Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
IL PROCESSO SUI RILEVATORI DIFETTOSI DELLE NEW TOWN NON PARTE MAI E DOPO 5 ANNI DI RINVII ARRIVERA’ LA PRESCRIZIONE
Cinque anni e non parte mai: l’ipotesi che il processo per gli isolatori a rischio delle C.a.s.e. «antisismiche» de L’Aquila, di rinvio in rinvio, finisca in prescrizione sta diventando un incubo. Quanti vivono in quelle abitazioni e gli italiani che pagarono cifre spropositate per la «ricostruzione modello» (sic…) hanno diritto a sapere: gli imputati sono innocenti?
Vadano assolti. Ma se sono colpevoli devono pagarla. E pagarla cara.
Un passo indietro.
Venti giorni dopo il terremoto del 6 aprile 2009 il governo Berlusconi vara il progetto C.a.s.e. per costruire 19 «new town» per un totale di 4.600 appartamenti antisismici.
Per capirci: moderne palafitte su innumerevoli pilastri che in alto, dove il «capitello» regge la piastra di cemento del pavimento, sono dotate di un meccanismo di acciaio in grado di attenuare con l’elasticità l’impatto delle scosse. Una soluzione giusta.
Purchè sia tutto scientificamente in regola.
Sei mesi dopo, un’inchiesta di Ezio Cerasi e Claudio Borrelli su Rainews24 denuncia invece molti dubbi sulla affidabilità di una parte dei 7.368 «isolatori a pendolo scorrevoli» approvati dalla Protezione civile. Gianmario Benzoni, un ingegnere italiano che insegna da anni alla Università di San Diego, dove dirige il laboratorio di test antisismici della Caltrans, laboratorio all’avanguardia mondiale data l’attenzione dedicata dalla California all’ipotesi del «Big One», spiega infatti che «la serie di test deve essere molto più estesa di quelle effettuate all’Eucentre di Pavia, perchè l’isolatore a pendolo o funziona perfettamente o non funziona affatto».
Salta fuori così che soltanto uno dei due fornitori degli isolatori, la Fip di Padova, ha ottenuto il «bollino» Eta (European technical approval) dopo aver superato i test di laboratorio che sollecitano le strutture simulando strappi tellurici in tre direzioni, come nei terremoti veri.
E che i laboratori Eucentre di Pavia dove sono stati testati gli isolatori Alga, messi sotto accusa, hanno come referente lo stesso Gian Michele Calvi che ha la supervisione di tutto il progetto C.a.s.e. aquilano.
Nell’aprile 2010 la magistratura rompe gli indugi, acquisisce il servizio giornalistico e apre un’inchiesta ipotizzando una turbativa d’asta e una frode in pubbliche forniture.
Il tempo che le indagini mettano a fuoco le responsabilità e l’avvocato dell’azienda milanese Stefano Rossi, ricorda un’Ansa, riconosce implicitamente che qualcosa non è andato per il verso giusto tanto che «parla di “oltre 2.000 dispositivi” che la stessa Alga intende sostituire prima dell’esito dell’incidente probatorio previsto ad ottobre».
La perizia, scritta dai docenti Alessandro De Stefano e Bernardino Chiaia del Politecnico di Torino, è netta: gli isolatori forniti dalla Alga di Milano «presentano materiali diversi da quelli forniti in gara», l’acciaio non è come previsto di 2,5 millimetri ma solo di 2, esistono «criticità ai fini del funzionamento e della sicurezza» e altro ancora.
I dispositivi, infatti, «hanno mostrato maggiore criticità , legata soprattutto al fenomeno “stick-slip”».
Per banalizzare: sotto l’urto di un terremoto il meccanismo, se non è perfetto, può «ingripparsi». E a quel punto non serve a niente: «La campagna di test sul dispositivo Alga Assergi 1610 ha indotto un grave danneggiamento del dispositivo stesso spiegabile come conseguenza del fenomeno stick-slip».
Per carità , aggiunge il perito, «nonostante ciò il dispositivo danneggiato si è rivelato sufficientemente robusto da giungere positivamente alla conclusione dell’intero programma del protocollo di “Serie 2”».
