Gennaio 31st, 2015 Riccardo Fucile
VOTA DIVERSAMENTE CHI ANCORA NON L’HA RAGGIUNTA…NCD SI SPACCA, SACCONI E SALTAMARINI SI DIMETTONO DALLE CARICHE INTERNE
Con la quarta votazione a Camere congiunte, Sergio Mattarella supera il quorum, incassa 665 voti e diventa il nuovo presidente della Repubblica italiana.
Ferdinando Imposimato ha ottenuto 127 voti, Vittorio Feltri 46, Stefano Rodotà 17, Emma Bonino, Antonio Martino, Giorgio Napolitano e Romano Prodi 2.
I voti dispersi sono stati 14, le schede bianche 105, le nulle 13.
A seguito dell’appello del premier, alla fine l’Ncd del ministro Angelino Alfano ha dato il contrordine e detto sì a Mattarella.
Ma i mal di pancia interni si sono sprecati e i malumori sono usciti subito allo scoperto. In disaccordo con la svolta, il capogruppo di Area popolare a Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, ha presentato le dimissioni da presidente dei senatori di Ncd.
L’ex ministro, infatti, era stato fra i più convinti, nei giorni scorsi, a non cedere al candidato presentato dal Pd.
In mattinata, prima dello scrutinio, la riunione dei gruppi di Area popolare aveva sancito ufficialmente il via libera – senza unanimità e con lo stesso Sacconi assente – al candidato unico lanciato dal Pd di Renzi.
I grandi elettori di Ncd e Udc si sarebbero espressi per alzata di mano.
E il pollice verso sarebbe arrivato da cinque moderati: Barbara Saltamartini (che voterà scheda bianca e che si dimetterà da portavoce di Ncd), Gabriele Albertini, Antonio Azzolini, Carlo Giovanardi e il viceministro Enrico Costa.
Ma non è tutto: anche Nunzia De Girolamo, presidente dei deputati di Ncd, avrebbe espresso irritazione per il cambio di linea e starebbe valutando l’ipotesi di lasciare l’incarico di capogruppo a Montecitorio.
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Gennaio 31st, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI E ANGELINO NAZARENI DI COMPLEMENTO… FI PRIMA MINACCIA L’AVENTINO, POI CI RIPENSA
Succede alla sei della sera. 
La pioggia non cade più e Sergio Mattarella nei calcoli degli sherpa renziani supera il muro dei 600 voti.
Dalle parti di Sel, dove i vendoliani sono raggianti manco dovessero votare l’erede di Che Guevara, ironizzano: “Magari prende 666 voti”.
Il numero della Bestia. Non proprio il massimo per un cattolico praticante come Mattarella.
Stavolta i 101 sono al contrario. Non franchi tiratori. Ma soccorritori. Addizione, non sottrazione. Dentro il Pd, Lorenzo Guerini prevede al massimo trenta defezioni isolate, per mal di pancia vari. Nulla di organizzato.
L’amaro pomeriggio del Nuovo Centro Destra
Nella noia e nell’attesa di un’elezione che appare ormai scontata, gli unici brividi arrivano da Ncd, il partitino ministeriale di Angelino Alfano.
Un ultrà renziano di primissima fila, spavaldo, confida ai cronisti: “Domani mattina alle nove arriverà una dichiarazione congiunta di Berlusconi e Alfano che dicono sì a Mattarella”.
In realtà , il ministro dell’Interno cede prima. Ed è proprio Renzi, in un colloquio teso, a rinfacciargli il delicato ruolo ricoperto al Viminale.
“Ma ti rendi conto, tu sei il ministro dell’Interno come fai a non votare il capo dello Stato? Dovrai avere con lui un contatto costante”.
Risposta: “Ma io sono un grande elettore, ho il diritto di decidere cosa fare”.
I toni si alzano e “Angelino” cerca di fare la faccia feroce: “Matteo sinora ci hai sempre trattato con sufficienza. Se vuoi meritarti la nostra considerazione il primo passo fallo tu. Fai un appello e poi vediamo”.
Le pressioni su Alfano sono tremende. Si fa vivo, con una telefonata, persino Giorgio Napolitano: “Nella tua posizione devi votare”.
In cuor suo, l’ex delfino (senza quid) di B. sa che non schioderà mai dall’amata poltrona ministeriale ma deve conciliare il suo cerchiobottismo centrista con la rabbia berlusconiana e con le faide interne di Ncd.
I socialisti di Cicchitto e Sacconi, per esempio, sono fuori dalla grazia di Dio.
I più duri. Si sentono traditi da Renzi sul loro “compagno” Amato e non hanno dubbi. Rompere.
La filorenziana Lorenzin è sul fronte opposto. Rimanere.
Poi ci sono i democristiani del sud. I siciliani in primis, capitanati da Castiglione: “Sergio lo votiamo certamente”.
Ed è a quel punto che si supera il primo ostacolo. Non più Aventino. Bensì scheda bianca.
Una sorta di libertà di coscienza: “Chi vuol votare Mattarella faccia pure”. Gli alleati dell’Udc, Casini e Cesa, con cui Ncd ha fatto gruppi comuni, sono già d’accordo.
La linea l’ha dettata, riferiscono, De Mita in persona: “Dobbiamo sostituire Berlusconi nel patto del Nazareno”.
L’attivismo di Gianni Letta
A dare man forte alla linea trattativista è soprattutto Gianni Letta. È lui che prende il posto di Verdini e tiene aperto un canale con il premier.
Letta propugna la dottrina aziendalista di Confalonieri. Per la serie: “Silvio non ci conviene rompere, buttiamo giù il rospo Mattarella”.
Il Condannato è ad Arcore , reduce dalla giornata di servizi sociali a Cesano Boscone. Ed è ancora sotto choc.
