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IL CASTELLO DEL BOSS DELLA MAFIA A MIASINO E’ CONFISCATO SOLO SULLA CARTA

Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile

IL BENE ERA IPOTECATO ED E’ STATO AFFIDATO A UN SOCIETA’ RILEVATA DAI FAMILIARI DELLA STESSA PERSONA A CUI ERA STATA SEQUESTRATA

Il castello «Galasso» a Miasino e la torretta sequestrata a un esponente mafioso a Borgomanero sono stati al centro di una seduta della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie.
A chiedere come mai i due beni, confiscati dallo Stato, non siano in realtà  nelle mani pubbliche è stato il parlamentare milanese del Pd Franco Mirabelli, che a dicembre era stato a Borgomanero e a Miasino per verificare la situazione.
La denuncia di Libera
Prima ancora l’associazione Libera aveva organizzato iniziative volte a denunciare la questione.
La discussione è partita dal castello di Miasino: «Questa struttura – ha detto Mirabelli – era ipotecata, per cui il Comune non ha potuto prenderla in carico, ed è stata assegnata a una società  di gestione per farne un centro per cerimonie e rinfreschi. Oggi in questa società  sono state rilevate consistenti quote da familiari della persona a cui è stata sequestrata la struttura».
L’ipoteca beffa che escluse Comune e Forestale
Mirabelli ha chiesto al direttore dell’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità  organizzata, Giuseppe Caruso, come sia possibile che lo Stato di fatto non riesca ad usufruire nè del castello nè della torretta, appartamento chiuso da almeno 15 anni vicino alla stazione di Borgomanero. «All’edificio – ha risposto Caruso – erano interessati, dieci anni fa, il Comune e il Corpo Forestale. Il bene non è stato destinato all’ente pubblico perchè a fronte di un valore stimato di 98 mila euro, c’era l’ipoteca della Banca Nazionale del Lavoro di 152 mila euro. Il Comune non può sopportare un onere del genere. Oggi io chiamerei il direttore di banca e cercheremmo di arrivare a una mediazione al ribasso».
L’antica dimora edificata nel 1867
Il castello di Miasino, 1.700 metri quadri di superficie e 41 mila di parco, era stato fatto costruire dai marchesi Solaroli nel 1867: lo aveva poi comprato Pasquale Galasso, arrestato nel 1992 e diventato collaboratore di giustizia.
La moglie di Galasso, Grazia Scalise, ha fondato la società  «Castello di Miasino srl» e dal 2002 ha gestito la struttura trasformata in location per matrimoni e feste.
In quell’anno la Corte d’Assise di Napoli ha autorizzato la stipula di un contratto di locazione con la società  di 36 mila euro l’anno, ma ridotto dell’80% per più di un lustro.
I Galasso hanno anche presentato un’istanza per la restituzione del bene, che però è stata rigettata definitivamente nel marzo 2012.
L’immobile era stato valutato nel 2009 per 4,6 milioni di euro.
Ma allo Stato non è mai arrivato e Mirabelli ha chiesto come sia possibile. Caruso ha risposto che nessuno fino ad oggi si è fatto avanti per rilevare l’immobile, perchè troppo costoso, e quanto al fatto che il castello è ancora nel possesso dei Galasso ha precisato che è accaduto in seguito ai loro ricorsi.
«Mi risulta invece – sottolinea Mirabelli – che sia stato dato in gestione a una società  con quote private normali, che poi in seguito sono state acquisite da familiari della persona a cui era stato sequestrato il bene».
Il castello è diventato, come dice il direttore dell’agenzia, un «compendio aziendale» e per lo Stato non è così scontato entrarne in possesso, al punto che al termine del dibattito il presidente della Commissione ha annunciato che chiederà  ulteriori informazioni.

Marcello Giordani

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UNO SCHIAFFO CHE PUO’ SCONVOLGERE LA UE: A RISCHIO ANCHE GLI ACCORDI DI SCHENGEN

Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile

COSI’ LA DESTRA XENOFOBA CAVALCHERA’ IL RISULTATO IN VISTA DELLE ELEZIONI DI MAGGIO

La maggioranza, per quanto risicata, con cui gli elettori della Confederazione hanno bocciato le intese raggiunte quindici anni fa sulla libera circolazione dei lavoratori manda infatti un doppio segnale negativo a Bruxelles.
Il primo schiaffo, ovviamente, è nel merito della questione.
Un milione e duecentomila cittadini europei, di cui quasi trecentomila italiani, attualmente lavorano in Svizzera.
A questi bisogna aggiungere più di duecentomila “frontalieri”, pendolari che ogni giorno ne varcano le frontiere.
Per popolazione, è come se fosse il ventiquattresimo stato dell’Unione, superiore all’Estonia.
Questo esercito di nuovi emigrati sarà  d’ora in poi sottoposto a un regime di quote su cui Bruxelles non avrà  voce in capitolo
Inoltre la cancellazione degli accordi di libera circolazione tra Ue e Svizzera comporterà  la revisione di tutte le altre intese intercorse tra Bruxelles e Berna.
Potrebbero saltare anche gli accordi di Schengen, che dal 2008 hanno abolito i controlli alle frontiere.
E rischiano di essere riviste tutte le numerose intese che, dalla ricerca all’agricoltura, legano ormai la Svizzera al resto d’Europa.
Il danno per la Confederazione potrebbe essere enorme, come avevano inutilmente avvertito partiti, sindacati e imprenditori. Ma anche per l’Ue i contraccolpi saranno sicuramente negativi
Il secondo schiaffo che arriva dal referendum elvetico è di tipo politico. Ed è quello che fa più male.
Alla vigilia di elezioni europee in cui si prevede un’onda di piena dei partiti populisti, anti-europei e anti-sistema, il voto svizzero ha fornito un assaggio eloquente di quello che verosimilmente ci aspetta. In tempi di crisi economica e occupazionale il tema dell’immigrazione è una bomba politica a orologeria che ticchetta sotto le poltrone di molti governi, inducendoli a cercare di disinnescarla con concessioni più o meno grandi. Il premier conservatore britannico ha già  posto qualche limite al diritto degli altri cittadini ue di godere dell’assistenza sociale e sanitaria.
Ne vorrebbe mettere di più forti, e si è già  beccato dalla Commissione l’accusa di alimentare «miti populisti», ma è frenato dal fatto che la libera circolazione è un principio sancito nei trattati europei.
Perfino la Merkel, in Germania, accarezza l’idea di imporre restrizioni ai benefici sociali per gli immigrati Ue.
E in Francia, sotto la pressione del ministro dell’interno Manuel Valls che si mette in competizione con Hollande, si sta studiando la possibilità  di inasprire i controlli sui lavoratori temporanei.
Non dimentichiamo che fu proprio la Francia, con la complicità  di una parte dei socialisti, a bocciare la costituzione europea per l’irrazionale paura di una invasione di «idraulici polacchi».
Ma nessun governo dell’Ue, essendo vincolato dai Trattati, può permettersi di cavalcare i sentimenti xenofobi e nazionalisti come fanno invece le opposizioni populiste.
Non è un caso che, da Marine Le Pen in Francia al leader dello Ukip in Gran Bretagna, dal populista olandese Geert Wilders al segretario leghista Salvini, l’estrema destra europea esulta per i risultati del referendum svizzero.
La paura dello straniero, la voglia di erigere nuovi muri divisori in Europa, rischia di diventare un tema cruciale delle prossime elezioni comunitarie. E di portare nuovi consensi al fronte populista.
Del resto anche in Svizzera la quasi totalità  dell’establishment si era pronunciata contro il referendum. La stragrande maggioranza dei partiti politici, i sindacati, le associazioni imprenditoriali, le grandi multinazionali che vivono del lavoro di quadri e dirigenti stranieri, gli economisti, i diplomatici, la Chiesa: il fronte contrario a contingentare i lavoratori immigrati era pressochè unanime.
Eppure il referendum è passato ottenendo la maggioranza assoluta dei voti e la maggioranza dei Cantoni.
Se l’Europa si dovesse avviare sulla stessa strada, segnerebbe inesorabilmente la propria fine. Un continente che si è ricostruito sulle ceneri del dopoguerra proprio grazie all’immigrazione di massa e che, della libera circolazione di beni e persone, ha fatto la propria bandiera e la propria ragion d’essere, non potrebbe sopravvivere se la paura dello straniero dovesse diventare il suo sentimento politico prevalente.

