Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
ORA LA LEGA RISCHIA LA DISFATTA IN VENETO: “SE VINCE LA MORETTI, LA SCONFITTA L’AVRA’ SULLA COSCIENZA SALVINI E CHI CAMBIA LE REGOLE”
Alla fine, dopo una giornata di tira e molla , di contatti tra “pompieri” che cercano di mediare, di lettere che si annunciano ma non arrivano, Salvini dice la parola finale: “Prendo atto della decadenza di Tosi”.
Poi mente spudoratamente: “Ovviamente le liste per il Veneto saranno fatte solo dai veneti, dal commissario Gianpaolo Dozzo”, fimgendo di dimenticare che il documento di Tosi (segretario della Liga veneta) era stato votato da 15 consiglieri su 18).
Durissima la replica di Tosi: “Salvini mente sapendo di mentire. Mai avrei pensato di vedere in Lega il peggio della peggior politica. Un Caino che si traveste da Abele”.
Lo stesso Tosi aveva annunciato, nelle ore precedenti: “Se la Lega mi dice ‘devi lasciare la fondazione’ e ‘in Veneto c’è un commissario che decide sulle liste’, a quel punto non potrei far altro che dimettermi da segretario della Liga Veneta. Da uomo libero potrei anche candidarmi. Se vince la Moretti la colpa è di chi cambia le regole”.
Flavio Tosi non ha arretrato di un passo nella querelle che lo contrapponeva a Matteo Salvini e alla Lega Nord.
Smentendo nei fatti la voce che fonti parlamentari leghiste avevano fatto girare nel pomeriggio secondo cui il sindaco di Verona aveva scritto al segretario Salvini, proponendogli un accordo, nero su bianco.
La partita, quindi, si conclude con l’espulsione, di fatto, di Tosi dalla Lega.
Dietro le quinte, la questione è ben più delicata: Salvini è caduto nella trappola di Tosi, come hanno ben capito Bossi e Maroni.
Il sindaco di Verona ha gestito con abilità la partita (dove aveva pienamente ragione dal punto di vista dell’art 39 dello Statuto che demanda alla Liga Veneta, da lui presieduta, la gestione delle liste): preso atto che Salvini voleva piazzare tutti i suoi uomini in lista ed escludere quelli di Tosi, ha portato Salvini all’angolo.
Non è Tosi che se ne va, è Salvini che lo ha espulso arbitrariamente.
Non solo, e qui sta l’abilità di Tosi, “è stata una manovra contro il Veneto da parte dei Lombardi”.
Salvini ha regalato a Tosi un’arma micidiale: poter andare su tutte le piazze a infiammare gli indipendentisti veneti contro la Lega lombarda ladrona e i suoi reggistrascico locali come Zaia.
E il sondaggista di fiducia della Lega, Amadori, ieri aveva avvisato Salvini: attenti, la Moretti sta rimontando, è a 5 punti da Zaia e Tosi può arrivare al 10%. Se poi gli date l’arma dell’ingiustizia contro il Veneto può succedere di tutto.
Ma Salvini è un arrogante e i media gli hanno dato alla testa: pensa di essere un gran politico, ma oggi ha dimostrato di essere un povero pirla.
Saranno due mesi di fuochi artificiali: se Zaia fosse sconfitto, Salvini potrebbe solo fare una cosa, dimettersi.
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
BASTERA’ IL 40% DEI VOTI PER AVER IL 54% DEI SEGGI… ALL’EVENTUALE BALLOTTAGGIO PUO’ VINCERE ANCHE UNA LISTA CHE RAPPRESENTI UNA MINORANZA ESIGUA
L’aspetto più controverso della nuova legge elettorale in discussione non è quello dei capilista «bloccati»
e delle preferenze, bensì il meccanismo di attribuzione del «premio». Al primo turno basterà il 40 per cento, il che vuol dire che il 54 per cento dei seggi potrà andare a un solo partito non scelto e magari fieramente avversato dal 60 per cento dei votanti.
All’eventuale secondo turno vincerà chi otterrà più voti, perchè le liste in competizione saranno solo le due più votate, in qualunque misura, al primo turno.
Ma la competizione sarà falsata dal fatto che tutte le altre liste saranno escluse dal voto; e quindi gli elettori che le hanno scelte al primo turno non potranno esprimere più un voto di lista «libero».
