Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile
SYRIZA SI SPACCA ANCORA, ATENE VOTA IL PIANO DI SALVATAGGIO
Il Pil greco cresce a sorpresa nel secondo trimestre con un +0,8% sui 3 mesi precedenti messo a
segno nonostante il durissimo negoziato con i creditori e malgrado le attese di una flessione dello 0,5% da parte degli economisti.
Su base annua l’incremento è del 1,5%.
L’istituto statistico ha anche rivisto in meglio le stime per i primi 3 mesi dell’anno, in stagnazione rispetto al -0,2% stimato in precedenza.
I parlamentari greci hanno cominciato a discutere nelle commissioni parlamentari il nuovo accordo con i creditori internazionali che questa sera sarà poi votato dall’assemblea parlamentare.
“Il calendario è serrato e siamo costretti a questa procedura di emergenza”, ha detto Gerasimos Balaouras, deputato di Syriza, avviando la discussione.
Il deputato ha ricordato che la Grecia deve rimborsare giovedì prossimo 3,4 miliardi di euro alla Bce e punta, con il voto sul terzo piano di salvataggio del paese, a ottenere una prima rata degli aiuti, che oscillano tra gli 80 e gli 86 miliardi di euro nei prossimi tre anni.
Dopo le commissioni parlamentari, il disegno di legge sarà discusso in seduta plenaria con i 300 parlamentari, con il voto previsto in tarda serata.
Il governo di Alexis Tsipras dovrebbe ottenere l’approvazione del piano grazie anche ai 106 voti dei principali partiti di opposizione, ma sarà chiamato di nuovo a confrontarsi con l’ala minoritaria del suo partito, contraria alle nuove misure di austerità , con diverse defezioni tra i deputati di Syriza, come già avvenuto nelle scorse votazioni di luglio.
Il portavoce del governo di Atene non esclude un voto in autunno.
“È noto – afferma in un’intervista televisiva – che alcuni parlamentari di Syriza non voteranno a favore dell’accordo” e che “un governo che non ha una maggioranza per governare non può andare lontano”.
Sulle divisioni dentro Syriza il portavoce chiarisce che “è possibile che in futuro si possa cercare il modo di ottenere un nuovo mandato popolare… Questo accadrà quando avremo una valutazione sulla possibilità di indire nuove elezioni”. Tsipras ha già deciso che Syriza terrà un congresso straordinario dopo il dibattito parlamentare.
L’ex ministro dell’energia greco, Panagiotis Lafazanis, che guida l’ala radicale di Syriza, ha annunciato la creazione di un nuovo movimento politico anti-piano di salvataggio.
In un documento siglato da Lafazanis e da altri 11 esponenti del partito del premier Tsipras, i ribelli hanno preannunciato la creazione di “un movimento unitario che risponderà alla necessità della popolazione in termini di democrazia e giustizia sociale”.
La lotta contro il nuovo memorandum of understanding “inizia da subito con la mobilizzazione dei cittadini in tutti gli angoli del paese”.
Yanis Varoufakis, ex-ministro delle Finanze greco, continua a dire che non ci sono dubbi sul fatto che il nuovo piano di aiuti concordato da Atene con i creditori internazionali non è sostenibile: “non chiedete a me – ha detto in un’intervista alla Bbc – chiedete a Wolfgang Schaeuble, al board dell’Fmi, a chiunque ne capisca qualcosa dell’economia greca. Tutti vi diranno che l’accordo non può funzionare”.
Secondo Varoufakis, anche il suo successore alle Finanze, Euklidis Tsakalotos, è della stessa opinione. “Sono sicuro – ha previsto Varoufakis – che Schaeuble andrà al Bundestag e dovrà ammettere di fronte ai deputati che l’accordo non è sostenibile”.
Secondo il Financial Times, Wolfgang Schaeuble muoverà nuove obiezioni al terzo piano di salvataggio.
Nei giorni scorsi la Germania ha chiesto ad Atene di accettare un prestito ponte che consenta una negoziazione più accurata del nuovo piano di salvataggio, considerato da Berlino “insufficiente”.
Non è chiaro se una simile proposta verrà riproposta venerdì all’Eurogruppo. In ogni modo, secondo il Ft, Schaeuble, senza respingere quanto finora concordato tra Atene e i creditori, intende avanzare “alcune questioni aperte da indirizzare all’Eurogruppo”. Sono tre le sue principali obiezioni: la sostenibilità del debito greco, i possibili rinvii alle riforme e il ruolo del Fmi, che nei due precedenti salvataggi ha affiancato Bruxelles negli aiuti.
Schaeuble nota che alcune delle riforme concordate contengono alcuni rinvii ad ottobre e novembre per l’implementazione e altre “non sono ancora specificate”.
