Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
STORIA DI ANITA
Mi chiamo Anita Likmeta, sono arrivata in Italia 16 anni fa. 
Sono l’esempio perfetto di quello che accade oggi nel mondo.
Io sono una immigrata proprio come quegli egiziani, libici, somali, etiopi che stanno ammassati in centri che sembrano dei veri e propri campi di concentramento.
Io sono una delle migliaia di persone, non rifugiati politici, non profughi di guerra, non immigrati clandestini, ma persone che anni fa hanno attraversato il mare su un barcone, sperando di trovare in Europa qualcosa di meglio rispetto allo scenario di morte che lasciava.
Io vengo dall’Albania. A casa mia c’era la guerra civile, e voi per fortuna non lo sapete, non lo sapete più cosa è una guerra civile.
Non sapete più cosa vuol dire quando ci si ammazza tra fratelli, tra cugini, tra vicini di casa, tra un paese e l’altro.
Si spara a vista, a qualunque cosa si muova, si entra nelle case, si fanno i rastrellamenti, si stuprano le donne.
Ricordo lucidamente il giorno che precedeva la partenza.
Un pomeriggio pieno di nuvole di fine maggio. Non comprendevo la dimensione delle cose. L’idea di partire per l’Italia sembrava un sogno.
Nessuno dalle mie parti amava l’Italia. L’Albania è stata invasa dai fascisti, i quali non avevano certo portato la civiltà , nè il diritto, nè l’arte.
Guardavo le mani di mia nonna piene di crepe e ruvide e il suo odore che assomigliava ai legni bagnati dalla pioggia d’inverno
L’annusavo per fotografare nel mio cuore quell’istante, quel momento che non passava mai, fermo, indeciso, tiepido. Ci alzammo e rientrammo a casa.
Udii la voce di mio nonno: “Dov’è Nini? ”; trattenevo le lacrime, volevo essere più forte delle mie emozioni. Respirai profondamente. Entrai nella stanza dove lui sedeva in un angolo a fumare le solite sigarette.
In mezzo alla stanza c’era una stufa a legna e sui lati di essa dei barattoli di vetro con olio di ricino e un filo che si accendeva per illuminare l’ambiente.
Un grido, il mio, “Nonnino io me ne vado, vado ora” e mi dipinsi il volto di una espressione felice che volevo gli rimanesse per sempre di me.
Lui si alzò nonostante i suoi acciacchi, i suoi occhi erano tristi.
Mi mise una mano sul volto e mi disse: “E dove vai? ”, e io “vado in Italia nonno” e lui “brava, diventa una brava bambina italiana”.
La nonna mi prese per mano e mi portò fuori dalla stanza, ma i miei occhi rimasero fissi su di lui e mi ripetevo che sarei ritornata.
Fuori ad aspettarmi c’era mio zio con la carrozza trainata dal cavallo che mi avrebbe portato fino alla prossima città e lì avremmo preso l’autobus per arrivare a Durazzo. Partimmo.
Vedevo da lontano la casa dei nonni rimpicciolirsi a ogni metro che facevo. A un certo punto tutti i miei amici che si erano nascosti nella collinetta uscirono urlando il mio nome e inseguendo la carrozza tutti insieme. “Ciao Nini, ciao. Anche noi verremmo. Ci vediamo presto. ”
Urlavamo, piangevamo, ridevamo contemporaneamente.
Durazzo. Dinanzi a me c’erano molti piccoli imbarcaderi, appoggiati vicino al porto che non era più controllato dalle forze dell’ordine. Anarchia totale.
Gente che tentava di salire e veniva buttata giù, gente in coda, gente che pagava, gente che tentava di mettere un bagaglio più voluminoso e gli veniva scaricato direttamente in mare, disperati vestiti nei modi più strani, soldi che passavano da una mano all’altra, spintoni, bambini attaccati alle madri che urlavano.
Si parte e io rimango seduta a poppa per guardare il mio paese scomparire lentamente. Arrivammo a Bari. Io, mia madre, mio fratello e sorella abbracciati.
Ci controllarono come se avessimo i pidocchi.
Un amico di famiglia ci portò a Pescara.
Sono passati degli anni e io sono cresciuta, ho studiato, ho frequentato l’Accademia d’Arte drammatica “Corrado Pani”, ho successivamente conseguito la laurea nella facoltà di Lettere e Filosofia, ho lavorato con dignità .
La libertà racchiude in sè la possibilità di essere felici. E la possibilità di essere felici non è altro che la possibilità di scegliere: un vestito, la fede, un partito politico e, attenzione, un luogo dove vivere serenamente, lavorare e mettere su famiglia.
È il cardine del diritto dell’uomo, della convivenza con i suoi simili, il cardine della nostra vita per il quale molti prima di noi hanno lottato e perso la vita, per il quale oggi ancora si lotta e si muore.
Anita Likmeta
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL DISSESTO NON È SOLO COLPA DEI SINDACI, CON FONDI RIDOTTI ORA TOCCA ALLE AMMINISTRAZIONI ELIMINARE SERVIZI CHE NON SANNO COME PAGARE…. ABOLIRE LA TASSA SULLA PRIMA CASA HA INNESCATO IL CAOS
A Milano il buco è di 500 milioni. A Roma di 864, a Napoli di 861, a Catania di 528 milioni.
