Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
LA PRATICA CRIMINALE ADOTTATA DALL’ITALIA E CONDANNATA DALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI…QUALCUNO HA SULLA COSCIENZA 20.000 MORTI E PARLA ANCORA
“Riportare gli immigrati in Libia senza esaminare i loro casi, li ha esposti al rischio di maltrattamenti ed
è equivalso ad una espulsione collettiva (…). I ricorrenti sono stati esposti al rischio di maltrattamenti in Libia e di rimpatrio in Somalia ed Eritrea”. Questi alcuni brani della sentenza del febbraio 2012 con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per la pratica dei respingimenti in mare, contestando al nostro Paese la violazione di due articoli della Convenzione europea per i diritti dell’uomo: dell’articolo 3, che proibisce trattamenti inumani e degradanti, e dell’articolo 4, relativo al divieto delle espulsioni collettive.
Febbraio 2012. Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, Angelino Alfano era segretario del Pdl ma fino a pochi mesi prima era stato Ministro della Giustizia.
Ecco: se c’è qualcuno che non ha titolo, nè politico nè morale, per accusare l’Europa di inerzia e di irresponsabilità davanti al dramma di migliaia di africani (non meno di 20 mila) che per fuggire dalle guerre e dalle persecuzioni hanno trovato la morte nel Mediterraneo, questo è Angelino Alfano (e Roberto Maroni) , per anni uno dei teorici e dei diretti ispiratori – Pdl e Lega in perfetta combutta – della pratica, oggettivamente criminale, dei respingimenti in mare.
L’Europa, anche questo è indiscutibile, ha più di una colpa.
Come ha ricordato in queste ore la fondatrice di Green Italia Monica Frassoni, sono colpe gravi sia l’articolo della Convenzione di Dublino che obbliga i richiedenti asilo a fermarsi nel Paese di primo ingresso, sia la norma della Direttiva 90/2002 che equipara al favoreggiamento dell’ingresso illegale il soccorso in mare a un naufrago che è anche migrante economico o persona in cerca di protezione umanitaria.
L’Europa ha molte colpe, ma ripetiamo: l’ultimo ad avere titolo per additarle è l’attuale Vicepresidente del Consiglio, che peraltro come dimostra il recente caso Shalabayeva ha verso il tema dei diritti umani un atteggiamento quanto meno distratto.
Più in generale, l’Italia prima di pretendere dall’Europa norme più efficaci e risorse più ingenti per scongiurare nuove stragi di innocenti in mare, deve fare chiarezza e pulizia in casa propria.
Intanto smettendola di presentarsi come il Paese che paga il prezzo più alto per dare protezione ai richiedenti asilo: tra gennaio e luglio di quest’anno, ha ricordato ancora Frassoni, abbiamo ricevuto 6.700 domande di asilo contro le 29.000 della Francia e le 51.000 della Germania, e contro gli oltre 70.000 rifugiati accolti dalla Grecia – la Grecia! – nel 2012.
E poi togliendo di mezzo le parti più odiose e più dannose, dannose anche ai fini di una gestione controllata dei flussi migratori, della Legge Bossi-Fini, a cominciare dal reato di immigrazione clandestina.
Quanto alle risorse che ci assegna l’Europa per finanziare le politiche di controllo, di accoglienza e di integrazione degli immigrati, sarebbe bene che intanto il nostro Governo – magari evitando di affidare il compito ad Alfano – dicesse all’opinione pubblica come sono stati spesi gli oltre 200 milioni ricevuti dal 2007 a oggi da vari Fondi europei (controllo delle frontiere, rimpatri, rifugiati, integrazione).
Insomma. Va benissimo invocare il Premio Nobel per la Pace per la comunità di Lampedusa, che guidata dal suo grande sindaco Giusi Nicolini e affiancata da un gruppo meraviglioso di militari e di volontari si sobbarca in un’occasione così terribile tutto l’onere e l’onore di mostrare un’Italia all’altezza delle sue migliori tradizioni umanitarie.
Va benissimo la richiesta del Nobel a Lampedusa, ma se non cambiano in radice regole e comportamenti dello Stato italiano in materia di migrazioni e di asilo questa bella idea finirà sommersa come i poveri morti sepolti nel barcone che doveva portarli in salvo.
Sepolta sotto un mare di ipocrisia.
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante
Green Italia
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO L’OFFENSIVA DI ALFANO, QUASI CERTO IL CAMBIO BRUNETTA-COSTA ALLA CAMERA… SANTANCHE’ E BONDI AI MARGINI, FORSE SI SALVA SCHIFANI AL SENATO
Non vogliono “cariche” dentro il Pdl. Non vogliono “azzerare” gli attuali vertici del partito. Non vogliono far fuori “il cerchio magico” che orbita accanto al Cavaliere.
E, soprattutto, non vogliono cambiare “la linea politica”.
Le colombe artigliate ora vogliono molto, ma molto di più.
Vogliono prendersi tutto. Partito e potere. Chi vince, dà le carte.
