Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
DAL 2010 ABBIAMO NUMERI DA DOPO-TROIKA, LE BALLE DI RENZI PER FAVORIRE I PRIVATI
Il commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, deputato del Pd e consigliere economico di
Matteo Renzi, ieri non ha passato una bella giornata.
Domenica, su la Repubblica, era uscita una sua confusa intervista: sembrava che il nostro si preparasse a fare 10 miliardi di tagli al Servizio sanitario nazionale (Ssn).
Il premier non l’ha presa bene: il governo aveva appena presentato in Parlamento un pacchetto di emendamenti al decreto Enti Locali che taglia già la sanità di 2,3 miliardi e non era il caso di mettere subito in allarme le Regioni.
Come ha certificato l’Ocse, la spesa sanitaria è stata tagliata eccome: le nostre performance a livello di austerità sono inferiori solo a quelle di Grecia, Portogallo e Irlanda.
C’è un equivoco: non c’è alcuna spending review
Giornali e tv si affannano a dire che il governo ora metterà fine agli sprechi nella sanità (girano stime da decine di miliardi): risparmierà senza intaccare i servizi.
Il debutto non lascia ben sperare: i 2,3 miliardi di euro tagliati dal 2015 in poi da questo esecutivo sono i soliti tagli lineari sul modello marchese del Grillo (“io non li caccio, tu non li pigli”).
Quei soldi alle Regioni non arriveranno comunque, che i “risparmi” previsti dal governo si realizzino o meno.
Questi 2,3 miliardi non sono affatto un anticipo della spending review di Gutgeld, ma tagli già inseriti nel bilancio 2015 dalla Legge di Stabilità dello scorso anno per coprire gli 80 euro: in sostanza, il governo aveva detto alle Regioni che dovevano tagliare 4 miliardi, vedessero loro come.
La sanità è il 75% dei budget regionali: alla fine i governatori si sono accordati con l’esecutivo per tagliare dal Ssn questi 2,3 miliardi, l’accordo è datato 2 luglio.
Lo stesso governo aveva però firmato un “Patto per la salute” con le Regioni in cui si diceva che tutti i risparmi nella sanità restavano nella sanità : invece servono anche a ridurre il deficit o, se va bene, abolire l’Imu.
Tutti i numeri: in Italia la Troika è già qui
I numeri dicono che la Troika in Italia c’è già , solo che ha preso le forme, all’ingrosso democratiche, dei vari governi succedutisi dal 2010 a oggi.
Il settore sanitario lo dimostra.
Partiamo dalla spesa pubblica: nel 2010 il Servizio sanitario nazionale veniva finanziato con 112,6 miliardi di euro (circa il 7,1% del Pil dell’epoca), con 110 miliardi nel 2012 e circa 111 nel 2014 (6,9% del Pil).
Per capire le dimensioni dell’impoverimento del Ssn si deve tenere conto di due cose. Esiste — ha scritto la Camera alla fine di una indagine conoscitiva — un “aumento considerato inevitabile in tutti i sistemi sanitari, intorno al 2% annuo, dovuto al combinato disposto di nuove tecnologie e invecchiamento progressivo”.
Secondo: va tenuto conto anche dell’aumento generale dei prezzi.
I numeri veri sono questi: nel 2016 i tagli sommati dei vari governi ammonteranno a 30 miliardi in sei anni, gli investimenti a zero euro.
La spesa sanitaria dal 2010 a oggi è calata in ogni comparto, personale compreso, con l’unica eccezione dei farmaci ospedalieri.
I confronti internazionali dimostrano l’assunto: magari spendiamo male, ma di sicuro non troppo.
L’Ocse la scorsa settimana lo ha dimostrato : nel 2013 la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) era l’8,8% del Pil, quella tedesca l’11, quella francese il 10,9%, quella greca e portoghese il 9% (nel frattempo abbiamo tagliato ancora).
Se volessimo spendere, in percentuale, quanto la Germania, il fondo del Ssn dovrebbe costare 30 miliardi di più.
La nostra spesa sanitaria pro-capite (3.077 dollari contro i 3.453 della media Ocse ) tra il 2009 e il 2013 è calata in media dell’1,6% l’anno, come quella spagnola.
Peggio di noi solo Portogallo (-3,3%), Irlanda (-4) e Grecia (-7,2%).
È la compagnia degli Stati sotto tutela della Troika, ma il ministro Lorenzin sostiene che ci sono 10 miliardi di risparmi possibili in tre anni (nel 2014 diceva che i tagli erano finiti).