La maggioranza assoluta dei seggi potrà andare a una lista che gode della fiducia di una anche ridotta minoranza degli elettori (ad esempio il 25 o il 30 per cento), essendo al secondo turno precluso ogni apparentamento e «vietato» esprimere una scelta diversa da quelle che (magari per pochi voti) sono risultate prima e seconda al primo turno.
Inoltre, è possibile che al secondo turno non votino, perchè non si sentono rappresentati dalle due liste in campo, molti elettori che pure si erano espressi al primo turno, e che quindi la maggioranza assoluta dei seggi venga attribuita ad una lista che nè al primo, nè al secondo turno abbia ottenuto la fiducia della maggioranza di coloro che hanno partecipato al voto.
Il premio, insomma, sarebbe assegnato anche se la vittoria nel secondo turno (che non richiede alcun quorum di partecipazione) fosse frutto del voto espresso da una parte ridotta dell’elettorato non astensionista, e quindi di una «non maggioranza».
Si dice: ma questa è la logica del «ballottaggio».
In realtà è equivoco persino parlare di ballottaggio.
Questo, classicamente, è un sistema adottato per eleggere una singola persona (come ad esempio il sindaco, o come il deputato – unico – di un singolo collegio nei sistemi uninominali).
Poichè uno solo è il seggio da coprire, alla fine il ballottaggio è necessario per eleggere chi fra i contendenti gode del maggiore favore dell’elettorato.
Ma qui si tratta di eleggere un’assemblea, non una carica monocratica: un’assemblea che dovrebbe riflettere e rappresentare i diversi orientamenti dell’elettorato.
Per questo servono i partiti, che elaborano e avanzano le diverse proposte (collettive). Non è detto (e non è così oggi in Italia) che i partiti, e perfino gli orientamenti politici di fondo, siano solo due: dunque rappresentare l’elettorato non può voler dire attribuire senz’altro la maggioranza dell’assemblea ad uno solo di essi, anche minoritario, così che questo possa impadronirsi del governo.
Per di più non è detto che l’alternativa secca proposta al secondo turno fra le due liste più votate esprima davvero la più significativa ed esauriente contrapposizione fra le forze che rappresentano gli orientamenti fondamentali dell’elettorato, come per esempio centrodestra e centrosinistra.
Potrebbe accadere che gli elettori si trovino un giorno a poter scegliere solo fra il Pd e una formazione di tipo estremistico come l’attuale Lega, oppure solo fra il Pd e il Movimento 5 Stelle, oppure addirittura fra un centrodestra «estremizzato» e il Movimento 5 Stelle.
Non vale invocare l’obiettivo della cosiddetta governabilità .
In regime parlamentare, il governo è espressione della maggioranza delle Camere, non necessariamente formata da un unico partito (anche la vecchia Dc quasi mai governò da sola, per fortuna) e nemmeno necessariamente da un unico schieramento (di qui anche la possibilità delle «grandi coalizioni»).
Le maggioranze possono nascere in Parlamento, sulla base delle convergenze e anche dei compromessi che si realizzano sui programmi.
Non si può, in nome di un’esigenza di governabilità , disattendere e tradire la fondamentale esigenza di rappresentatività del Parlamento (è questo anche il senso della sentenza della Corte costituzionale che ha censurato la legge elettorale del 2005), pretendendo che in esso debba necessariamente dominare uno e un solo partito, anche se non esprime la maggioranza del Paese.
Il Parlamento è assemblea, cioè voce collettiva della nazione, e non luogo di ratifica di decisioni prese al di fuori, nè semplice tribuna di un dibattito pubblico predeterminato nell’esito.
Per questo servono i partiti, e servono il confronto e anche le convergenze fra di essi.
In realtà , dietro queste scelte sulla legge elettorale, si rivela la tesi (già vittoriosamente contrastata nel referendum del 2006, ma ancora riaffiorante) secondo cui agli elettori deve rimettersi in sostanza solo la scelta dell’unico leader, capo dell’esecutivo, di cui la maggioranza parlamentare è una sorta di appendice (non a caso si parla di «sindaco d’Italia»).
E si rivela l’altro assioma, per cui il sistema politico dovrebbe articolarsi fondamentalmente solo in due partiti, ciascuno dei quali propone un unico leader.