Non si capacita del “tradimento di Matteo”. I sostenitori del mezzo sì a Mattarella (scheda bianca), se non di un voto a favore, gli sussurrano che in fondo “nel 1997, Mattarella non votò per l’arresto di Previti per l’inchiesta Imi-Sir”.
È il tema del salvacondotto che ritorna. La fatidica Salvasilvio del 3 per cento e l’agibilità politica.
Alle otto di sera, gli alfaniani non sono contenti del tiepido appello renziano e fanno slittare la riunione a stamattina.
Berlusconi e Alfano si sentono in tardissima serata. La risposta al premier è prevista oggi. Due le ipotesi. Scheda bianca per entrambi. Oppure Ncd sì e Forza Italia scheda bianca.
Tramonta l’ipotesi fuga non i malumori
Tra gli azzurri, lo smarrimento da caos è totale. La minaccia dell’Aventino viene archiviata con sprezzo e con scherno dal capo dei ribelli pugliesi, Raffaele Fitto: “Non votare è un atto sudamericano”.
Loro in aula ci saranno comunque. Tentati dal voto per Mattarella. Il toscanaccio Bianconi infierisce: “I nazareni dovrebbero dimettersi e fare il pellegrinaggio a Santiago de Compostela per espiare i peccati ai danni del centrodestra”.
Vincenzo D’Anna, altro ribelle azzurro: “Io non prendo ordini da chi ha sbagliato tutto”.
Nel frattempo undici senatori di Ncd, siciliani e calabrasi, di dichiarano pubblicamente per Mattarella.
Pronostica un berlusconiano: “Se noi arriveremo a quaranta schede bianche sarà già tanto”. Nel voto a Mattarella si concentrano tre sentimenti: la vendetta antinazarena, l’umore antiberlusconiano di ritorno, l’orgoglio trasversale dei democristiani del sud. Nel Pd le uniche tensioni sono tra giovani turchi e bersaniani.
Per i primi, Stefano Fassina rinfaccia a Miguel Gotor di spargere voci false su franchi tiratori dei “turchi”: “Non è vero e tu stai mettendo le mani avanti ”.
Già , il Pd. Ci saranno i traditori?
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 31st, 2015 Riccardo Fucile
QUANDO ANTONINO FINI’ NELLE CARTE DELLA DIA PER ALCUNI INVESTIMENTI IN IMMOBILI DI PREGIO A CORTINA, INDAGATO PER RICICLAGGIO E ARCHIVIATO
La moglie dell’ambasciatore aveva pagato l’anticipo per le sue casette a Cortina e voleva indietro i soldi dall’avvocato Antonino Mattarella.
Invece dei soldi però arrivava una telefonata da Trapani che le consigliava di stare tranquilla se no avrebbe perso i soldi e che “il fratello non voleva scandali”.
Dove “il fratello” era Sergio Mattarella, candidato dal Rottamatore Renzi al Quirinale. Secondo la Dia, quel siciliano era probabilmente Giuseppe Ruggirello, in affari con Antonino Mattarella e allora consigliere e socio della Banca industriale trapanese, morto nel 1995.
“Nel 1993 Ruggirello Giuseppe—scrive la Dia—è stato deferito, insieme a tutti i membri del cda dell’Istituto alla Procura di Trapani per aver agevolato concessioni creditizie senza le adeguate garanzie nei confronti di persone indicate come appartenenti alla mafia, tra le quali Pace Francesco,’braccio destro’ del mafioso Minore Antonino e Agate Mariano”.
La vicenda è descritta nell’informativa della Dia di Padova del 20 maggio 1997 diretta al giudice istruttore Otello Lupacchini.
È bene precisare che non ha avuto alcun seguito giudiziario ma merita di essere raccontata per conoscere meglio la famiglia del possibile futuro presidente.
Dopo la storia degli assegni di Antonino Mattarella a beneficio della società di Enrico Nicoletti per 750 milioni di vecchie lire di cui abbiamo dato conto ieri oggi tocca agli affari in Veneto con i siciliani.
L’indagine parte dalla denuncia del sindacalista Vincenzo Antonio Carfì che consegnava nel 1995 un “prospetto sui possedimenti di Mattarella Antonino.
Dal documento in argomento si rileva che era socio al 50 % della Immobiliare Boncompagni 16 Srl,proprietaria in Roma di un attico del valore di lire 1,5 miliardi e di una villa in Ansedonia del valore di lire 800 milioni, nonchè socio al 60 per cento nominale (100 reale) della Sigi Srl che controllava la Iniziative Turistiche Coryinesi e al 40 per cento la Multi hotels Italia Spa.
La Iniziative Turistiche Cortinesi Srl veniva indicata quale proprietaria di un immobile in Cortina del valore di 4/5 miliardi.
La Multihotels Italia era indicata quale proprietaria di un albergo (il Cristallino), in vendita con la formula della multiproprietà che avrebbe comportato, al termine delle vendite, un fatturato finale di lire 34 miliardi”.
La Dia riscontra che la Sigi Srl “è rappresentata da Mattarella Antonino che, il 24 settembre 1990, deteneva azioni pari al 52% dell’intero capitale sociale”.
La Sigi “nel 1986 — scrive la Dia — controllava sia la Multihotels Italia, operante anche a Marilleva, sia la Iniziative Turistiche Cortinesi (proprietaria di un fabbricato in via Roma a Cortina, ndr), sia la Promotel che aveva rilevato i debiti della Cortina Sport Spa proprietaria dell’immobile Mirage”.
