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UN UOMO SOLO AL COMANDO: RENZI RITORNA AL PRIMO PD

Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO NON CONCORDA I DISCORSI E NON ANNUNCIA I CAMBI DI LINEA

L’uomo solo al comando, per dirla alla maniera in cui l’ha detto per mesi Pier Luigi Bersani, ha tagliato ieri il suo traguardo e il Pd – in maniera plasticamente evidente – è già  diventato una cosa diversa da quel che era.
La metamorfosi, cominciata col trionfo di Matteo Renzi alle primarie (8 dicembre), ha compiuto il suo corso in sette giorni, e si è completata nei grandi spazi della struttura di cemento e ferro della Fiera di Milano.
E così, dalla crisalide di un Partito democratico e in divenire, è venuto fuori un organismo sconosciuto ai vecchi dirigenti e ai militanti: una cosa che somiglia assai da vicino a quel che loro stessi definivano, sprezzantemente, un «partito personale».
Nulla a che vedere, naturalmente, con i prototipi classici di cui si è detto e scritto tanto: la prima Forza Italia di Berlusconi (la prima, ma anche quest’ultima riedizione), l’Italia dei Valori di Di Pietro, i partiti di Casini, di Monti e Beppe Grillo.
A differenza degli esempi citati, infatti, Matteo Renzi non è nè il fondatore nè il «padrone» del Pd: ma per formazione, cultura ed età , pare deciso a dirigerlo proprio come ne fosse il «padrone» oppure il fondatore…
E’ una novità  travolgente per gli eredi di partiti (la Dc e il Pci) che furono – volutamente – sempre e precisamente il contrario di un «partito personale»: e i rischi di rigetto, dunque, sono solidissimi, concreti e (forse) attuali.
Ma se leader indiscussi come D’Alema e Marini, oppure Bersani, Bindi e Veltroni, hanno combattuto la metamorfosi ma deciso – alla fine – di non strappare (di non scindersi, cioè) vuol dire che anche a loro, in fondo, è diventato chiaro che il tempo è inesorabilmente mutato: e che partiti senza una leadership visibile e forte sono destinati – in Italia come già  in Europa – al declino ed alla progressiva marginalizzazione.
E’ questo quel che si percepiva ieri, con inedita nettezza, nel giorno del primo discorso di Renzi da segretario proclamato.
Nei corridoi e nelle grandi sale della Fiera, infatti, non uno – nemmeno tra i «fedelissimi» del neo-segretario – aveva idea di cosa potesse riservare la giornata.
Cosa dirà  Renzi? Attaccherà  più Grillo oppure Enrico Letta? Ipotesi, tentativi, pareri un po’ azzardati: nessuno sapeva.
E c’è qualche nome a sorpresa tra i «magnifici venti» che il neo-segretario aggiungerà  di suo ai 120 della Direzione? Braccia larghe e sorrisi di maniera: nessuno sapeva.
E’ un po’ quel che accade alla vigilia di ogni discorso di Berlusconi o quando si prova a ipotizzare lo sberleffo prossimo venturo del leader dei Cinque Stelle.
Le differenze sono tante, naturalmente: ma non, diciamo così, lo stile di direzione.
Questione – forse – di formazione, di cultura e di età . Ma questione anche di efficacia e forse di sopravvivenza: «Molti di quelli che mi hanno votato – ha spiegato Renzi nel suo primo discorso da segretario – l’hanno fatto pensando: “Proviamo anche questo, ma poi basta”. Io sono il destinatario, insomma, di un ultimo appello…».
C’è naturalmente una profonda differenza tra un mero «partito personale» (dizione qui usata per comodità ) ed un partito dotato di una leadership credibile e autorevole.
Secondo molti, per esempio, proprio il Pd – per la genesi, le ambizioni originarie e la dichiarata vocazione maggioritaria – non avrebbe potuto che esser caratterizzato da una leadership visibile, indiscussa e straordinariamente forte.
Fu in qualche modo così (dunque inevitabilmente così) nei primi tempi dell’era Veltroni: e non pochi osservatori spiegano la crisi del Pd proprio con il venir meno di quella leadership ed il riemergere di correnti, gruppi e perfino dei fantasmi di Ds e Margherita.
Con Renzi, insomma, si torna in qualche modo alle origini: uno guida, gli altri a spingere il carro. E chi guida, ha massima autonomia: non concorda i suoi discorsi, non annuncia i cambi di linea, non spiega promozioni, bocciature e inversioni di percorso.
E nemmeno avvisa, naturalmente, se ritiene sia venuto il momento di buttar giù il governo.
Ieri, alla fine del discorso di Renzi – severo e ultimativo con l’esecutivo – Rosy Bindi ha mandato un messaggino a Enrico Letta: «Ti senti rassicurato?» «Tu che dici?», le ha risposto il premier. «Se vuoi ne parliamo»…
Ci sarà  tanto di cui parlare, questo è certo: ma con un Pd che, tra avvertimenti, sfide e diktat non concordati, ha riguadagnato il centro del ring.
Ancora due mesi fa non ci avrebbe scommesso nessuno.