E questo per stare soltanto ai casi più noti, ricordati qualche giorno fa dal Sole24Ore. Ma ce ne sono mille altri, mezza Sicilia è praticamente in default, Taormina, per esempio, sta per crollare sotto il peso di 50 milioni di euro di debiti.
Che cosa sta succedendo? La spiegazione più classica sarebbe la più semplice e, tutto sommato, rassicurante: tutta colpa dei sindaci spendaccioni, come nel caso di Alessandria, dove da oltre un anno i commissari liquidatori gestiscono le conseguenze del dissesto (il sindaco Piercarlo Fabbio, Pdl, usava le casse comunali per acquisti come quello di un tartufo da 12 mila euro da donare a Silvio Berlusconi).
Purtroppo il fenomeno è più inquietante. Mentre lo spread calava, i governi Monti e Letta annunciavano la fine dell’emergenza, con l’Italia finalmente lontana dal rischio bancarotta, la crisi di finanza pubblica si è spostata a livello locale: i Comuni sono stati immolati per dare una parvenza di solidità alla Repubblica italiana e per concedere a Silvio Berlusconi e al suo Pdl il contentino della abolizione (per ora solo della prima rata) dell’Imu sulla prima casa.
Il groviglio di norme è ostico, ma la sintesi è lampante: i servizi dei Comuni — asili, assistenza sociale, trasporti — erano finanziati in gran parte da trasferimenti dal governo centrale di Roma, soldi che ora non arrivano più.
E i sindaci devono decidere se cancellare i servizi o andare incontro alla bancarotta spendendo soldi che non hanno, emettendo fatture che non salderanno mai.
In teoria, un Comune può spendere soltanto i soldi che ha in cassa, non emette debito pubblico.
Ma il 2013 è un anno particolare: siamo a metà ottobre e i Comuni italiani ancora non hanno approvato il bilancio di previsione per l’anno in corso che doveva essere pronto a fine 2012.
Non l’hanno fatto perchè il governo continua a cambiare le regole e a tagliare fondi, quindi i sindaci non sanno quanti soldi hanno a disposizione per il 2013.
Come hanno superato, quindi, questi dieci mesi? Hanno lavorato “in dodicesimi”, ogni mese spendono un dodicesimo della spesa complessiva del 2012.
Peccato che — quasi sempre — le risorse del 2013 saranno inferiori a quelle dello scorso anno, ma visto che ancora non è chiaro di quanto, i comuni continuano a spendere.
Tradotto: stanno spendendo soldi che non esistono, sono le basi per la bancarotta. E gli 864 milioni di euro di buco che il Comune di Roma non sa come coprire, sono dovuti in parte anche a questa condizione di precarietà contabile.
“I Comuni italiani vanno aiutati perchè non ce la fanno più a sopravvivere”, diceva in aprile la presidente della Camera Laura Boldrini.
Il federalismo alla base del disastro
Questo enorme pasticcio ha tanti padri, dal centrosinistra che negli anni Novanta ha fatto una riforma costituzionale federalista confusa, fino al governo Berlusconi che, spinto dalla Lega, ha imposto un federalismo fiscale lasciato a metà .
Ma i problemi seri cominciano con i tagli delle manovre di austerità di Mario Monti. Un passo indietro: lo scopo del federalismo fiscale era azzerare i trasferimenti dallo Stato centrale ai comuni e dare loro l’autonomia di imporre tributi in misura equivalente, nella convinzione che sindaci più responsabilizzati sarebbero stati molto attenti a spendere bene e a tenere basso il livello di pressione fiscale oppure non sarebbero stati rieletti.
Ma un comune come Cortina d’Ampezzo è pieno di seconde case che generano gettito e deve offrire pochi servizi, perchè i turisti ad alto reddito hanno poche esigenze.
Al contrario, Napoli ha poche opportunità di fare cassa e deve garantire servizi a centinaia di migliaia di persone a basso reddito che non pagano imposte.
Quindi serve comunque un intervento dal centro che sposti risorse dai comuni che hanno molti soldi e poche esigenze a quelli bisognosi.
La legge sul federalismo del 2009 prevede quindi questo schema: una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff) fissa i costi standard dei servizi e il loro livello minimo — quanto bisogna spendere per avere una corsa di autobus ogni 30 minuti tra periferia e centro? — cosicchè si possano stabilire le esigenze finanziarie di ogni comune.
Se poi un sindaco è privo di risorse per garantire il livello minimo di servizi ha diritto ad accedere a un “fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”, lo dice l’articolo 119 della Costituzione.
Se ci sono pochi soldi, bisognerebbe avere il coraggio di abbassare il livello dei servizi giudicati essenziali fino al livello che ci possiamo permettere.
Invece Mario Monti ha seguito un’altra linea: ha svuotato il fondo perequativo, sul 2012 ha tagliato 500 milioni di euro e per il 2013 2 miliardi.
