Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO LA CADUTA DEL CRIMINALE GHEDDAFI, TROPPI INTERESSI EUROPEI HANNO IMPEDITO LA CREAZIONE DI UN GOVERNO CREDIBILE E AUTOREVOLE
Mentre l’Isis arriva a Sirte, evapora l’illusione che il Califfato potesse non materializzarsi a un braccio di mare dall’Occidente, e la realtà presenta il conto degli errori.
Il primo fu la guerra senza strategia del dopoguerra, fidandosi come fece Sarkozy di personalità che erano pilastri della rivoluzione libica e si rivelarono poi invece, alla caduta di Gheddafi, privi di qualunque leadership su un Paese che non era una nazione.
Ma prima, durante e dopo un intervento tutto calato dal cielo, c’è la divisione tra Paesi europei.
È la Francia anzitutto a premere sulla Nato prima e sul Consiglio di Sicurezza Onu poi per la copertura multilaterale ai bombardamenti francesi ed inglesi, cui si aggiungeranno per breve tempo anche gli americani.
Occorre detronizzare un feroce dittatore che ha fatto mitragliare il suo stesso popolo (era anche quella una primavera araba) dall’alto dei suoi Mig.
L’Italia si accoda per non lasciare le risorse energetiche in mano a francesi e inglesi. La Germania, invece, preda della sua storia di disinteresse al Mediterraneo, passa la mano.
Il risultato di decisioni in ordine sparso e frettolose, con una copertura dell’Onu altrettanto affrettata, è che la Libia è in guerra civile permanente.
Il territorio perfetto per le infiltrazioni qaediste prima, del Daesh oggi.
L’Europa non è riuscita neanche a decidere chi appoggiare dopo le ultime legislative: la Libia ne è uscita spaccata in due, ma a chi dare legittimazione?
Al governo di Cirenaica dove sono concentrati gli interessi francesi, o a quello della Tripolitania, dove sono i gasdotti italiani?
Adesso, si parla di un nuovo intervento militare, e con gli stivali sul terreno.
Per far cosa, lo ha consigliato un egiziano, il generale Al Sisi: metteteci un militare, ha detto nel recente giro delle Cancellerie europee.
Che servano, anche a fronteggiare il Califfato, i militari non c’è dubbio.
Meglio se è un loro avversario dichiarato come il generale Khalifa Haftar, che tuttavia essendo vissuto più in America che in Libia, e a quanto pare dalle parti di Langley, forse non gestirà anche una qualche transizione con una qualche patina di «democrazia».
Ma prima di intervenire stavolta si potrà evitare di andare in ordine sparso?
Si potrà avere, Italia, Francia, Inghilterra, e anche Germania e Stati Uniti, una strategia chiara, anche per l’eventuale dopoguerra?
Antonella Rampino
(da “La Stampa“)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
L’APPELLO A GENOVA DI DON FARINELLA AL LADRO: “RESTITUISCIMI IL COMPUTER E RITIRO LA DENUNCIA”
Venerdì pomeriggio nella sua chiesa ha raccolto rappresentanti di partiti e associazioni che vorrebbero
una politica più pulita e onesta.
Ma mentre in chiesa si discuteva, in sacrestia qualcuno gli rubava il computer portatile contenente una versione della Bibbia con varie traduzioni, molto preziosa per don Paolo Farinella.
Così il prete di San Torpete, editorialista di Repubblica e Micromega lancia un appello al ladro: «A tutti coloro che erano presenti in San Torpete, venerdì 13 febbraio dalle ore 17,00 alle ore 20,00. Mentre si parlava di legalità , etica, corruzione, difesa della buona politica e pulizia da ladri e corrotti … qualcuno mi ha rubato il Computer portatile Ultrabook che avevo lasciato in sacrestia perchè avrebbe potuto essere utile per le proiezioni delle diapositive.
Faccio appello al ladro o a colui che l’ha preso in prestito: nel pc è installata una Bibbia in ebraico, greco e in tutte le lingue del mondo, per me preziosissima come strumento di lavoro, insieme ad altri programmi che possono essere utilizzati solo da me.
Faccio presente che ho già esposto denuncia alla Polizia Postale e spero che chi l’ha preso, se supera la password di accesso, possa connettersi ad internet o usare la posta perchè io non cambierò alcuna password o account perchè la Polizia spera che costui usi anche una sola volta internet o la mia posta con il mio pc.”
«Oggi – continua don Farinella – non conviene rubare pc o cellulari: non si possono utilizzare perchè si è beccati subito. Chiedo a chi ha preso il portatile, un Asus, di volermelo restituire e se viene di persona possiamo chiudere tutto con una stretta di mano e io ritiro la denuncia; oppure può lasciarlo in chiesa anche in forma anonima. Oppure fare un pacco e lasciarlo presso la Pasticceria Crema Cacao di via delle Grazie, angolo con via San Bernardo. Qualcuno mi ha suggerito se per caso non fosse un furto «politico» per vedere «dentro» il pc e potermi ricattare. Si accomodino, resteranno delusi amaramente. A tutti un caro saluto con più determinazione ad andare avanti, nel segno della legalità , della moralità politica e personale e dell’impegno a servizio del bene comune, anche di chi ruba i pc non suoi».