Ma «la positiva performance di un isolatore danneggiato pone, in ogni caso, un interrogativo sull’affidabilità ». Tanto più che le normative nazionali o europee vigenti «non sempre possono essere sufficientemente rappresentative e cautelative» perchè «non includono componenti a frequenza relativamente elevata come quelle presenti nei terremoti reali».
Le foto a pagina 98 della perizia, che pubblichiamo, dicono tutto: sotto sforzo nei laboratori californiani di San Diego, il meccanismo si è rotto.
Nell’ottobre 2013 il tribunale aquilano scagiona la seconda azienda coinvolta nelle forniture e condanna a un anno di carcere (rito abbreviato) l’ex braccio destro di Guido Bertolaso e responsabile della realizzazione del progetto C.a.s.e. Mauro Dolce.
Parallelamente, il gip rinvia a giudizio i due protagonisti principali, cioè il direttore dei lavori Gian Michele Calvi (già tirato in ballo per il contestatissimo disinquinamento alla Maddalena) e Agostino Marioni, l’amministratore di quella Alga Spa che fornì 4.899 degli isolatori finiti sotto inchiesta.
Da quel momento, un tormentone.
Convocazioni di testimoni e periti («andiamo avanti e indietro senza che ci facciano la grazia di avvertirci», accusa il sismologo Alessandro Martelli, dell’International Seismic Safety Organization, uno dei primi a esprimere dubbi), richieste di aggiornamento per «mancata notifica», eccezioni procedurali, cavilli, rinvii…
E non c’è verso che il dibattimento entri finalmente nel vivo.
Essere pessimisti è il minimo: il processo per l’incendio di una grande pineta vicino alla città scoppiato nel 2007 a causa degli errori e della superficialità degli addetti di un cantiere autostradale, spiega sconfortato l’avvocato Lorenzo Cappa, che tutela i terremotati del «Comitato 3 e 32», non è ancora arrivato all’udienza preliminare.
Dopo quasi otto anni. Va da sè che il rischio che anche lo scandalo degli isolatori evapori nel nulla è sempre più alto: la legge prevede che il reato si prescriva entro un termine pari alla pena massima stabilita per il fatto, 5 anni nel caso dell’accusa di frode nelle pubbliche forniture di questo processo, sostengono gli ambientalisti.
E sulle date si annuncia un braccio di ferro. Certo, spiega l’avvocato Cappa, possibili «eventi interruttivi» potrebbero portare a un allungamento fino a 7 anni e mezzo. Cassazione compresa, però. E per quella data, secondo AbruzzoWeb, «sarà già tanto se l’attuale giudice sarà riuscito a emettere la sentenza di primo grado…».
Il punto è che non di parla di un processo qualunque.
Per quanto fossero sfacciate le spese per altre «emergenze» aquilane, come le 45 ciotoline d’argento di Bulgari da 500 euro l’una o le penne stilografiche da 433 euro l’una per gli ospiti del G8, i soldi spesi per gli investimenti sugli isolatori antisismici sono molto più importanti.
Dal loro funzionamento, dalla loro qualità , dalla loro manutenzione dipende la pelle stessa dei terremotati ai quali era stata garantita (oltre allo champagne nel frigo…) una sicurezza pressochè assoluta.
Lo Stato deve mettere la faccia, in questo processo.
E guai se, per sciatteria o per distrazione, la dovesse perdere…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
ASSOLTO PER 4 ASSUNZIONI, SOTTO PROCESSO PER ALTRE QUATTRO…E ARRIVA LA DENUNCIA PER LA VACANZA SULLA NEVE COL VOLO DI STATO
Corte dei Conti che va, Corte dei Conti che viene. 
Solo pochi giorni fa Matteo Renzi informava gli italiani di essere stato assolto dalla magistratura contabile: “La Corte mi aveva condannato a pagare 14mila euro per un atto della Provincia di Firenze. Ho subìto attacchi e sceneggiate del M5S in Parlamento, polemiche violente. Oggi una piccola soddisfazione: l’appello ha annullato la condanna e la verità viene finalmente ristabilita”.
La vicenda era questa: nel 2011 Renzi era stato condannato (14mila euro di multa) per un danno erariale quantificato in oltre 2 milioni causato quand’era presidente della Provincia di Firenze.