(da “La Stampa”)

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RENZI PARLA AL PD PERCHE’ GRILLO INTENDA

Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile

PRIMA ASSEMBLEA DEL PARTITO PER IL NUOVO SEGRETARIO, TUTTI I BIG IN PRIMA FILA

“Riconosco che ‘rottamazione’ era una definizione bruta, quasi volgare. Ma ha un senso difendere le nostre storie solo se siamo in grado di cambiare. Casa nostra è sulla frontiera non al museo delle cere”. Vestito blu, cravatta scura, Matteo Renzi sul palco gesticola, scandisce, arringa.
Dà  il senso di come intende interpretare il ruolo di segretario del Pd: si stacca dal passato e si lancia nel futuro.
Milano, prima assemblea del “nuovo” partito. In prima fila ci sono Massimo D’Alema e Walter Veltroni (seduto uno alla destra, uno alla sinistra del palco). Pier Luigi Bersani. Ed Enrico Letta, in stile “partito”, pantaloni sportivi e maglioncino, che parla con Piero Fassino. Poco dietro Rosy Bindi e Franco Marini.
In attesa dell’inizio manca solo il segretario, che non a caso arriva e si intrattiene per qualche minuto con i suoi in una stanza a parte.
La vecchia guardia è lì riunita in attesa di un rito che non le appartiene più e il nuovo padrone di casa è pronto a riempirlo delle sue regole. Freddo gelido fuori, atmosfera di ripartenza dentro, mugugni sotto controllo. Delegati al gran completo.
Renzi entra in orario. Bacia e abbraccia tutti. Poi si va a sedere tra Letta e Marianna Madia.
Partono le note di “Fratelli d’Italia”, con premier e sindaco in piedi, che cantano ognuno a suo modo. “I retroscena tra me e Matteo sono inutili, sarà  tutto trasparente”, dice Letta, aprendo i lavori.
Prima della proclamazione del segretario l’organizzazione distribuisce le bandiere del Pd. Il neo leader fa mandare il suo Inno “Resta ribelle” dei Negrita. Scelta non casuale. Prima di salire sul palco, va ad abbracciare Veltroni (solo lui). Uno sguardo di complicità . E poi, via verso il futuro.
Tira fuori dalla tasca dei foglietti, composti in ordine sparso. Parla per più di un’ora, parte a rilento, all’inizio quasi sembra costretto nel ruolo.
Ma più va avanti, più si cala nel suo nuovo abito, più lo definisce in attacco.
Ringrazia Bersani e Franceschini, Veltroni ed Epifani.
Neanche una parola nemmen di circostanza per Napolitano, che pure vedrà  oggi nella cerimonia degli auguri. Si dà  un orizzonte ampio: niente di meno i prossimi 15 anni. 15 i mesi che dà  al governo se rispetta i patti.
Snocciola obiettivi immediati e a lunga gittata. Un piano “straordinario” per il lavoro da fare in un mese, oltre le ideologie, con nuove regole e idee come il sussidio universale di occupazione, anche “per chi non è protetto”.
Poi, le unioni civili e il superamento della Bossi Fini, con lo ius soli (“che piaccia o no a Giovanardi”).
Gli alleati di governo sono avvertiti. Ribadisce O entro fine gennaio si approva alla Camera la riforma elettorale o la politica perde la faccia” e torna a “il Senato va abolito”. Il “patto di coalizione”.