Marco Preve
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL CDA APPROVà’ UNA NORMA CHE CONSENTIVA AI MANAGER DI ELARGIRE FINO A 20 MILIONI CON UNA SEMPLICE FIRMA
Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio è l’unico istituto di credito quotato in Borsa sottoposto a commissariamento.
I primi dati ufficiali parlano di una esposizione complessiva di circa 3 miliardi di euro, tra sofferenze e debiti verso altre banche, a fronte di un patrimonio netto di appena mezzo miliardo di euro.
Ed emerge la tendenza della banca a elargire prestiti facili.
Non solo, ma il Consiglio di amministrazione — ha riportato ieri Repubblica — si era approvato una norma nel regolamento che consentiva ai membri del board di ottenere fino a 20 milioni di euro in affidamenti per se stessi, sue società o amici.
Il tutto con una semplice firma.
Il lavoro dei commissari di Bankitalia nominati mercoledì dal ministero dell’Economia si annuncia decisamente delicato e promette molte sorprese.
Scoperchiare i segreti di una banca è sempre garanzia di trasparenza.
Quando i conti del Credito Cooperativo Fiorentino finirono in Procura si scoprì che il presidente Denis Verdini aveva usato quella banca come bancomat per gli amici, a cominciare da Marcello Dell’Utri cui aveva concesso una linea di credito illimitata e senza garanzia che superò i 10 milioni di euro.
L’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena è stato un altro vaso di Pandora.
Si scoprì che dalle casse della sola Fondazione uscirono oltre 17 miliardi di euro in appena quattro anni e distribuiti a pioggia ad associazioni di amici, politici, imprenditori. Sarà un caso dunque che i vertici di Banca popolare dell’Etruria stiano valutando di presentare ricorso al Tar contro il commissariamento.
Ma la situazione dell’istituto, a quanto ha spiegato la stessa Banca d’Italia, è a dir poco drammatica.
Mediobanca ha registrato in Banca Popolare dell’Etruria crediti dubbi alla clientela per 1,69 miliardi di euro, pari al 22,9%, il livello massimo tra le banche popolari; di queste, 770 milioni di euro sono sofferenze.
I crediti dubbi valgono tre volte tanto il patrimonio netto.
I commissari straordinari, Riccardo Sora e Antonio Pironti, su richiesta Consob hanno comunicato che “di seguito a quanto già rappresentato al mercato, risulta ampliata la situazione di insufficienza patrimoniale del gruppo rispetto ai requisiti prudenziali”, pertanto “non risulta possibile fornire elementi di dettaglio sulla situazione della banca”.
I problemi dell’Etruria erano già stati evidenziati in un’ispezione di Bankitalia nel corso del 2013 e conclusasi nel 2014 con una multa di oltre due milioni di euro ai vertici, tra cui a Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le riforme Maria Elena.
Perchè va ricordato che la vicenda riguarda anche un esponente del governo.
Non solo perchè figlia dell’ormai ex vicepresidente (presente nel cda dal 2011), nè perchè possiede azioni (poche) della banca e nè perchè nell’istituto lavora anche il fratello Emanuele, ma per il decreto varato a sorpresa dall’esecutivo il 20 gennaio che obbliga le popolari a trasformarsi in società per azioni.
Decreto che ha movimentato gli acquisti sui titoli di queste banche, in particolare di quella dell’Etruria che ha registrato un aumento del 62% in pochi giorni. Movimenti dubbi su cui Consob e Procura di Roma hanno già avviato indagini.
Non è dunque una partita semplice quella che si trovano di fronte i commissari di Bankitalia ma che, come detto, già conoscevano la situazione dell’Etruria.
Fotografata in una relazione redatta dal governatore Visco il 23 settembre 2014 nella quale si elencano tutte le problematiche dell’istituto individuate dalla Vigilanza.
In particolare sei irregolarità : “Violazione delle disposizioni sulla governance”, “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni”, “carenze nella gestione e nel controllo del credito”, “carenze nei controlli”, “violazioni in materia di trasparenza”, “omesse e inesatte segnalazioni agli organi di vigilanza”.
Una relazione che spinse Bankitalia a multare i vertici dell’Etruria per complessivi 2,5 milioni di euro. Pier Luigi Boschi fu multato per 144 mila euro.
Inoltre i vertivi della banca furono costretti a rinnovarsi e invitati a trovare una soluzione per il già grave deterioramento del patrimonio: trovare una banca con cui potersi unire così da assorbire le perdite.
