Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
LA SINISTRA CHIEDEVA UN INCONTRO, INVECE SI VA ALLA CONTA
«Sono previste votazioni». A sorpresa Renzi convoca la direzione del Pd lunedì prossimo per discutere di Italicum e di riforme e ricorda che, alla fine, si voterà .
Una sfida alle correnti della sinistra dem che hanno chiesto chi un “conclave” di senatori e deputati, chi un “coordinamento” per elencare le modifiche indispensabili alla nuova legge elettorale.
Ma l’accelerazione del premier — che vorrebbe l’approvazione definitiva dell’Italicum prima delle regionali, quindi entro la fine di maggio — scompagina i giochi.
All’aut aut posto dalle sinistre, con un vero e proprio ultimatum di Bersani, il premier-segretario risponde giocando d’anticipo e blindando le riforme.
In direzione ci sarà quindi una “conta”. Irritate le minoranze, peraltro divise.
Alfredo D’Attore aveva proposto il “conclave” sulle riforme e annunciato una lettera della minoranza.
Contrattacca: «La materia istituzionale non si risolve con un voto in direzione, su questi temi è sempre stato riconosciuto un margine di autonomia ai gruppi parlamentari».
E rilancia appunto il “conclave”, troncando ogni ipotesi di ingresso di esponenti della sinistra dem al governo: «Fantapolitica».
È Roberto Speranza, il capogruppo, a essere indicato come possibile sostituto del dimissionario Lupi al ministero delle Infrastrutture. «Sono molto contento di fare il capogruppo alla Camera. Non penso ad altro», garantisce Speranza.
Area riformista, la corrente di cui Speranza è leader. non vuole neppure un “coordinamento” ed è in aperta critica con l’assemblea delle sinistre di sabato scorso all’Acquario Romano.
«Direi che dobbiamo smetterla di dare una assist a Renzi», commenta Davide Zoggia. «La giudico un fallimento», è il giudizio di Enzo Amendola. Entrambi sono di “Area riformista”.
«Mi pare ci sia un’accelerazione, in direzione i rapporti di forza sono sul filo…», ironizza Gianni Cuperlo, leader di Sinistradem, appena ricevuto l’sms della convocazione della direzione.
Un modo per segnalare che in direzione la maggioranza renziana è talmente ampia che non ci sarà possibilità di incidere.
«Renzi crea tensione, poi dà la colpa a noi», accusa Pippo Civati.
Già oggi, annuncia Ettore Rosato, il vice capogruppo, il Pd chiederà in conferenza dei capigruppo alla Camera di anticipare la discussione sull’Italicum: «Chiederemo la calendarizzazione immediata, i tempi ci sono». L’obiettivo è quello di vedere l’Italicum trasformato in legge il prima possibile senza ulteriori e rischiosi ritorni all’esame del Senato.
«Il confronto è sempre benvenuto ragiona Teresa Piccione, franceschiniana — però lasciando il paese in balia di inutili lungaggini».
E poi per Renzi c’è la partita aperta con Alfano e Ncd per la sostituzione di Lupi o un ministero di peso.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
IL “PATRIOT ANGELINO ACT” UCCIDE LA PRIVACY DIGITALE… L’EMENDAMENTO DEL VIMINALE AL DECRETO DI ALFANO PER SPIARE TUTTI
Ma vi immaginate se potesse uscire oggi una mail di quando Renzi era nei boy scout?”. Seduto su
un divanetto del Transatlantico con il computer sulle ginocchia, a un certo punto, Stefano Quintarelli, informatico momentaneamente prestato a Scelta Civica, tira fuori Renzi, le giovani marmotte e pure Benjamin Franklin: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita nè la libertà nè la sicurezza”.
Diciamo che Quintarelli non ha scomodato uno dei padri fondatori degli Stati Uniti a caso. E nemmeno i lupetti tra cui il presidente del Consiglio ha cominciato la sua carriera. Alle sue spalle, nell’aula della Camera, è appena arrivato il decreto che vuole essere il Patrioct Act italiano: quello che, in nome dell’antiterrorismo, è disposto a setacciare le nostre vite digitali, impadronirsi dei nostri dati sensibili e poi farne un po’ quel che gli pare.
