RENZI PARLA AL PD PERCHE’ GRILLO INTENDA
PRIMA ASSEMBLEA DEL PARTITO PER IL NUOVO SEGRETARIO, TUTTI I BIG IN PRIMA FILA
“Riconosco che ‘rottamazione’ era una definizione bruta, quasi volgare. Ma ha un senso difendere le nostre storie solo se siamo in grado di cambiare. Casa nostra è sulla frontiera non al museo delle cere”. Vestito blu, cravatta scura, Matteo Renzi sul palco gesticola, scandisce, arringa.
Dà il senso di come intende interpretare il ruolo di segretario del Pd: si stacca dal passato e si lancia nel futuro.
Milano, prima assemblea del “nuovo” partito. In prima fila ci sono Massimo D’Alema e Walter Veltroni (seduto uno alla destra, uno alla sinistra del palco). Pier Luigi Bersani. Ed Enrico Letta, in stile “partito”, pantaloni sportivi e maglioncino, che parla con Piero Fassino. Poco dietro Rosy Bindi e Franco Marini.
In attesa dell’inizio manca solo il segretario, che non a caso arriva e si intrattiene per qualche minuto con i suoi in una stanza a parte.
La vecchia guardia è lì riunita in attesa di un rito che non le appartiene più e il nuovo padrone di casa è pronto a riempirlo delle sue regole. Freddo gelido fuori, atmosfera di ripartenza dentro, mugugni sotto controllo. Delegati al gran completo.
Renzi entra in orario. Bacia e abbraccia tutti. Poi si va a sedere tra Letta e Marianna Madia.
Partono le note di “Fratelli d’Italia”, con premier e sindaco in piedi, che cantano ognuno a suo modo. “I retroscena tra me e Matteo sono inutili, sarà tutto trasparente”, dice Letta, aprendo i lavori.
Prima della proclamazione del segretario l’organizzazione distribuisce le bandiere del Pd. Il neo leader fa mandare il suo Inno “Resta ribelle” dei Negrita. Scelta non casuale. Prima di salire sul palco, va ad abbracciare Veltroni (solo lui). Uno sguardo di complicità . E poi, via verso il futuro.
Tira fuori dalla tasca dei foglietti, composti in ordine sparso. Parla per più di un’ora, parte a rilento, all’inizio quasi sembra costretto nel ruolo.
Ma più va avanti, più si cala nel suo nuovo abito, più lo definisce in attacco.
Ringrazia Bersani e Franceschini, Veltroni ed Epifani.
Neanche una parola nemmen di circostanza per Napolitano, che pure vedrà oggi nella cerimonia degli auguri. Si dà un orizzonte ampio: niente di meno i prossimi 15 anni. 15 i mesi che dà al governo se rispetta i patti.
Snocciola obiettivi immediati e a lunga gittata. Un piano “straordinario” per il lavoro da fare in un mese, oltre le ideologie, con nuove regole e idee come il sussidio universale di occupazione, anche “per chi non è protetto”.
Poi, le unioni civili e il superamento della Bossi Fini, con lo ius soli (“che piaccia o no a Giovanardi”).
Gli alleati di governo sono avvertiti. Ribadisce O entro fine gennaio si approva alla Camera la riforma elettorale o la politica perde la faccia” e torna a “il Senato va abolito”. Il “patto di coalizione”.
Commenterà la Bindi: “O Renzi fallisce al primo colpo o il governo cade”. Mentre lui dal palco enuclea le sue proposte non negoziabili, Letta applaude nei passaggi centrali, D’Alema scrive e ostentatamente evita di guardarlo. Ma Matteo ha una chiave di lettura precisa: “Non bisogna difendere ma creare”. Perchè questa è l’”ultima chiamata”, e “chiarisce mentre ammette “limiti personali e caratteriali”.
I toni li alza mentre si riferisce a Grillo. “Nelle ultime settimane hanno scritto sul loro sito ‘Renzie come Fonzie firma qua’, chiedendoci di rinunciare a 40 milioni di finanziamento ai partiti e allora io dico, Beppe firma qua, se sei serio, io sono disponibile. Se non ci stai, sei per l’ennesima volta un chiacchierone e l’espressione buffone vale per te”.
In cambio dei voti dei grillini per abolizione del Senato e legge elettorale, i Democratici rinunceranno alla rata dei rimborsi. La platea s’infiamma, il segretario ha individuato l’elettorato da conquistare, l’avversario da battere.
Per dirla con Matteo Richetti il maggior “competitor” di Renzi in questo momento è Beppe Grillo e lui prova a stanarlo. In serata riceve un no secco. Ma la sfida, le sfide, sono iniziate.
“Buona strada a tutti”, conclude Renzi.
Il saluto con la formula degli scout, pilastro della sua formazione insieme alla politica.
Il partito è con lui. Almeno per ora.
Lo dice bene Gianni Cuperlo, che ha accettato di fare il presidente (con l’astensione di alcuni civatiani): “Anche se con qualche livido siamo contenti di stare su questo treno”. Persino D’Alema plaude a un “bel discorso”. Vuol dire che ha intenzione di dialogare? “Sta a lui decidere, è lui il segretario”. Ma sarebbe disponibile? “Beh, io sono qui”.
I lettiani sulla tempistica della legge elettorale hanno qualcosa da ridire. “Ardito e temerario”, commenta uno di loro. È noto: prima si fa la riforma, prima diventa possibile votare. Mentre le file per u panino si fanno interminabili (“Alla Leopolda si mangia meglio”, dice un renziano), dentro prosegue il dibattito e nel retropalco si tratta per la direzione.
Trattativa condotta fino all’ultimo, che ricorda qualcosa del vecchio Pd. I minuti scorrono, la lista non è completa. Alla fine, eccola: venti sindaci in quota Renzi. E poi, i membri scelti dai tre finalisti: in tutto 120, 80 del sindaco.
Di diritto ci sono tutti i big, D’Alema come ex premier, Bersani, Veltroni, Franceschini come ex segretari .
Poi, i giovani turchi in quota Cuperlo, Area Dem, i lettiani in ordine sparso. Dentro Fioroni, fuori Bindi e Finocchiaro. Dentro pure De Luca. Presiede la commissione di Garanzia, Marini tallonato dal fedelissimo di Renzi David Ermini.
Dovranno riscrivere anche le regole del Pd. Si vota, fine dei lavori. Renzi schiva i giornalisti che lo aspettano, uscendo da una porta laterale. Di fretta.
La corsa è appena cominciata.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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