Inutili i tentativi, furbeschi, di alcuni (ormai ex) maggiorenti del partito, come Maurizio Gasparri, che ieri tentavano di spostare i riflettori della polemica interna sull’ “aggressione” subita dal Cavaliere con il voto della Giunta sulla sua decadenza. “Usiamo il cervello più che i muscoli, dobbiamo tenere unito il partito — supplicava — confrontandoci e discutendo, ma non deludendo i nostri elettori a maggior ragione in una fase in cui è sempre più vergognoso l’attacco al nostro leader; rivolgo ancora una volta a tutti l’appello all’unità ”.
Macchè. Tra qualche settimana Berlusconi sarà ai servizi sociali, ineleggibile e incapace di reazione politica.
E Angelino Alfano vuole utilizzare proprio queste settimane per compiere una trasformazione interna al partito che gli consenta di chiedere, senza vergogna, l’ingresso nel Ppe, con buone probabilità di riceverne una risposta positiva.
Il percorso è ormai segnato. Nessuna mossa azzardata verso il centro — o, almeno non ora — massima condivisione dei problemi di governo con Letta (e non più pungolo per portare avanti solo i progetti elettoralistici di Silvio) e, soprattutto, fuori dai piedi chi, finora, l’ha considerato solo una marionetta nelle mani del leader.
Ieri, a palazzo Grazioli dove ormai si reca almeno due volte al giorno, Alfano ha messo sul tavolo la rimozione dei coordinatori, Bondi e Verdini, del capogruppo alla Camera Brunetta, della responsabile organizzativa Santanchè, l’avvicendamento alla direzione del “Giornale” (Sallusti).
Sentendosi rispondere che su Brunetta se ne poteva parlare e che pure sulla Santanchè non ci sarebbero stati problemi, ma Verdini no, non si tocca.
Anche Bondi, in fondo, potrà essere parcheggiato da qualche parte, in modo da “non fare danni” e su Sallusti si potrà influire perchè la linea del Giornale diventi meno aggressiva, ma Verdini no, quello proprio non è ne sarà mai argomento di discussione.
In verità , il ras toscano non ha chiesto nessun tipo di viatico a Berlusconi, “se fosse messo alla porta — sostiene un ‘falco’ a lui molto vicino — probabilmente se ne andrebbe senza dire una parola, questione di indole e di dignità ”.
Però, poi, “dovrebbero fare i conti con la sua vendetta”.
Perchè Verdini, tra i tanti “difetti” che annovera, ha anche questo, da buon toscano: non lascia mai nulla “a metà ”. Certo, i guai giudiziari che lo affliggono non gli lascerebbero una grande possibilità di manovra, ma “vuoi mettere — racconta sempre la stessa fonte — che soddisfazione per i magistrati interrogarlo e trovare davanti uno che racconta, per filo e per segno, come sono state gestite tante questioni delicate di questo ventennio?”.
Ovviamente, è a questo che pensa il Cavaliere.
Allontanare Verdini significa mettere nelle mani dell’odiata magistratura una delle colonne portanti della sua vita politica, capace di fare impallidire De Gregorio con le sue “rivelazioni”. Carte alla mano. Un rischio da non correre mai.
Ecco perchè ieri sembrava disposto a trattare su tutto, ma non sulla ghigliottina per Verdini.
Ha persino chiesto che Alfano esaminasse una proposta di direttorio, con il segretario affiancato da Verdini, Bondi, Brunetta e Schifani.
Alfano non l’ha fatto nemmeno finire di parlare: “Il segnale di novità deve essere profondo, Presidente…”.
In molti hanno fatto capire la stessa cosa. Cicchitto ha parlato di «defalchizzazione», liberazione dai «falchi», gli estremisti: “Il Pdl va defalchizzato e non deberlusconizzato. Bisogna dare ad Alfano la possibilità di costruire un grande partito moderato, riformista e garantista”.
La resistenza di Berlusconi, insomma, non potrà durare a lungo. Intanto, si dovrà cominciare a dare un segnale, facendo fuori i capigruppo.
Brunetta è già dato con un piede fuori dalla porta, al suo posto Enrico Costa, autore della legge sulle intercettazioni ed ex capogruppo in commissione Giustizia nella passata legislatura.
Un nome gradito anche a Berlusconi. Altri spingono per Raffaele Fitto, che però ha troppi guai con la giustizia e un’amicizia che si è spezzata con Alfano; questioni territoriali, soprattutto in Puglia, dove Quagliariello adesso vorrebbe far pulizia.
Al Senato, Renato Schifani potrebbe restare. Perchè all’ultimo minuto, il giorno della fiducia, ha detto a Berlusconi che lui non avrebbe mai fatto il discorso dell’ennesima giravolta e questo lo ha messo in una cornice di serietà e di integrità che anche Alfano gli ha riconosciuto.
Ma se anche Schifani dovesse essere sacrificato nel “cupio dissolvi” della “defalchizzazione” del partito, allora il suo posto sarà preso da Paolo Romani, l’uomo “del miracolo”, quello che ha convinto Berlusconi a votare la fiducia al governo all’ultimo tufffo e che poi, uscendo dalla stanza nel Transatlantico del Senato, ha salutato Felice Casson con un gesto esplicito, quello dell’ombrello, all’urlo di “Ciao, ragazzo, sarà per un’altra volta…”.
Il cambio dei capigruppo, secondo le ‘colombe artigliate’ alfaniane, avverrà subito dopo il voto dell’aula sulla decadenza definitiva di Berlusconi da senatore.