Le modifiche dell’Interno e i “captatori occulti”
Lo hanno scritto negli uffici del Viminale. E guai a provare a dare qualche consiglio: Angelino Alfano non ne ha voluto sapere.
Dritto per la sua strada, ha aggiunto all’articolo 266-bis comma 1 del codice di procedura penale, che consente le intercettazioni informatiche, le seguenti parole: “anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico”
In pratica, lo Stato potrà , attraverso dei trojan — software denominati “captatori occulti” — inserirsi in un computer, in un tablet, in uno smartphone e acquisire, senza alcun controllo, tutti i dati contenuti in quel dispositivo. Attenzione, non sarà legittimato a farlo solo nelle indagini per terrorismo, ma per tutte le ipotesi di reato “commesse mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche”.
Diciamo che è difficile immaginare, oggi, una qualsiasi attività che non sia veicolata, almeno in qualche suo passaggio, attraverso la tecnologia.
Elenca Quintarelli: “Dalla diffamazione alla violazione del copyright, dai reati di opinione o all’ingiuria”, tutto transita per una tastiera.
E il “Patriot Angelino Act” consentirà in ognuno di questi casi l’intrusione mascherata nel patrimonio di immagini, testi, messaggi di posta, sms che chiunque si porta in tasca. Forse Alfano, non esattamente un fanatico delle intercettazioni, non si è ancora reso conto che, in confronto a quello che ha scritto, le telefonate registrate sono un capriccio da voyeur.
Glielo spiega Quintarelli: “Una intercettazione riguarda comunicazioni, non documenti. L’acquisizione in questione riguarda tutto ciò che un utente ha fatto nella sua vita. Nel mio caso, ad esempio, prenderebbe le mail ed i miei documenti dal 1995 in poi. Stiamo parlando non di un momento nella vita, non di una comunicazione, ma dell’intera vita di una persona”.
Ma adesso che si è messo a far la guerra all’Isis, evidentemente, per Alfano tutto è lecito, tutto è consentito.
È che una decisione di tale portata meriterebbe una riflessione un po’ più approfondita di un emendamento scritto sull’onda di Tunisi e Charlie Hebdo.
Il rischio fiducia e la fregola patriottica del ministro
Quintarelli, dicevamo, ha provato a intercedere presso il Viminale. Poi, si è messo a scrivere un testo alternativo nella speranza che il Parlamento, meno obnubilato dalla fregola patriottica del ministro, abbia modo e tempo (l’ipotesi che il governo metta la fiducia è ancora in piedi) di ragionare con calma.
Anche perchè molte delle necessità illustrate nell’emendamento del governo, tra cui quella di acquisire dati telematici, sono già regolamentate dal Codice della privacy.
Dove è scritto chiaramente che le informazioni raccolte non possono essere utilizzate per nessun altra finalità al di fuori dell’indagine.
E poi c’è da restringere il campo delle ipotesi di reato, per esempio, “escludendo tale possibilità di azione — consiglia Quintarelli — dal campo della giustizia civile”.
In queste ore — se ne avrà il tempo — ne discuterà anche l’ottantina di parlamentari che compone l’Intergruppo Innovazione.
L’obiettivo è arrivare a una posizione unitaria che faccia passare in Aula l’emendamento Quintarelli.
Bisognerà convincere anche quelli — non pochi — convinti che, non avendo nulla da nascondere, si possa sopportare questa intrusione legalizzata in nome della lotta al terrorismo internazionale.
“Io non sono un filosofo — conclude il deputato di Scelta Civica — ma credo che un ragionamento del genere sia quello su cui si fondano i regimi totalitari. Non ce la vengano a raccontare. L’uso del telefonino mentre si sta alla guida quanti morti ha fatto? Perchè non abbiamo installato su tutte le vetture in circolazione un jammer che bloccasse la ricezione dei cellulari? Quante vite avremmo salvato?”.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
GRANDI OPERE: PERQUISITO PADRE FRANCESCO GIOIA, TROVATO UN CONTO CORRENTE “CONSISTENTE”
Gli investigatori stanno analizzando la movimentazione bancaria di un conto corrente acceso allo Ior.
