Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
“SE I GRILLINI INDICASSERO PRODI ALLE QUIRINARIE I GIOCHI SAREBBERO ANCORA APERTI”
Sulla questione democrazia interna al Movimento 5 Stelle non siamo mai stati teneri.
Più volte abbiamo denunciato il rischio che il movimento scivolasse inesorabilmente verso una ben poco liberale dittatura della maggioranza.
Più volte abbiamo spiegato che, secondo noi, le espulsioni decise dall’alto in spregio ai regolamenti interni e poi avallate dalla base spingevano il movimento verso un brutta deriva plebiscitaria.
Con altrettanta chiarezza bisogna però dire che oggi il M5S è l’unica forza politica che applica un metodo democratico per arrivare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica.
Mentre un premier non votato dagli elettori e un leader di partito privato dei diritti civili perchè condannato per una gigantesca frode fiscale si incontrano per trovare un nome da imporre ai loro parlamentari, gli iscritti al movimento esprimono la loro preferenza on line.
Scelgono il loro candidato tra 9 personalità proposte dai loro deputati e senatori, più una indicata da alcuni esponenti della minoranza del Pd: Romano Prodi.
La differenza di metodo e di sostanza è evidente.
Anche per questo gli iscritti al Movimento oggi devono capire che l’impegno che li attende è gravoso. Dalle loro scelte potrebbe dipendere il futuro politico italiano.
Tra i dieci candidati ve ne sono molti di valore. Zagrebelsky e Cantone, per esempio (ma se ne potrebbero citare altri), rappresenterebbero un segno di discontinuità importate rispetto al passato.
Entrambi sono uomini che chiedono il rispetto delle regole e le rispettano. Una rivoluzione per questo Paese. Ma è inutile girarci intorno: se le Quirinarie le vinceranno loro nessuno dei due diventerà presidente.
Le possibilità che il pregiudicato Berlusconi e lo spregiudicato Renzi si accodino a questi nomi sono prossime allo zero. Se non altro perchè il secondo contraente del Patto del Nazzareno sa bene che con personaggi come questi al Quirinale non verrebbe mai promulgata nessuna legge in grado di rimetterlo in gioco (vi ricordate l’articolo 19 delle delega fiscale bloccato dapalazzo Chigi fino al prossimo 20 febbraio?) o per continuare a favorirlo economicamente.
Il discorso però cambia, e di molto, se dalle Quirinarie escono i nomi di Pier Luigi Bersani o di Romano Prodi.
Per il Pd sarebbe impossibile dire di no. E a quel punto i voti di Forza Italia diventerebbero ininfluenti.
È ovvio, per un militante dei 5 Stelle è molto dura dimenticare come il primo sia stato l’avversario principale alle ultime politiche o come il secondo sia stato il Padre dell’euro.
Vi sono però momenti nella vita in cui è bene scegliere non seguendo il cuore, ma la ragione. Per questo, nel caso in cui interessasse a qualcuno, diciamo qui come la pensiamo.
Tra i due è secondo noi preferibile Prodi. Di lui tutto si può dire tranne che non sia sempre stato un fiero avversario del pregiudicato di Arcore.
Ha, a differenza di Bersani, una grande caratura internazionale e questo è un bene nel momento in cui, magari seguendo Tzipras, si può aprire uno spiraglio per rinegoziare almeno parzialmente le regole europee.
Nel ’96, durante il suo primo governo, ha sì commesso molti errori, ma ha pure fatto alcune cose buone.
È stato per esempio lui a volere Antonio Di Pietro come ministro dei Lavori Pubblici (infrastrutture). E chi c’era può testimoniare come con l’ex pm di Mani Pulite alla testa del dicastero per qualche anno dalle parti di Porta Pia si sia davvero respirato un clima diverso. Non per niente il primo governo Prodi è durato solo un paio di anni ed è stato sostituito, grazie a una manovra di Palazzo, da un esecutivo presieduto da Massimo D’Alema, un politico che nella commissione Bicamerale aveva già tentato di riscrivere la costituzione con Berlusconi.
Della serie i corsi e ricorsi storici.
Inoltre, non va dimenticato, come il suo secondo governo sia stato fatto cadere grazie a unacompravendita di senatori per cui oggi il leader di Forza Italia si trova ancora sotto processo.
Certo, tutto questo non basta agli occhi di molti militanti dei 5 stelle per assolvere Prodi da altre sue responsabilità politiche.