Morale: i Comuni hanno perso trasferimenti per 12 miliardi circa, ma nel 2011 hanno ricevuto dal fondo perequativo (cioè sempre da Roma, di fatto) 11,4 miliardi di euro. Nel 2012 soltanto 6,8 e nel 2013 dovevano essere 4,8 miliardi, poi la cancellazione della prima rata dell’Imu (2 miliardi compensati da altri 2,4 la cui distribuzione è da definire) ha reso ancora più incerta la somma.
Non parliamo poi delle incognite sulla seconda rata che vale 2,4 miliardi.
Il governo ha detto ai Comuni che non dovranno riscuoterla, ma nulla si sa su come e dove lo Stato troverà i soldi per compensare il mancato gettito.
Detto in altro modo: i trasferimenti dal governo centrale agli enti locali sono stati ridotti, tra il 2010 e il 2012, del 19 per cento, le tasse locali sono cresciute dell’11.
Ma la spesa finale degli enti locali è calata solo del 5 per cento (e gran parte di questo taglio è dovuto a una drastica riduzione del 22 per cento degli investimenti).
Il conto non è in pareggio e quindi i comuni vanno in default.
Perchè, come ha comunicato la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff) al Fondo monetario internazionale lo scorso 3 luglio, nella finanza regionale “tutte le principali misure di attuazione sono mancanti”.
I debiti che non compaiono nei bilanci ufficiali
Per complicare ancora le cose, il governo Letta ha sostituito il fondo perequativo con un nuovo “fondo di solidarietà comunale”: il 16 settembre il governo ha comunicato di aver erogato — dal ministero dell’Interno — 2,5 miliardi di euro.
Pochini per coprire tutte le esigenze, quale sarà la somma finale non è dato sapere.
Per avere il quadro complessivo bisogna aggiungere due dati.
Ci sono comuni che sono riusciti a evitare il dissesto finanziario, e il conseguente arrivo di un commissario al posto del sindaco, grazie alla legge salva-Napoli del 2012, approvata da Monti, che introduce lo “stato di pre-dissesto” per le città quasi-fallite. Questi Comuni (da Napoli a Campione d’Italia) possono ottenere un prestito di 100 euro per abitante da restituire in 10 anni da un “fondo rotativo”.
Che ruota nel senso che dei 270 milioni ricevuti, ogni anno Napoli dovrebbe rimetterne nel fondo 27, cosicchè altri Comuni possano beneficiare di analogo supporto.
Peccato che, con il calo dei trasferimenti, la crisi e tutto il resto, per le città in pre-dissesto sia sempre più difficile restituire il dovuto.
Secondo dato da ricordare: i debiti fuori bilancio. Per anni i Comuni hanno accumulato passività mai registrate, fatture emesse ma non contabilizzate, soldi da pagare che però non risultavano nel bilancio ufficiale: erano 494 milioni di euro nel 2003, sono arrivati a 1,2 miliardi nel 2012 (ammesso che questa cifra sia definitiva visto che, come ovvio, finchè restano fuori bilancio i debiti sono difficili da contare). Il buco, insomma, è ancora più vasto di quanto sembra.
Stefano Feltri
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
“ALTRO CHE TV, QUI CI DIVERTIAMO”: MUSICA DAL VIVO, TOMBOLA, PRESENTAZIONE DI LIBRI…QUI CUPERLO FA IL PIENO
E’ qui la festa? Un saltello di liscio, le foto di Berlinguer, crescentine da MasterChef, e una carezza di
politica nostalgia rispetto al passato quando il “Partito” significava crescita culturale ed emancipazione sociale.
La Notte Rossa del Pd, edizione numero uno, passa l’esame da matricola, e rilancia per l’anno secondo.
Trentasette Case del Popolo della provincia di Bologna, nella notte tra sabato 12 e domenica 13 ottobre hanno aperto i battenti e hanno messo a disposizione quasi un secolo di storia, orgoglio e autogestione.
C’erano tutti i big del Pd, o quasi, a festeggiare lo “spazio ritrovato”.
Quartier generale, la Casa del Popolo Leonildo Corazza, il fortino della tombola di via San Donato, storico quartiere operaio che alle 22 registrava almeno 150 giocatori con sacchettino di fagioli e buoni coop per la cinquina.
“Altro che quella brutta roba della televisione — spiega una pensionata che arriva in bicicletta da qualche isolato di distanza — qui ci divertiamo e stiamo tra noi come non si fa da nessuna parte”.
A pochi passi, nel capannone riscaldato, tavolate di tagliatelle al ragù e di crescentine farcite a prezzi popolari.
Il migliorista Emanuele Macaluso — classe ’24 -, grande amico del presidente Giorgio Napolitano — classe ’25 — fa capolino nel tavolo dei big, dove si siede anche l’ex ministro Livia Turco, il vicepresidente della Provincia Giacomo Venturi, il costituzionalista Alberto Barbera, i professori universitari Paolo Pombeni e Alberto Melloni.
Tutt’attorno ci sono anche tanti ragazzi e ragazze delle sezioni: “Non ci va di parlare della sfida al congresso: stasera si fa festa, riaprono le Case del Popolo, è bello così”, spiega un 25enne che brinda con gli amici tintinnando calicini di Rosso Antico a 2 euro e 50.