È quello di monsignor Francesco Gioia, ex arcivescovo di Camerino, presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem, l’istituzione che organizza l’accoglienza dei pellegrini nel Vaticano.
Il monsignore è anche l’alto prelato in stretto contatto con la “cricca” delle Grandi opere, in particolare con il super direttore dei lavori Stefano Perotti e l’ex capo della Struttura di missione, Ercole Incalza.
Quando i carabinieri del Ros, undici giorni fa, si sono presentati in casa sua per perquisirlo, il monsignore ha quasi avuto un malore e ha chiamato il suo avvocato di fiducia, Claudio Coggiatti, che da buon amico s’è precipitato ad assisterlo, nonostante il prelato non sia indagato.
Alla ricerca del legame tra il religioso e gli indagati
Gli investigatori cercavano agende, rubriche, documentazione informatica che riguardasse il legami del monsignore con gli indagati.
Un legame provato da decine e decine di telefonate, ancora tutte da interpretare, che dimostrano però un fatto: monsignor Gioia — oltre che Perotti e Incalza premurava di incontrare anche importanti imprenditori, come Luca Navarra, della Società italiana costruzioni, che in quei giorni si aggiudicava l’appalto per la costruzione del Padiglione Italia all’Expo di Milano.
“Sono state acquisite conversazioni — scrive il Ros nelle sue informative — che ineriscono l’interessamento di Gioia, presso il Perotti, in favore dei fratelli Navarra, cui fa capo la società Italiana Costruzioni”.
Il 19 ottobre 2013 l’arcivescovo chiede a Perotti di presentargli i fratelli Navarra e dice: “Dobbiamo dargli una mano… per introdurli… presso il responsabile… lo facciamo non per telefono”.
Di quale responsabile si tratta? È uno degli interrogativi che si sta ponendo la procura di Firenze.
Ed è una delle piste d’indagine che portano al Vaticano. Navarra non è l’unico imprenditore che l’alto prelato incontra negli ultimi due anni. Il Ros scrive ancora: “La mattina del 19 ottobre 2013 il monsignor Gioia risulta aver ricevuto una donazione di 2mila euro, da parte di Matterino Dogliani, a fronte di qualche aiuto che il primo gli avrebbe dato”.
Fa riferimento a delle “monete”: “Poi mi aveva dato… quando fece le monete qui in Vaticano… mi aveva dato 2mila euro… non per me! Insomma… lui voleva anche per me… ma non l’avrei accettata…”. Dogliani è un imprenditore che si occupa sia dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, sia della Pedemontana Veneta, dove Perotti è come al solito il direttore dei lavori. Il punto è che nelle intercettazioni il linguaggio del monsignore non è per nulla chiaro, anzi a volte appare omissivo: “Sono andato con… con quel mio amico… stamattina a prendere monete in Vaticano”, dice il prelato a Perotti, che gli risponde: “Ah, sì, l’ho visto poi a pranzo…”. “Ecco sì”, replica monsignor Gioia, “non facciamo i nomi…”. e aggiunge: “Poi gli ho detto che l’altro amico, dell’altra sera, gli ha detto di nominare una persona come direttore…”.
Dalle intercettazioni emerge poi che l’arcivescovo , dal binomio Perotti—Incalza, ha ottenuto un favore: l’assunzione di suo nipote alle Ferrovie Sud Est. Un primo nipote, invece, era già stato assunto da Perotti come autista sei anni fa.
A spiegarlo al Fatto Quotidiano è proprio il suo avvocato: “L’assunzione dei due nipoti non può essere smentita, il primo in una ditta della famiglia Perotti, il secondo nelle Ferrovie sud est”.
In cambio il prelato cosa ha offerto? “Nulla, non si trattava di un do ut des”.
“Oggi ha firmato il contratto…io ti devo ringraziare”
Il punto è che, a smentire il favore dell’assunzione, è proprio Incalza, quando il gip di Firenze Angelo Antonio Pezzuti gli contesta la seguente intercettazione: “Ercole, mio nipote oggi ha firmato il contratto… io ti ringrazio”. “Incalza — scrive il gip, che ritiene le sue dichiarazioni evasive e incongrue — ha risposto che monsignor Gioia lo ringraziava per aver agevolato la ristrutturazione di un edificio religioso”.