Il bipartitismo è (quando lo è: oggi non lo è, non solo in Italia) il risultato della storia, non di una ingegneria elettorale.
Valerio Onida
Presidente emerito della Corte costituzionale
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
VENTI ASSISTENTI AL GRUPPO LAVOREREBBERO PER IL PARTITO SENZA ALCUN LEGAME CON GLI EURODEPUTATI, UNA PRATICA VIETATA
Potrebbe essere una tegola per il Front National di Marine Le Pen l’indagine avviata dal Parlamento europeo sulle irregolarità riguardanti 20 assistenti del gruppo a Strasburgo e Bruxelles.
L’indagine arriva a pochi giorni dal voto per il rinnovo dei consigli dipartimentali che si terrà il 22 e il 29 marzo, una consultazione che vede favorito il partito di estrema destra francese.
Gli ultimi sondaggi danno il FN avanti l’Ump di Sarkozy e ai Socialisti del presidente Hollande.
I venti assistenti (16 a Strasburgo e 4 a Bruxelles) appaiono nell’organigramma del Front National come funzionari di partito ma il regolamento dell’eurocamera prevede espressamente salari solo per i portaborse e non per i propri funzionari.
Le irregolarità contabili sono state segnalate oggi dal Parlamento Ue all’Olaf, l’Ufficio antifrode europeo, che ora prenderà in carico le indagini.
La denuncia sarebbe partita direttamente dal presidente del Parlamento Ue, il socialista tedesco Martin Schulz.
Secondo una prima indagine svolta dai servizi di Strasburgo almeno 10 dei 16 assistenti locali hanno un contratto che indica come luogo di lavoro la sede del FN a Nanterre, poco fuori Parigi, ed inoltre la loro posizione nell’organigramma interno non assicurerebbe alcun legame con il deputato europeo da cui sono stati assunti.
Altri 9 assistenti avrebbero dichiarato come sede di lavoro Nanterre.
Il regolamento sembra essere molto chiaro: l’articolo 33, al paragrafo 2, dello Statuto dei deputati prevede infatti che possano essere pagate dal Parlamento solo le spese di assistenza “direttamente legate all’esercizio del mandato parlamentare del deputato”.
L’articolo 43 chiarisce poi che queste somme “non possono servire direttamente o indirettamente a finanziare contratti stabiliti con i gruppi politici del Parlamento Ue o con dei partiti politici”.
La notizia dell’indagine ha provocato grandi polemiche in Francia.
Per la leader del Front Marine Le Pen si tratta di “una manipolazione politica indegna in vista delle imminenti elezioni amministrative in Francia”, ma non è entrata nel merito, che lascia poco spazio a diverse interpretazioni
Critico con la Le Pen Gianni Pittella, presidente degli eurodeputati socialisti e democratici: “La giustizia farà il suo corso, ma se fosse vero, dimostrerebbe l’incoerenza dei populisti: criticano l’Europa e poi ne approfittano…”
(da “La Repubblica”)
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
LA STORIA CHE FA PARLARE IL COMUNE DI TORRAZZA PIEMONTE, IMBARAZZO DEL SINDACO… IL MOVIMENTO: “ASPETTIAMO LA SENTENZA DI PRIMO GRADO”
Metti una domenica pomeriggio, un centro commerciale in un paesino del Piemonte e un controllo su un
cliente che, passando le casse, si trova con cento euro di materiale elettrico nascosto nella borsa.
Sembrerebbe un banale furto se non fosse che la persona coinvolta è un consigliere comunale della zona e sopratutto perchè la persona fermata appartiene al Movimento 5 stelle.
«Il consigliere del Movimento 5 Stelle Davide Bugli di Torrazza è stato sopreso a rubare materiale elettrico, per un valore di 100 euro, al “Self” di Settimo Torinese», titola il quotidiano Nuovaperiferia.it, sollevando un caso “mediatico” nella ridente cittadina di Torrazza Piemonte. Cosa è succeso?
La notizia, in sè, varrebbe poco più di una breve: un tizio, al Self di Settimo, passa le casse nascondendo nelle borse cento euro di materiale elettrico.
Beccato dal servizio di vigilanza interno, passa poi nelle mani dei carabinieri che lo denunciano per furto aggravato.
Peccato che il tizio in questione sia Davide Bugli, 41 anni, consigliere comunale a Torrazza Piemonte e, soprattutto, capogruppo del Movimento 5 Stelle.