E se l’innesto generazionale non sembra qualcosa di così improbabile, la mescolanza di correnti pare qualcosa di marziano.
Qui Cuperlo fa il pieno di preferenze e al massimo ci trovi qualche civatiano.
Difficile rintracciare simpatizzanti di Renzi nella storica sezione Nannetti di via del Giglio nel quartiere Reno, la più antica casa del popolo della città , ad ascoltare il racconto delle gesta della brigata partigiana Bolero.
Impossibile riuscire a censire un renziano tra le oltre 100 persone che affollano la “Casetta Rossa” nel quartiere Saragozza per ascoltare brani della tradizione suonati dal vivo.
Vano il tentativo di giocarsi l’ultima carta del sondaggio alla Casa del Popolo I Centi Passi, in Bolognina, tra i 50 che mangiano injera eritrea e ascoltano la presentazione del libro Il Rivoluzionario di Valerio Varesi: “Renzi? Per carità ! Con lui si va a destra, qui ci sono le radici del più importante partito democratico della storia italiana”, risponde categorico un quarantenne di passaggio.
“Queste iniziative sono belle, ricordano un passato di onestà e di incontro tra base e vertici, ma il Pd deve provare a coinvolgere le giovani generazioni in altro modo.
La forma del web come fanno nei 5 Stelle funziona” spiega fuori dalla Casetta Rossa un gruppo di ex studenti universitari, ora rimasti a lavorare a Bologna, che rappresenta geograficamente mezza Italia. “Renzi? Una corrente del partito come tante altre, si porta dietro tante cariatidi. Civati? Troppo rivoluzionario e coerente. Il Pd ci sta deludendo da anni e le risposte di cambiamento non sono mai arrivate. Avessero votato Prodi o Rodotà come presidente della Repubblica con i grillini gli faceva solo bene”.
Il gruppo sta facendo il tour delle Case del Popolo, mezz’ora di qua, mezz’ora di là , come tanti altri gruppetti intravisti tra le sezioni rosse, poi forse all’Estragon dove si ballerà anni cinquanta fino all’alba: “Grillo è fascista e l’uscita sui clandestini è imbarazzante — spiega Martina, la più giovane del gruppo — ma i deputati 5 Stelle sono gente normale, come noi, e non figli di qualcuno di importante, paracadutati da amici e parenti in Parlamento”.
“L’importante è che si smarchino dal leader — continua il siciliano Giancarlo — se lo fanno velocemente alle prossime elezioni fanno il pieno”.
Con buona pace di Gramsci, Togliatti e Occhetto.
Davide Turrini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
SI CONTANO 20 DICHIARAZIONI DIVERSE IN UN GIORNO FESTIVO, SPESSO IN CONTRASTO TRA LORO… MA SUBITO DOPO SI RICOMINCIA
Niente pubblicità , il confronto nel partito non si deve fare sulle agenzie di stampa, ma all’interno del partito.
La nota diffusa da Palazzo Grazioli è insolitamente breve, ma il senso è chiaro: i panni si sa dove dobbiamo lavarli.
“Sulle agenzie di stampa — afferma Silvio Berlusconi — leggo troppe dichiarazioni di troppi esponenti del Pdl. E invito tutti a non proseguire in questa direzione del tutto improduttiva. Le diverse opinioni si debbono confrontare non sulle agenzie di stampa e sui giornali ma attraverso una serena dialettica all’interno dei luoghi delegati del nostro movimento”.
Certo, parlare di ipotesi di confronto vero (cioè un congresso) sembrerebbe eccessivo per un partito come il Popolo delle Libertà .
Ma è la prima mossa politica di Silvio Berlusconi dopo la sua personale Waterloo del Senato, quando decise di dare la fiducia al governo Letta dopo aver cambiato idea 4 volte in poche ore e soprattutto dopo aver sputato fiamme per una settimana (con dimissioni di massa dei parlamentari a ministri ritirati).
Il Cavaliere, dunque, come prima cosa punta a ricostruire l’unità , almeno in apparenza, cioè cercando di riformare quanto è accaduto negli ultimi anni.
Tanto che il primo a rispondere è proprio colui che ha messo l’ex presidente del Consiglio nell’angolo nella giornata del voto della fiducia: “Sono pienamente d’accordo con il presidente Silvio Berlusconi — replica Angelino Alfano — Stop alla alluvione di agenzie per addetti ai lavori. Cambiare luoghi e toni della dialettica del nostro movimento”.
Durante la giornata — peraltro domenica, con le Camere chiuse e i talk show lontani — si erano registrate dichiarazioni di almeno 20 esponenti del Pdl che parlavano del Pdl: chi invitava all’unità , chi rilanciava la proposta di Raffaele Fitto di azzerare i vertici, chi parlava di dare tutta la gestione in mano allo stesso Berlusconi, chi dichiarava che era meglio smettere di non dichiarare, chi polemizzava invitando a evitare le polemiche.