“Escludo in modo categorico che Incalza gli abbia fatto altri favori”, commenta l’avvocato del monsignore. “Non esiste alcun altro motivo di ringraziamento, da parte sua, se non l’assunzione del nipote. Nè mi risulta alcuna ristrutturazione di edifici religiosi”.
Due versioni opposte. Che lasciano in piedi una domanda: perchè Incalza non ammette di aver aiutato il monsignore ad assumere il nipote, che è il più leggero degli appunti a lui rivolti, prendendo in questo modo la massima distanza dal prelato? Intanto, nelle mani degli investigatori, c’è la “stampata” dei movimenti bancari dell’arcivescovo nei quali, ci spiega il suo avvocato , sono stati raccolti i risparmi di una vita. E non solo.
“Allo Ior il monsignore accredita il suo stipendio di vescovo, che viene regolarmente lasciato là , perchè ha un sogno: non utilizzarlo, per realizzare una missione. Poi ci sono le somme accreditate alla morte dei suoi genitori”.
Un conto consistente, par di capire, se sommiamo eredità e stipendi mai utilizzati: “La consistenza è un criterio molto relativo”, ribatte l’avvocato.
Una tonaca molto frequentata dal giro di chi voleva un appalto
Esistono transazioni con Perotti, Incalza o altri indagati? “Assolutamente no”. D’altronde, la relazione tra monsignor Gioia e la famiglia Perotti, spiega sempre il suo avvocato, è davvero antica: “Conosce la famiglia Perotti da più di 35 anni, dal 1974, quando Stefano arrivò a Roma per studiare e lui divenne il suo precettore. Incalza, se non sbaglio, l’ha conosciuto invece circa otto anni fa, quando officiò il funerale della moglie. Poi i rapporti sono continuati”.
Fino all’assunzione del nipote. E agli incontri con diversi imprenditori.
Di certo, la figura del monsignore, era parecchio gradita e frequentata, nel giro di chi ambiva a ottenere appalti nelle grandi opere.
Un uomo che poteva entrare e uscire dal Vaticano senza problemi, aveva conti allo Ior e che — lo ribadiamo — non risulta indagato.
Ma sul quale gli inquirenti stanno cercando di fare chiarezza. A partire da quei movimenti bancari sequestrati, undici giorni fa, nella sua abitazione.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
SECONDO L’OCSE SIAMO PEGGIO PERSINO DELLA GRECIA QUANTO ALL’IDEA DELLA CORRUZIONE NELLE ISTITUZIONI
Italia prima tra i 34 Paesi Ocse per percezione della corruzione nelle istituzioni governative e locali,
con un incidenza che sfiora il 90%.
Il dato è contenuto in una tabella del rapporto Curbing corruption dell’organizzazione parigina, che cita uno studio Gallup secondo il quale la Penisola è seguita a ruota da Portogallo e Grecia. Al contrario la percezione più bassa, sotto il 15%, si registra in Svezia.
Il non invidiabile primato di Roma rispecchia i risultati del Corruption perception index 2014 di Transparency International, che lo scorso dicembre collocava il nostro Paese al primo posto in Europa e al 69esimo nel mondo per corruzione percepita.
E arriva proprio nei giorni in cui, dopo 734 giorni di attesa, il tormentato ddl anticorruzione è approdato in aula al Senato per la discussione, in attesa del voto finale previsto per l’1 aprile. Mentre il governo, a valle del nuovo scandalo messo in luce dall’inchiesta Sistema che ha portato in carcere il ras delle infrastrutture Ercole Incalza, ha avviato un piano per la legalità e la prevenzione dei fenomeni corruttivi nelle partecipate statali.
Il costo delle truffe e della corruzione negli investimenti pubblici — scrive l’Ocse, che ha diffuso il rapporto in occasione della Integrity week in corso a Parigi — non è solo economico ma politico e istituzionale, con seri risvolti per la legittimazione dell’apparato dello Stato e la capacità delle istituzioni governative di funzionare in modo efficace.
Per l’Ocse c’è una “forte relazione” tra la corruzione percepita e la fiducia nel governo.
Più alta è la corruzione percepita, più bassa è la fiducia nelle istituzioni.