Commenterà  la Bindi: “O Renzi fallisce al primo colpo o il governo cade”. Mentre lui dal palco enuclea le sue proposte non negoziabili, Letta applaude nei passaggi centrali, D’Alema scrive e ostentatamente evita di guardarlo. Ma Matteo ha una chiave di lettura precisa: “Non bisogna difendere ma creare”. Perchè questa è l’”ultima chiamata”, e “chiarisce mentre ammette “limiti personali e caratteriali”.
I toni li alza mentre si riferisce a Grillo. “Nelle ultime settimane hanno scritto sul loro sito ‘Renzie come Fonzie firma qua’, chiedendoci di rinunciare a 40 milioni di finanziamento ai partiti e allora io dico, Beppe firma qua, se sei serio, io sono disponibile. Se non ci stai, sei per l’ennesima volta un chiacchierone e l’espressione buffone vale per te”.
In cambio dei voti dei grillini per abolizione del Senato e legge elettorale, i Democratici rinunceranno alla rata dei rimborsi. La platea s’infiamma, il segretario ha individuato l’elettorato da conquistare, l’avversario da battere.
Per dirla con Matteo Richetti il maggior “competitor” di Renzi in questo momento è Beppe Grillo e lui prova a stanarlo. In serata riceve un no secco. Ma la sfida, le sfide, sono iniziate.
“Buona strada a tutti”, conclude Renzi.
Il saluto con la formula degli scout, pilastro della sua formazione insieme alla politica.
Il partito è con lui. Almeno per ora.
Lo dice bene Gianni Cuperlo, che ha accettato di fare il presidente (con l’astensione di alcuni civatiani): “Anche se con qualche livido siamo contenti di stare su questo treno”. Persino D’Alema plaude a un “bel discorso”. Vuol dire che ha intenzione di dialogare? “Sta a lui decidere, è lui il segretario”. Ma sarebbe disponibile? “Beh, io sono qui”.
I lettiani sulla tempistica della legge elettorale hanno qualcosa da ridire. “Ardito e temerario”, commenta uno di loro. È noto: prima si fa la riforma, prima diventa possibile votare. Mentre le file per u panino si fanno interminabili (“Alla Leopolda si mangia meglio”, dice un renziano), dentro prosegue il dibattito e nel retropalco si tratta per la direzione.
Trattativa condotta fino all’ultimo, che ricorda qualcosa del vecchio Pd. I minuti scorrono, la lista non è completa. Alla fine, eccola: venti sindaci in quota Renzi. E poi, i membri scelti dai tre finalisti: in tutto 120, 80 del sindaco.
Di diritto ci sono tutti i big, D’Alema come ex premier, Bersani, Veltroni, Franceschini come ex segretari .
Poi, i giovani turchi in quota Cuperlo, Area Dem, i lettiani in ordine sparso. Dentro Fioroni, fuori Bindi e Finocchiaro. Dentro pure De Luca. Presiede la commissione di Garanzia, Marini tallonato dal fedelissimo di Renzi David Ermini.
Dovranno riscrivere anche le regole del Pd. Si vota, fine dei lavori. Renzi schiva i giornalisti che lo aspettano, uscendo da una porta laterale. Di fretta.
La corsa è appena cominciata.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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UN MILIARDO PER GLI AFFITTI: LO SPRECO DELLO STATO INQUILINO

Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile

IMMOBILI VUOTI MA MINISTERI IN AFFITTO: “SCOPERTO UN MILIARDO DI NUOVO DEBITO”

Una famiglia spende soldi che non ha pur di vivere in affitto, mentre possiede alcuni immobili vuoti poco lontano.
Che consiglio le dareste? Se la risposta sembra ovvia, va detto a difesa di Carlo Cottarelli che si trova di fronte a un dilemma più intrattabile di così: la famiglia dei ministeri italiani, di cui si occupa il nuovo commissario per la spending review, pur di risiedere in immobili in affitto non esita a contrarre debiti fuori bilancio.
Questi ultimi valevano un miliardo di euro nel 2011, l’ultimo anno per il quale esistano dati consultabili e ufficiali.
Nel frattempo, il Demanio dello Stato gestiva immobili inutilizzati di sua proprietà  per un valore di vari miliardi di euro.
Magari tutto ciò suona poco logico, del resto però la definizione della Ragioneria dello Stato su ciò che sono i debiti fuori bilancio lascia pochi dubbi: «Si tratta di debiti di cui, al momento della loro formazione, non vi è alcuna evidenza contabile nel bilancio dello Stato per il fatto che l’amministrazione ha assunto obblighi per una somma superiore alle effettive risorse finanziarie a disposizione», scrivono i tecnici di via XX Settembre.
I quali aggiungono: «Trattandosi di transazioni mai registrate in bilancio, non sono rilevate nelle statistiche sul debito pubblico ma rinviano gli oneri a esercizi successivi».
In altri termini, i debiti vengono nascosti sotto la linea dell’ufficialità  e scaricati sugli anni a venire. Quando magari sarà  qualcun altro a doversene occupare.
I dicasteri italiani ricorrono a questa tecnica in abbondanza.
Solo nel 2011, a dati della Ragioneria, il ministero dell’Interno ha contratto debiti fuori bilancio per 476 milioni di euro, la Difesa per 235, la Giustizia per 119, lo stesso ministero dell’Economia per 94 e il ministero del Lavoro per 21.
Nel suo rapporto, la Ragioneria osserva che accumulare debiti fuori bilancio «incide sulla trasparenza, inficia la programmazione delle risorse e riduce la capacità  di controllo della spesa».
Forse però il passaggio che aiuta meglio a capire è quello sulla genesi di queste pratiche impensabili per qualunque impresa dotata di istinto di sopravvivenza.
I debiti fuori bilancio, spiega la Ragioneria, si fanno quando si elimina un versamento ma non le funzioni che esso finanzia.
Queste procedono inesorabilmente e prima o poi qualcuno dovrà  pagare: è l’eredità  dei tagli lineari spesso praticati negli ultimi anni di governo di Silvio Berlusconi in cui, si legge, «i risparmi sono conseguiti solo nominalmente con la riduzione degli stanziamenti, ma non in modo strutturale».
Alcuni esempi?
Nel 2011, i ministeri italiani hanno contratto debiti fuori bilancio per 26 milioni di euro solo per pagare la Tarsu e altre tasse sui rifiuti urbani. Il Guardasigilli ne ha fatti 48 solo per «intercettazioni e altre spese di giustizia».
Il governo nel suo complesso 31 per «noleggio, leasing e esercizio mezzi di trasporto (incluso carburante)», ovviamente sempre fuori bilancio.
Il caso che però ha più attratto l’attenzione di Cottarelli è probabilmente quello degli affitti.
Da solo il ministero dell’Interno nel 2011 ha creato 176 milioni di debiti fuori bilancio per locazioni di immobili, contro venti milioni di tutti gli altri dicasteri sommati insieme.
Secondo i dati della Ragioneria, circa i quattro quinti della spesa per affitti sostenuto dal Viminale si fa attraverso debiti fuori bilancio.
Per certi versi è del tutto normale che l’Interno abbia bisogno di mura e un tetto sulla testa: deve ospitare le Questure, le articolazioni territoriali delle forze dell’ordine, le carceri, le residenze dei collaboratori di giustizia e molto altro.
Per Cottarelli resta però da capire come sia possibile spendere tanto solo in affitti, e per di più senza che ciò emerga nelle statistiche ufficiali dell’indebitamento.
Il commissario per la spending review su questo dossier sta già  lavorando su due fronti. In primo luogo, grazie all’aiuto di un ufficio ad hoc nel palazzo del ministero dell’Economia, sta verificando i costi standard delle locazioni nelle varie città  d’Italia. Ufficialmente oggi i ministeri nel complesso spendono in affitti di circa 750 milioni di euro l’anno, senza contare gli enti decentrati, la sanità  pubblica e le società  partecipate dallo Stato.
Il sospetto – o la certezza – è che in molti casi i contratti siano stati fatti a prezzi superiori al mercato a favore dei notabili locali che possiedono i palazzi.
Questi contratti sono spesso di durata lunghissima, anche trentennale, ma lo Stato può sempre rescinderli con un breve preavviso.
Poi appunto c’è il capitolo dei palazzi pubblici inutilizzati. Cottarelli ha chiesto a Stefano Scalera, direttore dell’Agenzia del Demanio, un quadro sugli immobili nei quali possano traslocare gli uffici ministeriali.
Ad oggi esistono palazzi vuoti del Demanio per un valore di circa cinque miliardi di euro, benchè non tutti utilizzabili subito.
La ricognizione tecnica comunque procede spedita. Tra non molto, dare un (vero) taglio agli sprechi dello Stato inquilino sarà  una scelta puramente politica.

