LA GIUNTA DI ORFINI: IL RUOLO DECISIVO DEL PRESIDENTE PD NELLA NUOVA GIUNTA MARINO
HA CHIESTO A RENZI CARTA BIANCA SUL RIMPASTO E HA IMPOSTO DISCONTINUITA’ AL SINDACO
L’ultimo sì, quello più importante, arriva all’alba.
Quando Matteo Orfini chiama Stefano Esposito: “Tocca a te andare ai Trasporti, non ci sono alternative. È il settore più delicato, quello che ti ho dato da studiare da settimane. Lì ci giochiamo tutto. Ti tocca”.
Parole seguite, dall’altro lato della cornetta, da un sì, con la consueta ironia: “Ho capito, mi hai fregato anche questa volta…”.
Esposito non è solo l’uomo del “sì Tav”, che da allora vive sotto scorta, uno tosto che regge lo scontro, sabaudo nel ritmo di lavoro e nella moralità .
È colui che, sin dall’inizio di questa storia di Mafia Capitale, ha condiviso tutto con Orfini.
Ecco: fu Orfini a mandarlo commissario ad Ostia, il luogo più inquinato, e lì si è registrata la prima mossa azzeccata, unico caso in cui la politica arrivò prima della magistratura.
Nel senso che il presidente del municipio Andrea Tassone fu costretto alle dimissioni prima che la magistratura ne chiedesse l’arresto. E ora i Trasporti.
Da settimane in parecchi pensano che quello sia il luogo di una possibile “nuova retata”.
Compresi, forse, coloro che in questi giorni hanno rifiutato l’offerta di Marino e Orfini, da Meta a Ranucci a un bel pezzo di classe dirigente del partito romano. Proprio qualche settimana fa, Orfini aveva chiesto a Esposito di studiare il caso “tipo Ostia”.
Provando cioè a far arrivare la politica prima della magistratura con cui — comunque — sia il presidente del Pd sia il commissario sabaudo, hanno costruito, in questi mesi, un rapporto di leale collaborazione. Un nome su tutti: Pignatone.
Nasce così la nuova giunta che si presenta più come un “Orfini 1” che un “Marino bis”.
È stato il presidente del Pd, uno che di scuola nulla concede all’improvvisazione, a portare avanti una classica battaglia su due fronti. Con Renzi, che avrebbe defenestrato Marino.
E con Marino, chiuso in una dimensione solipsistica e autoreferenziale.
Al primo ha chiesto carta bianca sul rimpasto: “Se mi hai messo lì — gli ha detto nel corso dell’ultimo colloquio — non puoi non farmi fare questo tentativo. Io mi sono assunto la responsabilità , questa via va tentata”.
Al secondo ha imposto un rimpasto “profondo” che dia il senso della “discontinuità ”. Il risultato è che vengono cambiate quattro caselle e che, comunque, anche se non si vedono effetti speciali, qualche mossa c’è.
Come la nomina dell’ex maestro di strada, ed ex sottosegretario del governo Letta Marco Rossi Doria, al posto di Paolo Masini (5mila preferenze nel 2013).
Stimato a Roma anche l’ex assessore al bilancio di Veltroni, Marco Causi che assumerà l’incarico di vicesindaco con delega al Bilancio.
Ultimo innesto al turismo: Luigina Di Liegro, nipote di don Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma, è stata già assessore nella giunta regionale guidata da Piero Marrazzo.
L’Orfini 1 nasce con l’appoggio esterno di Sel che, come ha dichiarato Paolo Cento “deciderà delibera per delibera” e con una maggioranza risicata di uno o due consiglieri, compreso un cambio di casacca di un consigliere della lista Marchini.
E soprattutto nasce senza il pieno sostegno di Renzi.
Non è un caso che di assessori appartenenti al renzismo ortodosso non ce n’è neanche uno.
Certo, il premier stima il veltroniano Causi, ma tra la stima e il sostegno politico ce ne passa.
È chiaro come a palazzo Chigi la posizione suoni un po’ così: Orfini ha voluto fare il tentativo, e allora provi, è il suo; per Renzi, come ha spiegato sul Messaggero, Roma non è una grande questione nazionale, ma una questione locale che riguarda soprattutto il sindaco.
Il non detto lo spiegano a microfoni spenti i suoi: Marino prende un po’ di ossigeno, vediamo quanto dura.
(da “Huffingtonpost”)
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