E forse non basta nemmeno a noi. Ma qui si tratta di decidere: o Prodi o il patto del Nazareno. O Prodi o il renzusconi. Una terza via al momento non c’è.
Anche perchè Bersani, con la sua caotica e tremebonda gestione del voto che ha portato alla rielezione di Giorgio Napolitano, ha dimostrato di non avere gli attributi richiesti a chi deve rappresentare l’unità della Nazione.
Chi vota per le Quirinarie, secondo noi, è bene che ne tenga conto.
Peter Gomez
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
UN MODO PER NON ROMPERE IL PATTO CON RENZI
«No, Mattarella proprio no». Silvio Berlusconi scuote la testa e si infila rapido in auto, è scuro in volto,
l’assemblea dei 142 parlamentari forzisti è appena conclusa e lui risponde con quattro parole secche al giornalista che gli chiede se dunque è lì che si va a parare.
Se alla fine cederà ancora una volta al pressing di Matteo Renzi. Come avvenuto sull’Italicum, come due anni fa sull’elezione del Napolitano II.
Perchè, come annuncia il vicesegretario pd Guerini in serata, è da quel nome che si parte e a quel nome si arriverà . Il messaggio per i partner del Nazareno è assai chiaro: non c’è margine di trattativa.
«Non erano quelle le condizioni», spiegano nervosi a tarda sera i dirigenti forzisti più vicini al capo. Gli stessi che gli si sono stretti attorno, appena rientrati a Palazzo Grazioli, per ragionare su come uscire dall’ennesimo cul de sac nel quale il leader pd li ha cacciati.
«Pensavo si potesse ragionare, invece sembra che su Mattarella Matteo faccia sul serio», sostiene sconsolato Berlusconi circondato dai capigruppo Brunetta e Romani, con Verdini e Letta, Toti, la Rossi e Bergamini.
Allora bisogna pensare a una «exit strategy», a un piano B per non ritrovarsi fuori dai giochi. Come i grillini, come i leghisti, «dopo i tanti sacrifici portati avanti con le riforme».
Ma il rischio di far saltare per aria il partito è altissimo, gli spiegano i capigruppo.
Fitto, che ha riunito i suoi ieri a pranzo, non aspetta altro, è già in riva al fiume. La via d’uscita allora può essere quella suggerita da Verdini e Letta, i due che hanno affiancato il leader nelle due ore a Palazzo Chigi: porterebbe allo schema del 2006, quando Napolitano venne eletto la prima volta con le schede bianche di Forza Italia.
«Potremmo testimoniare così il nostro distacco, ma al contempo non rompere con Renzi, in nome del patto sulle riforme» ragiona Berlusconi a voce alta.
Se poi dovessero mancare una manciata di voti alla maggioranza per consentire a Mattarella di raggiungere quota 505 dalla quarta votazione, allora una ventina, nel segreto dell’urna, potrebbero sempre dare una mano.
Poco prima di entrare a Palazzo Grazioli, nella gelida serata romana, Bossi sembrava avere chiaro il quadro. «Berlusconi ha già giocato la partita a Palazzo Chigi e l’ha persa, si è piegato, è la sua fine, muore alleato della sinistra, è un po’ troppo: gli ha votato l’Italicum e ora Renzi fa quel che vuole, con un presidente imposto da lui».
I nervi sono a fior di pelle, nel fortino di Grazioli. In quelle stesse ore i legali di Berlusconi chiedono al Tribunale di Sorveglianza di Milano che il loro assistito possa restare a Roma questo fine settimana, per seguire da vicino le trattative sul Colle.
Lo sconforto era tangibile anche tra i deputati e i senatori che hanno ascoltato il leader per oltre un’ora nel pomeriggio a Montecitorio.
«Ma come faccio a votarti Mattarella? Mi ha fatto la guerra fin dagli anni Novanta. E poi il mio partito salterebbe per aria. Non ci pensi?» aveva ribattuto Berlusconi alle insistenze di Renzi sul giudice costituzionale, quando si sono ritrovati l’uno di fronte all’altro.
Si rivedranno o forse si risentiranno oggi. Ma il premier appare irremovibile.
Si ripete quanto accaduto una settimana fa sul premio di lista all’Italicum. Prendere o lasciare. «Amato o Casini saranno presidenti, no?», ironizza Raffaele Fitto quando tiene a rapporto i suoi 36 alla Camera.