Ma i tentativi sono andati a vuoto e la semestrale presentata a settembre registrava già 3 miliardi complessivi di sofferenze.
Infine mercoledì, mentre il cda si stava riunendo per registrare i conti, Bankitalia è stata costretta a chiedere il commissariamento dell’istituto.
Da domani si apre una settimana complessa per la popolare, esclusa dalle contrattazioni di Piazza Affari.
Da banca dell’oro a banca del buco.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
PARLA LA FAMIGLIA DI UNO DEI PESCATORI UCCISI: “PER LUI NEANCHE UNA CORONA DI FIORI O UNA PREGHIERA”
Nella casa linda e spoglia della famiglia di Celestine Galestine, ucciso esattamente tre anni fa dai militari
di una petroliera italiana, una volta tanto si ride di gusto.
Dora, la vedova di Celestine, ha una voce argentea in un corpo massiccio, e sorridono con gli occhi bassi anche i figli Derrick, 21 anni, al terzo anno di ingegneria, e Jwen, 13 anni.
È il racconto di un sacerdote del Kerala di ritorno da un anno in Italia a riportare un po’ di buon umore nel terzo anniversario di una vicenda dolorosa che coinvolge diverse famiglie: anche quella di Ajesh Binki, il giovane tamil ucciso il 15 febbraio 2012 insieme a Celestine su una barca da pesca scambiata per una goletta di pirati, così come le famiglie dei due marò italiani sospettati di aver sparato.
Padre Tommy era stato parroco in Abruzzo e ricorda a Dora di quando lo scorso anno si recò a visitare i suoi ex parrocchiani.
«Una signora mia amica era molto arrabbiata con l’India perchè secondo lei teneva in ostaggio ingiustamente Massimiliano La Torre e Salvatore Girone. Allora propose a un gruppo di persone che era con lei di sequestrarmi per uno scambio…».
Anche Dora è una kadel puram kaar , il popolo della spiaggia, uomini e donne che conoscono il mare e odiano le grandi navi che da tutto il mondo vengono a pescare con enormi reti nelle acque internazionali lasciando senza cibo i pescatori locali.
Per questo – ci dice il loro leader – «gente come me e Celestine deve andare sempre più al largo con delle barchette e il rischio che comporta, come si è visto ».
Tutti nel villaggio di Muthakkara conoscono bene le ultime vicende: le dure prese di posizioni dell’Ue rivolte all’India, l’operazione al cuore di La Torre e l’autorizzazione dei giudici al rinvio del suo rientro per il processo, che non si è ancora celebrato nè sembra destinato a iniziare presto.
Ma per Dora è un capitolo chiuso. «Ho già detto di non serbare alcun rancore – ci spiega – e per me i due marò possono tornare per sempre dalle loro famiglie, perchè so bene cosa significa l’assenza di chi è caro».
Seduto col fratello e la madre sotto al ritratto del padre morto, il figlio maggiore Derrick ci tiene però a dire che – a parte aver ricevuto i soldi per gli studi di ingegneria – «nessuno ci ha mai chiesto scusa».
Anche su questo l’ambasciata italiana di Delhi preferisce mantenere il silenzio, per timore che ogni azione o parola possa essere male interpretata.
Lo stesso riserbo hanno quasi sempre seguito La Torre e Girone, mentre una speciale agenzia investigativa nazionale, la Nia, prepara i documenti dell’indagine per i magistrati di una Corte altrettanto speciale.
Neanche sul fronte del governo indiano c’è disponibilità a parlare per confermare un’eventuale trattativa in corso. «È tutto in mano alla magistratura », è la posizione ufficiale.
A due passi da casa Galestine incontriamo A. Andrews, il leader dell’associazione dei pescatori del distretto, secondo il quale «spetterebbe a noi il diritto di processare e condannare i responsabili ».
«Se le famiglie hanno perdonato – dice Andrews sotto a un colorato crocifisso di Cristo che pende su una parete – noi non lo faremo mai. È nella nostra tradizione punire chi uccide degli innocenti».
In un paese dove migliaia di processi aspettano molto più di tre anni per rendere giustizia, la vicenda dei marò resta un caso a sè, per il clamore internazionale e i troppi dettagli ancora avvolti nel mistero.
La fantomatica nave greca, le presunte segnalazioni dei militari alla barca “pirata” in rotta di collisione, le raffiche di mitra sparate da 20 metri di altezza e destinate in teoria a finire in acqua, la decisione del capitano di entrare in porto e consegnare i due marò.
La rabbia delle comunità locali – come ci racconta un testimone di quei giorni a Kochi – montò a maggio quando ai due marò consegnati dal capitano alla polizia del Kerala fu concesso di stare in un albergo da 10mila rupie a notte, 180 dollari, con pasti di uno chef italiano, e ospitalità per 20.30 persone in occasione degli arrivi dei familiari.