Federico Fubini

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SALVINI INDOSSA LE MUTANDE DI COTA: “NON C’E’ DA SCUSARSI”

Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile

AL LINGOTTO L’EX “COMUNISTA PADANO”, FUORICORSO PER 12 ANNI ALL’UNIVERSITA’, ABBANDONA LA RAMAZZA E ASSOLVE GLI INQUISITI… POI ANNUNCIA LOTTA ALLA CASTA: LA CONOSCE BENE VISTO CHE DA DIECI ANNI SI FA MANTENERE DAL PARLAMENTO EUROPEO ED ITALIANO

Altro che ramazze. Il neo segretario della Lega Nord Matteo Salvini chiude un occhio davanti ai rimborsi “facili” dei consiglieri regionali piemontesi: “Ci rompono i coglioni sulle mutande, ci rompe i coglioni uno Stato ladro che senza la Lega sarebbe già  fallito. A qualcuno rode che in Piemonte perchè c’è la Lega, non lavorano gli amici degli amici dei benpesanti”.
Frase che fa pensare a un autogol: in pratica ora lavorano solo gli amici della Lega?
E assolve così il collega di partito e governatore del Piemonte Roberto Cota, che secondo gli inquirenti si sarebbe fatto rimborsare anche un paio di mutande: “Roberto non c’è nulla per cui chiedere scusa”
Contento lui…
Il Carroccio si riunisce al Lingotto di Torino per il congresso federale straordinario della Lega Nord. Gli oltre 500 delegati, provenienti da tutta Italia, hanno sancito l’elezione di Matteo Salvini alla segreteria del partito.
Alle primarie della scorsa settimana, aveva ottenuto l’82% dei voti, contro il 18% di Umberto Bossi.
Salvini prova a cavalcare la protesta anti-euro: “. “Occorre fare fronte comune al centralismo europeo e con gli altri Paesi abbiamo un nemico in comune, l’euro”.
Gelato però dal buon senso di Bossi: “Per sposarsi, come per separarsi, bisogna essere in due e io dubito che ci lasceranno uscire facilmente dall’euro”.
Salvini chiude da gran signore con un attacco ai giornalisti, ritenendo che la Lega sia vittima di “un linciaggio vergognoso e schifoso dei giornalisti italiani e romani”. Cita Grillo e dice: “Senza fare liste di proscrizione dal prossimo congresso chi dimostra obiettività  morale entra, gli altri possono uscire a calci in culo”.
Salvini attacca la magistratura: “attenti ad accusarci senza motivo potremmo venirvi a prendere a casa” (forse in padagna non è reato minacciare i giudici).
Qualcuno in sala ricorda quando nel 1997, Salvini è stato capolista dei “Comunisti padani” alle elezioni per l’autoproclamato Parlamento della Padania, conquistando 5 dei 210 seggi disponibili.
Altri malignano che nel 1992 si è iscritto alla facoltà  di storia dell’Università  degli Studi di Milano, frequentandola fuori corso per 12 anni su 16.
Altri ancora che nel 2004 entra al Parlamento europeo e sceglie come proprio assistente parlamentare a 12.000 euro al mese Franco Bossi, fratello di Umberto,   allora titolare di un negozio di autoricambi a Fagnano Olona, in provincia di Varese.
Ma non obiettò mai nulla.
E ancora la recente denuncia di Belsito su presunti 20.000 euro consegnati a Salvini da Bonomi (Sea).
In ogni caso un “Italia, Italia vaffanculo” pare alla fine metta tutti d’accordo.
Almeno per ora.
C’è chi sostiene che Salvini rischia di durare segretario meno di Maroni (che si è squagliato in tempo).

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DA “TELECAFONE” AD ARCORE, L’ASCESA DELLA FUTURA SIGNORA BERLUSCONI

Dicembre 16th, 2013 Riccardo Fucile

“LE DISSI DI TROVARSI UNO RICCO E POTENTE”… LA ZIA EVA, CHIAMATA “MARESCIALLA”, LA SORELLA KATIUSCIA E L’AMICO DI “TELECAFONE”