Dalla Carfagna alla Gelmini, da Rotondi a Gasparri, passando per Sacconi, Polverini, il ministro Nunzia De Girolamo che l’altro giorno era al fianco di Alfano nella conferenza stampa che ha fatto infuriare i fedelissimi di Berlusconi e oggi afferma che “Berlusconi e Alfano erano e restano i riferimenti della nostra azione politica. Entrambi invocano unità e noi abbiamo il dovere della responsabilità ”.
E dopo l’intervento di Berlusconi contro le troppe dichiarazioni alle agenzie di stampa gli esponenti del Pdl come reagiscono?
Con altre agenzie di stampa: Osvaldo Napoli e lo stesso Fitto.
Quest’ultimo ovviamente ha un obiettivo, far passare il messaggio che a “vincere” è stato lui che parlava di rimettere tutto in mano al presidente.
I retroscena parlano di stallo tra “lealisti” e “alfaniani” sul progetto del nuovo Pdl, sul futuro organigramma e sulle modalità per costituirlo.
I falchi alzano la voce e cercano di mettere nell’angolo i governativi, imponendo il loro ruolino di marcia che non concede molti spazi ad Angelino Alfano sulla futura gestione degli azzurri.
Ma è una strategia che mette in difficoltà , appunto, l’ex presidente del Consiglio che, ora più che mai, ha bisogno di un partito unito e relativamente tranquillo per gestire al meglio le sue vicende giudiziarie e personali.
La trattativa dunque prosegue con un nulla di fatto della trattativa tra i contendenti che non risparmia lo stesso Berlusconi.
Il Cavaliere viene risucchiato in un pericoloso gioco del cerino che rischia di portare il Pdl ad una implosione senza via di ritorno, tanto che continua a essere concreta l’ipotesi della scissione dei gruppi parlamentari.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA UN TRIBUNALE SI PRONUNCIA SUL TESTO CHE POTREBBE PORTARE ALLA DECADENZA DA SENATORE… I GIUDICI DI TORRE ANNUNZIATA RESPINGONO IL RICORSO DI UN CONSIGLIERE COMUNALE CACCIATO DOPO UNA LIEVE CONDANNA
La notizia non farà piacere a Silvio Berlusconi. 
Arriva mentre i suoi fedelissimi affilano le armi in vista della prossima seduta della giunta per le elezioni, in programma lunedì 14 ottobre alle 18.
C’è un Tribunale, a Torre Annunziata (Napoli), che ritiene la legge Severino priva di caratteri di incostituzionalità e che sia retroattiva, cioè valida per le condanne relative a reati commessi prima della sua entrata in vigore.
Lo affermano i giudici Stefano Chiappetta (presidente del collegio), Francesco Coppola e Gabriella Ferrara nella sentenza con cui hanno respinto un ricorso su un caso che, nel suo piccolo, in qualche modo assomiglia a quello del Cavaliere.
Il caso riguarda la sospensione dell’ex sindaco di Poggiomarino (Napoli) Vincenzo Vastola dalla carica di consigliere comunale per una condanna a quattro mesi per abuso d’ufficio.
Una vicenda modesta, molto modesta, in raffronto alla colossale evasione fiscale di Berlusconi: l’installazione di cinque lampioni pubblici sulla strada privata dove risiede il politico napoletano, decisa da Vastola quando era primo cittadino con un ordine di servizio non protocollato.
Come spiega Francesco Gravetti su ‘Il Mattino’, quella di Torre Annunziata è la prima sentenza in materia a proposito della legge che sta provocando la decadenza di Berlusconi da senatore.
Il ricorso dei legali di Vastola poggiava sulle stesse argomentazioni dei difensori dell’ex premier.
Ovvero sulla presunta non retroattività della ‘Severino’, che altrimenti configurerebbe profili di incostituzionalità .
Secondo la sentenza del tribunale torrese, la sospensione di Vastola è invece legittima. I giudici hanno analizzato la legge Severino e hanno scritto: “Il fine primario è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo, cui è ricollegato un giudizio di ‘indegnità morale’ a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene quindi configurata alla stregua di ‘requisito negativo’ o ‘qualifica negativa’.
Che impedisce di ‘mantenere la carica’.
Vincenzo Iurillo
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL GURU PENSAVA DI TELECOMANDARE I PARLAMENTARI, ORA SUL REATO DI CLANDESTINITA’ CERCA DI PRENDERE TEMPO: “IN AULA NON LO VOTERETE PRIMA CHE SI ESPRIMA LA RETE” …E SUI PROBLEMI “SENSIBILI” MEGLIO ASPETTARE LE PROSSIME ELEZIONI”
Gianroberto Casaleggio ha perso la pazienza.
«Se non si rispetta il metodo, diventiamo un partito come gli altri. Senza la Rete, è finita. E la democrazia diretta salta». (come se finora non avesse deciso tutto lui…n.d.r.)
Per questo ha asfaltato la proposta dei senatori grillini sul reato di clandestinità .
Per questo ha pianificato l’attacco sul blog di Beppe Grillo contro il Fatto Quotidiano, reo di aver criticato il post dei due cofondatori.
E per questo, soprattutto, tenterà di frenare l’emendamento della discordia: «In Aula non lo voterete finchè gli attivisti non si saranno espressi con la piattaforma».