In sostanza aveva assunto 4 persone, sprovviste di laurea, con un contratto (e relativo stipendio più alto) riservato ai laureati . Assolto, dunque.
Restano aperti, comunque, altri filoni d’indagine: l’assunzione di 4 direttori generali della Provincia invece dell’unico previsto dalla legge e un procedimento per i compensi assegnati quand’era sindaco di Firenze.
Purtroppo per Renzi, però, i suoi problemi con la Corte dei Conti non finiscono qui. Da ieri, infatti, il Movimento 5 Stelle ha aperto il fronte “voli di Stato” presentando un articolato esposto — firmato dai deputati Paolo Romano e Luigi Di Maio — alla Procura del Lazio.
I fatti sono più o meno noti: alle 17.25 del 30 dicembre l’Airbus A319 dell’Aeronautica militare con a bordo il presidente del Consiglio atterra all’aeroporto di Ciampino, Roma, di ritorno da una visita di Stato in Albania.
Alle 18.01 un Falcon 900 — sempre militare — riparte da Roma: atterra a Firenze alle 18.50 e da lì riparte alle 19.29 per atterrare definitivamente ad Aosta alle 20.25 (peraltro l’aeroporto Corrado Gex non potrebbe funzionare dopo il tramonto).
Il giorno dopo si saprà che Matteo Renzi e famiglia — appositamente caricata in Toscana — si godono qualche giorno di vacanza sulle nevi di Courmayeur, ospiti del Centro addestramento alpino.
Il racconto è confermato — dopo le prime polemiche, che datano alla prima settimana di gennaio — da Palazzo Chigi in una nota: il volo e il resto sono avvenuti “nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza che regolano gli spostamenti del presidente del Consiglio, in linea con quanto avviene per i capi di governo di tutto il mondo”. Tralasciando come si fa nel resto del mondo, che è materia parecchio variegata, quel che non torna — secondo l’esposto l’uso di un aereo di Stato per andarsene in vacanza con la famiglia (peraltro passandola a prendere con apposito scalo a Firenze).
La direttiva del 2011 che regola la materia prevede che l’aereo sia a disposizione delle più alte cariche dello Stato, tra cui il premier, “per attendere più efficacemente allo svolgimento dei compiti istituzionali” e su tratte in cui non “sia presente il trasporto ferroviario”.
Pure sulla sicurezza, il Dpcm del 2008 ritiene necessario ci siano “rilevanti ragioni” per concedersi un volo pagato dai cittadini.
Infine c’è il problema della presenza della famiglia: chi viaggia sui voli di Stato deve essere almeno “funzionale allo svolgimento della missione”.
Adesso bisognerà vedere come la Corte dei Conti valuterà i giorni sugli sci dei Renzi: vacanza o missione?
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
SILVIO: “VALETE L’1,3%”…. LA REPLICA: “SEI UN ABUSIVO”
Alle otto di sera, i ribelli fittiani si spellano le mani sui tamburi di guerra.
Battono a più non posso: “Ci caccia? Semmai siamo noi che cacciamo lui. Forza Italia è anche il nostro partito. Chi fa le espulsioni o le sospensioni? I probiviri? Ma chi sono, chi li nomina? Non abbiamo celebrato alcun congresso. Pure il presidente viene nominato dal congresso. E se il presidente è abusivo, senza dimenticare che nello statuto questa carica non può essere svolta da chi ha un impedimento?”.
E se non c’è soluzione? “Faremo un partito conservatore”
La scomunica in assemblea e lo sherpa
A un lustro dal fatidico “che fai mi cacci?” d’imperitura memoria finiana, Silvio Berlusconi torna a minacciare espulsioni e sospensioni.
Stavolta tocca all’ex governatore bambino della Puglia, il democristiano Raffaele Fitto.
La scomunica però non è pubblica, come cinque anni fa nell’auditorium di via della Conciliazione. Avviene al chiuso dell’aula dei gruppi parlamentari azzurri a Montecitorio.
Senatori e deputati si riuniscono per prendere atto della fine del patto del Nazareno. Berlusconi si presenta con un’insolita relazione scritta, insolita per lui, e si assume tutte le responsabilità per il fallimento dell’accordo.