Al loro seguito c’erano sempre anche tre ufficiali di Marina, un colonnello dei carabinieri e una psicologa, con un cambio trimestrale del team, tanto che per tagliare le spese ormai stratosferiche si pensò di affittargli una casa.
La fine delle costose missioni è arrivata con la decisione di ospitare Girone e La Torre nell’ambasciata di Delhi.
Da allora nessun rappresentante dell’Italia è tornato in Kerala, nè ha mai pensato di mandare un segno a lungo atteso da Dora e dai suoi figli che non credono più alla giustizia degli uomini: «Almeno una corona di fiori o una preghiera» – dicono – in occasione delle tre messe celebrate ogni vigilia del 15 febbraio nella chiesetta del Bambin Gesù, dov’è sepolto un onesto pescatore scambiato per pirata.
Raimondo Bultrini
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
SBLOCCA ITALIA: “CONCESSIONI SENZA ALCUNA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA”
Un regalo ai concessionari, l’ennesimo. Un danno agli utenti.
C’è una partita da cinque miliardi di euro all’anno che si sta giocando in queste ore in Italia: la gestione delle autostrade.
Una partita che ruota attorno a un articolo del decreto Sblocca Italia, il numero cinque, e che vede da una parte il Governo e dall’altra il presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, il quale ha già scritto una lettera al ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e domani sarà ascoltato in commissione Ambiente alla Camera.
«Se non si cambia quella norma – sostiene Cantone – si rischia che vengano affidate concessioni senza alcun tipo di procedura ad evidenza pubblica, in violazione, tra l’altro, dei principi di concorrenza ed economicità ».
La storia, dunque.
Grazie all’articolo 5 gli attuali concessionari (Benetton, Gavio, Toto oltre a una serie di enti locali pubblici e privati) potranno chiedere il rinnovo degli attuali permessi nel caso decidano di unificare la gestione di tratte interconnesse.
«Il senso della norma – spiegano dall’Anticorruzione – è dare la possibilità di accorpare le concessioni, che al momento sono 25 e fruttano in media cinque miliardi netti all’anno, per favorire gli investimenti e una riduzione delle tariffe al casello». Nei fatti però si può arrivare al risultato opposto.
«Accorpando le concessioni si prende come data di scadenza, chiaramente, quella più lontana. Se ce n’è una che si chiude nel 2015 e un’altra nel 2025, la scadenza viene portata automaticamente al 2025 per entrambe. Di fatto è una proroga mascherata». Dei 25 concessionari, almeno 9 hanno il contratto in scadenza (ad esempio quello del gruppo Gavio per la Torino-Milano finisce nel 2017), e per l’Autobrennero è addirittura già scaduto nel 2014.
Lontano invece il termine per Autostrade per l’Italia, che da sola gestisce il 50 per cento dei chilometri in Italia: se ne riparla nel 2038.
Una posizione, quella di Cantone, che è condivisa dall’Unione europea e dal Garante della Concorrenza, Giovanni Pitruzzella, che alla Camera ha parlato di «un meccanismo di proroga implicita che elimina del tutto e potenzialmente per periodi significativi un essenziale fattore concorrenziale del settore ».
Non esattamente un dettaglio, questo.
L’attuale regime aiuta a tenere alti gli utili dei concessionari, come dimostrano i bilanci, e molto bassi i vantaggi per gli automobilisti visto che non si sono riscontrati sensibili abbassamenti nelle tariffe.
Secondo Cantone non ce ne saranno nemmeno negli anni a venire.
Perchè nonostante lo Sblocca Italia punti all’obiettivo di raggiungere «prezzi e condizioni di accesso più favorevoli per gli utenti », il commissario Anticorruzione ha più di un dubbio su come andrà a finire questa storia.
Oggi quella dei pedaggi è una vera giungla, le autostrade che hanno interesse ad accorparsi hanno tariffe diverse ed è complicato pensare che si adeguino al ribasso. «Dove sarà quindi il vantaggio per gli automobilisti?», si chiedono all’Authority. Senza bandire le gare, si rimane in condizioni di sostanziale monopolio.
Stesso discorso vale per gli investimenti.
La nuova legge lega la possibilità di unificare, e dunque prorogare le concessioni, al «potenziamento e adeguamento strutturale, tecnologico e ambientale delle infrastrutture».
Ma in realtà questo è previsto già nei contratti in vigore, dunque le società che vogliono ampliare le corsie di una tratta, ad esempio, ne hanno già facoltà . E hanno pure un altro vantaggio: se gli scade il contratto e non sono ancora rientrati dell’investimento, sarà chi subentra a saldare il conto.
A Cantone, ha già risposto nei giorni scorsi il ministro Lupi, il quale difende le scelte del governo sostenendo che «le modifiche del rapporto concessorio sono subordinate alla realizzazione di investimenti, essenziali per la sicurezza e l’adeguamento tecnologico della rete, altrimenti privi di copertura finanziaria. Se non lo facessimo potremmo arrivare a un inasprimento delle tariffe».
