agire per conto del sindaco. A proposito, lo ha sentito?
«Accusa ridicola. Tra i firmatari c’è di tutto. Mi ha chiamato martedì sera, mi ha chiesto spiegazioni. Ha compreso le mie ragioni. Tutto è finito lì».
E infine in aula è diventato la bandiera del M5s, che ha votato a favore.
«Si, dopo le loro molteplici giravolte sul tema. Astuzie e tatticismi che non mi interessano. Sono e resto democratico».

argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »

IL PD SI SPACCA SULLA LEGGE ELETTORALE E IN AULA DICE NO AL MATTARELLUM

Maggio 30th, 2013 Riccardo Fucile

SI AL TESTO DELL’ESECUTIVO, STOP AI DISSIDENTI

Riparte per l’ennesima volta il treno delle riforme.
Questa volta ci provano Enrico Letta e Angelino Alfano con un percorso nuovo disegnato ieri in Parlamento con l’approvazione di due mozione proposte da Pd, Pdl, Scelta Civica e Centro democratico.
Documenti votati a larga maggioranza – 436 sì alla Camera, 224 al Senato – che prevedono un esito entro 18 mesi. Calcolati a partire da settembre.
Un risultato arrivato nonostante il conflitto e lo scontro nel Pd sulla legge elettorale provocati da una mozione trasversale di Roberto Giachetti, firmata da un centinaio di deputati, che chiedeva di tornare subito al Mattarellum.
Proposta «intempestiva », «atti di prepotenza su norme transitorie» che mettono a rischio le riforme, ha commentato Anna Finocchiaro.
Un problema che fatto ballare Pd e maggioranza per tutta la giornata.
Perchè il Pdl non ne vuole sapere di modificare la legge elettorale prima di avere definito il modello di governo.
Al punto che Renato Schifani ha detto che il governo rischiava.
Letta è corso ai ripari. Ha invitato Giachetti a ritirare il testo perchè «mettere il carro davanti ai buoi vuol dire far deragliare il carro».
Molti dei firmatari democratici hanno così ritirato l’adesione, Giachetti però, dopo un’assemblea del gruppo, ha insistito per il voto.
Alla fine il Pd e Pdl hanno bocciato il ritorno al Mattarellum, ma lui ha incassato ben 139 sì.
Tappata questa falla, nel Pd si è aperto subito un altro fronte: una lettera di 43 parlamentari, tra cui la Bindi e Civati, critici sul metodo che si sta seguendo.
In serata, infine, è arrivato Matteo Renzi a chiedere rapidità  sulla legge elettorale. Altrimenti, dice, «il governo di larghe attese diventa governo lunghe attese». «In Parlamento – aggiunge – hanno la tendenza a fare un po’ di melina».
E «c’è un eccesso di democristianeria nel governo, e non di quella buona. Una parte di liturgia democristiana talvolta mi pare eccessiva».
Letta e Alfano però hanno incassato il via libera ad una legge costituzionale per fare scrivere le riforme da una commissione di 40 membri scelti nelle due commissioni Affari costituzionali.
Ma poi la parola tornerà  a Camera e Senato che discuteranno il progetto con possibilità  di emendarlo.
Un lavoro in cui il Parlamento sarà  assistito da un comitato di esperti nominato dal governo. E alla fine, ha garantito Letta, ci sarà  il referendum confermativo.
Il premier nei suoi interventi ha puntato sull’urgenza delle modifiche e sulla necessità  che siano condivise.
Anche alla luce del recente boom delle astensioni. «È un drammatico campanello d’allarme. Non possiamo accettare che un cittadino su due non vada a votare senza porci una riflessione», ha detto Letta.
Il premier ha collocato le modifiche costituzionali allo stesso livello di quelle economiche. «È un obiettivo alla portata di tutti noi – ha detto – è un’occasione storica, questa volta non si può scherzare».
Letta ha più volte richiamato il suo discorso sulla fiducia e ha concluso con un monito: «Non è immaginabile che si continui facendo finta di niente che si finga di fare le riforme, di litigare sulle riforme da fare non combinando nulla».
Invito netto. Ma sono arrivati dei distinguo.
Sel e M5S hanno votato contro la maggioranza. I socialisti di Riccardo Nencini si sono astenuti dopo che Letta ha respinto un ordine del giorno che chiedeva un’Assemblea costituente.
Astenuti anche i Fratelli d’Italia.
La Lega, invece, ha incassato il sì del governo e l’approvazione della sua mozione.

Silvio Buzzanca
(da “la Repubblica”)

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