In un’intervista alla radio tedesca Deutschlandfunk il viceministro delle finanze tedesco, Jens Spahn, apre a una riduzione del debito greco, anche se continua a escludere un haircut.
“Quello che non è possibile è un haircut, ovvero rinunciare a una parte del debito, non previsto neppure dal trattato dell’Eurozona. Potrebbero esserci comunque riduzioni del debito attraverso un allungamento delle scadenze o periodi senza tassi di interessi, di questo si può parlare. L’abbiamo sempre detto”, ha affermato sottolineando “la grande disponibilità alle riforme e l’atteggiamento costruttivo” del governo greco che “si è dato molto da fare”.
Spahn ha comunque aggiunto che “la Grecia deve cambiare se vuole restare nell’Eurozona. E’ stato raggiunto molto, ma trovo del tutto naturale che si pongano domande e si valuti quanto realizzato” e come si voglia procedere, in particolare riguardo al fondo sulle privatizzazioni.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile
TRA OLOGRAMMI, FORESTE E TANICHE DI BENZINA
L’hanno paragonato a una grande fiera. Del cibo soprattutto, perchè a Expo quello che non manca sono ristoranti, chioschi e baracchini.
Il gusto è soddisfatto, anche se col rischio di sborsare qualche euro di troppo.
Ma all’occhio cosa resta?
I più critici non ci vedono altro che un mega luna park costruito a suon di milionate di pubblico denaro.
O un susseguirsi ininterrotto di pro loco nazionali per autocelebrare il rispettivo paese.
Di certo una cosa colpisce, subito al di là del metal detector: la vastità dell’area, con un decumano lungo un chilometro e mezzo da percorrere tutto, dall’inizio alla fine.
Padiglioni a destra e a sinistra, da dove incominciare? Che cosa scegliere?
Ecco una breve guida del meglio e del peggio di Expo.
Dai grandi classici, che grazie al passaparola sono diventati i padiglioni che è quasi d’obbligo visitare. A quelli che boh, chissà perchè li hanno tirati su. Sempre che non siano così brutti che una visita la meritano proprio per questo.
I grandi classici
Il simil canyon progettato da Norman Foster per gli Emirati Arabi è uno dei più gettonati.
Al termine della visita un ologramma-bambina mostra a ritmo di rap tutta la sua preoccupazione per la scarsità delle risorse della Terra.
Un po’ di lavoro sul tema “nutrire il pianeta, energia per la vita” qui è stato fatto, un risultato per nulla ovvio a giudicare da molti altri padiglioni.
Sui contenuti hanno ragionato anche in Svizzera, dove quattro torri sono riempite di acqua, sale, caffè e mele, ma solo finchè i visitatori non avranno portato via tutto, visto che possono prendere quello che vogliono.
Apprezzato il Padiglione Zero, il primo che si incontra se si arriva in treno o metrò, con una mostra sulla storia dell’uomo in relazione al suo rapporto con il cibo.
Code per entrare tra le strutture di legno e le installazioni tecnologiche del Giappone, con la “diversità armoniosa” come idea ispiratrice.
Nessuno vuole poi rinunciare a una camminata sulla grande rete del Brasile: inutile chiedersi che c’entri con l’alimentazione, meglio stare attenti a non ruzzolare giù.
Un buon riparo dal caldo lo dà una passeggiata nella foresta ricreata dall’Austria.
E a proposito di alberi trapiantati a Expo, il Bahrain dà la possibilità di visitare dieci micro frutteti che dovrebbero dare prodotti diversi nei sei mesi dell’esposizione.
Non è certo un grande classico tra i padiglioni, anzi l’edificio anonimo passa piuttosto inosservato.
Ma chi non ha mai visto una pianta di papaya, la trova lì dentro insieme ai giuggioli, uno stimolo per farsi venire la curiosità di scoprire una volta per tutte perchè si dice “andare in brodo di giuggiole”.
Piace il Kazakistan, con la storia del paese raccontata per immagini da un’artista che disegna sulla sabbia e un corto in 3D che tra un effetto speciale e l’altro porta tutti nella capitale Astana per l’Expo 2017. Padiglione più incentrato su questo che sulla nutrizione, ma stavolta si può perdonare.
Ahimè, l’abito non fa il monaco
Dal decumano è uno dei padiglioni che si notano di più, con la sua distesa di fiori gialli e il tetto a onde di bambù. Così un salto in Cina sembra proprio vada fatto.
Solo che una volta dentro non c’è molto al di là di un campo con migliaia di “spighe” a led. Questioni alimentari che coinvolgono 1,4 miliardi di persone? Non pervenute.
Eppure lo spazio da riempire nel secondo padiglione per dimensioni era tanto. Bello grande è anche l’edificio della Thailandia.