Ma all’Anticorruzione, che sta vagliando tutti i 25 contratti delle autostrade italiane, non ne sono convinti.
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“DOPO GHEDDAFI BISOGNAVA METTERE TUTTI ATTORNO A UN TAVOLO, INVECE OGNUNO HA PENSATO DI POTER GIOCARE IL PROPRIO RUOLO, C’ERANO INTERESSI ECONOMICI”…. “ORA OCCORRE UN LAVORO COMUNE CHE COINVOLGA TUTTI”
“Una catastrofe per colpa nostra, dell’Occidente”, ripete Prodi. 
Altro che Iraq, Siria e Kobane. Le bandiere nere del Califfato islamico sventolano a trecento chilometri dalle coste italiane di Lampedusa, Paolo Gentiloni invoca l’intervento armato, perchè “la situazione si sta deteriorando”, e viene citato dalla radio dell’Isis come “ministro nemico dell’Italia crociata”.
Romano Prodi, ex premier, ex presidente della Commissione europea, già inviato speciale dell’Onu per il Sahel e padre della Fondazione per la collaborazione dei popoli, conosce bene il dossier Libia: “Non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto, davvero non lo era neppure nel 2011”.
Presidente, adesso che cosa bisogna fare?
Cosa bisogna fare non lo so. Oggi non lo so più, mi creda. So bene quanto si sarebbe dovuto fare dopo la caduta di Gheddafi. Bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo.
Cosa intende?
Si è preferito credere che un primo ministro (il primo nel 2011 fu Mahmud Jibril al-Warfali, ndr) e un parlamento legittimi potessero risolvere le cose da soli, facendo finta di non vedere che la situazione era compromessa in partenza, che alcune fazioni armate avrebbero finito per esser lasciate a loro stesse. Ma il primo ministro non ha mai avuto un potere reale sul territorio.
Come siamo arrivati a tutto questo?
Si tratta di un errore nostro. Delle potenze occidentali. La guerra in Libia del 2011 fu voluta dai francesi per scopi che non lo so… certamente accanto al desiderio di ristabilire i diritti umani c’erano anche interessi economici, diciamo così.
L’Italia?
L’Italia ha addirittura pagato per fare una guerra contro i propri interessi.
Credo che il suo acerrimo nemico di sempre, Silvio Berlusconi, sia d’accordo con lei su questo punto.
Ma sta scherzando? Berlusconi si è fatto trascinare dalla Francia ed è entrato in guerra.
Eppure Berlusconi si professava grande amico del leader libico…
Il presidente del Consiglio in carica era Silvio Berlusconi. Adesso la Libia è caduta nell’anarchia e nel caos più assoluti. La situazione è davvero di una gravità eccezionale, non possiamo fare finta che le nostre azioni non abbiano inciso nel produrre tutto questo.
Ravvisa un pericolo di sicurezza per l’Italia?
La Libia è dietro l’angolo. È un Paese ridotto a essere senza alcuna disciplina, senza controllo, senza alcuna forma di statualità , dove i commercianti di uomini imperversano buttando a mare i disperati che sognano una vita migliore in Europa.
Teme che i terroristi possano arrivare anche sui barconi, come ha detto qualcuno?
I terroristi sono organizzati, altro che barconi.
Ritorno alla prima domanda. Le cancellerie occidentali cosa dovrebbero fare in questo momento secondo lei?
Occorre senza dubbio uno sforza per produrre un minimo risultato nel tentativo di fare sedere tutti gli interlocutori al tavolo e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale.
Pensa che anche gli uomini incappucciati dell’Isis debbano essere fatti sedere al tavolo dei negoziati?
A questa domanda non posso dare una risposta perchè è relativa a un presente di cui non voglio parlare.
Giampiero Calapà
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
BENE I CINQUESTELLE, ALLA SINISTRA RADICALE MANCA UN LEADER
“Il centrodestra deve fare presto e darsi un metodo perchè sembra non volere giocare la partita delle regionali “: Raffaella Della Bianca commenta così i risultati del sondaggio che ha commissionato con il suo gruppo.
L’area del centrodestra dalle regionali del 2010, quando aveva ricevuto il 47,2 per cento dei consensi, nelle intenzioni di voto per maggio scende al 28,9 per cento.
Secondo il sondaggio, invece, l’area del centrosinistra (senza le ali estreme) sarebbe al 45,4 per cento contro il 52,7 del 2010.
Ma Sel, i verdi, Rifondazione e dintorni da soli avrebbero il 5,7 per cento.
I 5Stelle invece sarebbero al 21,9%.
Quello commissionato da Della Bianca è il primo sondaggio che fotografa le intenzioni di voto e testa i candidati alla presidenza della Regione in vista delle elezioni del prossimo mese di maggio.