Francesco Giro, uno degli uomini macchina del Pdl, ieri minimizzava: “Stiamo per celebrare il ventennale della discesa in campo di Silvio Berlusconi e certamente una riflessione andrà aperta nel Pdl, ma il confronto all’interno dovrà svilupparsi all’insegna dell’unita, del reciproco rispetto e della pari dignità . Se ciò non dovesse avvenire, se dovessero prevalere ambizioni, contese e rivalse personali usciremo tutti sconfitti e i sondaggi starebbero li a dimostracelo già nelle prossime settimane”.
Intanto, proprio per dimostrare che senza Berlusconi “non si va da nessuna parte”, i falchi cominciano a far veicolare proprio sondaggi che dimostrano quanto sia importante conservare la leadership di Silvio Berlusconi.
Secondo Alessandra Ghisleri, sondaggista della casa, Berlusconi da solo detiene il 16-18% dei voti.
Secondo il sondaggio, il partito Pdl-Forza italia dopo il voto di fiudcia è salito al 25-27% e l`intero centro destra al 33-35%.
Al contrario, l’elettorato del Pd ha dimostrato scontento registrando un 24-26% di consensi e la coalizione di centro sinistra il 29-31%.
Cifre che, ovviamenete, sono il segno del clima di oggi dentro il partito dove una come Nunzia De Girolamo gioca la carta finale della mozione degli affetti: “Siamo tutti figli di Berlusconi non possiamo dividerci”.
Peccato che il tempo delle “grandi famiglie unite” non sia più questo, dei giorni della fine del ventennio a colori.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
I SERVIZI SOCIALI SARANNO UN GRANDISSIMO, IMPAREGGIALE SPOT PER IL CAVALIERE
Silvio Berlusconi, come informa adesso il suo avvocato Franco Coppi, chiederà l’affidamento ai servizi
sociali.
In sostanza, come già accadde con Cesare Previti, potrebbe scontare i suoi nove mesi di effettiva reclusione andando in qualche comunità di recupero per bisognosi.
Previti scelse il Ceis di don Picchi, una comunità di solidarietà specializzata nelle dipendenze e nella cura della salute mentale, e godeva del seguente orario: poteva stare fuori di casa dalle 7 alle 23, e tendenzialmente trascorrere un certo numero di ore (che di solito viene fissato dal giudice) tra bambini poveri, adolescenti difficili, ventenni con problemi di droga, giovani disabili, anziani abbandonati o rimasti soli…
Nell’ultima campagna elettorale per le politiche di febbraio Berlusconi praticamente non fece quasi comizi, e nei fatti non era più fisicamente sul terreno; si limitò a un paio di uscite pubbliche al nord (a Brescia e Udine, dove peraltro subì rilevanti contestazioni), e a una raffica di apparizioni tv, la più riuscita delle quali (da Santoro) gli valse un discreto recupero.
L’uomo, si disse, non reggeva più una “campagna elettorale on the road” come ai suoi bei tempi, tanto più nel gelido febbraio, ma gli bastò – per una incredibile rimonta, con la quale limitò i danni – apparire in tutte le trasmissioni da mattina a sera.
Stavolta però, la grandiosa opportunità propagandistica gliela offrirebbe proprio la detenzione.
Mostrandosi “vittima dell’odio dei pm”, raccontando di essere bersaglio di una persecuzione giudiziaria e un accanimento senza precedenti delle “toghe rosse”, ma nello stesso tempo mettendo in pratica un servizio al prossimo – poco importa se forzato e a tempo scaduto – il Cavaliere potrebbe in sostanza dire, e con le parole del corpo: mi massacrano ma trasformo un male in un’opportunità di bene.
Il vero, paradossale ritorno della photo opportunity e del “partito dell’amore”.
E forse, una chance insperata, per il suo antico cantore, di rimettere in pista il logo Berlusconi.
Jacopo Iacoboni
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
ALIMENTATO CON DIVERSI VERSAMENTI PER COMPESSIVI 450.000 EURO: “TUTTI REGOLARMENTE REGISTRATI” REPLICA BERSANI
L’indagine, partita dalla Procura di Bologna, è ora a Roma. E riguarda un conto corrente intestato all’ex leader del Pd, Pierluigi Bersani, e alla sua segretaria, Zoia Veronesi.
Sul conto, incardinato presso l’agenzia del Banco di Napoli della Camera, sarebbero confluiti nell’arco di molti anni contributi privati.
La vicenda svelata da Il Fatto Quotidiano e stata confermata da alcune fonti di indagine anonime, citate dalle agenzia di stampa.
Non dal diretto interessato, che anzi smentisce recisamente: «Su alcuni organi di stampa si parla di conti segreti che mi riguarderebbero – dichiara Bersani – e si spargono interrogativi sulla regolarità di contributi di privati. Qui di segreto c’è solo l’origine di questa incredibile vicenda».
Si tratterebbe, secondo l’ex leader democratico, di contributi legali, regolarmente registrati in campagna elettorale: «Ripeto ancora una volta che i contributi di cui si parla sono quelli erogati a norma di legge e da anni regolarmente registrati dalla Corte d’Appello e dalla Camera dei Deputati. A questo punto, ho dato incarico a un legale di tutelare in ogni sede e contro chiunque la mia onorabilità », conclude Bersani.