La sanità pubblica verso la morte: avanti i privati.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
PD 34%, M5S 25%, LEGA 15,5%, FORZA ITALIA 10%, FDI 4%, SEL 3,5%, NCD 2,5%
Dopo la flessione delle scorse settimane, in cui era passato dal 35,6% al 33,8% (sondaggio Ixè per Agorà ), tornano ad aumentare i consensi per Pd di Matteo Renzi. E, secondo quanto risulta dal consueto sondaggio settimanale dell’Istituto Piepoli per l’Ansa, cresce anche il M5s.
Registrano invece un calo sia Forza Italia che la Lega di Matteo Salvini.
Questo il quadro delle intenzioni di voto (tra parentesi la variazione percentuale rispetto alla settimana precedente)
— Pd 34,0% (+0,5
— Sel 3,5% ( = )
— Altri centrosinistra 1,0% ( = )
— Fi 10,0% (-0,5)
— Ncd-Udc 2,5% ( = )
— Fdi-An 4,0% ( = )
— Lega Nord 15,5% (-0,5)
— Altri centrodestra 0,5% ( = )
— M5s 25,0% (+0,5)
— Altri partiti 4,0% ( = )
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO L’EPISODIO DI IERI NEL SALENTO, L’ISTIGAZIONE RAZZISTA HA PRODOTTO UN ALTRO EFFETTO
“Mi sono venute le lacrime agli occhi a sentire le urla disperate di questo ragazzo, ho provato pena
per lui e orrore per quei ragazzi che hanno compiuto questo atto disumano”.
A diffondere la notizia, è Giorgia, una giovane barese, che scrive sulla bacheca del sindaco di Bari Antonio Decaro: “Non voglio vivere in una città così”.
E’ largo Adua, nel quartiere Madonnella, la piazza in cui si consuma l’aggressione, ai danni di un giovane migrante.
A ventiquattr’ore di distanza dal brutale episodio avvenuto a Torre Chianca, in Salento, dove due uomini hanno pestato un minorenne immigrato sulla spiaggia, tenendo poi a lungo la sua testa sott’acqua nel tentativo di affogarlo, fra l’indifferenza dei bagnanti.
Il ragazzo – raccontano i testimoni – stava attraversando la piazza quando è stato avvicinato da tre baresi.
La discussione sarebbe nata dal tentativo dei tre di portargli via della merce, senza pagarla.
Il ragazzo (che attraversa la città vendendo braccialetti e collanine) si sarebbe opposto, scatenando la violenza cieca.
Calci e pugni in faccia, interrotti solo dall’intervento dei presenti, che come Giorgia hanno cacciato gli aggressori e chiamato polizia e 118.
“Se non l’avessimo fatto, lo avrebbero massacrato”, assicurano i presenti.
Il giovane migrante è stato trasportato al pronto soccorso del Policlinico di Bari.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IN SETTE ANNI L’EUROPA HA REGALATO ALLE BANCHE PIU’ DI QUANTO E’ ANDATO ALLA GRECIA… NON SOLO, LE BANCHE EUROPEE HANNO “BRUCIATO” 178 MILIARDI
Un “conto” da 221 miliardi: quasi quanto tutti i piani di salvataggio varati fino a oggi per la Grecia.
Tanto sono costate ai bilanci degli Stati europei le crisi delle grandi banche iniziate nel 2008.
Se poi si considerano anche le iniezioni di capitale a beneficio degli istituti più piccoli, come le Landesbank tedesche e le Cajas spagnole, le uscite lievitano ulteriormente, a 285 miliardi.
A fare i conti è l’ufficio studi di Mediobanca, nel rapporto sulle “Principali banche internazionali” che prende in esame 32 gruppi bancari europei, 15 del Giappone, 13 statunitensi e 10 cinesi.
Gli analisti di Piazzetta Cuccia annotano innanzitutto che le crisi bancarie in Europa hanno ridotto gli introiti statali da imposte, nel periodo 2009-2014, di 87 miliardi di euro.
A questi vanno aggiunti i 180 miliardi di euro di aumenti di capitale a favore degli istituti in difficoltà finanziati dagli Stati, da cui vanno però detratti i 46 miliardi di capitale restituito. La fattura finale si attesta così a 221 miliardi.
Non è un caso se l’anno scorso il Parlamento europeo ha varato una direttiva (quella sul cosiddetto bail-in) che modifica in modo sostanziale le regole sul risanamento degli enti creditizi, prevedendo che i costi dell’eventuale salvataggio ricadano su azionisti, obbligazionisti e correntisti con depositi superiori ai 100mila euro.