Il sondaggio, realizzato il 10 febbraio scorso dalla società Lorien su un campione di mille elettori libiato. testa il gradimento delle forze in campo.
Sui candidati presidenti così come nelle intenzioni di voto per partiti e formazioni, svetta il Pd che fa la parte del leone: 38,4 per cento dei consensi a Raffaella Paita (38,6 al Pd).
In casa del centrodestra il sondaggio “misura” i candidati che sono in campo anche se negli ultimi giorni qualcosa è cammente
In ogni caso, Fi, Fratelli d’Italia, Lega e liste civiche di riferimento, con il loro candidato, sia Edoardo Rixi della Lega, Federico Garaventa di Fi, arriverebbero al 24,2 per cento.
Alice Salvatore del Movimento 5Stelle arriverebbe al 23,8%
Sulla sinistra che sta tentando di aggregarsi, tra la Rete i civatiani e le altre componenti, il sondaggio fa un’operazione per così dire di fantasia: il candidato dei sogni, vale a dire Anna Canepa, magistrato della direzione nazionale antimafia, il massimo dell’affidabilità , del rigore e della stima. Ma non è sulla scena.
Perchè allora sondare l’eventuale gradimento? “Perchè tra i nomi di possibili candidati che erano usciti rispetto alla sinistra, questo era il più forte”, spiega Della Bianca.
Il risultato è 13,4 per cento, contro il 5,7 per cento che raccoglierebbero i partiti di questa area. Tornando con i piedi per terra, Alice Salvatore, candidata 5Stelle avrebbe il 23,8 per cento, dunque qualcosa più dei voti del suo movimento che sarebbe al 21,9 per cento.
Il sondaggio testa anche il gradimento della giunta Burlando con due successive rilevazioni, una nell’ottobre scorso, prima dell’alluvione, una il 10 febbraio: il giudizio positivo era al 30,1 per cento, ma scende al 24,8.
E se al centrosinistra le piogge violente, secondo il sondaggio, hanno provocato un danno di immagine, il centrodestra in compenso è in caduta libera.
“I partiti si contraggono, occorre un candidato fuori dai partiti, sostenuto da una lista civica”, dice Della Bianca.
Ava Zunino
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
LA BADANTE BOSCHI PORTA IL CAFFE’ A RENZI
È notte ed è già San Valentino. Nell’aula vuota di Montecitorio, dopo le urla e le botte, Maria Elena
Boschi è sola ai banchi del governo.
Si vota fino alle due e quarantacinque. La ministra delle Riforme è stanca, ha il volto pallido come la giacca.
La solitudine è un cioccolatino da scartare e da mordere con dolcezza. Dopo un po’ però arriva lui. Il premier. Renzi. “Matteo”, semplicemente.
La seconda notte a Montecitorio del presidente del Consiglio.
Durante la prima, tra giovedì e venerdì, c’è stata la baraonda delle opposizioni, poi finite sull’Aventino. E “Matteo” dapprima minaccia l’azzurra Bergamini, “se non votate le riforme si va al voto anticipato”, poi va a sedersi accanto a “Maria Elena”. Lei è premurosa. Il premier vuole un caffè. E la ministra provvede.
Il premier vuole un caricabatteria per lo smartphone. E la ministra provvede, ancora una volta.
Il rapporto tra Renzi e i suoi ministri è stato spesso descritto come “dispotico”, senza tolleranza per le opinioni altrui. Con la Boschi è diverso.
Gli ordini, le richieste diventano sussurri mai gridati, mai imposti. La ministra è una badante contenta di prendersi cura del suo premier.
Da soli al banco, i due attendono l’alba di San Valentino. È l’immagine di una riforma che nasce come il sole.
Renzi e la Boschi sono il papà e la mamma della nuova Costituzione. Due teste e un monocameralismo. Il renzismo è questo.
Solo il berlusconismo può evocare precedenti simili. Ai tempi del montismo, per esempio, la Cancellieri non avrebbe mai scartato un cioccolatino, aspettando il Professore dal loden verde.
L’ex Cavaliere, secondo la leggenda di Palazzo Grazioli, il caffè se lo faceva portare da Angelino Alfano, maggiordomo politico poi scissionista nel momento del dolore più grande, quello della decadenza di Silvio.
In ogni caso, per i capi carismatici, per gli uomini soli al comando, funziona sempre così.
Tra la richiesta di un caffè e quella di un provvedimento legislativo il confine è sottilissimo.
Spesso non c’è. In fondo, ai suoi parlamentari, Renzi ha chiesto di approvarsi da soli le riforme della Costituzione come se fosse proprio un caffè da bere durante la notte, con la ministra prediletta accanto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“NON AVREI ERETTO BERLUSCONI A CO-FONDATORE DELLA REPUBBLICA, CHE MESSAGGIO DAI AI CITTADINI? CHE UNA CONDANNA PER FRODE FISCALE SIA UN PECCATO VENIALE?”