Le colpe della rottura vengono addebitate al Partito democratico. Non c’è la citazione diretta di Matteo Renzi. La frase chiave è questa: “Se c’è una responsabilità quella è solo la mia perchè io ci avevo creduto e sperato fino in fondo. Ma adesso sarebbe ottuso e nefasto proseguire. L’alleato è Salvini, ma non gli daremo le chiavi del centrodestra, noi rimaniamo centrali”.
In pratica, salva Denis Verdini, lo sherpa del Nazareno.
I 37 disertori e la manifestazione all’Eur
Ed è proprio questo il passaggio che provoca la diserzione di massa dei 37 ribelli fittiani (il loro capo, invece, è assente giustificato in quanto europarlamentare). Avvisati in anticipo della mossa berlusconiana di non toccare nessuno, i 37 non si presentano.
Un’altra provocazione, dopo la conferenza stampa della scorsa settimana convocata mentre si teneva l’ufficio di presidenza di Forza Italia.
E prima della manifestazione dei “Ricostruttori” che si terrà il 21 febbraio a Roma, non più in un teatro (“troppo piccolo per le adesioni che stiamo ricevendo”) ma in una struttura più grande all’Eur.
Tre mesi di sospensione e l’attesa di un’ora
Così quando si apre il dibattito sulla relazione, esplode la questione dell’assenza dei fittiani. E Silvio minaccia di cacciarli: “Devono decidere cosa fare, o dentro o fuori. Hanno una settimana di tempo per decidere. E se vanno via prenderanno l’1,3 per cento”.
Si parla di una sospensione di tre mesi. Al telefono da Strasburgo, Fitto annuncia: “Aspetto un’ora la smentita. Poi farò una nota”.
E la nota arriva: “Ci cacci perchè abbiamo avuto ragione sulle riforme, e, purtroppo, su tutto il resto? Perchè troviamo surreale il passaggio in due giorni da Forza Renzi a Forza Salvini? Dunque, processo popolare? Caro presidente, meglio esserti antipatico e non abile nello sport dell’ossequio a corte, ma utile e sincero. Te lo dico con amarezza: stai ancora una volta sbagliando tutto”.
L’appello al Tribunale e il modello Cameron
Rispetto alla “cacciata” di Fini e dei finiani c’è una grossa differenza.
Fitto e i fittiani faranno le barricate sino all’ultimo, non escludendo il ricorso al tribunale civile in caso di procedimenti disciplinari sanzionati da un partito che non ha celebrato un congresso nazionale.
In ballo ci sono la gestione di Forza Italia e la sua organizzazione interna. I ribelli hanno anche un retropensiero pesante: “Siamo sicuri che la faccia feroce di Berlusconi sul Nazareno sia vera? Oppure si fa tenere a bagnomaria da Renzi che ha rinviato a maggio la Salvasilvio?”.
I toni tra le due fazioni sembrano escludere una convivenza futura. Si apre, allora, lo scenario di una nuova scissione.
Un raggruppamento conservatore di Fitto modello Cameron, a metà strada tra i popolari europei e i lepenisti.
Ieri B. ha chiuso la riunione dando appuntamento al 9 marzo, quando tornerà libero: “Quel giorno vi trasformerò tutti in rivoluzionari”. Tutti meno 37. Una rivoluzione per sottrazione.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
ESISTE UN’ITALIA CHE VA MATTA PER LE RIBOLLITE, SILVIO PUO’ ANCORA SPERARE
Berlusconi ha annunciato che dal 9 marzo sarà «di nuovo pienamente in campo». 
In tempi e nazioni normali sarebbe un’affermazione patetica. Un politico di quasi ottant’anni con la fedina penale macchiata che si butta alla riconquista dell’elettorato perduto in un ventennio di promesse deluse.
Quello che fu il suo popolo è ormai matteizzato: i moderati ascoltano le sirene di Renzi e gli estremisti palpitano per le felpe di Salvini.
Spazio in mezzo non ce n’è. O forse non ce n’era.
Perchè l’altra sera è accaduto l’imponderabile.