I FINANZIATORI
Secondo il Fatto, la Procura di Roma dovrebbe delegare nei prossimi giorni alla Guardia di Finanza le indagini per verificare il rispetto delle leggi che disciplinano il finanziamento alla politica.
Il conto sarebbe emerso nell’ambito dell’indagine condotta dal pm Giuseppe Di Giorgio, con il coordinamento del procuratore aggiunto Valter Giovannini, su una presunta truffa commessa da Veronesi, l’assistente di Bersani.
L’indagine si è conclusa nelle scorse settimane con due avvisi di fine indagine.
Oltre a Veronesi, rischia il rinvio a giudizio Bruno Solaroli, ex capo di gabinetto di Vasco Errani, già parlamentare e sindaco di Imola.
Gli investigatori s’imbatterono nel conto corrente quando chiesero alle banche gli estratti conti di Zoia Veronesi, alla quale viene contestato il ruolo avuto a Roma per decisione della Regione guidata da Vasco Errani come ‘raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamentò, mentre invece, per l’accusa, avrebbe lavorato per il Pd.
L’ammontare del raggiro sarebbe stato di 140.000 euro lordi. Il conto corrente è stato aperto nel 2000 ed è stato alimentato con più versamenti per una somma complessiva che si aggira sui 450 mila euro.
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI GUADAGNARE ANCORA QUALCHE MESE E’ L’OBIETTIVO DEL CAVALIERE
Le parole più pesanti sono per Napolitano. «Almeno oggi mi aspettavo un piccolo segnale, invece nulla,
come al solito, sul Colle c’è solo indifferenza per il mio funerale politico».
Berlusconi lo sapeva bene che sarebbe finita così, tuttavia non si può definire certo un uomo rassegnato. Tutt’altro.
A palazzo Grazioli, nelle stesse ore in cui la giunta lo espelle da palazzo Madama, lui mastica amaro, ma non si arrende. Non è nello stile dell’uomo, pur provato dalle ultime sconfitte politiche.
Tant’è che continua a dire: «Di certo, non mi dimetto prima che si voti la decadenza». Adesso c’è un’ultima trincea da scavare, evitare che il voto della giunta diventi definitivo.
L’obiettivo primigenio è bloccarlo proprio, in seconda battuta c’è il tentativo di rinviarlo il più possibile, sfruttando la prossima decisione della Corte di appello di Milano sull’interdizione, in programma per il 19 ottobre.
Berlusconi sa bene che, in questa ultima partita a scacchi, non dovrà sbagliare una mossa.
Anche in questo caso vorrebbe un segnale incoraggiante dal Colle, ma non si fa troppe illusioni. Il suo jolly è il voto segreto, che già adesso il capogruppo Schifani dà per scontato.
Tant’è che in piena sala stampa precisa: «Ho fatto il presidente per cinque anni e ricordo come in occasione del voto su De Gregorio sia stato proprio Zanda a ricordare al sottoscritto come il voto dovesse essere segreto. E segreto fu».
Voto segreto, il potenziale alleato per Berlusconi, l’incubo per il Pd.
I democratici non fanno mistero di temerlo, ne parlano di continuo riservatamente e ufficialmente, denunciano il pericolo.
Per un Casson che, finita la giunta, spende parole di certezza sul suo partito – «stavolta sono tranquillo, voteremo tutti compatti per la decadenza» – molti altri sono convinti che l’M5S stia tramando nell’ombra, e leggono nel delirante messaggio di Crimi proprio il primo segnale per far saltare la decadenza.
Una parte dei senatori pentastellati potrebbe votare per salvare Berlusconi destabilizzando il Pd.
Su questo, ovviamente, conta Berlusconi.
Il quale però vuole salvare solo se stesso senza far cadere il governo. Un’operazione da vero alchimista e con molte incognite.
Tra queste, c’è il presidente del Senato Piero Grasso e quel sistema democratico che prevede il voto in aula sul calendario dei lavori.
Prima decidono i capigruppo, ma se non sono d’accordo si vota in aula.
Lì la stessa maggioranza del voto in giunta può battere il Pdl.
Se il presidente della giunta Stefà no invia in settimana la sua relazione, da quella seguente ogni giorno è buono.
Anche prima del 19 ottobre. L’unico ostacolo è la richiesta grillina sul voto palese di cui si dovrà occupare la giunta per il regolamento.
Al massimo si va a finire a fine ottobre.
Ma l’ex premier sta tessendo una manovra assai più insidiosa. Mira a guadagnare più tempo per la sua decadenza, che inevitabilmente scatterà quando sarà chiuso l’iter dell’interdizione dai pubblici uffici, la pena accessoria fissata in 5 anni nel primo e secondo grado del processo Mediaset, ma stoppata dalla Cassazione per cui non dovrebbe superare i 3 anni.
L’udienza a Milano è il 19 ottobre. A decisione presa, i giudici dovranno stendere le motivazioni. Ovviamente, la misura è appellabile.
Ma Berlusconi potrebbe anche rinunciare alla Suprema corte. A quel punto toccherebbe al Senato, prima la giunta e poi l’aula, che deve prendere atto dell’interdizione avvenuta, di un Berlusconi che non può più essere parlamentare. Serve un voto, anche in questo caso, come per la Severino.
Allora ecco il piano.