E incalza: «Sapevamo che sarebbe finita così». Aria da resa dei conti.
Angelino Alfano riunisce il centinaio di grandi elettori di Area popolare e si dice intanto soddisfatto perchè con Berlusconi (col quale si è sentito) regge il patto di consultazione e resta fermo l’intento di votare insieme. «Lo ringraziamo perchè a Renzi ha proposto un nostro parlamentare, cioè Casini», oltre che Amato, spiega ai parlamentari.
Sul Colle, a sentire lui, non c’è asse di governo che tenga. Sarà così fino alla fine?
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
PER CONVINCERE BERLUSCONI A DIRE SI’ A MATTARELLA IL PREMIER LE PROVA TUTTE
Per convincere l’ex Cavaliere ha parlato con Fedele Confalonieri, che è la quintessenza del berlusconismo e incrocia la conoscenza dell’arte politica con il pragmatismo aziendale.
Così le vere consultazioni per il Colle, Matteo Renzi le ha concluse con il capo del Biscione.
Un incontro per certi versi complementare a quello ufficiale tenuto poco prima con il leader di Forza Italia, un colloquio necessario per superare l’intransigenza di Silvio Berlusconi, che si era mostrato contrario alla candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale.
Non è dato sapere se è stata quella consultazione riservata a convincere il premier che Berlusconi non isserà le barricate al momento delle votazioni per il rappresentante della Consulta, però ci sarà un motivo se a sera Renzi si mostrava ottimista, convinto che politicamente il Cavaliere potrebbe anche astenersi sul candidato che «sono deciso ad accompagnare al Quirinale».
Certo, per saggiare Confalonieri, non avrà ricordato all’amico di Berlusconi ciò che vorrà narrare tra le altre cose al Paese per presentare il prescelto, e cioè che Mattarella «è stato l’unico democristiano a dimettersi davvero».
Accadde quando da ministro del governo Andreotti si oppose al decreto che riaccendeva le tv private… No, per toccare le corde giuste, avrà forse spiegato al suo interlocutore che «questa non vuole essere una candidatura divisiva», e che quest’«uomo timido, schivo e riservato sarà per tutti la garanzia di una legislatura blindata fino alla sua scadenza naturale».
L’incontro con Confalonieri ha consentito a Renzi di aprire un’altra linea di comunicazione – riservata e parallela – con Berlusconi.
E dopo aver usato con il presidente di Mediaset le stesse armi del leader di Forza Italia, cioè la seduzione, ha preso più ruvidamente ad aprirsi la strada in Parlamento, raggranellando i voti necessari per raggiungere il suo obiettivo.
Perciò, quando ormai è notte, il leader del Pd annuncia che «se tutto andrà bene Mattarella sarà il dodicesimo presidente della Repubblica».
Ammette che «l’operazione è seria e difficile, perchè comporta dei rischi. Ma per quanto mi riguarda è chiusa». Il quirinabile che presenterà alla quarta votazione «è un arbitro, un garante della Costituzione, e nessuno potrà dire che è un mio avatar».
Così Renzi vorrà convincere il Palazzo, mentre per convincere il Paese «racconterò la storia del fratello di una vittima di mafia, ministro della Difesa che ha abolito la leva obbligatoria, fautore di un sistema di voto che metteva in contatto l’elettore con l’eletto».
Per Mattarella, il leader del Pd ha chiesto e ottenuto il consenso «dei grandi elettori di Sel e degli ex parlamentari Cinquestelle», dopo aver ricevuto l’assenso di Bersani, che in mattinata gli aveva annunciato: «Su Amato e Mattarella, saremo dei soldatini».
«Ma Amato, ho fatto i conti con Lotti, con il vento dell’antipolitica che tira, a voto segreto verrebbe fatto fuori», ha risposto il premier.
Che insieme all’ex segretario dem alla fine ha condiviso l’idea di puntare su «Sergio»: se andasse male con lui, Renzi potrebbe comunque rialzarsi, mentre se fallisse con l’ex braccio destro di Craxi finirebbe per restarci sotto.
Lo scrutinio segreto è come un giro al tavolo di poker, ma il premier ritiene di avere una dote di voti che lo mette al sicuro dai franchi tiratori.
E quella posta l’ha usata per rilanciare con Berlusconi e Alfano. Così, mentre provava a persuadere il primo attraverso Confalonieri, con il secondo ha tentato di spaccare l’asse che lo lega al Cavaliere, cercando perfino di dividere gli alleati di Area popolare.