I fatti contestati a Bugli risalgono al tardo pomeriggio di domenica 22 febberaio, ed hanno avuto come teatro il centro commerciale «Self» di Settimo Torinese.
Il consigliere comunale avrebbe varcato la linea delle casse nascondendo in una o più borse materiale elettrico (lampadine e poco altro) per un valore di cento euro.
I suoi movimenti non sono sfuggiti però agli agenti di vigilanza e agli uomini antitaccheggio, che lo avrebbero addiritura notato mentre toglieva il cellophane da un prodotto
Sono arrivati — secondo il quotidiano — i carabinieri di San Mauro. Ultimate le formalità di rito Davide Bugli è stato denunciato per furto aggravato
Il capogruppo M5S, contattato dal giornale, si difende dalle accuse: «Mi ritengo assolutamente estraneo alla vicenda — spiega — è da capire cosa è stato dichiarato dopo le casse. Devo fare ancora delle indagini ma mi difenderò fino alla fine. oltre non posso andare.
Con lui c’è anche il Movimento 5 Stelle locale. «Gli daremo la possibilità di difendersi e per ogni provvedimento aspetteremo l’esito del processo di primo grado. Se sarà condannato sarà lui stesso a dimettersi», ha rassicurato il consigliere comunale M5S a Chivasso Marco Marocco contattato da Nuovaperiferia.
Chivasso — spiega il giornale — prima di rilasciare dichiarazioni ha preferito confrontarsi sia con il collega di Torrazza Piemonte che con l’eletto in regione Davide Bono.
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
“NON LASCIATE I VOSTRI RIFIUTI QUI, QUESTO NON E’ UN BIDONE DELL’IMMONDIZIA”: INSOMMA, UNA RUMENTA TRA LA RUMENTA
L’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno è in missione per conto di Dio in Libia.
Quando gli uomini dell’ISIS avevano iniziato la loro offensiva in terra libica Buonanno aveva annunciato di voler andare in Libia a combattere il Califfato.
Purtroppo Buonanno non è ancora stato coinvolto in uno scontro a fuoco quindi non ha avuto modo di mettere in luce le sue doti di guerrigliero.
In attesa che si rechi sulle coste libiche per fermare con il suo corpo i barconi carichi di immigrati che salpano verso le coste italiane, possiamo seguire il nostro eroe mentre si cimenta nelle attività tipiche di chi va in un villaggio vacanze o ad un safari di caccia grossa in un parco naturale africano.
Ecco la foto dell’unico uomo “che ha avuto il coraggio di andare di persona” con la sua felpa d’ordinanza con scritto Buon—zip —anno.
Ma cosa ci sarà scritto sui muri dietro Buonanno?
Indicazioni per i ribelli?
Le coordinate per colpire Roma coi missili?
Niente di tutto questo, a darci la traduzione è lo scrittore egiziano Tahar Lamri: ““Non buttate i vostri rifiuti qui per favore! Questo non è un bidone dell’immondizia. Non lasciate i vostri rifiuti qui!”
Insomma come dicono a Genova, una rumenta tra la rumenta.
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
I GRILLINI HANNO SPESO 160.000 EURO PER GLI APPARTAMENTI DELLO STAFF COMUNICAZIONE, 40.000 PER IL SOLO ALLOGGIO DI ROCCO CASALINO…. MA LA NORMATIVA PREVEDE CHE I SOLDI SIANO USATI PER “FINI ISTITUZIONALI”
Contro gli affitti d’oro di Montecitorio il Movimento cinque stelle ha condotto una delle sue più popolari
battaglie.
Al motto di “Basta milioni spesi per gli uffici parlamentari, anche gli onorevoli devono fare la loro parte” (e stringersi se necessario), la Camera ha alla fine rescisso parte dei contratti di locazione sottoscritti con la società Milano 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini.
Non a caso il deputato Riccardo Fraccaro, protagonista della “campagna” in Ufficio di presidenza, l’ha definita «una delle più grandi vittorie politiche del Movimento».
Solo che nel loro piccolo anche i grillini, che rivendicano orgogliosamente la loro diversità e morigeratezza, rischiano di impantanarsi proprio su una vicenda immobiliare.