“Ma allora non tenete proprio niente da fare voi giornalisti? E sempre qua state. E basta cu stu gossip!”. Via Metastasio, quartiere Fuorigrotta, Napoli.
Qui ebbe i natali ventisette anni fa lady Pascale, Francesca, prossima sposa di Silvio Berlusconi e attuale indiscussa regina di Forza Italia.
E qui, tra questi palazzoni incollati l’uno all’altro immortalati da Francesco Rosi ai tempi de “Le mani sulla città ”, la gente si è scocciata.
“Dovete capirci — ci dice una signora con le buste piene di prelibatezze comprate da “Il ghiottone” — da queste parti è un via vai continuo, il portiere è nervoso, l’altro giorno dice che sono arrivati pure quelli di coso, come si chiama? Santoro. Tutti vogliono sapere di Francesca e della sua famiglia”.
“Ma chi la vede Francesca? — quasi sussurrano alcune clienti di un coiffeur — sono anni che non si fa vedere, almeno dal 2007, quando venne a mancare la madre, la povera signora Giuseppina, che se la portò via un brutto male, pace all’anima sua”. “Francesca — confida un suo vecchio compagno di scuola dei tempi dell’Istituto d’arte Palizzi — ha sempre desiderato fuggire da questo posto, e c’è riuscita, fortunatamente per lei”.
E come darle torto. Fuorigrotta è Fuorigrotta, nè centro, nè periferia, palazzi alveari e negozi, vitalità  e caos, nevrosi tutta partenopea, ma via Metastasio è peggio.
Un budello lunghissimo, uffici della Regione, una palestra di judo, parrucchiere, salumeria e un centro sociale.
“Casa del popolo”, è la scritta pretenziosa e poi foto del Che e manifesti dei 99 Posse. Un covo di comunisti sotto la casa del suocero di Silvio Berlusconi.
Lontana da Napoli Francesca, lontana Katiuscia, sua sorella, che da anni vive a Latina. Qui, dopo una lunga gavetta da barista in un locale nei pressi del Vaticano, avrebbe aperto un ristorante.
Anche lei è “fuiuta” da Napoli, l’altra sorella, Marianna, la maggiore, invece continua a vivere sotto il Vesuvio, nello stesso quartiere ma nella casa della nonna. Fa la segretaria in uno studio legale di Corso Vittorio Emanuele e non ama parlare della famiglia.
Quando i cronisti la avvicinano per chiederle come è cambiata la vita della famiglia Pascale dopo il “fidanzamento”, risponde infastidita. “Francesca è adulta e vaccinata. Mio padre? Lui fa la sua vita, noi la nostra”.
Rosario Pascale, ex dipendente della Kodak ed ex fotografo di matrimoni e cresime, è una sorta di fantasma.
Nel quartiere lo vedono poco, dalle foto opportunity delle new family berlusconiana è stato cancellato.