Cercherà la prova di forza, sperando che il fronte finora unitario dei parlamentari si sfaldi.
È in difficoltà , il guru. Non si aspettava la reazione dei militanti, nè la compattezza con la quale i gruppi parlamentari hanno difeso l’iniziativa sull’immigrazione.
E così ha lanciato la controffensiva. In questo schema rientra la sfida al quotidiano di Antonio Padellaro, da sempre il più amato dalla galassia cinquestelle.
La colpa? Aver pubblicato un editoriale di Marco Travaglio nel quale il vicedirettore riconosce il valore del Movimento, ma avanza anche alcune critiche.
È giusto consultare gli attivisti «per le scelte strategiche », rileva Travaglio, ma «per le altre agli elettori non si può dire tutto prima».
Quanto al reato di clandestinità «i due capi dei 5Stelle hanno perso un’occasione per tacere».
La reazione non si fa attendere. Ed è affidata a un attivista che si firma “Tinazzi”.
L’accusa, la peggiore per gli ortodossi del Movimento, è di aver voltato le spalle alla causa del grillismo: «Possente campagna sul Fatto Quotidiano si legge sul blog del leader — che ha sostituito l’Unità come organo del Pd (menoelle), ricca di battute e insulti contro Grillo (nuovo leghista…) ».
Insomma, il giornale è colpevole di «sobillare» i parlamentari grillini: «Sempre vero: meglio nemici diretti, che falsi amici». Il problema, però, è che l’editoriale della discordia è firmato dal giornalista più stimato dagli attivisti cinquestelle.
E infatti la Rete non apprezza, sommergendo di dure critiche il leader.
Una rivolta interna che è solo l’antipasto di quanto accadrà nel meeting — forse martedì, forse sabato alle porte di Roma — tra i due cofondatori e la pattuglia di deputati e senatori.
Il leader e il guru ascolteranno i parlamentari.
Presenteranno l’attesa piattaforma per consultare gli attivisti, che tutto vaglierà .
Infine rilanceranno, fissando dei paletti: per decidere dei temi più controversi occorrerà consultare la Rete.
Immigrazione compresa: «E se in Aula si vota prima del responso — spiegheranno — voi non voterete».
Quanto ai dossier più sensibili, dall’eutanasia alle adozioni gay, fino alla liberalizzazione delle droghe leggere, «le proposte dovranno essere votate e poi presentate solo alle prossime elezioni».
Non tutti la prenderanno bene, anche se gli ortodossi si stanno organizzando per rompere il fronte unitario.
Di certo, i dissidenti non si tireranno indietro. Almeno, così par di capire dal consiglio che il senatore Francesco Campanella offre a Grillo: «Se vuole che il progetto arrivi lontano, deve aprire la mano e lasciarlo andare».
Tommaso Ciriaco
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
PER ALFANO, MARONI E GRILLO IL BAMBINO DI TRE ANNI ANNEGATO A LAMPEDUSA ERA SOLO UN INGOMBRO FISICO DA “RESPINGERE”
Smettiamola di chiamarli “vittime del mare”. I migranti disperati che con i loro bambini nati o in
procinto di nascere annegano sul fondo del Mediterraneo non sono vittime di un crudele capriccio delle onde o di una smania di traversata.
Sono vittime di un’Europa egoista e stupida e di un’Italia vergognosa che ha lasciato via libera alla barbara superstizione della Lega di Bossi e Maroni, espressa bene dallo statista Bossi con la frase “fà¶ra di ball” e che è diventata, nel Paese governato da Berlusconi e da Alfano, la legge Bossi-Fini.
Ma prima di parlare di leggi, è bene parlare di fatti.
Ecco un fatto: due notti fa, in un tragico naufragio (quasi 50 morti) narrato dai primi telegiornali di sabato, una mamma e un papà sono salvi in mare, in attesa di essere raggiunti dai soccorritori, e insieme tengono in alto, fuori dalle onde, la piccola figlia di pochi mesi.
Ma sulla barca che sta affondano davanti a loro c’è l’altro loro bambino di tre anni.
Li guarda, li chiama, li implora.
Piange disperato, è già quasi sommerso, poi scompare nel mare, incredulo di essere stato abbandonato.
Ma i suoi genitori, gridando e piangendo, non sono riusciti ad avvicinarsi e a prenderlo, stringerlo, salvarlo per il rischio di perdere la neonata.
Potete, per un momento, immaginare queste vite e questa morte?
Lo possono, lo vogliono, i membri e i leader del nostro Parlamento?
Due risposte ferme e tonanti sono giunte subito.
La prima è di una voce autorevole del governo non eletto, sostenuto da una maggioranza non eletta per fare cose che non c’erano in alcun programma elettorale votato.
Ha detto Angelino Alfano, vice primo ministro di questa Repubblica: “Abolire la Bossi-Fini è una declamazione demagogica. Non è che abolendo la Bossi-Fini si impediscono nuovi morti in mare. Noi vogliamo vedere gli aerei e le navi che proteggono la nostra frontiera (dunque strumenti di respingimento) e lo vogliamo perchè questo è il modo migliore. Altrimenti continueremo sempre con degli inutili pianti”.
