UN UOMO SOLO AL COMANDO: RENZI RITORNA AL PRIMO PD
IL SEGRETARIO NON CONCORDA I DISCORSI E NON ANNUNCIA I CAMBI DI LINEA
L’uomo solo al comando, per dirla alla maniera in cui l’ha detto per mesi Pier Luigi Bersani, ha tagliato ieri il suo traguardo e il Pd – in maniera plasticamente evidente – è già diventato una cosa diversa da quel che era.
La metamorfosi, cominciata col trionfo di Matteo Renzi alle primarie (8 dicembre), ha compiuto il suo corso in sette giorni, e si è completata nei grandi spazi della struttura di cemento e ferro della Fiera di Milano.
E così, dalla crisalide di un Partito democratico e in divenire, è venuto fuori un organismo sconosciuto ai vecchi dirigenti e ai militanti: una cosa che somiglia assai da vicino a quel che loro stessi definivano, sprezzantemente, un «partito personale».
Nulla a che vedere, naturalmente, con i prototipi classici di cui si è detto e scritto tanto: la prima Forza Italia di Berlusconi (la prima, ma anche quest’ultima riedizione), l’Italia dei Valori di Di Pietro, i partiti di Casini, di Monti e Beppe Grillo.
A differenza degli esempi citati, infatti, Matteo Renzi non è nè il fondatore nè il «padrone» del Pd: ma per formazione, cultura ed età , pare deciso a dirigerlo proprio come ne fosse il «padrone» oppure il fondatore…
E’ una novità travolgente per gli eredi di partiti (la Dc e il Pci) che furono – volutamente – sempre e precisamente il contrario di un «partito personale»: e i rischi di rigetto, dunque, sono solidissimi, concreti e (forse) attuali.
Ma se leader indiscussi come D’Alema e Marini, oppure Bersani, Bindi e Veltroni, hanno combattuto la metamorfosi ma deciso – alla fine – di non strappare (di non scindersi, cioè) vuol dire che anche a loro, in fondo, è diventato chiaro che il tempo è inesorabilmente mutato: e che partiti senza una leadership visibile e forte sono destinati – in Italia come già in Europa – al declino ed alla progressiva marginalizzazione.
E’ questo quel che si percepiva ieri, con inedita nettezza, nel giorno del primo discorso di Renzi da segretario proclamato.
Nei corridoi e nelle grandi sale della Fiera, infatti, non uno – nemmeno tra i «fedelissimi» del neo-segretario – aveva idea di cosa potesse riservare la giornata.
Cosa dirà Renzi? Attaccherà più Grillo oppure Enrico Letta? Ipotesi, tentativi, pareri un po’ azzardati: nessuno sapeva.
E c’è qualche nome a sorpresa tra i «magnifici venti» che il neo-segretario aggiungerà di suo ai 120 della Direzione? Braccia larghe e sorrisi di maniera: nessuno sapeva.
E’ un po’ quel che accade alla vigilia di ogni discorso di Berlusconi o quando si prova a ipotizzare lo sberleffo prossimo venturo del leader dei Cinque Stelle.
Le differenze sono tante, naturalmente: ma non, diciamo così, lo stile di direzione.
Questione – forse – di formazione, di cultura e di età . Ma questione anche di efficacia e forse di sopravvivenza: «Molti di quelli che mi hanno votato – ha spiegato Renzi nel suo primo discorso da segretario – l’hanno fatto pensando: “Proviamo anche questo, ma poi basta”. Io sono il destinatario, insomma, di un ultimo appello…».
C’è naturalmente una profonda differenza tra un mero «partito personale» (dizione qui usata per comodità ) ed un partito dotato di una leadership credibile e autorevole.
Secondo molti, per esempio, proprio il Pd – per la genesi, le ambizioni originarie e la dichiarata vocazione maggioritaria – non avrebbe potuto che esser caratterizzato da una leadership visibile, indiscussa e straordinariamente forte.
Fu in qualche modo così (dunque inevitabilmente così) nei primi tempi dell’era Veltroni: e non pochi osservatori spiegano la crisi del Pd proprio con il venir meno di quella leadership ed il riemergere di correnti, gruppi e perfino dei fantasmi di Ds e Margherita.
Con Renzi, insomma, si torna in qualche modo alle origini: uno guida, gli altri a spingere il carro. E chi guida, ha massima autonomia: non concorda i suoi discorsi, non annuncia i cambi di linea, non spiega promozioni, bocciature e inversioni di percorso.
E nemmeno avvisa, naturalmente, se ritiene sia venuto il momento di buttar giù il governo.
Ieri, alla fine del discorso di Renzi – severo e ultimativo con l’esecutivo – Rosy Bindi ha mandato un messaggino a Enrico Letta: «Ti senti rassicurato?» «Tu che dici?», le ha risposto il premier. «Se vuoi ne parliamo»…
Ci sarà tanto di cui parlare, questo è certo: ma con un Pd che, tra avvertimenti, sfide e diktat non concordati, ha riguadagnato il centro del ring.
Ancora due mesi fa non ci avrebbe scommesso nessuno.
(da “La Stampa”)
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