Dalla tabella contenuta nel documento emerge però anche che in Italia, pur trattandosi del Paese con la più alta corruzione percepita, la fiducia nel governo è superiore al 30%, superiore a quella di Grecia, Portogallo, Spagna e Slovenia, dove la percezione della corruzione è tra l’80 e il 90%.
La correlazione inversa è però evidente per la Svezia, che a fronte di una percezione della corruzione inferiore al 15% fa registrare una fiducia nell’esecutivo superiore al 55%.
Il Paese in cui il governo incassa il maggior credito di fiducia è la Svizzera, con una percentuale vicina all’80%.
Oltralpe, la corruzione percepita è intorno al 25%. In Germania invece la fiducia è superiore al 60% nonostante la percezione della corruzione si avvicini al 40%.
La media Ocse è superiore al 40% per quanto riguarda la fiducia nei governi e inferiore al 60% per la percezione sulla corruzione.
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
IL NEW YORK TIMES RACCONTA LE PRIME RIVELAZIONI DALL’ASCOLTO DELLA SCATOLA NERA
Nel momento in cui l’Airbus si è disintegrato contro la montagna, in cabina c’era soltanto un pilota.
Poco prima l’altro, fuori dalla cabina, cercava di buttare giù la porta blindata per rientrarvi.
Emergono le prime rivelazioni dall’analisi della scatola nera ritrovata dopo l’incidente dell’Airbus A320 della Germanwings, caduto martedì sulle Alpi francesi.
Secondo una registrazione audio riportata dal New York Times, a un certo punto del volo uno dei due piloti sarebbe uscito dalla cabina e non sarebbe più riuscito a farvi rientro.
Una fonte militare che partecipa all’indagine, non identificata dal quotidiano statunitense, spiega che secondo la registrazione, pur cercando di rientrare in cabina, il pilota “non ha mai avuto risposta” dal collega.
“Si può sentire — dichiara la fonte — che cerca di buttare giù la porta”.
Lufthansa — casa madre della lowcost Germanwings — non ha confermato nè smentito l’indiscrezione del Nyt che, scrive l’agenzia stampa AP, è stata invece confermata da un funzionario in Francia che ha voluto mantenere l’anonimato.
La fonte, la cui identità non è stata resa nota dal quotidiano newyorkese, ha sottolineato che “ancora non si conosce il motivo per cui uno dei due era uscito, ma è certo che nella parte finale del volo l’altro pilota è da solo e non apre la porta”. Indicazioni queste che se confermate di certo segnano una svolta importante nelle indagini per stabilire la causa del disastro aereo che ha causato la morte di tutte le 150 persone a bordo
Dalla registrazione vocale emerge, secondo la fonte, che nella prima parte del volo vi era stata una “conversazione molto tranquilla” tra i due piloti.
Ad un certo punto però uno lascia la cabina di pilotaggio per motivi non chiari e poi tenta di rientrarvi. Si sente che dapprima “l’uomo da fuori bussa piano alla porta” della cabina di pilotaggio, ma senza ricevere risposta. Allora il ritmo e il vigore si intensificano: “Colpisce la porta con più forza ma ancora nessuna risposta. Non c’è mai una risposta”.
Alla fine “si sente che sta tentando di buttare giù la porta”. Non è chiaro per ora il motivo nè dell’uscita di uno dei due piloti dalla cabina, nè del perchè il collega non abbia più aperto la porta.
Da dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, le porte delle cabine hanno un complesso sistema di sicurezza per cui è necessario un codice di apertura, ma possono anche venir bloccate dall’interno.
Elementi che aprono diverse ipotesi, ma che nessuno ancora mette nero su bianco.
Le autorità francesi restano caute: molto poco è stato reso pubblico ufficialmente sui contenuti della scatola nera recuperata, sulla natura delle informazioni emerse dall’audio, se sono parziali e complete.
L’unica conferma avuta dai responsabili delle indagini è che la registrazione comprende voci e suoni all’interno della cabina di pilotaggio.