Dall’inizio della legislatura, ha ricostruito l’Espresso, al Senato hanno speso infatti 160 mila euro per pagare l’affitto di casa ai dipendenti della comunicazione, la cinghia di trasmissione tra lo staff della Casaleggio associati a Milano e il gruppo parlamentare di Palazzo Madama.
Un manipolo di fedelissimi (qualcuno è arrivato a Roma direttamente dalla srl del guru), scelti “su designazione di Beppe Grillo” come recita il codice di comportamento degli eletti e che si è accasato in una delle più belle zone di Roma, compresa fra il Pantheon e via Giulia.
DI CASA IN CASA
L’affittuario più noto è il coordinatore dello staff Rocco Casalino, divenuto celebre come inquilino di un’altra casa: quella del Grande Fratello (all’interno della quale, in tempi pre-Movimento, si dichiarava convinto sostenitore di Rifondazione comunista). Quando a fine 2012 provò a candidarsi per le elezioni regionali in Lombardia, ai militanti che lo criticavano sul blog per il suo passato televisivo rammentò la dura infanzia in Germania, in un piccolo appartamento dove il padre “per risparmiare non accendeva mai i riscaldamenti”.
Tempi quanto mai lontani, fortunatamente: dall’estate del 2013 l’ex gieffino ha trovato insieme a un collega il suo buen ritiro al quinto piano di un bellissimo palazzo secentesco in via di Torre Argentina, fatto costruire da una nobile casata viterbese e da due secoli di proprietà di una storica famiglia romana.
Una stupenda casa a due passi dal Pantheon: per le sue due camere, il salone e i due bagni il gruppo parlamentare ha speso finora 40 mila euro di affitto.
Altri 50 mila euro, invece, sono andati per la pigione di un grande appartamento abitato fino allo scorso autunno da altri tre dipendenti.
Compreso – a quanto risulta a l’Espresso – il fedelissimo Nik il Nero, il camionista-videomaker divenuto celebre per i suoi editoriali politici girati nella cabina del suo tir. .Anche in questo caso, un’abitazione assai blasonata: è infatti del conte Emo Capodilista, che – ironia della sorte – essendo fra i proprietari di Palazzo Grazioli, è anche padrone di casa di Silvio Berlusconi .
Prima di lasciare Roma per Bruxelles, invece, il precedente capo della comunicazione Claudio Messora viveva in un grazioso monolocale dietro piazza Navona, anche questo all’interno di uno splendido palazzo nobiliare: 1.600 euro al mese per un quinto piano con angolo cottura.
In tutto, circa 26 mila euro di affitto. Andati a un altro proprietario dal sangue blu: una nobildonna appartenente alla famiglia dei marchesi di Sambuci, sposata col discendente di una famiglia di conti partenopei di antico lignaggio.
FONDI PUBBLICI, ALLOGGIO PRIVATO
Solo nel 2014, ha ricostruito l’Espresso, il Movimento cinque stelle ha speso 100 mila euro per le case dei dipendenti della comunicazione.
Ai quali vanno aggiunti altri 52 mila nel 2013, 8 mila di agenzia e altri 5 mila di utenze domestiche. Totale: 165 mila circa.
Forse troppo per gli stessi grillini, visto che negli ultimi mesi è andata in scena una “spending review” che dovrebbe consentire loro di spendere meno per l’anno in corso: alla fine dell’anno scorso le case affittate erano cinque, i dipendenti che ci vivevano erano sei, e costavano 6.291 euro al mese.
Ma se l’attenzione che i Cinque stelle riservano ai loro dipendenti è lodevole, il problema è che si tratta di fondi pubblici.
Il Senato infatti eroga ai gruppi parlamentari una somma in base alla loro consistenza (2,5 milioni l’anno nel caso del M5S) ma i contributi, recita il regolamento all’articolo 16 , “sono destinati esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare e alle attività politiche ad essa connesse (…) nonchè alle spese per il funzionamento dei loro organi e delle loro strutture, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici del personale”.
Insomma, in teoria il denaro non potrebbe essere utilizzato per stipulare contratti di locazione a uso abitativo ma solo per pagare gli stipendi dei dipendenti.
Se poi il Movimento ritenesse la casa un benefit indispensabile, potrebbe sempre aggiungere un extra in busta paga.
Come accade alla Camera, dove per alcuni dipendenti è previsto un rimborso a piè di lista per l’affitto (peraltro sottoposto a tassazione).