Il Pdl si prepara a chiedere a Grasso di bloccare il voto in aula sulla decadenza frutto della legge Severino per aspettare quello sull’interdizione.
Se la Severino è legge contestata, se merita la Consulta e il giudizio delle corti di Strasburgo e Lussemburgo, invece la procedura sull’interdizione è ormai sperimentata, va de plano.
Certo, comporta anch’essa un lungo dibattito, prima in giunta e poi in aula, il solito gioco di maggioranza e minoranza, ma non ha – secondo il Pdl – i dubbi e le incertezze interpretative della Severino.
Che vantaggio ne avrebbe Berlusconi? Per almeno due o tre mesi in più resterebbe senatore.
Proprio quelli nei quali si compirà il difficile passaggio dalla sua vita di uomo libero a quella di uomo affidato ai servizi sociali per via della condanna Mediaset dove la tagliola della decisione scatta il 15 ottobre.
Il carro della decadenza da interdizione può fermare quello della decadenza da legge Severino?
Secondo il Pdl non solo è possibile, ma è obbligatorio. Al Senato, i giuristi sono convinti del contrario, che la Severino non debba affatto fermarsi.
Al massimo, se l’interdizione arriva, farà il suo regolare cammino in giunta, mentre la Severino si chiude in aula.
Ma per il Pdl e Berlusconi è l’opposto.
L’ordine di scuderia è aspettare l’interdizione a tutti i costi e fermare la Severino.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
PER LA PROCURA DI BARI 38 PROFESSORI HANNO CREATO UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE PER PILOTARE I CONCORSI PER DOCENTI NEGLI ATENEI ITALIANI
In quali mani è la nostra Costituzione? Una risposta ce l’hanno i pm e gli investigatori della Guardia di Finanza che, sull’asse Roma—Bari, indagano con la procura di Bari: cinque “saggi”, incaricati dal presidente Napolitano di riformare la Carta Costituzionale, sono stati denunciati dalla Gdf per truffa, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e falso ideologico.
L’inchiesta conta ben 38 persone al momento denunciate: docenti accusati d’aver costituito un’associazione per delinquere che ha pilotato, negli ultimi tre anni, i concorsi per diventare professori nelle università italiane.
Tra loro anche i cinque “saggi” Augusto Barbera e Giuseppe de Vergottini dell’università di Bologna, Carmela Salazar dell”Università di Reggio Calabria, Lorenza Violini dell’Università di Milano e Beniamino Caravita della Sapienza di Roma.
Quest’ultimo ha subito una perquisizione già due anni fa. Ma secondo il suo legale, Renato Borzone, il professor Caravita “non ha alcuna responsabilità e, a giudicare dal numero di proroghe, l’indagine dovrebbe essere già conclusa”.
In realtà siamo in fase d’indagine preliminare, quindi tutti gli eventuali reati sono da accertare nelle sedi giudiziarie, ma lo spaccato che emerge dall’inchiesta appare da un lato desolante, dall’altro devastante, per l’intera università italiana. E non solo.
Mentre erano in corso le indagini, infatti, ben 5 denunciati sono stati elevati al rango di saggi della Repubblica, con incarico conferito direttamente dal presidente Napolitano.
E oggi, alla luce dell’inchiesta, possiamo rileggere alcune cronache dell’epoca: “Se si dà retta alle indiscrezioni — scriveva la Stampa — Napolitano pare abbia personalmente depennato svariati nomi che non gli sembravano consoni al ruolo o comunque all’altezza della sfida istituzionale”.
Oppure il Foglio: “Trentacinque prof. d’obbedienza quirinalizia per fiancheggiare Letta e attutire le intemperanze dei partiti”, titolava, menzionando una frase del Presidente — “Ricordatevi che la vostra non sarà una lotta tra guastatori e difensori della purezza costituzionale” — e aggiungendo: “Li ha coccolati con lo sguardo mentre li ha accolti al Quirinale, tutti e trentacinque quanti sono questi suoi professoroni costituzionalisti, il meglio degli atenei d’Italia, i suoi “saggi”, lo strumento ricorrente e permanente della politica presidenziale di Giorgio Napolitano…”.
Cinque di loro, però, sono finiti denunciati nell’inchiesta condotta dal pm di Bari Renato Nitti, in collaborazione con la Guardia di Finanza, e le accuse sono piuttosto dure.
L’inchiesta nasce quattro anni fa, nel 2009, quando Nitti indaga su un concorso bandito dall’Università telematica Giustino Fortunato.
È quello il primo momento in cui, la procura barese e la Gdf, incappano nelle vicende dell’istituto di diritto Costituzionale.
Gli investigatori intercettano il professor Aldo Loiodice, che è professore ordinario di Costituzionale ed è anche il rettore della Giustino Fortunato, ma nel frattempo interviene la riforma dell’ex ministro Gelmini, che cambia le regole del concorso.
Il localismo è destinato a finire: nasce una super commissione nazionale, per ogni singolo istituto universitario, che dovrà poi nominare i futuri professori.
Il primo concorso dovrebbe chiudersi proprio nelle prossime settimane.
La Finanza, nel frattempo, ascolta in diretta telefonate e strategie dei docenti, che si confrontano con il modello Gelmini, e scopre il tentativo di far eleggere, nella commissione nazionale, professori ritenuti avvicinabili: lo scopo, secondo l’accusa, è quello di manipolare i concorsi e pilotare le nomine.