Le generalità dei piloti non sono state ancora rese note per questioni di sicurezza. Secondo quanto riferito da Lufthansa e riportato dai media britannici, il copilota era stato assunto nel settembre del 2013 e aveva alle spalle 630 ore di volo. Il copilota era stato addestrato nel Centro Lufthansa di Bremen, nel nord della Germania.
In precedenza la compagnia aerea tedesca aveva fornito alcuni dettagli riguardo al comandante del volo 4U9525, riferendo che aveva oltre 10 anni di esperienza e 6mila ore di volo sugli Airbus A320.
Secondo un pilota di Germanwings intervistato dietro l’anonimato dal Westdeutsche Allgemeine Zeitung, l’Airbus A320 schiantatosi sulle Alpi francesi era piuttosto “impopolare” tra i piloti della compagnia a causa dei suoi frequenti problemi tecnici. Era “uno degli aerei che rimanevano più spesso a terra”, ha detto il pilota al quotidiano tedesco.
Come è emerso, l’aereo il giorno prima dell’incidente era rimasto a terra per un’ora a causa di una riparazione al portellone del carrello anteriore.
La Lufthansa ha però escluso che l’episodio sia da mettere in relazione con la sicurezza del velivolo.
Intanto sono riprese all’alba le operazioni di recupero dei corpi. Le prime spoglie sono state evacuate con gli elicotteri nel tardo pomeriggio di ieri.
Inizieranno oggi le operazioni di identificazione e, sempre oggi, in Alta Provenza è previsto l’arrivo delle famiglie delle vittime.
Sul posto sono già stati reclutati quaranta interpreti di tedesco e spagnolo, la lingua della maggior parte delle vittime, e quattro unità medico-psicologiche, due francesi, una tedesca e una spagnola.
Ieri si sono alzati in volo nove elicotteri nel corso del giorno, per portare nell’area dello schianto gendarmi, militari, investigatori ed esperti forensi, in un vero e proprio ponte aereo.
Sul luogo lavorano 400 gendarmi e militari, 300 pompieri e molti investigatori.
La via aerea sembra l’unica possibile per arrivare nella zona montuosa, dove i resti dell’aereo, praticamente polverizzati, si estendono su un’area di quattro ettari.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
L’INTELLETTUALE HA SCRITTO “LE MEPRIS DU PEUPLE”: IL DISPREZZO DEL POPOLO… “COME L’OLIGARCHIA HA PRESO IN OSTAGGIO LA SOCIETA’
Nel 1974 il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, socialista, diceva che i profitti di oggi avrebbero
costituito gli investimenti di domani e i posti di lavoro di dopodomani. Forse all’epoca poteva essere vero.
Nel 2015 invece i profitti di oggi costituiscono solo i dividendi di domani e la disoccupazione di dopodomani.
Peccato che la sinistra, in Europa, non se ne sia accorta.
E, non essendosene accorta, crede ancora in questo mercato, pensando che sia uguale a quello di quarant’anni fa come strumento di emancipazione dalla povertà e dalla subalternità sociale.
Quando invece è diventato mezzo di concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi.
Un fenomeno più evidente nel paese in cui è iniziato, cioè gli Stati Uniti: dove da sei anni il 95 per cento della crescita viene confiscato dall’uno per cento di popolazione più ricca.
Ma la stessa dinamica è presente ovunque, in Occidente: compresi gli Stati che avevano storicamente strumenti di welfare e di redistribuzione, gradualmente smantellati con le varie leggi sulla “flessibilità ” e le privatizzazioni.
Le accuse qui sopra sono di Jack Dion, intellettuale e giornalista francese che ha da poco mandato in libreria il suo ultimo saggio , “Le mèpris du Peuple” (il disprezzo del popolo; sottotitolo: “come l’oligarchia ha preso la società in ostaggio”) che per una decina di euro si può comprare anche su Amazon in versione digitale.
È un libro che in Francia sta facendo parecchio discutere – specie dopo il recente crollo dei socialisti – e che anche in Italia potrebbe costituire utilissima lettura specie a chi parla di sinistra, ma non solo.
Anzi: pur proveniente senza dubbio dalla tradizione della sinistra francese, Dion mette metaforicamente mano alla pistola quando sente questa parola, ormai diventata la foglia di fico (anche lì) per nascondere le più mercatiste e liberiste delle politiche e – soprattutto — per celare appunto il disprezzo per il popolo, verso le persone che stanno in basso nella società .