Andrea Bonanni
(da “La Repubblica“)

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SIMONE CRISTICCHI, LE FOIBE, L’IGNORANZA E L’ODIO DI UNA SINISTRA CONDANNATA DALLA STORIA

Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile

“C’E’ ANCORA CHI DICE: LE FOIBE SONO APERTE PER VOI, VI CI ACCOMPAGNO IO”

Uscito dal magazzino n. 18 del porto vecchio di Trieste – dove, tutt’oggi, restano ammassate le masserizie lasciate in deposito dagli esuli dell’Istria e della Dalmazia nel 1947 – ha prevalso “la vergogna di non aver saputo”.
Questo ha spinto “il cittadino e l’artista” Simone Cristicchi a mettere in scena ‘Magazzino18’, lo spettacolo teatrale scritto con Jan Bernas (autore del libro ‘Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani) dedicato all’esodo forzato di 350.000 Italiani dalle terre rientrate definitivamente nei confini jugoslavi con la firma del trattato di pace del ’47.
Per non dimenticare loro e i quasi 10.000 Italiani di oltre adriatico morti, tra il 1943 e il 1947, infoibati per mano delle truppe partigiane titine, solo nel 2004 una legge della Repubblica e’ arrivata a stabilire, il 10 febbraio, la solenne giornata del ricordo.
“Ciò mette in luce un grandissimo gesto di umiltà  da parte del popolo degli esuli: aver sopportato per decenni, in silenzio, questa dimenticanza, questo oblio. Non aver mai fatto una protesta, mai una manifestazione nelle piazze per rivendicare il proprio diritto al dolore. E questa è una cosa che tutti gli italiani dovrebbero ammirare”, afferma Cristicchi.
Eppure, nonostante gli sforzi recenti di Italia, Slovenia e Croazia per riconciliarsi all’insegna di una lettura condivisa del dolore patito da tutte le parti – le popolazioni slave, a loro volta, furono prima vittime delle atrocità  fasciste – gli italiani del 21mo secolo sembrano ancora incapaci di considerare quella tragedia parte di una memoria nazionale collettiva, al di sopra di logiche di fazione.
Al netto di un successo da 20.000 spettatori, in oltre 30 repliche, non sono mancate, ad esempio, le dure contestazioni di Scandicci per sospendere la messa in scena, nè le esplicite accuse di parzialità  e revisionismo storico nei confronti dell’opera.
“Succede che questa storia è stata sempre un baluardo per l’estrema destra e, di conseguenza, l’estrema sinistra ha sempre cercato di attaccare e giustificare in qualche modo le foibe, cosa che non mi trova assolutamente d’accordo”, precisa il cantautore.
“Addirittura – denuncia – oggi c’è chi va in giro con la maglietta ‘i love foiba’, gente che scrive sulla mia pagina Fb ‘le foibe sono ancora aperte per voi, ti ci accompagno io’. Insomma c’è uno scontro violentissimo su questa vicenda”.
Reazioni “che, in parte, mi aspettavo – argomenta Cristicchi – poichè con questo testo andiamo a toccare dei nervi ancora scoperti e quando si nasconde una verità , è come una pentola a pressione: prima o poi esplode. Devo dire, però, che queste accuse e queste polemiche nei miei confronti sono giunte solo dalle fazioni più estreme, sia da destra, sia da sinistra, addirittura da un’associazione di esuli. Quindi mi rifaccio a Oscar Wilde, secondo il quale quando un artista viene criticato da entrambe le parti vuol dire che sta facendo bene il suo mestiere”.
“Non si tratta – prosegue – di provocare: questo è un testo che non fa sconti a nessuno, nè a destra, nè a sinistra. Non è – sottolinea – uno spettacolo che parla delle foibe, come è stato erroneamente detto, ma si concentra molto di più su quelli che io ho definito ‘i morti di esodo’: coloro che morirono successivamente a questo sradicamento forzato. Si prendono le parti delle sole vittime”.
Nella maggioranza dei casi l’italia postbellica, in ginocchio, non seppe infatti accogliere questi connazionali strappati alle loro terre per ritrovarsi, poi, stranieri in patria.
Accadde alla piccola Marinella, uno dei personaggi dello spettacolo di Cristicchi, “morta di freddo ad un anno nel campo esuli a Padriciano (ts). Cosa c’è di politico in questa umanità  ferita dagli eventi e violentata dalle ideologie?”, si interroga l’artista.
Ciononostante, parafrasando Domenico Modugno, fare musica è molto simile a fare politica: entrambe richiedono poesia e fantasia.
“Da quando ho affrontato l’argomento della malattia mentale e degli ospedali psichiatrici, in effetti – è la riflessione conclusiva di Cristicchi – ho compiuto dei gesti politici, raccontando storie che riguardano tutti noi pur avendo sempre al centro la cancellazione dell’identità  della persona. Scrivo quando mi accorgo che c’è un’identità  distrutta”.
Lo spettacolo di Simone Cristicchi sulla Rai nel giorno del ricordo alle 23.50: “Ringrazio la Rai per il coraggio che ha dimostrato nello sposare questo mio progetto, in particolare michele bovi, capo struttura di rai uno, che ha lottato con tenacia per far si’ che venisse messo in onda”, afferma il cantautore.
Ben venga, dunque, anche la tarda serata “che rappresenta un primo passo importante per riuscire, un giorno, a raggiungere l’obiettivo di creare un evento in diretta, sempre su Rai uno, proprio dal magazzino 18”.