La Dia poi racconta le vicende del processo per abuso edilizio per l’hotel Mirage, che non coinvolge Mattarella e scrive “in tale occasione il procuratore di Belluno, Gianni Griguolo, produceva un fax datato 15 ottobre 1996 del pm della Dda di Roma Andrea De Gasperis, il quale comunicava che quell’Ufficio stava procedendo nei confronti di Antonino Mattarella, Giuseppe Ruggirello, Riccardo Lo Faro, Enrico Nico-letti e Mario Chiappini” per riciclaggio e reimpiego di capitali con aggravante di mafia ex articolo 7.
“Dall’incarto processuale”, prosegue la Dia, “emerge che il 26 gennaio 1990 viene stipulato in Roma un preliminare tra la Pro-motel Srl, rappresentata da Antonino Mattarella e la signora Maria Grazia Battistini, moglie dell’allora Ambasciatore d’Italia a Lisbona, nel quale la prima promettedi cedere due unità immobiliari con altrettanti posti macchina, ubicati nell’immobile Mi-rage, al prezzo di 618 milioni di lire. Tra le parti scaturì un contrasto per l’inadempienza della Promotel Srl che non riusciva a rogitare. Il pm di Belluno, ravvisando nel comportamento del Mattarella Antonino l’ipotesi del reato di truffa aggravata, trasmise gli atti all’a.g. di Roma. La Battistini — prosegue la Dia — si prodigò al fine di ottenere la restituzione dell’intera somma già versata, e riferì al pm di aver ricevuto una telefonata da parte di certo “Ruggirello” qualificatosi come direttore della società di consulenza finanziaria Gepi Spa di Trapani, il quale, affermando che si trattava di una telefonata circolare a tutti i creditori del Mattarella Antonino la invitava a’pazientare sulla sistemazione delle vicende patrimoniali del Mattarella, avvertendo con tipico stile mafioso che era meglio non fare scandali perchè altrimenti avremmo rischiato di perdere tutto ed anche perchè il fratello non voleva scandali …’”.
La Dia non esplicita chi è il fratello ma in un altro passo ricorda “l’onorevole Sergio Mattarella”.
“Peraltro tale circostanza — prosegue la Dia — è stata ribadita dalla Battistini il 12 aprile 1995 nel dibattimento quando aggiungeva inoltre che nella telefonata erano state esternate velate minacce alla carriera del marito”.
In Sicilia il detto “ambasciator non porta pena” non vale.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 31st, 2015 Riccardo Fucile
SU MATTARELLA, IMPOSIMATO E DINTORNI
Prima o poi doveva capitare. Ci tocca giustificarci per il peccato mortale di dare troppe notizie. Alcuni
commentatori sul nostro sito, che evidentemente preferisco non sapere e dunque hanno sbagliato giornale, ma anche Giuliano Ferrara e Giampiero Mughini, non si danno pace perchè il Fatto ha raccontato gli altarini e gli scheletri negli armadi dei candidati al Quirinale.
Compresi quelli di Imposimato, il prediletto del M5S di cui secondo qualche buontempone saremmo l’house organ.
E soprattutto quelli di Mattarella, che oggi — salvo sorprese — dovrebbe essere eletto capo dello Stato.
Apriti cielo, lesa maestà .
Se la prendono con noi che facciamo il nostro mestiere, anzichè con i lecchini preventivi dei giornaloni che si portano avanti col lavoro e allungano le lingue per beatificare il futuro presidente come un genio, un eroe, uno statista di fama planetaria, dalla “schiena dritta”, anzi “di fil di ferro”, “sobrio” come e più di Monti, capace perfino di “sorridere” (così almeno giura un compagno di scuola scovato prodigiosamente dalla Stampa), senza spiegare come fu che cotale pepita d’oro sia rimasta per tutti questi anni a prender polvere e muffa nelle soffitte del Palazzo. Abbiamo già detto e ripetiamo volentieri che Sergio Mattarella è un brav’uomo e non risulta aver commesso reati (è stato assolto nell’unico processo subìto).
Ma in Italia ci sono decine di milioni di brav’uomini e brave donne come lui, magari anche un po’ meno incolori, inodori e insapori, che però non diventeranno mai presidenti della Repubblica, e nemmeno di una bocciofila, perchè per diventare capo dello Stato si richiede forse qualcosa in più.
Probabilmente Mattarella sarà un discreto presidente, com’è stato un discreto politico, un discreto ministro, un discreto giudice costituzionale. Come sempre, lo giudicheremo da quel che farà .
Poteva andare peggio? Certo, molto peggio: basta scorrere il lombrosario degli altri candidati della Casta.
Poteva andare meglio? Certo, molto meglio: basta scorrere la lista dei candidati preferiti dagli italiani nei sondaggi, da Rodotà a Prodi a Zagrebelsky.
Personaggi diversi fra loro, ma inattaccabili sia personalmente sia per legami familiari e frequentazioni.
Ricostruire la biografia completa di Mattarella, andando oltre le agiografie dei turiferari, è per Mughini roba “da Gestapo”.
Per altri, nessuno dev’essere chiamato a pagare “le colpe dei padri, dei fratelli, dei coniugi, dei nipoti”. Il che è vero, se parliamo di un privato cittadino.
È falso se parliamo di un aspirante presidente della Repubblica.
Tantopiù nel caso di Mattarella, di cui viene continuamente ricordato come un merito il fratello ucciso da Cosa Nostra.
Manco ne avesse solo uno, di fratello. Noi ne abbiamo scoperto un secondo: Antonino, che da atti giudiziari risulta in rapporti d’affari con Enrico Nicoletti, cassiere e non solo della Banda della Magliana.
E ci è parso giusto ricomporre il quadro famigliare completo. Poi, di queste informazioni, ciascuno farà l’uso che crede.
Nessuno vuole mandare in galera o punire Sergio Mattarella perchè ha accettato contributi elettorali da un imprenditore mafioso, perchè è stato eletto in Trentino con firme false o per gli affari discutibili del fratello vivo.