Negli Usa invece, tra mancati introiti e maggiori esborsi, la somma uscita dalle casse pubbliche è di 142,5 miliardi di dollari. Washington ha sborsato infatti 196 miliardi per ricapitalizzare le banche in difficoltà e ha dovuto fare a meno di 103 miliardi di imposte.
Le banche Usa hanno però già restituito 157 miliardi.
I costi della crisi bancaria europea per il contribuente peggiorano ulteriormente includendo il peso delle Landesbank tedesche, che in sette anni hanno ricevuto dai soci (per lo più pubblici) 25,3 miliardi, e delle casse di risparmio spagnole, che hanno ceduto alla pubblica Sareb 39 miliardi netti di posizioni deteriorate.
A differenza di quello di Atene, i salvataggi bancari non hanno trovato opposizione nè nel Nord e nè nel Sud dell’Europa.
E non è finita: solo tra 2011 e 2014, le banche europee hanno “bruciato” tra svalutazioni (116,6 miliardi) e spese per contenziosi e risarcimenti ben 178,5 miliardi di euro, una cifra che equivale più o meno al prodotto interno lordo della Grecia.
Per gli istituti statunitensi, nello stesso periodo, il conto è stato invece di 90,3 miliardi di dollari.
Quanto ai risultati di bilancio, oggi, con gli Usa già usciti dalla recessione e l’Europa che recupera con fatica, la redditività degli istituti del Vecchio continente è ferma al 4,3%, il 75% in meno rispetto agli anni pre crisi.
Al contrario oltreoceano la redditività è risalita al 6,7%, il 55% in meno rispetto al precrisi. Risultato: nel 2014 gli utili delle maggiori banche statunitensi sono stati doppi rispetto a quelli dei principali istituti europei.
Nello specifico, gli utili delle realtà Usa inserite nel campione sono stati pari al 18,2% dei ricavi, contro il 9,8% fatto registrare dal gruppo delle europee.
A pesare, oltre ai minori costi di struttura (64,2% dei ricavi negli Usa, contro il 68,5% dell’Europa), sono state le svalutazioni dei crediti, limitate al 4,6% del totale negli Usa contro il 10,3% dell’Europa.
Infine, a sopresa, le banche con ritorni più elevati sono quelle che fanno più credito: in Europa le banche commerciali hanno un indice di redditività (return on equity) del 5,1% rispetto al 3% di quelle concentrate sulle attività finanziarie.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
VERGOGNA ITALIA: IL 59% DEGLI ACCERTAMENTI HA DATO ESITO POSITIVO
Sono 18mila i lavoratori in nero scoperti dagli ispettori del lavoro nella prima metà del 2015. 
Nel semestre sono stati eseguiti 75.890 controlli che nel 59% dei casi hanno dato esito positivo, facendo registrare irregolarità in più di 40mila aziende.
“Un dato — sottolineano dal ministero del Lavoro — in sensibile aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”, confermando in questo modo “l’efficacia della attività di intelligence svolta dagli organi di coordinamento, mirata alla individuazione di obiettivi e settori particolarmente nevralgici nei confronti dei quali orientare la vigilanza”.
Più nel dettaglio, in occasione dei controlli è stato contestato l’impiego di 18.215 lavoratori ‘in nero’ e sono state sospese 3.873 aziende per l’utilizzo di personale non dichiarato in misura pari o superiore al 20% di quello presente al momento dell’accesso.
Tra gennaio e giugno 2015 sono state riscontrate anche altre violazioni che vanno dall’interposizione fittizia di manodopera agli appalti illeciti (3.416 lavoratori), contribuendo alla riqualificazione di 3.834 rapporti di lavoro.
Nel rapporto del ministero sono state evidenziate anche circa 4.500 infrazioni in materia di orario di lavoro, oltre alle 13.330 violazioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro, facendo segnare, anche in questo caso, un “sensibile aumento rispetto al corrispondente semestre del 2014″.
A fare da corollario a questo quadro, il “notevole incremento delle irregolarità , di natura penale relative alla tutela delle lavoratrici madri e all’impiego di lavoratori extracomunitari clandestini“.
Al fianco dell’attività degli ispettorati del lavoro, la direzione generale ha reso noti i numeri dell’attività di Inps e Inail.
Circa 21mila i controlli dell’istituto previdenziale durante i quali sono state rilevate 17.268 irregolarità : 9.481 lavoratori “in nero” e contribuzioni non versate per oltre 484 milioni di euro.
Più di 10mila le ispezioni dell’Inail che hanno portato alla luce 9.019 irregolarità : 3.698 lavoratori in nero e premi non versati per 45 milioni di euro.