Sul palco di Sanremo, Albano e Romina hanno rimediato un formidabile 59% di share, spalancando ghiotte prospettive nostalgico-canagliesche all’Highlander di Arcore.
Esiste un’Italia che va matta per le ribollite. Che rivaluta il kitsch, illudendosi di averne preso le distanze.
Ed è sempre smaniosa di sciogliersi davanti allo spettacolo ad alto tasso lacrimatorio di una riunificazione.
Certo, l’impresa è improba. Per toccare le corde profonde dei fan di «Felicità », Berlusconi non dovrebbe rappacificarsi solo con una Romina, ma con un intero esercito.
Alfano, Fini («che fai, mi riprendi?»), Casini, Buttiglione.
E poi Donna Veronica ed Emilio Fede, andando a ritroso fino ai compagni della prima ora, come l’indimenticato Frankenstein di tutti i sondaggisti, Gianni Pilo.
Ma una volta rimessa insieme la Band, non gli resterebbe che tornarsi a sedere dietro la scrivania usata nel 1994 (i libri di sicuro sono ancora lì) e ricantare ai telespettatori la celebre romanza «L’Italia è il Paese che amo».
Vuoi vedere che un 59% lo rimedia ancora anche lui?
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
ALTRI POLITICI ITALIANI NEI CONTI SVIZZERI: DA PIPPO CIVATI A STRACQUADANIO
Nella lista Falciani spuntano due parlamentari italiani, con posizioni bancarie molto diverse. E qualche uomo d’affari vicino alla politica.
I loro nomi compaiono nell’elenco segreto dei clienti della banca Hsbc di Ginevra, che da almeno cinque anni rimbalza tra varie Procure italiane, Guardia di finanza e servizi segreti.
Un’inchiesta dell’International consortium of investigative journalists (Icij), a cui “l’Espresso” ha collaborato in esclusiva per l’Italia, è ora in grado di rivelare nel dettagli i contenuti di questo colossale database.
I cittadini italiani associati a quei conti svizzeri (come beneficiari, cointestatari o procuratori dei conti) sono 7.499 e avevano depositi per un totale di 7 miliardi e 452 milioni di dollari.
Oltre ai vip già emersi domenica scorsa , come il pilota Valentino Rossi, lo stilista Valentino Garavani e il manager Flavio Briatore (che ha la residenza fiscale all’estero), la lista comprende centinaia di imprenditori, dirigenti d’azienda, stelle dello spettacolo e professionisti di rango, ma anche commercianti, casalinghe e piccoli artigiani sconosciuti alle cronache.
La lista fotografa la situazione del 2006-2007.
L’anno successivo, il tecnico informatico Hervè Falciani riuscì a copiare i dati della banca per cui lavorava, per poi metterli a disposizione della magistratura spagnola e francese, che li ha trasmessi alle autorità italiane.
Il primo parlamentare citato nella lista Falciani è Giorgio Stracquadanio, ex radicale passato a Forza Italia, legato a Marcello Dell’Utri.
Stracquadanio è morto nel gennaio 2014, ma dai documenti bancari risulta che nel 2007 il suo conto alla Hsbc di Ginevra aveva una disponibilità notevole: dieci milioni e 700 mila dollari.
L’Espresso ha contattato i suoi familiari, indicati come contitolari del conto, offrendo la possibilità di fornire chiarimenti. «Non ho alcun commento da fare», ha però dichiarato la sorella di Giorgio, Tiziana Stracquadanio, cointestataria del deposito svizzero insieme al padre Raffaele.
Schierato su posizioni di acceso garantismo, il parlamentare aveva più volte contestato la magistratura: memorabili gli scontri tra Stracquadanio e la Procura di Palermo, negli anni Novanta, dopo la scoperta delle sue visite in carcere, non autorizzate dai giudici, al boss mafioso Vittorio Mangano, figura centrale del processo che ha poi portato alla condanna definitiva dell’ex senatore Del’Utri.
Il parlamentare del Pd Giuseppe Civati, già candidato alla segreteria del partito, viene invece collegato a un deposito con soli 6.589 dollari di cui è titolare suo padre Roberto, classe 1943, in passato amministratore di aziende importanti come la Redaelli Tecna di Milano.