Ma è giusto che la gente sappia tutto di lui, specie i grandi elettori che oggi dovranno scegliere se votare per lui o per un altro candidato privo di quei talloni d’Achille.
Nelle democrazie, non nel Terzo Reich, funziona così.
Jimmy Carter, l’uomo più potente del mondo ai suoi tempi, dovette rispondere dei traffici e perfino del tasso alcolico di suo fratello Bill.
Margaret Thatcher finì al centro di polemiche per i business controversi del marito e poi del figlio.
Yitzhak Rabin dovette lasciare la guida del governo israeliano per gli affari della moglie.
L’attuale premier Bibi Netanyahu ha passato guai infiniti per le spese allegre della signora Sarah.
Il penultimo presidente della Repubblica tedesco Christian Wulff ha dovuto prima difendersi dalle accuse sul passato a luci rosse della seconda moglie e poi dimettersi per presunti favori a lui e alla consorte: nella Germania della Merkel, non della Gestapo.
E persino in Italia il presidente Giovanni Leone dovette lasciare anzitempo il Quirinale per una campagna politico-giornalistica sulle presunte magagne dei suoi familiari.
Oggi si parla molto del padre di Renzi, imputato per bancarotta fraudolenta, e di quello della Boschi, vicepresidente della Banca Etruria.
Il privato, per l’uomo pubblico, non esiste. Soprattutto se l’interessato siede ai vertici dello Stato.
E l’obiezione “non è mai stato condannato” — tipicamente giustizialista, anche se la usano i presunto antigiustizialisti — vale meno di una cicca: esistono fatti, circostanze, parentele, amicizie, frequentazioni, rapporti, conflitti d’interessi che non sono rilevanti sul piano penale, ma lo sono su quello morale, o politico, o della prudenza e dell’opportunità .
In un paese di ricattatori e di ricattati, basta poco, pochissimo, per accumulare dossier e condizionare un potente.
L’unico modo per sventare i ricatti e tenerne al riparo le istituzioni è pubblicare tutto, cosicchè chi può ne faccia tesoro ed escluda dalle cariche pubbliche personaggi magari individualmente ineccepibili, ma potenzialmente ricattabili.
È questo il compito della libera stampa: scavare, passare ai raggi X, informare, mettere sull’avviso, fornire a chi di dovere tutti gli strumenti affinchè — diceva Einaudi — possano “conoscere per deliberare”.
Se poi scelgono la persona sbagliata, non potranno dire che nessuno li aveva avvertiti.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 31st, 2015 Riccardo Fucile
CINQUESTELLE SENZA STRATEGIA, MINORANZA PD ESULTA PER NULLA, VINCE SOLO IL BARO CHE GIOCA SU PIU’ TAVOLI… E POI BASTA CON LE IPOCRISIE: MATTARELLA NON E’ LA “MADONNA DELLA TRASPARENZA” DA PORTARE IN PROCESSIONE
Tra poche ore un vecchio notabile siciliano che ha talmente un seguito nella sua terra di origine da farsi presentare in Trentino alle politiche del 2001 (con 18 inquisiti locali, rei di aver falsificato le firme di presentazione della lista e che se la sono cavata solo grazie alla prescrizione) raccoglierà oltre 600 voti e diventerà Presidente della Repubblica.
Un successo di Renzi?
No, semplicemente la sconfitta di quella Corte dei miracoli che in teoria rappresenta l’opposizione al suo regime.
Opposizione esterna e opposizione interna.
Renzi non ha mai perseguito la finalità costituzionale di un presidente scelto anche con le minoranze, ha indicato un solo nome, prendere o lasciare.
Renzi non voleva un candidato di prestigio che potesse oscurare la sua immagine e ha scelto il notabile più anonimo che fosse disponibile sulla piazza.
Non c’entra nulla il Patto del Nazareno violato, il premier oggi sta con Bersani come ieri con Silvio e domani con il diavolo: lo guida esclusivamente la personale convenienza, del resto se ne fotte.
Fa sorridere sentire Vendola contento di votare per un vecchio democristiano che voleva che Scalfaro raddoppiasse il mandato (come se non avesse già fatto abbastanza danni in sette anni).
E’ incredibile assistere ai contorcimenti dei Cinquestelle che hanno perso l’occasione di rompere il fronte avversario, proponendo Prodi fin dalla prima votazione, per insistere su un impresentabile Imposimato e restare col cerino in mano con le loro ridicole consultazioni on line.
E’ patetico Alfano che si fa ricattare dal bullo che ruba le merendine, quando basterebbe denunciarlo e mandarlo a casa: ma la dignità non alberga nell’Ncd e si preferisce pagare il pizzo pur di mantenere il locale aperto.
E’ ridicolo Berlusconi che cambia idea nel giro di 24 ore, sballottato delle correnti interne come su una nave in mezzo alla tempesta : un capitano che da un anno cede sulla rotta e che si fa fregare da un mozzo che si crede un pirata, finendo per non avere neanche più il controllo della ciurma ammutinata.
E nessuno di questi “illuminati” oppositori che abbia avuto il coraggio e l’intelligenza politica di dire una semplice verità : che Mattarella non è quella “madonna della trasparenza” quale Renzi vuol far apparire.
Basta leggere la storia del contributo elettorale accettato da un boss mafioso, le voci sul padre, le storie sul fratello e sul nipote, il figlio sistemato alla corte della Madia, come rivelato da pochi media indipendenti.
Bastava per 48 ore indicare questi fatti reali come motivo per il no a Mattarella e la sinistra avrebbe annaspato: invece tutti zitti per timore che il bullo gli portasse via le merendine.