«Quando i partiti che si succedono al potere si trasformano in strumenti di difesa dell’ordine stabilito, il popolo diventa un nemico, simboleggia un pericolo potenziale», dice Dion.
Che conia il termine prolofobia, per descriverli, questi socialisti alla Hollande o alla Strauss-Kahn.
Prolofobia: paura e alterigia verso i proletari di oggi, divisi in mille lavori (o non lavori) diversi, intellettualmente incapaci di costituire un blocco sociale e progettuale, politicamente alla deriva tra l’astensione e (in Francia) il partito di LePen.
Ecco, LePen e il Fronte Nazionale. A cui nella propria prolofobia i partiti lasciano le masse degli esclusi e degli arrabbiati, ignorando i problemi concreti dei ceti impoveriti e limitandosi a reagire istericamente a ogni successo dell’estrema destra con la più scontata delle accuse, quella di populismo: centrodestra e centrosinistra «difendono gli stessi precetti, quelli del neoliberismo», e per occultare questa verità descrivono tutto ciò che sta fuori di loro come populismo.
Il “j’accuse” sull’uso dell’epiteto in questione come arma mediatica dell’establishment per delegittimare il popolo – cioè i cittadini, le persone – rimanda in buona parte alle riflessioni di un filosofo che in Italia ha scarsa cittadinanza nel dibattito pubblico e culturale, Ernesto Laclau , di cui invece molto si parla altrove; ma questo è un altro discorso.
Ciò su cui Dion insiste invece è l’utilizzo truffaldino del termine pupulismo per indurre nell’immaginario la convinzione che non esista alcuna alternativa possibile al liberismo, per sancire il dogma secondo cui ogni possibile scarto rispetto ai binari dell’ortodossia neocapitalista sia pericoloso e “anti democratico”, quando invece ad aver annegato la democrazia sottomettendola all’èlite economica sono stati proprio loro, e in un’Europa in cui ormai il primo partito vero è quasi ovunque l’astensione.
Dice Dion che «questa democrazia malata ha messo il popolo in quarantena e la rappresentanza in ibernazione» e intanto si impadronisce del linguaggio chiamando «riforme» quelle che sono invece controriforme regressive per concentrare le ricchezze nelle mani di pochi; ma anche diffondendo a piene mani una narrazione basata su competitività , flessibilità , liberalizzazioni e costo del lavoro – e mai nessuno che spenda una parola sul costo, invece, di questo estremismo del capitale.
Eppure, un altro vocabolario è possibile, dice Dion.
Altre parole per ribaltare l’egemonia culturale durata almeno tre decenni: come oligarchia – ad esempio – il vero tratto caratterizzante di quest’epoca, trasversale alla politica e al mondo del lavoro; oppure sovranità , sottratta sempre di più dalle mani dei cittadini e riservata alle èlite che la esercitano (e di qui l’illusione-inganno lepenista secondo cui basterebbe tornare allo stato-nazione per restituirla ai cittadini, quando invece il suo recupero può avvenire ormai solo sul campo di battaglia europeo e globale, passando per ogni luogo di vita comune).
E, anche attraverso un altro vocabolario, si può e si deve tendere verso un altro ordine delle cose: ordine politico, economico, ecologico, sociale, ideologico, morale, civico.
Dion alla fine è ottimista e chiude il suo libro citando la presa della Bastiglia, «un’esplosione di collera su cui è stato costruito un nuovo edificio: e ogni epoca, ogni collera, ha il suo nuovo edificio».
Può darsi che sia una previsione un po’ eccessiva – o magari poco più di un auspicio. Ma il libro va comunque letto, perchè come a volte capita ai pensatori francesi — ricordate “Indignatevi!”, di Stèphane Hessel ? – dice le cose che abbiamo sotto gli occhi con la forza della semplicità e senza il timore un po’ snob di non essere giudicato abbastanza “accademico”.
Ai politici e agli intellettuali della nostra sinistra, invece, il libro di Dion non dovrebbe essere semplicemente consigliato, ma proprio reso obbligatorio.
Alessandro Gilioli
(da “L’Espresso“)
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