«Mi divertiva l’idea di farmi dei biglietti da visita con scritto “Mario Monti. Ex senatore a vita”. Poi non hanno abolito nè il Senato nè i senatori a vita…».
Nel suo ufficio alla Bocconi, l’ex presidente del consiglio, ex leader di Scelta civica, ex predestinato al Quirinale, è un ex di ottimo umore.
Qualche sassolino nelle scarpe, però, gli è rimasto: «Il loden! Alla fine era diventato una specie di simbolo spregevole. Cosa avrà mai, il loden! Finchè, con l’elezione di Mattarella, c’è stato un revival. Anzi, una contrapposizione fra loden: il suo, positivo, e il mio, negativo. Un tweet diceva: Mattarella è così sobrio che porta i loden usati di Monti…».
A Bruxelles no, il suo loden non è malvisto: «Vado spesso perchè presiedo la commissione per la riforma del bilancio Ue, che oggi ricorda un mercato delle vacche».
L’ha pagata cara, l’identificazione con l’Europa
«Fu una scelta. Piuttosto che prendesse certe decisioni la troika con la brutalità che si è vista in Grecia era meglio le prendessimo noi. Con tutti i rischi di impopolarità . Parliamoci chiaro: la troika è una forma di neocolonialismo… L’astio contro la Ue sarebbe stato incontenibile. Mi dicevo: “Tu passi, l’Europa resta”».
Insomma, fece da parafulmine?
«Sì. L’”Italia europea” è sempre stata la mia vocazione. Da opinionista, da professore, da commissario. Ed è stato un complotto del destino…».
Allora c’è stato, il complotto!
«Del destino: mi sono trovato lì, in quel momento, col mio bagaglio europeo, i miei rapporti europei… Era quasi fatale che mi chiamassero».
E l’altro complotto? I poteri forti, la troika, le banche…
«La troika, se permette, sono stato io a tenerla fuori. Sui giornali del 15 novembre 2011 c’era una frase di Alfano da rileggere: “Gli impegni assunti con l’Europa rappresentano il caposaldo del nostro appoggio”. Rivendicavano che il mio era anche il “loro” governo. Vuol saper la più bella?».
Dica.
«Quando andai da Berlusconi fu gentilissimo. Era assolutamente consapevole che la situazione fosse ormai insostenibile. Lì ci fu il ricciolo».
Quale ricciolo?
«Mi disse: “Vorrei agevolarla: si prenda, tranne me e Tremonti, tutto il mio governo”».
Un subentro…
«Chiavi in mano. Vedesse la faccia di Alfano e Letta! Basiti. Risposi: veramente non credo sia il mio mandato… Ci davamo ancora del lei. Passò al tu il giorno del rito della campanella e del passaggio delle consegne. Fu simpaticissimo. Mi riempì di cravatte».
A pois…
«Miste. Belle. Mi ero fatto inizialmente, una lista. C’erano, Gianni Letta (non alla Giustizia), Amato agli esteri (entusiasta), Ichino al lavoro… C’era perfino Brunetta… Poi sui politici scattarono i veti…».
Ma Berlusconi visse il governo anche come «suo».
«Certo. Con alti e bassi. Ma era “dentro”. Ogni tanto lo sentivo. Quando dissi di no alle Olimpiadi mi spiegò: i miei ti daranno torto ma hai ragione tu: meglio non prendere impegni, oggi».
E per quelle «renziane» del 2024?
«Anche Renzi, allora, avrebbe detto no».
A farla corta, è lei a dirsi tradito dal Cavaliere.
«Bisogna tornare all’autunno 2012. E alla accelerazione sulla corruzione. Ero certo che, in vista delle elezioni, c’era un solo provvedimento su cui non potevano dirci no: la lotta alla corruzione con la norma “Parlamento pulito”. Chi avrebbe osato schierarsi contro?».
Invece osarono…
«No: cambiarono cavallo. Non potendo sparare contro l’anticorruzione, a destra scaricarono la rabbia sulle scelte economiche che pure avevano votato. L’ha letta la Stampa sull’incontro del Cavaliere coi sindacati di polizia? Leggo: “Tremonti ha tentato un golpe contro di me” e “già da parecchio lavorava per diventare premier”. Fatemi capire: quanti golpe ci furono?».
Le pesa, l’accusa?
«Dice anche, in quello sfogo, che se io fossi andato con lui come mi aveva proposto sarebbe cambiato l’esito delle urne. “Invece Monti alle elezioni andò da solo e la storia della politica italiana è cambiata”».
Insomma, senza di lei Berlusconi sarebbe al Quirinale.