(da “Huffingtopost”)

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CASO MARO’, DOPO DUE ANNI L’ITALIA SCOPRE L’ACQUA CALDA: RICORSO AL TRIBUNALE INTERNAZIONALE DELL’ONU

Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile

ERA IL PASSO LOGICO SUGGERITO FIN DA SUBITO DALLA MARINA MILITARE: ANDAVA IMMEDIATAMENTE CONTESTATA LA GIURISDIZIONE DELL’INDIA, ALTRO CHE TRIBUNALI FARSA

Dopo due anni trascorsi inutilmente nella giungla delle leggi, dei tribunali e della politica indiana, il governo italiano si prepara a compiere un passo che gli esperti legali della Marina militare avevano suggerito sin dall’inizio.
Ricorrere al Tribunale internazionale Onu del diritto del mare di Amburgo, per chiedere una composizione internazionale sul caso dei due fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La mossa potrebbe essere resa pubblica già  questa mattina, anche se il procuratore precisasse che per la Nia i due accusati non dovranno essere puniti con la pena di morte, ma giudicati solo per il reato di “utilizzo della violenza” e non per quello di “omicidio”.
L’Italia dovrebbe quindi rifiutare formalmente la giurisdizione indiana e appellarsi al Tribunale di Amburgo.
Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha previsto anche di ritirare per protesta l’ambasciatore a New Delhi Daniele Mancini, una mossa che sarebbe provvisoria, perchè poi a Delhi di un ambasciatore d’Italia c’è bisogno, visto che il caso continuerà  a trascinarsi ancora per molto tempo.
Ieri notte, a sorpresa, il Ministro della Difesa Mario Mauro ha deciso di volare a New Delhi per rimanere in ambasciata accanto ai due fucilieri. Un viaggio estemporaneo, che conferma quanta confusione e fibrillazione ci sia nel governo.

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CASO MARO’, NUOVO RINVIO: LA CORTE PRENDE UN’ALTRA SETTIMANA DI TEMPO

Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile

RINVIATA A MARTEDI’ 18 FEBBRAIO LA DECISIONE DA PARTE DEL GIUDICE CHAUHUN

È stata rinviata a martedì 18 febbraio, secondo quanto si apprende da fonti di agenzia, la decisione della Corte Suprema indiana che inizalmente era attesa per lunedì 10 febbraio.
Il massimo organo di giustizia indiano dovrà  decidere i capi di accusa contro i due fuciliari italiani, Latorre e Girone, per l’incidente del 15 febbraio 2012, al largo del Kerala, in cui morirono due pescatori indiani.
Il ministro della Difesa, Mario Mauro, era arrivato a Nuova Delhi nella notte di lunedì (ora italiana) per essere al fianco dei «suoi uomini in una fase assai delicata del processo che li riguarda».
Nell’udienza di stamane, il giudice Chauhun ha ascoltato la pubblica accusa, che ha confermato la richiesta dell’applicazione nella vicenda della legge per la repressione della pirateria (Sua act), e la categorica opposizione ad essa da parte dell’avvocato della difesa italiana Mukul Roahtgi.
A questo punto il giudice ha detto: «Capisco che di fronte a questa situazione sono io che devo decidere», e ha rinviato per questo l’udienza al prossimo 18 febbraio.
Da parte sua Roahtgi ha annunciato la presentazione di una specifica memoria di opposizione all’applicazione del Sua act per il processo dei Marò.
Nell’illustrazione della sua posizione il procuratore generale E.G. Vahanvati ha chiarito che nelle intenzioni del governo il Sua act dovrebbe essere applicato senza una specifica richiesta di pena di morte.

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