Non c’è un’opposizione per contestare questa frase incredibile, “inutili pianti” dopo che si è trovata la giovane donna che ha partorito 40 metri sotto il mare il suo bambino morto?
Sì, c’erano due senatori del M5S, Cioffi e Buccarella che avevano appena fatto approvare in Commissione Giustizia un emendamento per l’abolizione del reato di clandestinità e stavano diventando gli eroi del momento perchè avevano trascinato i voti degli esitanti, come tutto il Pd.
Ma ecco, subito dopo, il comunicato di Grillo, leader extraparlamentare e fondatore di M5S: “Questo emendamento (abolizione del reato di clandestinità , ndr) è un invito agli emigranti del Medio Oriente e dell’Africa a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice: la clandestinità non è più un reato. (…) Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha soldi per mangiare ?”.
I due sentimenti peggiori sembrano ispirare l’uomo del governo a ogni costo, e quello dell’opposizione totale.
Il primo non vede alcun rapporto fra una legge che nega tutti i diritti, ignora la persona morale e giuridica che ha di fronte e vede solo un ingombro fisico da respingere con strumenti militari.
Nel suo mondo gli aerei e le navi non vanno per salvare, vanno per respingere.
Il secondo, che è stato pensato e immaginato come l’uomo che avrebbe condotto verso un mondo nuovo, ha fatto una brusca conversione a U verso un tetro passato di cose tristi, già viste, già dette che convenivano al basso voltaggio della cultura leghista ai tempi di Berlusconi.
Sorprende e imbarazza la modestia di una visione in cui, ignorando del tutto ciò che avviene in Somalia, in Eritrea, in Egitto, in Libia, in Siria, si immaginano “clandestini” (così vengono definiti prima ancora di partire) che si danno di gomito e passano parola: “Hai visto? in Italia non c’è più il reato di clandestinità ”.
Per molti c’era un futuro nel Movimento di Grillo, anche se non era stata calcolata per tempo la partecipazione di Casaleggio.
Però come si fa a essere diversi quando si dicono esattamente le parole della Lega, e ci si trova ad avere identità di vedute con Angelino Alfano.
Come si fa a non sapere che chi fugge dalle guerre (come i somali e gli eritrei salvati o morti in mare) hanno un diritto di asilo sacrosanto e secolare, che viene negato dalla imputazione (se si salvano) del reato di clandestinità ?
Il Partito radicale ha più volte dimostrato e fatto documentare da avvocati, che l’80 per cento dei detenuti negli osceni “Centri di identificazione ed espulsione” sono legali (semplicemente gli hanno sottratto i documenti) o sono protetti dal diritto di asilo.
Ecco che cosa è la legge di polizia Bossi-Fini integrata, quanto a persecuzione dei migranti, dal “Pacchetto sicurezza di Maroni”.
Non si dovrebbe cancellare, con ripugnanza e disprezzo, tutto e subito?
Solo Papa Francesco ha detto: “Siamo accecati. Non vediamo chi muore vicino”.
E lo ha detto senza distinguere fra partiti vecchi e movimenti nuovi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
“I FENOMENI DI MASSA NON SI RISOLVONO CON I PROCESSI”… “GLI ACCORDI PASSATI HANNO SOLO FATTO MORIRE I PROFUGHI”
Di immigrazione, clandestini, profughi e altre questioni se ne occupa tutti i giorni, perchè di mestiere Paolo Borgna, fa il magistrato, procuratore aggiunto a Torino.
Ma soprattutto ne ha scritto molto, per i giornali, sui libri.
Borgna è forse la persona che sull’argomento, se ci fosse un governo con l’intenzione di affrontare il problema e non solo accantonarlo, dovrebbe avvalersi come consulente.
Anche perchè, visto che fa il magistrato e deve perseguirli, li vede negli occhi.
Sa quelli che scappano da cosa scappano e quelli che arrivano per delinquere di quali delitti sopravvivono.
“Sarebbe meglio, come primo passaggio, fare molta chiarezza sull’argomento e iniziare a parlare di reato, certo, ma anche di burocrazia. Perchè questo è uno dei principali problemi”
Partiamo dal reato.
Sì, e partiamo con un principio che deve essere chiaro a tutti: l’articolo di legge che mette sullo stesso piano immigrati che arrivano per lavorare e quelli che sono delinquenti abituali è profondamente ingiusto
Immigrati buoni e immigrati cattivi?
Non ho detto questo. Parlo di diverse motivazioni. Ci sono persone che arrivano dall’estero motivate nel trovare un lavoro, per quanto in questo periodo di crisi sia possibile. E l’irregolare onesto purtroppo non ce la fa.
Perchè?
Anche se arriva e ha un lavoro per essere regolarizzato, occorre troppo tempo. Spesso, per non restare da clandestino, deve rientrare nel suo Paese di origine e aspettare la chiamata. Un processo non complicato, ma difficilmente ipotizzabile. La procedura è talmente lenta che, ammesso e non concesso che abbia i soldi per poter aspettare senza lavorare in nero o prendere un aereo e aspettare la chiamata, se ha un lavoro o lo aspetta, lo ha già perso in partenza.