Per il periodo estivo è stato inoltre previsto un potenziamento dell’attività di vigilanza nei luoghi di maggior concentrazione turistica, dalla riviera romagnola alla Liguria, passando per il Salento, il Cilento e la Costa Smeralda, verranno fatti controlli a tutela dei lavoratori stagionali.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
GLI INVESTITORI ESTERI HANNO CONQUISTATO IL 41,8% DEL TOTALE DELLE AZIONI
Quattro società italiane quotate su dieci hanno padroni fuori dai confini nazionali; lo shopping estero nel made in Italy di Piazza Affari, che vale sempre di più, ha portato agli stranieri sempre più pezzi di industria italiana.
Nell’ultimo anno le azioni italiane quotate in Borsa hanno visto crescere la capitalizzazione complessiva di 159 miliardi di euro nell’ultimo anno: da gennaio 2013 a gennaio 2014, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 354,7 miliardi di euro a 514,3 miliardi in crescita di 159,5 miliardi (+45%).
Mentre il 53% delle imprese (anche le non quotate) è controllato dalle famiglie, sul listino tricolore cresce il peso degli azionisti “non italiani”, che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 215,1 miliardi, il 41,8% del totale.
Predominante, seppur in leggera diminuzione, il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 893 miliardi, in aumento di 111,7 miliardi.
Sono questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, sull’andamento del valore delle aziende italiane nell’ultimo anno.
“Se da una parte va valutato positivamente l’aumento del valore delle imprese italiane, dall’altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l’attività speculativa”, commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
“La fortissima crisi che sta colpendo l’Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi” aggiunge Longobardi.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL LEADER ITALIANO DEL CALCESTRUZZO VENDE PER 1,67 MILIARDI
Un’altra grande impresa italiana finisce in mani estere. 
Questa volta però a comprare non sono i francesi, come accaduto spesso negli ultimi mesi, bensì i tedeschi.
Si tratta del gruppo Heidelberg Cement, che ha raggiunto un accordo con Italmobiliare, la finanziaria della famiglia bergamasca, per rilevare la sua quota in Italcementi, pari al 45% del capitale.
I tedeschi hanno offerto 10,6 euro per azione con un premio del 70 per cento sugli ultimi due mesi del prezzo di Borsa.
A passare di mano sarà il 45% in mano ai Pesenti per un valore di 1,67 miliardi. L’operazione, una volta ottenute le autorizzazioni, dovrebbe essere realizzata nel corso del 2016.
Nascerà così il primo gruppo del cemento nel mondo, che avrà un socio di controllo tedesco mentre la famiglia italiana resterà in minoranza.
Nel dettaglio, spiega una nota diffusa in serata, Italmobiliare riceverà come parte del corrispettivo della transazione azioni ordinarie Heidelberg Cement — tramite un aumento di capitale riservato – corrispondenti a una quota compresa fra il 4% e il 5,3% del capitale post aumento per un controvalore tra 560 e 760 milioni di euro.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
HA CHIESTO A RENZI CARTA BIANCA SUL RIMPASTO E HA IMPOSTO DISCONTINUITA’ AL SINDACO
L’ultimo sì, quello più importante, arriva all’alba.
Quando Matteo Orfini chiama Stefano Esposito: “Tocca a te andare ai Trasporti, non ci sono alternative. È il settore più delicato, quello che ti ho dato da studiare da settimane. Lì ci giochiamo tutto. Ti tocca”.
Parole seguite, dall’altro lato della cornetta, da un sì, con la consueta ironia: “Ho capito, mi hai fregato anche questa volta…”.
Esposito non è solo l’uomo del “sì Tav”, che da allora vive sotto scorta, uno tosto che regge lo scontro, sabaudo nel ritmo di lavoro e nella moralità .
È colui che, sin dall’inizio di questa storia di Mafia Capitale, ha condiviso tutto con Orfini.
Ecco: fu Orfini a mandarlo commissario ad Ostia, il luogo più inquinato, e lì si è registrata la prima mossa azzeccata, unico caso in cui la politica arrivò prima della magistratura.
Nel senso che il presidente del municipio Andrea Tassone fu costretto alle dimissioni prima che la magistratura ne chiedesse l’arresto. E ora i Trasporti.
Da settimane in parecchi pensano che quello sia il luogo di una possibile “nuova retata”.
Compresi, forse, coloro che in questi giorni hanno rifiutato l’offerta di Marino e Orfini, da Meta a Ranucci a un bel pezzo di classe dirigente del partito romano. Proprio qualche settimana fa, Orfini aveva chiesto a Esposito di studiare il caso “tipo Ostia”.
