LIBIA, UN DISASTRO FRUTTO DEGLI INTERESSI DI BOTTEGA DI FRANCIA E ITALIA
DOPO LA CADUTA DEL CRIMINALE GHEDDAFI, TROPPI INTERESSI EUROPEI HANNO IMPEDITO LA CREAZIONE DI UN GOVERNO CREDIBILE E AUTOREVOLE
Mentre l’Isis arriva a Sirte, evapora l’illusione che il Califfato potesse non materializzarsi a un braccio di mare dall’Occidente, e la realtà presenta il conto degli errori.
Il primo fu la guerra senza strategia del dopoguerra, fidandosi come fece Sarkozy di personalità che erano pilastri della rivoluzione libica e si rivelarono poi invece, alla caduta di Gheddafi, privi di qualunque leadership su un Paese che non era una nazione.
Ma prima, durante e dopo un intervento tutto calato dal cielo, c’è la divisione tra Paesi europei.
È la Francia anzitutto a premere sulla Nato prima e sul Consiglio di Sicurezza Onu poi per la copertura multilaterale ai bombardamenti francesi ed inglesi, cui si aggiungeranno per breve tempo anche gli americani.
Occorre detronizzare un feroce dittatore che ha fatto mitragliare il suo stesso popolo (era anche quella una primavera araba) dall’alto dei suoi Mig.
L’Italia si accoda per non lasciare le risorse energetiche in mano a francesi e inglesi. La Germania, invece, preda della sua storia di disinteresse al Mediterraneo, passa la mano.
Il risultato di decisioni in ordine sparso e frettolose, con una copertura dell’Onu altrettanto affrettata, è che la Libia è in guerra civile permanente.
Il territorio perfetto per le infiltrazioni qaediste prima, del Daesh oggi.
L’Europa non è riuscita neanche a decidere chi appoggiare dopo le ultime legislative: la Libia ne è uscita spaccata in due, ma a chi dare legittimazione?
Al governo di Cirenaica dove sono concentrati gli interessi francesi, o a quello della Tripolitania, dove sono i gasdotti italiani?
Adesso, si parla di un nuovo intervento militare, e con gli stivali sul terreno.
Per far cosa, lo ha consigliato un egiziano, il generale Al Sisi: metteteci un militare, ha detto nel recente giro delle Cancellerie europee.
Che servano, anche a fronteggiare il Califfato, i militari non c’è dubbio.
Meglio se è un loro avversario dichiarato come il generale Khalifa Haftar, che tuttavia essendo vissuto più in America che in Libia, e a quanto pare dalle parti di Langley, forse non gestirà anche una qualche transizione con una qualche patina di «democrazia».
Ma prima di intervenire stavolta si potrà evitare di andare in ordine sparso?
Si potrà avere, Italia, Francia, Inghilterra, e anche Germania e Stati Uniti, una strategia chiara, anche per l’eventuale dopoguerra?
Antonella Rampino
(da “La Stampa“)
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