E gli altri chi sono?
Sono le persone che arrivano e delinquono. E sono messi esattamente sullo stesso piano.
Ma la clandestinità deve continuare a essere un reato?
Dico che ci sono piani diversi. Poi per noi diventa complicatissimo perseguire i clandestini. Che una volta identificati vengono denunciati a piede libero e gli atti trasmessi al giudice di pace. La condanna che viene loro inflitta in genere è una pena pecuniaria di 2.000 euro che non pagheranno mai, perchè sono persone senza documenti e quei soldi non li hanno. Alla fine del processo sono passati almeno due anni, lo Stato ha speso molti più soldi di quanti ne dovrebbe incassare e che non incasserà mai. Ma, soprattutto, il problema non è stato risolto. Anzi. E parliamo di un processo che è molto particolare.
Perchè particolare?
Quello al quale siamo davanti è un fenomeno di massa e i fenomeni di massa non si risolvono così, non si combattono con i processi.
Viene da chiedersi a cosa serva il processo…
A niente. È soltanto un segnale ideologico, solo un segnale ideologico che non risolve il problema, neanche lo scalfisce.
Esiste allo stato attuale una strada per limitare questo intoppo?
Sì, una strada ci sarebbe. Ed è quella che accennavo all’inizio: rendere snelle e veloci le procedure per chi viene in Italia per cercare lavoro e magari lo ha trovato; in modo da non costringerlo alla “irregolarità ”. E concentrarsi invece sulle espulsioni (reali e non solo sulla carta) di coloro che commettono crimini seri.
Altro discorso sono i profughi.
Entriamo in un altro tipo di problematica, molto diversa. E che questa classe politica non ha la forza di combattere. L’Italia è debole a livello europeo. Gli accordi presi in passato con gli stati nord africani avevano come risultato di fare morire i profughi di sete nel deserto. Noi dobbiamo invece proporre, come Europa, una presenza nel nord Africa che gestisca i campi e presti soccorso, facendo venire in Europa e non solo in Italia coloro a cui ri riconosce il diritto di asilo.
All’inizio degli anni Novanta a Strasburgo si iniziò un iter che portasse a un accordo internazionale. Doveva essere l’Helsinki del Mediterraneo. Ma poi se ne dimenticarono.
Oggi che si può fare?
Una strada, ma non compete a me indicarla, sarebbe quella di organizzare campi profughi nei Paesi da dove i profughi partono. E deve essere una pretesa, non una proposta. Ma per far questo ci vuole una forte volontà politica che imponga all’Europa di intervenire assumendo il problema come problema europeo.
Emiliano Liuzzi
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
“QUESTA PIAZZA E’ UN INIZIO, APPLICARE LA CARTA E’ LA VERA RIVOLUZIONE”
«Come andare avanti lo decideremo insieme. Una cosa è certa: non ci fermiamo qui». Maurizio Landini,
52 anni, da tre segretario della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil, ha appena ricevuto un’ovazione dalle migliaia di persone riunite in piazza del Popolo.
Un quarto d’ora di discorso appassionato, scandito dagli applausi di chi lo vorrebbe come un leader che va oltre il suo ruolo di sindacalista.
Cosa risponde a chi la vedrebbe bene alla guida di un nuovo soggetto politico?
«Rispondo che io faccio il segretario della Fiom e che continuerò a farlo se verrò rieletto».
Nessuna ambizione personale, nessun progetto politico che vede protagonista la Fiom?
«Non esistono uomini della provvidenza. E la Fiom esiste da 112 anni e fa politica sindacale».
C’è chi vorrebbe che facesse più politica.
«Ognuno fa il suo mestiere».
E la rappresentanza di questa piazza?
«Quella va costruita e bisogna farlo proprio stando in piazza».
Dal palco in tanti hanno negato di voler dar vita a un nuovo partito.
«E hanno fatto bene: di partiti ce ne sono già anche troppi. Il problema è proprio una frammentazione politica senza precedenti: si sono moltiplicatii partiti ed è sparita la politica».
E qual è il vostro ruolo qui, oggi?
«Noi vogliamo allargare la democrazia e la domanda di partecipazione attraverso la nostra Carta fondamentale. Oggi in Italia non c’è niente di più rivoluzionario che applicare la Costituzione. In tanti dovranno rispondere a questa piazza. Qui c’è chi vuole cambiare il Paese e la politica attraverso la Costituzione».
Nessuna modifica possibile?
«Noi siamo d’accordo sulla necessità di ridurre il numero dei parlamentari. Ma perchè per far questo bisogna mettere mano all’articolo 138? Dicono che siamo dei conservatori ma è una sciocchezza. Da oltre 2.800 giorni esiste una legge elettorale che il suo promotore ha definito subito una “porcata”: in Parlamento facciano il loro mestiere, cambino le leggi che devono cambiare ma nel rispetto della Carta su cui hanno giurato».
Con questa manifestazione vi preparate alla battaglia per il referendum sulla Costituzione?
«Se si arriverà al referendum lo affronteremo».
(da “La Repubblica”)
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