«Non ho mai avuto accesso a quel conto, di cui non sapevo proprio niente», ha dichiarato Civati a “l’Espresso”.
«Solo ora mio padre mi ha spiegato — ha aggiunto — di averlo aperto quando era amministratore e azionista della Redaelli, che aveva fabbriche anche all’estero: c’erano soldi regolarmente dichiarati nei bilanci»
Gli atti di Falciani documentano che Civati, insieme alla madre, è stato inserito nelle carte della banca nel novembre 2000, quando aveva 25 anni: l’unica operazione registrata a suo nome coincide con la procura rilasciatagli dal padre.
«Nel 2011 la Finanza ha sottoposto mio padre a una verifica a cui non è seguita alcuna contestazione», precisa Civati: «Il conto si è estinto nel 2011 per effetto delle spese bancarie, senza che dal 1998 sia mai stato effettuato alcun versamento o prelievo».
I nomi della lista sono ordinati per data di nascita, professione e residenza. Molti beneficiari sono protetti dallo schermo di società offshore.
Questo non basta, ovviamente, per qualificarli come evasori. Trasferire denaro in Svizzera di per sè non è reato, se le somme vengono segnalate nella dichiarazione dei redditi. O se l’interessato vive all’estero.
Da 18 anni ha la residenza fiscale all’estero, ad esempio, Davide Serra, il finanziere con base a Londra salito alla ribalta come sponsor e sostenitore del premier Matteo Renzi. Tramite un portavoce, Serra ha confermato di essere titolare di un conto all’Hsbc «in totale trasparenza e in accordo con il sistema fiscale inglese».
La Guardia di Finanza finora ha controllato 3.276 cittadini italiani citati nella lista Falciani, ma ha potuto contestare soltanto 741 milioni di redditi non dichiarati. All’appello mancano soprattutto i tesori «regolarizzati» con il maxi-condono del 2009-2010, varato dal governo di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti.
Di quei 3.276 italiani già controllati, infatti, ben 1.264 hanno potuto opporre alla Guardia di Finanza lo scudo fiscale, che ha permesso loro di legalizzare fondi neri per ben un miliardo e 669 milioni.
Nel numero in edicola da domani, l’Espresso pubblica nomi e posizioni di decine di personaggi italiani con i conti in Svizzera, molti dei quali hanno approfittato dello scudo.
D’intesa con il consorzio Icij, “l’Espresso” ha deciso di contattare tutti gli interessati, offrendo la possibilità di fornire chiarimenti, e di pubblicare soltanto i nomi di persone già interpellate.
Paolo Biondani e Leo Sisti
(da “L’Espresso”)
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Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI SI ADDOSSA LE COLPE DEL NAZARENO E DA’ I SETTE GIORNI ALL’OPPOSITORE INTERNO CHE REPLICA: “CI CACCI PERCHE’ ABBIANO AVUTO RAGIONE? IN DUE GIORNI SI E’ PASSATI DA FORZA RENZI A FORZA SALVINI”
I parlamentari ribelli disertano l’assemblea. Silvio Berlusconi, davanti a una sessantina tra deputati e
senatori, sbatte il pugno del comando: “Una settimana, due al massimo e poi Fitto e i suoi devono decidere: o dentro o fuori”.
L’ultimo affresco del declino nell’era del post-Nazareno raffigura la scissione di Forza Italia.
Il Che fai, mi cacci 2.0. Nell’auletta dove vengono riuniti i gruppi parlamentari azzurri per ricevere la linea della rottura con Renzi va in scena il processo agli oppositori interni: “Non si può andare avanti così. La minoranza ha diritto di esprimere le sue posizioni ma poi è la maggioranza a decidere. Ora basta, Raffaele deve decidere cosa vuole fare. Se Fitto se ne va e fa un suo partito arriva al massimo all’1,3 per cento”.
Segno del declino rispetto all’epica cacciata di Gianfranco Fini è che mancano, nello statuto di Forza Italia, pure le regole per epurare.
L’ex premier annuncia che sarebbe opportuna una sospensione di tre mesi, ma statuto alla mano gli fanno notare che la strada non è percorribile.