Era l’occasione perchè tutte le opposizioni (anche quelle interne) individuassero un nome alternativo e Renzi stasera sarebbe tornato a scrocco a casa di Carrai, invece il bulletto continuerà a taglieggiare gli italiani e a favorire i poteri forti che lo proteggono.
Capitani di sventura che dovrebbero ora avere il coraggio di scendere a terra e dedicarsi al giardinaggio.
Sono gli Schettino del centrodestra, solo che l’inchino fatale lo hanno fatto a un rottame alla deriva, non al Giglio.
Scendete da bordo, cazzo.
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
FINISCONO TRAVOLTI DALLA FRONDA INTERNA… E SILVIO SI PERDE FORZA ITALIA
È più di una “resa” sul Quirinale, quella che si materializza quando Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si
telefonano per concordare che, sabato mattina, cederanno su Mattarella.
Il ministro dell’Interno ha già annunciato il suo sì attraverso Gaetano Quaglieriello in tv e, soprattutto, che lo ha già pronunciato di fronte a Matteo Renzi.
L’ultima notte dei comunicati ufficiali serve solo per aspettare l’ultima capriola di Berlusconi.
Dal paventato Aventino alla scheda bianca annunciata nel pomeriggio dal suo consigliere Giovanni Toti. Al possibile sì.
Perchè è l’ultima trattativa è nelle mani di Gianni Letta, impegnato a portare Berlusconi sul voto favorevole a Mattarella.
Dice una fonte vicina al dossier: “Se a questo punto votiamo scheda bianca, Berlusconi esce in minoranza nel suo partito. Meglio votare sì per salvare la faccia. Tutto il resto è perso”.
È più di una resa perchè è successo che Berlusconi (e Alfano) hanno perso totalmente il controllo dei rispettivi partiti.
Con truppe di parlamentari pronte a votare Mattarella, come atto di malessere verso la linea oscillante di Angelino, dentro Ncd.
E come atto di rivolta verso Berlusconi, il suo cerchio magico, Verdini, quelli che lo hanno condotto verso una disastrosa sconfitta politica, dentro Forza Italia: “Ha dato tutto — è il refrain – ci ha ammazzati, sacrificati con la legge elettorale e si è fatto scaricare senza incassare nulla”.
Succede che col passare delle ore, dentro i due partiti, il voto su Mattarella diventa il catalizzatore di malesseri, frustazioni, dissenso politico represso per mesi.
A metà giornata quasi una trentina di parlamentari di Area Popolare sono pronti a votare Mattarella, e una cinquantina di Forza Italia, la metà del gruppo.
Berlusconi e Alfano, i grandi azionisti fino a qualche giorno fa, del partito della Nazione sembrano due estranei a casa loro.
Ed è più di una resa perchè arriva dopo un azzardo. Che segna anche un rapporto tra i due — Berlusconi e Alfano – nuovamente incrinato.
E allora occorre partire dall’inizio, per capire le macerie del centrodestra alla fine della giornata di passione.
Da quando Silvio Berlusconi, furibondo, chiama Alfano nel tardo pomeriggio di giovedì. E gli fa la grande offerta. Che, vista la delicatezza della materia, la portavoce dell’ex premier non conferma.
Ma più di testimone vicinissimo al ministro dell’Interno e “oculare” nel caso di Berlusconi) racconta all’HuffPost: “Angelino, se apri la crisi andiamo dritti al voto e sarai tu il candidato del centrodestra”.
Ecco, la crisi di governo in cambio delle chiavi di casa. Subito.
Quello che Alfano voleva ai tempi della scissione. Prosegue il testimone: “Significava voltare pagina, intestarsi la ricostruzione del centrodestra. Per Alfano l’occasione della vita. Tornare da leader nella guida dei moderati ed emanciparsi da Renzi”.
Ma Alfano prende tempo.
Perchè, al fondo, ha paura di essere risucchiato da Berlusconi: “Non si fida” dicono i colonnelli del suo partito.
Già vede il film di una campagna elettorale devastante, all’ombra di un rinato Caimano, contro tutto e tutti: governo, nuovo capo dello Stato, procure.
Già vede le riunioni ad Arcore col cerchio magico e Dudù. È per questo che nella prima riunione coi suoi all’alba spiega che vuole tenere “il patto di consultazione con Forza Italia” ma che la linea è “scheda bianca”, senza forzature. Senza crisi.
Ed è una posizione che, col passare delle ore, rischia di scricchiolare, stretta tra la pressione di Berlusconi che per tutto il giorno gli chiede di forzare e quella di Renzi, furioso perchè non si è mai visto un ministro dell’Interno che vota contro il candidato al Colle del suo presidente del Consiglio.
Col passare delle ore, le truppe “non tengono”.
A metà mattinata, il senatore Castiglione ha già il consenso di una ventina di parlamentari di Area popolare, soprattutto siciliani, per “votare Mattarella”.
Il pallottoliere dice che possono salire fino a 30. Ma è la “mossa” di Berlusconi a trasformare il centrodestra in un campo di battaglia.
Perchè l’Aventino sul Quirinale era un’ipotesi che non doveva uscire.
Doveva rimanere riservata. Un conto è dirselo a telefono anche con dei testimoni, un conto è dirlo a un ufficio di presidenza.
Invece esce dall’ufficio di presidenza degli azzurri: “Forza Italia — battono le agenzie — valuta di non partecipare alle votazioni sul capo dello Stato”.
Parole che hanno l’effetto di fiammiferi accesi vicino a un candelotto di dinamite. Perchè già è anomalo che un ministro dell’Interno si astenga sull’elezione di un capo dello Stato proposto dal suo premier, ma l’uscita dall’Aula sarebbe la crisi.
È il Mezzogiorno di fuoco del centrodestra.
