L’EXIT STRATEGY DI SILVIO: “QUEL NOME NON MI PIACE, MA POTREMMO VOTARE SCHEDA BIANCA COME NEL 2006”
UN MODO PER NON ROMPERE IL PATTO CON RENZI
«No, Mattarella proprio no». Silvio Berlusconi scuote la testa e si infila rapido in auto, è scuro in volto, l’assemblea dei 142 parlamentari forzisti è appena conclusa e lui risponde con quattro parole secche al giornalista che gli chiede se dunque è lì che si va a parare.
Se alla fine cederà ancora una volta al pressing di Matteo Renzi. Come avvenuto sull’Italicum, come due anni fa sull’elezione del Napolitano II.
Perchè, come annuncia il vicesegretario pd Guerini in serata, è da quel nome che si parte e a quel nome si arriverà . Il messaggio per i partner del Nazareno è assai chiaro: non c’è margine di trattativa.
«Non erano quelle le condizioni», spiegano nervosi a tarda sera i dirigenti forzisti più vicini al capo. Gli stessi che gli si sono stretti attorno, appena rientrati a Palazzo Grazioli, per ragionare su come uscire dall’ennesimo cul de sac nel quale il leader pd li ha cacciati.
«Pensavo si potesse ragionare, invece sembra che su Mattarella Matteo faccia sul serio», sostiene sconsolato Berlusconi circondato dai capigruppo Brunetta e Romani, con Verdini e Letta, Toti, la Rossi e Bergamini.
Allora bisogna pensare a una «exit strategy», a un piano B per non ritrovarsi fuori dai giochi. Come i grillini, come i leghisti, «dopo i tanti sacrifici portati avanti con le riforme».
Ma il rischio di far saltare per aria il partito è altissimo, gli spiegano i capigruppo.
Fitto, che ha riunito i suoi ieri a pranzo, non aspetta altro, è già in riva al fiume. La via d’uscita allora può essere quella suggerita da Verdini e Letta, i due che hanno affiancato il leader nelle due ore a Palazzo Chigi: porterebbe allo schema del 2006, quando Napolitano venne eletto la prima volta con le schede bianche di Forza Italia.
«Potremmo testimoniare così il nostro distacco, ma al contempo non rompere con Renzi, in nome del patto sulle riforme» ragiona Berlusconi a voce alta.
Se poi dovessero mancare una manciata di voti alla maggioranza per consentire a Mattarella di raggiungere quota 505 dalla quarta votazione, allora una ventina, nel segreto dell’urna, potrebbero sempre dare una mano.
Poco prima di entrare a Palazzo Grazioli, nella gelida serata romana, Bossi sembrava avere chiaro il quadro. «Berlusconi ha già giocato la partita a Palazzo Chigi e l’ha persa, si è piegato, è la sua fine, muore alleato della sinistra, è un po’ troppo: gli ha votato l’Italicum e ora Renzi fa quel che vuole, con un presidente imposto da lui».
I nervi sono a fior di pelle, nel fortino di Grazioli. In quelle stesse ore i legali di Berlusconi chiedono al Tribunale di Sorveglianza di Milano che il loro assistito possa restare a Roma questo fine settimana, per seguire da vicino le trattative sul Colle.
Lo sconforto era tangibile anche tra i deputati e i senatori che hanno ascoltato il leader per oltre un’ora nel pomeriggio a Montecitorio.
«Ma come faccio a votarti Mattarella? Mi ha fatto la guerra fin dagli anni Novanta. E poi il mio partito salterebbe per aria. Non ci pensi?» aveva ribattuto Berlusconi alle insistenze di Renzi sul giudice costituzionale, quando si sono ritrovati l’uno di fronte all’altro.
Si rivedranno o forse si risentiranno oggi. Ma il premier appare irremovibile.
Si ripete quanto accaduto una settimana fa sul premio di lista all’Italicum. Prendere o lasciare. «Amato o Casini saranno presidenti, no?», ironizza Raffaele Fitto quando tiene a rapporto i suoi 36 alla Camera.
E incalza: «Sapevamo che sarebbe finita così». Aria da resa dei conti.
Angelino Alfano riunisce il centinaio di grandi elettori di Area popolare e si dice intanto soddisfatto perchè con Berlusconi (col quale si è sentito) regge il patto di consultazione e resta fermo l’intento di votare insieme. «Lo ringraziamo perchè a Renzi ha proposto un nostro parlamentare, cioè Casini», oltre che Amato, spiega ai parlamentari.
Sul Colle, a sentire lui, non c’è asse di governo che tenga. Sarà così fino alla fine?
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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