Finchè ha alzato il telefono: «Angelino – ha detto Renzi al ministro dell’Interno – siamo in 580, se ci state pure voi saremmo imbattibili».
E «Angelino», che pure ha una consolidata e storica amicizia con Mattarella, gli ha risposto: «Il problema non è la persona, figurarsi. È un problema politico. Noi ci siamo comportati lealmente nel governo e sulle riforme, e tu ora non puoi aprire su uno schema opposto». Clic.
«I miei alleati si oppongono», ha commentato il premier spegnendo il cellulare: «Bene. Voglio vedere se davvero intendono andare fino in fondo».
Ma anche Renzi pensa davvero di andare fino in fondo?
Perchè è vero che si mostra baldanzoso, e quasi sfida quanti «pensano sempre che non riesca a realizzare ciò che dico, com’è accaduto ai tempi della candidatura Mogherini in Europa».
Ed è altrettanto vero che «il mio partito è unito sul nome di Mattarella». Almeno formalmente. Ma ora bisogna verificare se il suo progetto reggerà alla prova del voto segreto, se le reazioni di coloro i quali vorranno a vario titolo prendersi una rivincita con lui nell’urna, avranno la meglio su un’operazione che sposta il baricentro politico e incrina il Patto del Nazareno, almeno ufficialmente.
«Beh sì, la candidatura di Mattarella in effetti è un colpetto al Patto», commenta Bersani.
E chissà se anche l’ex segretario del Pd ha ricevuto una telefonata da Palazzo Grazioli.
Di certo molti esponenti democratici hanno avuto ieri contatti con Berlusconi, che ancora a sera non disperava sulla resurrezione di Amato.
Ciò dimostra che i giochi non sono affatto chiusi, che nulla è scontato. Infatti nel centrodestra ritengono che la mossa di Renzi sia solo un modo per nascondere le difficoltà in cui versa. Certo, nè Berlusconi nè Alfano possono permettersi di andare al voto anticipato, ma nemmeno il premier può consentirsi di mandare all’aria quella «larga maggioranza» che gli garantisce al Senato i voti, e non solo sulle riforme…
Se sia muro contro muro o braccio di ferro propedeutico all’intesa, si capirà dalla quarta votazione.
Di sicuro sotto sotto ci dev’essere qualcosa, se Renzi – pur esponendo il petto su Mattarella – si precostituisce una via d’uscita: «Sergio è la mia prima scelta. Altrimenti punterò su una personalità non politica».
Meli e Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
SILVIO E MATTEO COME I VERTICI DEL CREMLINO AI TEMPI DEL PCUS
Continuano a vedersi, ma a non farsi vedere.
Ogni amore proibito finisce per lasciare una traccia fotografica.
Invece la relazione clandestina più chiacchierata d’Italia resta avvolta nel buio come un vertice del Cremlino ai tempi del Pcus.
Eppure Renzi e Berlusconi non fanno della ritrosia l’elemento fondante del loro carattere. Da sempre Berlusconi abita la vita pubblica alla stregua di un gigantesco studio televisivo in cui si muove con il celebre sorriso celentanoide stampato sopra il fondotinta.
Quanto a Renzi, accetterebbe di scattare un selfie anche con un palo della luce (che non gli facesse ombra).
Entrambi amano la politica a fumetti che comunica attraverso la potenza evocativa delle immagini.
E sanno che l’assenza di tracce visive dei loro incontri furtivi non fa che accrescere i sospetti di chi li osserva dall’esterno pensandone tutto il male possibile.
Allora perchè si rifiutano di farsi ritrarre, non dico mano nella mano, ma almeno uno accanto all’altro?
Forse una risposta va cercata proprio nel ruolo sacrale che gli amanti del Nazareno affidano all’immagine.
Se ormai una cosa esiste davvero solo quando viene immortalata da un flash, la coppia «Father and Son» trova più conveniente non esistere.
L’ex direttore di Canale 5, Massimo Donelli, ha suggerito ai due burattinai di farsi fotografare mentre guardano insieme davanti alla tv l’elezione del «loro» Presidente della Repubblica.
Temo resterà deluso. L’insolita riluttanza di entrambi nasconde ragioni politiche, ma anche più intime.
Per Renzi potrebbe trattarsi persino di un refolo di imbarazzo.
Per Berlusconi di un problema di inquadrature.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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