«Probabile. Ma non volevo fermare lui: volevo impedire che tutti i nostri sforzi fossero vanificati dalla vittoria di una delle due coalizioni dove nessuno avrebbe avuto il fegato di proseguire nel risanamento. Non volevo che l’Italia deragliasse e che di lì a pochi mesi arrivasse proprio la troika. Del resto c’è chi ha scritto che sarei stato il premier più di sinistra di sempre…».
Addirittura…
«Non andrò mai più a elezioni e possiamo dirlo: ho fatto l’unico pezzo di patrimoniale possibile. Sulla casa. Lo stesso Morando l’ha riconosciuto: “Noi di sinistra non abbiamo mai avuto il coraggio, poi è arrivato Monti e l’ha messa, poi Letta e l’ha tolta”».
Era una condizione capestro di Berlusconi…
«Sì. Ma una grande coalizione ha senso per chiedere ai partiti di “dare” qualcosa in più, non per regalare il mantenimento di “immantenibili” promesse elettorali… Cercai di dirlo, a Letta. Ma non potevo mordere: i “miei” capigruppo non erano già più montiani…».
Fatto sta che lei piantò il suo partito.
«Per forza. Feci un comunicato cauto sulle cose che non andavano nella politica economica di Letta e sull’Imu. E 12 senatori, contro di me, dissero che Letta andava sostenuto sempre e comunque. Avendo io un po’ di dignità …».
L’ammetta: Scelta Civica è stata una delusione.
«Sì. Ma non il risultato elettorale. Con il 10% ha impedito che l’Italia deragliasse».
Valeva la pena fare asse, come si disse, con «vecchi rottami» come Casini e Fini?
«Sì, la critica più diffusa fu quella. Loro, però, erano stati i più fedeli sostenitori del governo…».
Col senno di poi era meglio andare da solo, con il suo manipolo di professori?
«La delusione l’ho avuta sia da politici stagionati sia da tanti neofiti».
Ne valeva la pena?
«Per il paese sì, per noi non so. La persona che più di me l’ha pagata cara, fino ad essere dileggiata, è stata Elsa Fornero. In tutto il mondo la sua riforma è vista come “top class”. Senza di essa, Letta e Renzi si sarebbero dovuti dannare».
E gli esodati: un infortunio?
«Pesarono molte cose. Ma non basterebbe un’intervista intera su questo tema. Mi lasci solo dire: è stata anche montata molta panna. Senza quella riforma le pensioni non sarebbero state toccate, ma lo Stato avrebbe smesso di pagarle».
Dice Brunetta che lo spread sarebbe calato lo stesso…
«Eh eh… La Bce nel 2011 comprò un sacco di titoli nostri ma lo spread schizzò lo stesso da 120 a 545. Semmai avrei voluto fare di più sul lavoro».
Il famoso Jobs act di Renzi?
«Ecco, l’avremmo fatto noi. Se avessimo avuto Renzi e non Bersani, degna persona ma troppo condizionato da sinistra. Non avevamo voti. Dovevamo andarli a cercare».
La coglie mai il pensiero «oggi potrei essere sul Colle»?
«Mi fa piacere che tanta gente lo pensi. Devo dire: sarei stato davvero stupido, se non l’avessi messo in conto. Fu una scelta. Dovevo farla. E non è vero che ho perso…».
Non dirà che ha vinto…
«Cos’è la vittoria? E la sconfitta? Certo, ragionando coi vecchi schemi ho perso. Ma grazie a noi abbiamo avuto la conferma di Napolitano, due governi che non hanno deragliato… Anche se rimprovero loro due cose populiste. L’Imu a Letta e gli 80 euro a Renzi. Io avrei messo tutti quei soldi a riduzione del costo del lavoro».
Umberto Veronesi ha detto: “Come ministro non ho potuto fare granchè”…
«A noi, semmai, rinfacciano d’aver fatto troppo… I nostri problemi si devono al fatto che i governi, per decenni, han detto troppi “sì”. Sono stati “troppo buoni”».
E voi troppo cattivi?
«Io direi necessariamente severi. Certo, avremmo dovuto forse fare più “didattica”, spiegarci meglio…».
Non è la sua arte…
«È vero. Non è la mia arte. Le risposte serie richiedono tempo Di più: sono diffidente sul mito di Twitter e della “narrazione”. Fra lo “storytelling” e il contar storie il confine è sottile…».
È una frecciata a Renzi?
«No, no. Ripeto: avrei dato più peso all’economia. Non vorrei che concentrarci su altre riforme distraesse da cose più importanti. Perchè ero perplesso sul patto del Nazareno? Perchè in vista di un beneficio teorico si è trattato con una persona condannata in via definitiva per frode fiscale».
Non ci avrebbe parlato, lei, con Berlusconi?
«Parlato sì. Ma da qui ad erigerlo a co-fondatore di una nuova repubblica… Che messaggio dai ai cittadini? Che una condanna per frode fiscale sia un peccato veniale? Questo mina il nostro sviluppo economico e civile molto ma molto più di quanto si immagini…».
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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