Alla fine, nel documento messo ai voti, il passaggio minaccioso non viene neanche inserito.
Anche se i capi d’accusa li elenca Renato Brunetta in Transatlantico: “I suoi parlamentari non sono venuti la scorsa settimana all’ufficio di presidenza e hanno convocato una conferenza stampa in contemporanea, in Aula votano non secondo le indicazioni del partito, oggi non sono venuti all’assemblea dei gruppi. Si tratta di una sequenza dei fatti che parlano da soli”.
Diserzione, si sarebbe detto una volta. Frazionismo, nei partiti stalinisti.
Raffaele Fitto, il ribelle, aspetta un’ora, per vedere se arriva una smentita, prima di diramare una nota durissima: “La domanda nasce spontanea, dopo l’ipotesi di una nostra cacciata. Perchè? Perchè facciamo opposizione? Perchè abbiamo avuto ragione sulle riforme, e, purtroppo, su tutto il resto? Perchè troviamo surreale il passaggio in due giorni da ‘forza Renzi’ a ‘forza Salvini’? Dunque, ‘processo popolare?”
Eccola, la raffigurazione della scissione. Di cui sono già scritti i prossimi capitoli. Come quando Raffale Fitto terrà la sua convention dei “ricostruttori” il 21 febbraio a Roma: “Ho dovuto cambiare sala — fa sapere l’ex governatore – perchè quella che avevo prenotato è troppo piccola a vedere le adesioni”.
È questo il risultato della prima riunione romana dopo il “patto con Salvini” e la rottura del Nazareno: l’indicazione del nuovo nemico.
Perchè sul resto quello che va in scena è un timido tentativo di rassicurare le truppe che non c’è un passaggio dalla sudditanza da un Matteo (Renzi) all’altro Matteo (Salvini): “Siamo amici di Salvini — dice l’ex premier – ma nessuno può lanciare diktat sui nomi dei candidati e sui nostri alleati”.
Per chi ricorda i momenti della tragica epica berlusconiana pare il discorso di un superstite ai superstiti.
Berlusconi legge un testo fatto apposta per limitare i danni, evita di andare a braccio come ha fatto per una vita, parla in modo paludato.
E, soprattutto, prova a chiudere la faida interna rivendicando la paternità di tutte le scelte sbagliate, a partite dal Nazareno: “La linea politica seguita fin qui era la mia linea politica. Se c’è una responsabilità quella è solo la mia perchè io ci avevo creduto e sperato fino in fondo”.
Si capisce che il Nazareno ormai è morto, anche se nel documento finale la formula è sfumata, perchè è chiaro che è complicato pure per un abile venditore spiegare che è giusto votare contro se stessi, visto che ciò che è all’esame dell’Aula è stato votato da Forza Italia al Senato con gioioso impegno: “Continueremo ad appoggiare ciò che delle riforme riteniamo utile per il Paese e alla fine del percorso, valutato come il nostro contributo sarà stato recepito dalla maggioranza, decideremo come comportarci al voto finale”.
Ma è chiaro che ormai Renzi è l’avversario, anzi l’Avversario.
Lo accusa di aver condotto la trattativa in modo “autoritario” e quindi sarebbe pericoloso consegnare a uno così questo impianto di riforme.
Lo accusa anche di aver rotto il Nazareno e un percorso nel quale Forza Italia aveva creduto.
Nè l’annuncio che il decreto fiscale slitterà di qualche mese ha sortito effetto. Perchè l’ex premier non crede alla “salva-Silvio” e soprattutto considera quasi ricattatorio questo modo di procedere da parte dell’inquilino di palazzo Chigi: prima il segnale su Mediaset, poi quello sul decreto fiscale.
A microfoni spenti raccontano nel cerchio ristretto che al momento i toni non sono incendiari solo perchè tra un mese c’è la Cassazione su Ruby e l’ex premier è preoccupato da possibili vendette nelle sedi giudiziarie.
Una volta tornato libero e passato il terzo grado di giudizio, a Renzi sarà riservato dagli house organ del Cavaliere un trattamento “alla Fini”.
Perchè, secondo i suoi segugi, nessuno è privo di peccati o di scheletri da cacciare dall’armadio.
(da “Huffingonpost”)
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