E che l’alloggio non rientri nelle fattispecie previste sembra confermarlo indirettamente il fatto che l’anno scorso questa spesa è stata inserita sotto la voce “godimento di beni terzi”. «Era quella che ci si avvicinava di più» spiega a l’Espresso il senatore Giuseppe Vacciano, ex tesoriere del gruppo: «E comunque quella dell’affitto è una clausola prevista nel contratto come fringe benefit, penso ci sia poco da fare…».
RISCHIO RESTITUZIONE
Nel 2014 il rendiconto del M5S ha superato il controllo di conformità ma la società di revisione (la Bdo) ha rammentato nella sua relazione come “la verifica dell’inerenza delle spese documentate agli scopi istituzionali per i quali i contributi sono erogati ai gruppi parlamentari è demandata al Collegio dei questori ed esula dalla nostra attività ”.
Le cose adesso potrebbero cambiare e sul prossimo rendiconto rischia di abbattersi la censura dei tre senatori chiamati a controllare i bilanci dei gruppi (una è la grillina Laura Bottici), che pure lo scorso anno non hanno sollevato obiezioni.
«Di recente c’è stata una segnalazione su questo aspetto e, se fosse confermata, siamo intenzionati a chiedere chiarimenti espliciti e approfondimenti» dice a l’Espresso il senatore-questore Lucio Malan. “Il rischio, nel caso le motivazioni addotte dal Movimento cinque stelle non venissero accolte, è che al gruppo siano decurtati i soldi spesi finora per i contratti di locazione”.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
E I VERDINIANI SCRIVONO UN DOCUMENTO
È un no solo “affettivo” quello che Forza Italia vota alle riforme. E su cui converge tutto il gruppo. Affettivo, non “politico”.
Fino a notte fonda Silvio Berlusconi chiama uno ad uno i suoi parlamentari, chiedendo un atto di fedeltà : “Non potete farmi questa vigliaccata nel giorno della Cassazione su Ruby. Non possiamo dare l’immagine di un gruppo spaccato”.
I verdiani fino all’ultimo restano in bilico: alla fine optano per non “strappare” formalmente, votando in dissenso rispetto alla richiesta di Berlusconi.
Ma, dietro la facciata, Forza Italia è una polveriera pronta ad esplodere.
Il prezzo del finto unanimismo è la testa del capogruppo Brunetta, l’alfiere della linea incendiaria.
Non l’ha chiesta solo Verdini, ma il grosso del gruppo. Ecco perchè la sua vice, Mariastella Gelmini che da giorni ha iniziato a criticare apertamente il Mattinale per toni e contenuti, dice: “Oggi voterò contro le riforme, ma Forza Italia resti riformista”. Stesse parole dal capogruppo al Senato Romani.
Il capogruppo della Forza Italia “riformista” è stato già individuato e proposto a Berlusconi: Elio Vito, uno che ha già ricoperto l’incarico.
“Vito su posizioni equilibrate” è la formula usata dal grosso del gruppo.
Nella polveriera Forza Italia pronta ad esplodere Denis Verdini si aggira con un fiammifero.
È sua la decisione di dare comunque un segnale a Renzi (e a Berlusconi).
Un documento, firmato da una ventina parlamentari, per mettere nero su bianco il “forte disagio e dissenso” rispetto alla linea del no alle riforme.
Tra le firme quelle di Laura Ravetto, Daniela Santanchè, Massimo Parisi: quelli che avrebbero votato a favore.
Segnale pesante, in vista del Senato dove — con i numeri in bilico — il suo gruppo potrebbe essere la polizza a vita del governo.
D’ora in poi, è scritto nel documento, “non potremo essere silenti”.
Quando prende la parola Renato Brunetta per la dichiarazione di voto è tangibile l’imbarazzo del grosso del gruppo di Forza Italia.
Pochi e timidi applausi. I volti di Mariastella Gelmini e di Mara Carfagna non celano l’irritazione per i toni del capogruppo. Incendiari.
Dopo aver addirittura citato Rodotà , Brunetta scandisce con tono tragico: “Oggi si sta compiendo un evento grave e drammatico perchè si cambia la Costituzione in un Parlamento lacerato, delegittimato, in un paese impaurito. Renzi ha tradito i patti”.