Provando cioè a far arrivare la politica prima della magistratura con cui — comunque — sia il presidente del Pd sia il commissario sabaudo, hanno costruito, in questi mesi, un rapporto di leale collaborazione. Un nome su tutti: Pignatone.
Nasce così la nuova giunta che si presenta più come un “Orfini 1” che un “Marino bis”.
È stato il presidente del Pd, uno che di scuola nulla concede all’improvvisazione, a portare avanti una classica battaglia su due fronti. Con Renzi, che avrebbe defenestrato Marino.
E con Marino, chiuso in una dimensione solipsistica e autoreferenziale.
Al primo ha chiesto carta bianca sul rimpasto: “Se mi hai messo lì — gli ha detto nel corso dell’ultimo colloquio — non puoi non farmi fare questo tentativo. Io mi sono assunto la responsabilità , questa via va tentata”.
Al secondo ha imposto un rimpasto “profondo” che dia il senso della “discontinuità ”. Il risultato è che vengono cambiate quattro caselle e che, comunque, anche se non si vedono effetti speciali, qualche mossa c’è.
Come la nomina dell’ex maestro di strada, ed ex sottosegretario del governo Letta Marco Rossi Doria, al posto di Paolo Masini (5mila preferenze nel 2013).
Stimato a Roma anche l’ex assessore al bilancio di Veltroni, Marco Causi che assumerà l’incarico di vicesindaco con delega al Bilancio.
Ultimo innesto al turismo: Luigina Di Liegro, nipote di don Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma, è stata già assessore nella giunta regionale guidata da Piero Marrazzo.
L’Orfini 1 nasce con l’appoggio esterno di Sel che, come ha dichiarato Paolo Cento “deciderà delibera per delibera” e con una maggioranza risicata di uno o due consiglieri, compreso un cambio di casacca di un consigliere della lista Marchini.
E soprattutto nasce senza il pieno sostegno di Renzi.
Non è un caso che di assessori appartenenti al renzismo ortodosso non ce n’è neanche uno.
Certo, il premier stima il veltroniano Causi, ma tra la stima e il sostegno politico ce ne passa.
È chiaro come a palazzo Chigi la posizione suoni un po’ così: Orfini ha voluto fare il tentativo, e allora provi, è il suo; per Renzi, come ha spiegato sul Messaggero, Roma non è una grande questione nazionale, ma una questione locale che riguarda soprattutto il sindaco.
Il non detto lo spiegano a microfoni spenti i suoi: Marino prende un po’ di ossigeno, vediamo quanto dura.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA FUGA DEL PREMIER DALLA SUA BASE
A questo punto, l’ipotesi che era nell’aria da giorni è una certezza. 
Il comizio serale di Matteo Renzi alla Festa dell’Unità di Roma, previsto per stasera, non ci sarà .
Nel primo pomeriggio di oggi, l’appuntamento è stato anche cancellato dal programma sul sito della festa del Partito Democratico romano.
Motivo: problemi di sicurezza legati alle numerose contestazioni annunciate per questa sera.
Sono i timori che hanno impensierito il premier e il suo staff negli ultimi giorni.
Fino alla decisione dell’ultimo minuto di presentarsi ieri in tarda serata alla Festa che quest’anno si tiene al Parco delle Valli.
Un blitz del tutto a sorpresa (nemmeno i cronisti delle tv che lo seguono sempre erano avvisati), raccontato con i tweet del portavoce Filippo Sensi e con i resoconti di qualche cronista che si trovava lì del tutto casualmente.
Insomma un’improvvisata in piena regola: alla Festa per una partita a calcio balilla con il fido Luca Lotti, Luciano Nobili del Pd romano e il presidente Dem e commissario del Pd della capitale Matteo Orfini.
Un modo per dire: alla festa ci sono, ma per il comizio serale, di chiusura dell’edizione 2015 della Festa dell’Unità , non ci sarò.
Troppe le contestazioni annunciate per questa sera, da quelle del M5s per ‘Mafia capitale’ e il caos in Campidoglio, a quelle dei movimenti di lotta per la casa, quelle dei docenti contro la riforma della scuola, questi ultimi sono degli abituè alla Festa dell’Unità 2015.
E chissà se ci sarebbero stati anche i medici per nuovi i tagli alla sanità .
Il tutto in un’area — il Parco delle Valli, appunto — difficile da tenere sotto controllo in ogni angolo. Meglio soprassedere.
Il comizio del premier-segretario non ci sarà : alla data del 28 luglio, il programma dei dibattiti della Festa resta vuoto.
(da “Huffingtonpost”)
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