La prospettiva della crisi (e di elezioni) fa partire i “frenatori” sia dentro Forza Italia sia dentro Ncd.
Riunito a pranzo con i suoi, Fitto ci mette un secondo a pensare la contromossa. Ecco il ragionamento di Fitto, raccontato da un commensale: “Fanno l’Aventino e vogliono andare fuori dall’Aula? Ma no, questa è una cretinata. Non è una posizione politica, è uno sgarbo quasi personale a Mattarella. Noi non ci stiamo. E questa sera annunceremo che entriamo in Aula e votiamo scheda bianca, perchè come dice Berlusconi critichiamo il metodo e non la persona”.
A quel punto, nell’urna, Dio ti guarda, Berlusconi no, e il Padreterno non si dispiace se qualche voto va a Mattarella.
I “qualche voto” sono i 40 fittiani più i trenta di Area Popolare. Questi i numeri ufficiali, di quelli che ci mettono la faccia, dichiarano e firmano documenti. Nel segreto dell’urna sono ancora di più.
Le riunioni di Ncd sono un qualcosa a metà tra un ring e una seduta di autocoscienza. Volano parole grosse l’ala filo-berlusconiana (Lupi, De Girolamo, Saltamartini, pure Quagliariello è tra i duri) pronti alla crisi e i filogovernativi. Beatrice Lorenzin lavora tutto il giorno per una ricucitura politica con palazzo Chigi: per votare Mattarella — è il suo ragionamento – serve un appiglio.
E l’appiglio è una dichiarazione distensiva da parte di Renzi che svelenisca il clima consentendo ad Alfano si votare Mattarella senza perdere la faccia.
È quello che poi accadrà . E che scava un solco con Berlusconi.
L’ex premier, che solo una settimana fa sembrava il numero due del partito del Nazareno e fantasticava di un suo ingresso al governo assiste da Cesano Boscone alla rivolta del suo partito ed è costretto a una resa umiliante: dall’annuncio dell’Aventino al possibile quasi sì a Mattarella.
(da “Huffngtonpost”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
LA “COERENZA” DEL CANDIDATO GRILLINO: ORA INNEGGIA AI MAGISTRATI DI ROMA CAPITALE, MA NEL 1998 LANCIO’ ANATEMI CONTRO IL POOL DI MANI PULITE
Grazie ai “magistrati e inquirenti coraggiosi” che hanno scoperchiato Mafia capitale, e lotta dura alla “corruzione, una tassa occulta e immorale di 70 miliardi di euro”.
Così Ferdinando Imposimato guadagnava ovazioni dal palco della Notte dell’onestà del Movimento 5 Stelle, pochi giorni prima di vincere le Quirinarie online e diventare il candidato unico grillino al Colle.
Ma c’è stato un tempo in cui l’ex magistrato raccoglieva ovazioni di stampo esattamente opposto.
Specie nei passaggi in cui inquadrava nel mirino i magistrati milanesi che avevano dato il via all’inchiesta Mani pulite.
O meglio “alcuni investigatori al servizio di ex eroi e implacabili giustizieri che prendevano prestiti senza interessi dagli indagati”.
Riferimento diretto ad Antonio Di Pietro, a cui si doveva sbarrare la strada perchè era “un nemico dei partiti“.
LE OVAZIONI AL CONGRESSO DEI POST (MA NON TROPPO) CRAXIANI
Era il 9 maggio 1998, Imposimato interveniva a Fiuggi al congresso fondativo dello Sdi, i Socialisti democratici italiani.
Alla fine della lunga traversata nel deserto seguita al crollo del Psi di Bettino Craxi, all’epoca latitante ad Hammamet, le microsigle del socialismo italiano puntavano al rilancio con la nuova formazione di Enrico Boselli.
L’attacco più violento fu riservato ad Antonio Di Pietro, l’ex pm simbolo del pool di Milano diventato ministro per qualche mese nel governo di Romano Prodi, e che poi era confluito nei Democratici prodiani.
Così, parlando dei rapporti del nascente Sdi con il centrosinistra di governo, Imposimato lanciava la sua filippica contro “la scelta di inserire nel governo un personaggio politicamente squalificato. Chi si proclama nemico dei partiti”, si infervorava il futuro candidato presidente del Movimento 5 Stelle, “chi amministra la giustizia in modo parziale e settario al servizio proprio e di amici politici, chi ha violato le regole del giusto processo, chi è stato l’aguzzino dei socialisti non può essere accettato come alleato politico di coloro che hanno pagato un prezzo altissimo poichè questo equivarrebbe a legittimarne le malefatte e gli abusi” (qui sotto l’audio dell’intervento).
La platea socialista si scaldò così tanto che il moderatore fu costretto a placarla perchè si era già “in ritardo con l’ordine dei lavori”.
MANI PULITE? “VIOLATO IL GIUSTO PROCESSO”
Nell’intervento, Imposimanto ammetteva l’esistenza di un vasto sistema corruzione, tanto che esortava la nascente formazione a tenere lontani affaristi e delinquenti”, ma faceva proprie tutte le tesi preferite dai nemici giurati del pool di Milano.
Tutte le forze politiche erano coinvolte nelle tangenti, affermava, ma alcune “sono state ingiustamente salvate da un ex pm in cambio di favori politici e giudiziari”.
I magistrati, poi, avevano “violato i principi del giusto processo”.
Il Partito socialista di Craxi era stato “criminalizzato”, e continuava a esserlo. I socialisti erano diventati “capri espiatori perchè vulnerabili”.
Argomentazioni oggetto di un eterno dibattito, oggi non ancora spento, in parte confutate fatti alla mano dai protagonisti di uella stagione, ma che appaiono comunque poco in sintonia con gli umori del Movimento che ha portato a Imposimato 126 voti al terzo scrutinio per la scelta del successore di Napolitano.