I 38 denunciati — tra loro anche Annamaria Bernini e Federico Gustavo Pizzetti di diritto pubblico comparato — appartengono a ben 8 diverse università .
Gli istituti finiti nel mirino degli investigatori, per il concorso in questione, sono tre: diritto Costituzionale, diritto Canonico ed Ecclesiastico e diritto Pubblico Comparato. Il professor Augusto Barbera nega qualsiasi coinvolgimento: “Non potevo ricevere pressioni, poichè non sono in commissione, e non ne ho esercitate, quindi non capisco in che modo possa essere coinvolto. Se qualcuno ha fatto il mio nome a sproposito non posso saperlo. Posso soltanto dire di essere estraneo alla vicenda. Con la riforma Gelmini, poi, gli accordi non sono possibili: la commissione è sorteggiata su centinaia di nominativi. Certo, poi può sempre accadere che un collega faccia qualche pressione”.
Un “saggio”, dinanzi a un eventuale avviso di garanzia, non dovrebbe rimettere il proprio mandato?
“La commissione s’è chiusa il 17 settembre 2013: il nostro compito è finito. Se poi arriva un avviso di garanzia, e io non ne ho ricevuti, ognuno si comporta secondo la propria sensibilità : potrei dire che sono disposto a dimettermi, anche se avendo concluso il mio compito non sono più un saggio e, soprattutto, un avviso di garanzia non significa nulla, anzi, si tratta di un atto a garanzia dell’indagato. Piuttosto, posso dire che se dovessi ricevere un avviso di garanzia, sarei immediatamente disponibile a collaborare con la magistratura perchè questo è il mio primo dovere”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
IN CASO DI DIVORZIO IL PROBLEMA SONO GLI ALIMENTI… SE SI SCIOGLIESSE, IL PDL PERDEREBBE I RIMBORSI ELETTORALI DI 25 MILIONI L’ANNO
Un divorzio, si sa, può costare assai più di un matrimonio. Un fatto che dovrebbero tener presente
falchi, colombe e anche il resto dei volatili che s’affannano nella gabbia del Pdl.
Certo c’è chi vorrebbe rispondere solo alle ragioni dell’amore — come Antonio Martino che chiede subito il gruppo di Forza Italia “per fare chiarezza” e mette a verbale che “Alfano non può essere il leader” — ma la forza delle cose ha una sua durezza di diamante: non si sa ancora come finirà , ma i soldi — e i voti — consigliano l’unità dei berlusconiani.
“Forza Italia a noi non interessa più: sarebbe un dannoso ritorno al passato, dobbiamo pensare al Ppe”, invoca Giuseppe Castiglione, senatore e sottosegretario all’Agricoltura, tra i protagonisti del ribaltone anti-B.
CONGRESSO
“Congresso in tempi brevi, magari in primavera, con un Comitato di garanzia che sarà scelto da Berlusconi”, dice invece Francesco Nitto Palma, falco (“ma io preferisco gatto”, si raccomanda) e fautore del ritorno all’azzurro.
“Il nuovo partito deve essere guidato da Angelino Alfano, tutte le decisioni dirimenti dovranno essere prese a maggioranza e una volta assunte non potranno essere cambiate in modo umorale” , mette a verbale invece Fabrizio Cicchitto, che gioca sempre più il ruolo che fu di Italo Bocchino durante la scissione finiana.
Il vicepremier vuole, detto volgarmente, potere di firma su candidature e finanze: sotto quale nome dovrà regnare, da questo punto di vista, è poco rilevante.
Nel frattempo, i vertici si susseguono ai vertici, le riunioni carbonare alle riunioni carbonare, le chiacchierate sui divanetti del Transatlantico alle telefonate sussurrate. E, sempre, si finisce per sbattere sulla realtà .
I SOLDI
“Se si scioglie il Pdl non possiamo riscuotere le altre rate dei rimborsi elettorali”.
È l’avvertimento che Maurizio Bianconi, sanguigno tesoriere del Popolo delle Libertà , falchissimo, aveva lanciato qualche tempo fa ai suoi colleghi.
Mica poco: tra tutte le voci si arriva attorno ai 25 milioni l’anno.
Insomma, se la scissione la fanno i “forzisti” e il simbolo del partito rimane ad Alfano e ai suoi, pure il finanziamento rimane agli odiati “traditori”.
E se invece Silvio Berlusconi scioglie legalmente il Pdl e rinuncia ai rimborsi? Neanche a parlarne.
Perchè? Semplice: il partito non avrebbe un euro, e questo potrebbe anche sopportarlo, ma in quel modo il Cavaliere rischia di perderci oltre 120 milioni di euro (oltre i 15 buttati quest’anno per pagare un vecchio debito).
SPIEGAZIONE
Il buon Silvio — risulta dall’ultimo bilancio — ha garantito fidejussioni al Pdl per 14,8 milioni e gli ha pure firmato un “prestito infruttifero” da 2,8 milioni.
Se dà il via libera ai falchi per creare il partito dei duri e puri quei soldi rischia di non vederli più.