In Transatlantico la tensione di taglia col coltello: “Ma come si fa a dire queste cose su riforme che abbiamo votato? Siamo alla follia”.
In parecchi avrebbero voluto disertare l’Aula per non ascoltare il discorso di Brunetta e far capire che “non se ne può più”.
Ma si torna al problema “affettivo”. Berlusconi chiede unità , sia pur finta, nel giorno di Ruby.
Sotto il no, Forza Italia più che un partito pare un agglomerato di bande.
I venti fittiani votano no, ma non perchè Renzi ha tradito il Nazareno come dice Berlusconi, ma perchè hanno sempre contestato queste riforme.
La ventina di verdiani avrebbe votato sì e lo dice in un documento. I restanti trenta si sarebbero astenuti ma votano no solo perchè hanno la certezza che cadrà la testa di Brunetta a breve.
Al netto dell’ultimo atto d’affetto verso Berlusconi, dentro Forza Italia scorre l’odio.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI DELLA G.D.F.: 50.000 EURO DI SPONSORIZZAZIONE AL GIRO DELLA PADANIA DA PARTE DI COOP7 APPENA SBLOCCATO UN APPALTO
Un finanziamento illecito alla Lega Nord. 
Sponsorizzazioni al Giro della Padania per sbloccare il contratto di appalto alle coop emiliane per la costruzione della nuova sede della Regione Piemonte, il grattacielo progettato da Massimiliano Fuksas già al centro di molte indagini e polemiche.
Questa mattina nell’ambito dell’indagine della Procura di Torino i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria guidato dal tenente colonnello Giuseppe Fugacci hanno perquisito otto tra aziende e associazioni implicate in questo affare.
Tra queste c’è la Coopsette di Poviglio (Reggio Emilia), a capo dell’associazione temporanea di imprese “Torre Regione Piemonte” che aveva vinto l’appalto.
Ci sono poi la Cooperativa muratori e braccianti di Carpi, la Unieco di Reggio Emilia, la De-Ga di Torino, la Idrotermica di Forlì, la Kopa Engineering di Torino, l’Ascom di Bra e infine l’associazione sportiva dilettantistica “Monviso-Venezia”, di Bra, organizzatrice del Giro della Padania.
Non sono stati perquisiti invece i locali di questa associazione che sono riferibili al senatore Michelino Davido, ex parlamentare della Lega Nord ora in forza al gruppo “Grandi autonomie e libertà ”.
Secondo gli investigatori quattro giorni dopo la firma del contratto di appalto tra la Regione Piemonte e l’Ati il 30 maggio 2011 (sotto la legislatura di Roberto Cota) partirono dall’associazione “Monviso-Venezia” delle email alle società per una richiesta di sponsorizzazione del giro della Padania del settembre 2011.
Le aziende, anzichè tirarsi indietro, hanno accettato la richiesta così il 6 settembre sono stati stipulati i contratti di sponsorizzazione e sono partiti i bonifici per un importo complessivo di 50mila euro.
Una sponsorizzazione strana, secondo la procura, non giustificata da scelte di marketing delle coop, ma dall’approvazione degli appalti.
Al momento l’unico indagato di questa inchiesta, cominciata nel 2014, è Paolo Rosa, geometra della Coopsette e presidente del consiglio d’amministrazione di Torre Regione Piemonte.
L’ipotesi di reato formulata dai sostituti procuratori Giancarlo Avenati Bassi e Stefano Demontis è finanziamento illecito a un partito politico.
Il geometra Rosa — difeso dall’avvocato Alberto Mittone — è già al centro di un’altra indagine della procura torinese che riguarda la costruzione del grattacielo. In quell’indagine gli stessi pm ipotizzano i reati di turbativa d’asta e corruzione per l’approvazione di alcune varianti al progetto originario di Fuksas.
“Le indagini — conclude la nota del procuratore capo Armando Spataro — continueranno con l’esame della documentazione rinvenuta e quant’altro reputato necessario ai fini delle successive determinazioni di questo ufficio”.
Il grattacielo è anche al centro di un’indagine della procura regionale della Corte dei conti che a febbraio ha chiesto il processo per 15 tra ex componenti della giunta di Mercedes Bresso e dirigenti.
Secondo il viceprocuratore generale Ivano Malpesi le modifiche approvate da quella giunta sono costate all’erario quasi 6,7 milioni di euro.