Per esempio si ricorda l’inziativa dei grillini in Commissione cultura della Camera nel novembre 2013: chiesero addirittura di cancellare il termine “socialista” dalla legge che proponeva di istituire un premio in memoria di Giacomo Matteotti.
E certamente Beppe Grillo è il titolare di battute tra le più feroci sul Psi craxiano (“Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?”, anno 1986 ed espulsione immediata dagli schermi Rai).
Contraddizioni in seno al popolo (della Rete), avrebbe detto Mao.
In quegli anni Imposimato fu protagonista di una feroce campagna contro il pool Mani pulite, come ha ricordato Marco Travaglio nei giorni scorsi su Il Fatto Quotidiano. Attaccava il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli e si schierava a favore di Renato Squillante, capo dei gip di Roma arrestato nell’inchiesta Imi-Sir cche vedeva protagonista Cesare Previti, condannato in primo e secondo grado, alla fine e assolto in Cassazione, ma con motivazioni che rilevavano il suo comportamento “non in linea con i doveri deontologici”.
IN TV PER “GRAZIARE” IL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
C’è però un’altra ombra nella biografia dell’ex magistrato, ben più spessa delle opinioni sull’inchiesta che ha scoperchiato Tangentopoli.
Nel 1992 Ferdinando Imposimato, diventato nel frattempo senatore del Pds, si presentò sul palco del Maurizio Costanzo Show per perorare l’innocenza di Domenico Papalia, il capo dei capi della ‘ndrangheta trapiantata in Lombardia.
Papalia era stato condannato definitivamente all’ergastolo per l’omicidio del boss Antonio D’Agostino, avvenuto nel 1977, ed era stato lo stesso giudice istruttore Imposimato a incriminarlo e a firmare l’ordine di arresto.
Ora ne chiedeva la liberazione. “C’erano sufficienti indizi per rinviarlo a giudizio, ma non per la condanna”, tornò a dire pochi giorni dopo al Corriere della Sera.
A restare allibiti furono questa volta altri magistrati milanesi, come ricostruiscono Gianni Barbacetto e Davide Milosa in “Le mani sulla città ” (Chiarelettere).
A cominciare da Alberto Nobili, che dalla neonata Direzione distrettuale antimafia stava chiudendo l’inchiesta Nord-Sud che avrebbe smantellato il clan di Papalia, basato a Buccinasco, le cui seconde generazioni sono coinvolte oggi in nuovi processi per mafia.
Da magistrato, Imposimato aveva seguito importanti inchieste su terrorismo e mafia, e aveva sofferto sulla propria pelle la violenza mafiosa quando, nel 1983, la camorra aveva assassinato suo fratello Franco.
La campagna a favore del boss toccherà il culmine con un’apparizione su Raidue con una figlia di Papalia e Antonio Delfino, fratello giornalista del generale dei carabinieri Francesco.
I Delfino sono originari di Platì, il paese aspromontano da cui provengono anche i Papalia, clan di grande spessore e accreditato di contatti ad alto livello anche nei servizi segreti.
Scriverà in proposito il giudice Guido Piffer negli atti dell’inchiesta Nord-Sud: “Il senatore Imposimato è stato utilizzato, è il caso di dirlo, da scaltri manovratori, senza contare il suo preoccupante, se vera l’ipotesi, non potersi tirare indietro da pressioni o minacce provenienti da ambienti non certo di frati trappisti”.
Imposimato respingerà con sdegno l’ipotesi di essere stato manovrato.
L’aspirante al Colle non disdegna le battaglie controverse.
Uno dei suoi libri, “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perchè Aldo Moro doveva morire? La storia vera”, sosteneva il ruolo dei servizi segreti di mezzo mondo, dalla Cia al Mossad passando per la Stasi, nel sequestro e nell’assasinio del presidente della Dc a opera della Brigate rosse, con pesanti responsabilità di Cossiga e Andreotti.
Tesi per la verità tornate in auge negli ultimi mesi con l’autorevole timbro del pg di Roma Luigi Ciampoli.
Ma la fonte principale della controinchiesta di Imposimato, l’ex brigadiere della Guardia di Finanza Giovanni Ladu, che si era presentato come un ex appartenente alla rete Gladio, è attualmente è indagato per calunnia a Roma.
Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
IL BLOG DI GRILLO PUBBLICA L’ARTICOLO DEL GIORNALISTA SANI: “MATTARELLA NEGO’ L’EVIDENZA”
Negò il nesso tra l’utilizzo dell’uranio impoverito e l’insorgere delle patologie tra i nostri militari: ergo,
Sergio Mattarella non è degno di diventare il capo dello Stato.
Una stroncatura. A tutti gli effetti.
Il blog di Beppe Grillo ha pubblicato (e poi rilanciato con un tweet) un articolo di Lorenzo Sani, inviato del Resto del Carlino.
“Ho avuto occasione di incontrare il candidato di Renzi al Quirinale, Sergio Mattarella, quando questi era ministro della Difesa del governo Amato — ha scritto Sani — Lavoravo da qualche mese sulla vicenda dell’uranio impoverito e sull’impressionante numero di leucemie linfoblastiche acute e linfomi tra i nostri militari che erano o erano stati in missione nei Balcani, soprattutto in Bosnia, ma non solo. Sergio Mattarella negò a più riprese il possibile nesso tra l’insorgere delle patologie e il servizio”.
Non solo. A leggere l’articolo del cronista, Sergio Mattarella “negò che la Nato avesse mai utilizzato proiettili all’uranio impoverito (DU, Depleted Uranium), tantomeno che questo fosse contenuto nei Tomahawk (missili) sparati in zona di guerra dalle navi Usa in Adriatico.