D’altronde, “qui non c’è più una lira”, sintetizzò il solito Bianconi a giugno. Non solo. Forza Italia, come forse il lettore non sa, è ancora viva e ha pure un bilancio pessimo: il 2012 — secondo il conti del commissario Sandro Bondi — si è chiuso con un rosso di 25,5 milioni e un disavanzo patrimoniale di 65,9 milioni.
Numeri che s’addensano come nubi su palazzo Grazioli, perchè qui il munifico Berlusconi ha davvero largheggiato: le fidejussioni che ha sottoscritto per la sua prima creatura politica ammontano infatti a 102,7 milioni.
La nuova Forza Italia “scissionista”, insomma, rischia di costargli un patrimonio.
I VOTI
Sono invece il motivo per cui Angelino Alfano non ha portato fino in fondo la minaccia dei gruppi autonomi: lui i voti non li ha o, meglio, ne ha troppo pochi (d’altronde pure i soldi, uscendo, gli sarebbero mancati assai).
“Facessero i gruppi così in primavera, alle europee, li spazziamo via”, avvertiva Raffaele Fitto, finito tra i falchi per la sua inimicizia nei confronti del vicepremier nonostante il purissimo pedigree democristiano ne facciano un “diversamente berlusconiano” di diritto.
Un conto, infatti, è guadagnarsi la fiducia di una settantina o più di parlamentari impauriti di essere mandati a casa dopo solo un anno, altro presentare un nuovo simbolo alle elezioni (I Popolari?) contro un Silvio Berlusconi incattivito: un risultato alla Futuro e Libertà era quasi certo.
Alfano, però, non ha lasciato la casa del padre, vuole ereditarla standoci dentro e, dicono i suoi, ora ha finalmente il consenso dell’anziano genitore: “Ha stravinto, li ha fregati tutti, se non lo dicessi sarei un deficiente — ha spiegato ieri Gianfranco Miccichè, un altro arcinemico di Angelino — Ma non mi inchino al nuovo re, anche perchè se lo facessi mi taglierebbe testa”.
Non la sua, eppure sull’altare dell’unità è probabile che qualche testa salti davvero.
Marco Palombi
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
LA CAPOGRUPPO TAVERNA FURIBONDA… SUL WEB 1.438 COMMENTI AL SUO POST CONTRO DI LUI: “VOLGARE”, “INCOMPETENTE”, “BERLUSCONIANO”…. “FACEVI MENO DANNI IN GIUNTA QUANDO NON CI ARRIVAVI PERCHE’ TI PERDEVI PER STRADA”
L’ira della capogruppo. Lui si giustifica: “Se lo diceva Crozza…”
Inseguito dai cronisti che gli chiedono conto di quel post offensivo — nei confronti di Silvio Berlusconi — scritto nel giorno in cui la giunta di cui fa parte vota sul destino del cavaliere, Vito Crimi sbuffa, allarga le braccia, diventa rosso: «Ma di cosa dovrei vergognarmi? Se l’avesse detto Crozza stareste tutti a ridere. Vi siete inventati una storia che non c’è».
Sarà .
Sarà stato davvero il collaboratore a scrivere su Facebook mentre lui era in camera di consiglio. Sarà stata una forzatura del centrodestra, quella di chiedere la sospensione della giunta.
Sarà stata scritta durante la seduta pubblica, quella battuta tutt’altro che elegante sull’età e le condizioni della prostata del leader del centrodestra.
Ma stavolta — a non capirlo — sono soprattutto i suoi.
Perchè al di là delle dietrologie sulla volontà dei 5 stelle di salvare Silvio Berlusconi per andare subito a elezioni, quel che filtra dal quartier generale di Milano e dal secondo piano di Palazzo Madama — è una solenne arrabbiatura.
Furibonda Paola Taverna — la nuova capogruppo — che nel pomeriggio ha ricevuto la telefonata indignata del presidente del Senato Piero Grasso, che era a pranzo col Papa ad Assisi: «Cosa state combinando? Dovete dire chiaramente chi ha scritto quel post».
Furibondi i colleghi: «Hai presente quando la tua squadra tira i rigori alla finale dei mondiali e la televisione si spegne perchè qualcuno ha staccato la corrente? », chiede in un tweet il deputato Walter Rizzetto.
E Lorenzo Battista — senatore — dice chiaro: «Crimi, facevi meno danni in giunta quando non ci arrivavi perchè ti perdevi per strada».
Una senatrice (ala “dissidenti”) propone le dimissioni dal Copasir, altra delicata commissione di cui il senatore fa parte.
Battista vuole «un chiarimento davanti all’assemblea».
Poi c’è la rete, che lo massacra: i commenti al suo post su Facebook — a sera sono 1438 — sono quasi tutti contro di lui.
Lo definiscono «volgare e incompetente », «berlusconiano a sua insaputa», lo insultano a loro volta, invocano le dimissioni.
La comunicazione cerca di prendere la situazione in mano. Uscito dalla giunta, Crimi sale al secondo piano: si chiude in un ufficio con Rocco Casalino, scrive solertemente quel che qualcuno gli detta dal vivavoce di un telefono: «È un attacco ignobile e vergognoso… volto a sollevare una cortina fumogena… prendo atto che la rete viene considerata un trastullo inutile, da inibire con leggi bavaglio liberticide».