Andrea Giambartolomei
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 10th, 2015 Riccardo Fucile
NEL PD SOLO UNA DECINA DI DEPUTATI NON VOTA
“E’ un giorno difficile, vi chiedo di restare uniti”. L’ordine di votare “no” al ddl Boschi non è bastato, Silvio Berlusconi ha dovuto scrivere ai suoi e implorarli di non abbandonare il partito proprio nel giorno in cui la Cassazione decide se confermare l’assoluzione nel processo Ruby o rinviare all’appello per un nuovo giudizio.
Mentre a Montecitorio sono state approvate in seconda lettura le riforme costituzionali (357 i sì e 125 i no), l’ex Cavaliere ha in mente solo le sue vicende giudiziarie.
Nelle scorse ore i suoi parlamentari si erano spaccati sulla posizione da tenere in Aula, ma oggi, dopo le preghiere del leader, tutti sono tornati sull’attenti.
“Berlusconi”, ha detto la deputata Daniela Santanchè che solo ieri sera si era detta pronta a disobbedire, “ci ha chiesto un gesto di lealtà “.
Intanto però 17 parlamentari, i più vicini all’uomo delle riforme Denis Verdini, hanno firmato un documento in cui esprimono il loro dissenso e in cui ribadiscono di essere tornati sui loro passi solo per “affetto”.
Presenti a Montecitorio erano tutte le opposizioni tranne il Movimento 5 Stelle.
Solo Gianfranco Rotondi ha votato “sì” alle riforme costituzionali tra i deputati di Fi. Non hanno partecipato al voto 3 deputati azzurri (4 se si considera anche Galan) mentre non figurano astensioni e solo 1 deputata azzurra è in missione: Lorena Milanato.
Malumori nella minoranza Pd: otto deputati non hanno partecipato al voto e in tre si sono astenuti (Angelo Capodicasa, Carlo Galli e Guglielmo Vaccaro).
Non hanno votato Francesco Boccia, Giuseppe Civati, Stefano Fassina, Ferdinando Aiello, Paola Bragantini, Massimo Bray, Luca Pastorino, Michele Pelillo.
Altri 7 dem non hanno votato ma avevano comunicato al gruppo l’assenza: Carrozza, Battaglia, Becattini, Casati, Folino, Genovese e Martelli. Nessun deputato Pd ha votato contro il ddl.
“Gli onesti stanno fuori”, ha detto Danilo Toninelli entrato solo per le dichiarazioni di voto. “E’ davvero doloroso per me essere qui oggi ma lo faccio con l’orgoglio di chi ha il compito di testimoniare la contrarietà al tentativo di rovinare la Costituzione imposto con metodi fascisti”.
L’Aula, quella stessa che poche settimane fa era rimasta semivuota davanti ai parlamentari del Pd che votavano gli emendamenti al ddl Boschi da soli, ha dato il via libera al provvedimento in seconda lettura.
Il testo dovrà poi tornare per le ultime letture al Senato e alla Camera. Infine ci sarà il referendum confermativo, così come previsto da Renzi.
A firmare il documento dei dissidenti di Forza Italia sono tra gli altri Massimo Parisi, Luca D’Alessandro, Daniela Santanchè, Laura Ravetto, Monica Faenzi, Ignazio Abrigani, Luca Squeri, Basilio Catanoso, Antonio Marotta, Giovanni Mottola, Giuseppe Romele, Marco Martinelli, Carlo Sarro, Gregorio Fontana, Giorgio Lainati, Gianfranco Rotondi e Paolo Russo.
E’ lontano insomma il tempo del patto del Nazareno, quando il soccorso azzurro sempre compatto si schierava a fianco di Matteo Renzi.
Dopo la rottura per il mancato accordo sull’elezione del presidente della Repubblica, Berlusconi impone ai suoi di stare all’opposizione, ma il partito accetta a fatica.
In prima linea per il no, c’era il capogruppo di Fi Renato Brunetta: “Lei, signor presidente del Consiglio che non c’è”, ha detto, “ha tradito la nostra fiducia, per il potere. Questa riforma si è trasformata in un fantasma che si aggira nella nostra democrazia, una democrazia trasformata in una democratura”.
Gli ha risposto poco dopo il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini: “Non capiamo il passo indietro di Forza Italia, ma l’Italia non può più aspettare”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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