Insomma, Mattarella, candidato di Renzi al Quirinale, negò su tutta la linea.
Negò pure ciò che era possibile reperire nei primi giorni di internet sugli stessi siti della Difesa Usa, che magnificava l’efficacia degli armamenti al DU e dettava, contestualmente, le precauzioni sanitarie da adottare in caso di bonifica: protocolli di sicurezza molto rigidi, che prevedevano l’utilizzo di tute, guanti e maschere protettive, per svolgere il lavoro che invece a mani nude e senza protezioni facevano i nostri soldati. I quali, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi e morire…”.
Il 27 gennaio 2001, ha raccontato infine Lorenzo Sani, “avvicinai Mattarella nella ressa dei giornalisti e riuscii a porgli un paio di domande, alle quali, assai piccato, si rifiutò ancora una volta di rispondere.
O meglio, anche in quell’occasione negò qualsiasi nesso tra DU e i linfomi o le leucemie. Fantasie della stampa. Provai a insistere, ma lui mi respinse con toni e modi definitivi”.
“Mattarella girò i tacchi se ne andò — ha concluso il giornalista — così mi beccai anche il rimprovero dei colleghi perchè avevo fatto scappare il ministro con domande ‘fuori temà ““.
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
UN CATTOLICO ALLA GUIDA DEL MAGGIORE PARTITO DI SINISTRA E AL GOVERNO… E PURE PER IL COLLE LA STRADA È QUELLA
Il moroteo Pino Pisicchio ancora non ci vuole credere. Il ritorno in sella della Democrazia Cristiana a 23 anni di distanza dall’ultimo governo Andreotti.
Non ci vuole credere, Pisicchio: un suo compagno di corrente al Quirinale, un promettente erede della scuola scudocrociata a Palazzo Chigi.
“Il punto è: lo vuole davvero o no?”, si domanda il presidente del gruppo Misto quando in Transatlantico si diffonde la voce che il Pd potrebbe votare Mattarella già al primo scrutinio.
“Se lo vuole davvero non lo mette al primo voto, almeno così funziona la grammatica politica con cui sono cresciuto. Ma lo psicoanalista Matte Blanco insegna che esiste la bi-logica: la logica del ragionamento e quella onirica. Ognuno ha il suo sogno, e chi lo sa qual è il sogno suo?”.
Pisicchio si augura che il miraggio sia lo stesso. La Terza Repubblica che (ri)comincia con due democristiani.
Pensare che è tutto merito di un comunista.
Di quel Giorgio Napolitano che scelse la via di Monti dopo l’addio di Berlusconi. Lo stesso che ha preferito Enrico Letta a Pier Luigi Bersani.
Ancora quello che ha portato Matteo Renzi dritto al governo senza passare per le elezioni.
Qualcuno ha voluto sottolineare l’eterno ritorno anche nel segreto del catafalco: “Arnaldo Forlani”, scandisce la presidente Laura Boldrini a spoglio appena iniziato. Un voto per l’ex segretario della Dc che — a proposito di Quirinale — nel ’92 fu costretto a ritirare la sua candidatura, impallinato dai franchi tiratori del suo stesso partito.
Roberto Calderoli fa il suo ingresso a Montecitorio con in mano un plico di fogli fotocopiati.
È una prima pagina del Manifesto del 1983: “Non moriremo democristiani — si legge — (se questo terremoto sveglia Pci e Psi)”: lo scudo-crociato era precipitato al 32 per cento e i comunisti di Enrico Berlinguer si erano pericolosamente avvicinati al 30.
La storia è andata come è andata: la Dc è formalmente morta e informalmente resuscitata nel Pd di Matteo Renzi.
Non parla, la minoranza democratica.
Ci pensa Augusto Minzolini a decretare che “la cultura socialdemocratica è ormai una componente residuale” del partito nato sulle ceneri di Ds e Margherita.
Sostiene il falco di Forza Italia: “Ma vi rendete conto che era dai tempi di De Mita che non c’erano due democristiani al potere? E vi vorrei far notare che anche all’epoca fu l’unico caso dell’intera Prima Repubblica in cui il presidente del Consiglio era contemporaneamente segretario del partito”.
Un Pier Ferdinando Casini in gran spolvero dà di gomito al candidato: “È un’ottima persona: lo conosco da quando siamo entrati insieme alla Camera nel 1983”.
E in giro per il Transatlantico tutta la brigata degli ex popolari è in brodo di giuggiole. Si incrocia un Beppe Fioroni che cammina a un metro da terra.
Rosy Bindi, sulle barricate con Matteo fino all’altro ieri, è radiosa. “È una bella giornata. Non posso che essere contenta del nome di Sergio Mattarella”.
Alla buvette, mentre festeggia con il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini la lieta novella, racconta la telefonata che le ha dato il buongiorno (l’interlocutore lo possiamo solo immaginare): “Adesso te lo posso raccontare: mi ha chiamato stamattina per dirmelo, gli ho detto ‘segnati anche il numero di casa’. Mi ha risposto: tanto ti richiamerò tra dodici anni”.
Pierluigi Castagnetti è stato il regista dell’operazione: è lui che ha fatto da garante nel nuovo patto tra Renzi e Mattarella.
Ma la benedizione più di peso è quella di Napolitano: “Sono contento dell’indicazione di Mattarella, è l’uomo giusto per garantire il percorso delle riforme istituzionali. È una persona di assoluta lealtà , correttezza, coerenza democratica e alta sensibilità costituzionale”.
Voleva che il suo successore non buttasse all’aria tutto il lavoro che ha tessuto nei suoi nove anni al Quirinale. Lo ha trovato.
Ancora una volta è un democristiano.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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