Va a ripeterlo davanti alle telecamere. Tornato su, ai cronisti dice: «Ero appena rientrato da Washington, è il primo post che ho scritto… sì, potevo farlo domani, ma che importa? È una citazione di qualcosa che ha scritto un’altra persona, ha fatto ridere anche quelli della giunta prima che si scatenasse tutto questo».
Non riesce neanche lontanamente a concepire che, al di là del giorno, quelle frasi non sono adatte a un senatore della Repubblica.
Va via offeso: «Non ho violato nessuna regola, dovreste ringraziarmi perchè vi ho dato cosa scrivere nelle ore di black out della camera di consiglio, voglio vedere se avranno il coraggio di punirmi. Se puniscono me, è un problema per Internet, per tutti quelli che esprimono il loro pensiero».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO VUOLE LE TESTE DI VERDINI, BONDI E BRUNETTA… ALLORA FITTO MINACCIA GRUPPI AUTONOMI ANTI-ALFANO A CAMERA E SENATO…NITTO PALMA E SALTAMARINI SI MANDANO “AFFANCULO”…INSULTI IRRIPETIBILI VOLANO TRA VALENTINI E LA PASCALE
Angelino Alfano ha valutato la testa di Daniela Santanchè, che il Cavaliere aveva consegnato senza
esitazioni, ma ha preferito chiedere il braccio (nonchè compagno): Alessandro Sallusti, direttore di quel Giornale che spaventa i dissidenti di governo. Silvio Berlusconi ha esitato per un attimo, non di più, poi l’azienda ha contattato Maurizio Belpietro per l’eterno ritorno.
E nulla possono i continui vertici di coppia fra Sallusti e Santanchè, che presidiano i ristoranti romani e tampinano palazzo Grazioli.
Sallusti non è rassegnato, arringa ancora contro l’alleanza con i democratici, ma l’editoriale di Belpietro su Libero, un elogio totale per Angelino, faceva intendere lo scambio di prigionieri.
Il senatore (mezzo) decaduto, inappetente e insonne, stordito tra amici e nemici, petizioni e ribellioni, ha parlato tre ore con Alfano.
Nessun dialogo politico: Angelino doveva riscuotere, il Cavaliere prendeva appunti. Il segretario non è sazio, Santanchè-Sallusti sono l’antipasto.
Ora in lista d’attesa, per la resa dei conti interna, ci sono Sandro Bondi, Denis Verdini e Renato Brunetta.
Alfano chiede molto per ottenere tanto. Vuole catturare anche i capigruppo Renato (Schifani e Brunetta), sostituiti da Paolo Romani e Raffaele Costa, ma gioca con furbizia: perchè Schifani, esempio, non voleva sfiduciare Enrico Letta, stava con i ministri.
Berlusconi ha indossato la maschera del padre che perdona e comprende, in assenza di energie e lucidità per aumentare la rottura, però ha difeso Verdini: “Non esagerare, Angelino. Denis non si tocca, non mi puoi fare questo. Ho già detto che il nostro futuro sei tu, non ci sono alternative, ma non puoi fare pulizia totale”.
Ora Berlusconi è assediato da Raffaele Fitto, ambasciatore di Verdini: l’ex governatore pugliese , promotore di una raccolta di firme contro Alfano, minaccia di poter fare gruppi autonomi con un centinaio di parlamentari tra Camera e Senato.
I cosiddetti “lealisti” invocano il congresso, adesso la scissione potrebbe provenire dai duri e puri.
Berlusconi non riesce neanche a reagire, ce l’ha con Fitto e compagni: “Che schifo, non ci capisco più nulla”.
E l’incontenibile Nitto Palma rivendica un ministero per i campani, propone addirittura “Gigino ‘a purpetta” Cesaro per non bruciare la candidatura di Mara Carfagna.
Ieri sera Berlusconi ha ricevuto i ministri Quagliariello, De Girolamo e Lupi.
Nel giorno di decadenza, i falchi hanno pungolato il Cavaliere: “Non vedi che Alfano non fa nulla per te? à‰ muto?”
Le due fazioni sono talmente alterate che, a palazzo Grazioli, non si contano più i litigi. Le urla sono una musica di sottofondo.
L’ex ministro Nitto Palma e Barbara Saltamartini si sono salutati con un livore autentico e un rapido vaffanculo reciproco.
Francesca Pascale, in versione moderata-alfaniana, ha avviato il primo e vero repulisti a palazzo Grazioli.
Non sopporta Santanchè, Capezzone e Verdini, e così il terzetto ha ridotto le presenze al capezzale del Capo.
Verdini pranzava e cenava sempre con il Cavaliere, ieri non s’è fatto vedere. A palazzo Grazioli nemmeno Valentino Valentini, ombroso mediatore e consigliere, non manca mai.
Ieri era meglio se fosse andato a fare compere. Perchè non ha trattenuto il fastidio per le lamentele di Francesca, che si dispera: “Non posso invitare le amiche. Non posso fare quello che voglio. E voi mi fate preoccupare per la salute di Silvio. Voi l’avete trascinato in questa situazione: basta!”.
Valentini l’ha insultata con parole irripetibili. Per fortuna Dudù era in cortile.
Chissà se Berlusconi ha sentito.
Di certo non dormiva. Non dorme mai.
Carlo Tecce
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