Le uniche figure ammesse a comparire nelle foto che ritraggono Francesca in giro per Roma a fare shopping sono sua sorella Katiuscia, il cugino Angelo, e sua zia Eva.
Nei mesi scorsi, il settimanale Oggi ha immortalato l’allegra comitiva a passeggio in Piazza di Spagna.
Zia Eva è una donna energica, la chiamano “la marescialla”, che si è assunta il compito di fare da barriera protettiva alla giovane Francesca. La first lady di Arcore, però, apprezza, ringrazia, ma fa da sè.
La ragazza è cresciuta, i tempi del quartiere sono archiviati, il “Calippo” e le performance smutandate su Telecafone, pure, le vacanze a Varcaturo beach solo un brutto ricordo, il look è cambiato e pure la testa.
“Francesca aspira a diventare la regina di Napoli”, scherzano, ma non tanto, nei corridoi politici di Forza Italia. La ragazza vuole decidere.
Nicola Cosentino, suo antico avversario, è fuori gioco, Gigino Cesaro, “a purpetta”, che da presidente della Provincia, dove Francesca era consigliere, la deluse nominando assessore altre papi-girls, ora deve stare attento.
Per le cose che riguardano il partito a Napoli, gli incarichi e le candidature, è a lei che bisogna rivolgersi. Una foto la dice lunga. È quella che ritrae proprio una fedelissima di Cosentino, la senatrice Eva Longo, ex consigliere regionale, ed ex sindaco di Pellezzano, nel Salernitano, ospite a cena a Palazzo Grazioli, immortalata con l’immancabile Dudù, barboncino della fortuna.
L’immagine della senatrice raggiante e del cagnolino accigliato è stata postata su facebook. Dicono che anche la coppia Mastella, Clemente e signora Sandra Lonardo, per essere ammessi nelle file di Forza Italia, si sia dovuta affidare ai buoni uffici di Francesca.
Povero Clemente, ma chi doveva dirgli che un giorno avrebbe dovuto baciare l’anello di quella procace ragazza vista di sfuggita nel 2007 in un albergo di Telese Terme durante una cena di gala offerta dall’Udeur.
Era l’unica cui venne concesso il privilegio di sedere alla destra di Silvio.
“Francesca ha fatto Bingo”, confida a Mariagiovanna Capone, autrice con Nico Pirozzi di una biografia non autorizzata della Pascale, l’attore Oscar Di Maio, leader di Telecafone.
“Ai tempi mi chiese se fosse vero che per fare carriera bisognava andare a letto con un produttore. Una volta, le risposi, ora i tempi sono cambiati, le consigliai di puntare su un obiettivo sicuro: Francesca, le dissi, fai innamorare di te un uomo ricco e potente, fagli perdere la testa e sarà  tuo per sempre”.
Francesca ha capito la lezione del vecchio cabarettista, e ora è la regina di Napoli.

Fierro e Iurillo

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