Sarà che il paese ha le sue attrattive, sarà che i draghi dorati all’ingresso fanno già atmosfera, la voglia di entrare arriva quasi subito.
Bene, si viene condotti a gruppi in tre diverse stanze, ognuna con il suo video da guardare. Prima stanza, prima domanda: ma perchè? E ora la seconda: quando finisce?
Nella terza ecco la proiezione di un filmato sui progetti agricoli voluti dal re: la voce narrante si lascia andare a frasi del tipo “anche quando piove, sua maestà lavora per il popolo”.
Il brusio che sale appena il video termina è la risposta a tutte le domande.
Che c’azzecca con l’Expo?
La palma di questa categoria la vince senza dubbio il padiglione del Turkmenistan. Ad accogliere chi entra c’è una gigantografia del presidente Gurbanguly Berdimuhammedow e, più in là , due lunghi tappeti che pendono dal soffitto.
E l’esposizione? Taniche di olio per motori, ampolle con combustibili, modellini di aerei della compagnia di bandiera. In verità il tentativo di sviluppare il tema dell’Expo l’hanno pure abbozzato: ecco su alcuni scaffali la frutta, i biscotti e poi uno dei prodotti che a quanto pare è tra i più tipici del Turkmenistan: la pasta. Imperdibile.
Solo che la domanda “ma questo cosa c’entra con Expo?” viene da farsela anche in molti altri padiglioni.
Prendiamo la Moldavia. Un cartello informa che l’industria del vino impiega 250mila persone, certo. Poi però uno si trova di fronte a dei neon che rappresentano certe costellazioni “visibili solo in Moldavia”, a un prisma che riflette la luce del sole e a un video con danzatori in costumi tradizionali.
Embè
Lo stupore è analogo davanti al mega schermo della Romania, o ai video dell’Irlanda, tanto per non allungare troppo l’elenco.
Proviamo con il Vietnam: a parte qualche statua esposta non è altro che una rivendita di souvenir. Idem dicasi per diversi paesi ospitati nei cluster, che alla tipologia negozio di prodotti locali alternano quella di ufficio di promozione turistica.
Ma a non demordere qualche soddisfazione arriva lo stesso, come quando ci si imbatte nella Corea del Nord (cluster delle Isole), per un assaggio del regime di Pyongyang, con tanto di raccolte di francobolli.
Expo tecnologico
Caratteristica comune a molti padiglioni è l’utilizzo di trovate tecnologiche e installazioni interattive per la fruizione dei contenuti.
Applauditi i due robot della Corea del sud che fanno roteare i loro schermi video mentre ‘danzano’ lungo una coppia di binari.
La Germania ha invece scelto di distribuire a ogni visitatore una ‘seedboard’, una sorta di tablet di cartone su cui nelle varie stazioni del padiglione vengono proiettati immagini e testi.
Da provare, anche se dopo un po’, chi fosse davvero interessato alle spiegazioni finisce per trovare il tutto troppo laborioso.
Riguardo ai messaggi, a volte possono far riflettere come quando informano che “degli alimenti venduti in Germania, uno su otto finisce nella spazzatura”, ma altre volte risultano piuttosto banali, come quando sottolineano che l’acqua è “necessaria per vivere”
A proposito di tecnologia, il Future food district è il supermercato del futuro allestito in una delle aree degli sponsor, quella della Coop: pannelli interattivi riportano provenienza e caratteristiche del prodotto da scegliere, mentre un braccio meccanico afferra una mela, la impacchetta e te la porge. Se fra qualche anno faremo la spesa così, si vedrà .
Per il momento vale la pena dare un’occhiata.
Una visita non si nega a…
Da non perdere il padiglione del Vino, uno degli spazi voluti dal nostro paese per celebrare le italiche virtù a tavola. Si trova poco prima di Palazzo Italia, lungo un cardo fin troppo ‘brandizzato’.
Al piano terra un piccolo museo, sopra una serie di erogatori messi in fila con stile che consentono di fare degustazioni scegliendo tra 1.300 etichette: una ‘biblioteca’ del vino, con catalogazione per regioni e i sommelier a dare consigli.
Nel padiglione del Belgio una vasca con dentro pesci mostra cosa sia l’acquaponica, un mix di agricoltura e allevamento: le sostanze di scarto dei pesci vengono filtrate da delle piantine, che ne traggono nutrimento, mentre l’acqua viene immessa nuovamente nella vasca a chiudere il ciclo.
Se poi si è arrivati fino in fondo al decumano, perchè non fare un salto nel padiglione del Qatar? Tanto per vedere come una terra desertica riesca a dare frutti.
Tra gli spazi delle onlus, infine, quello di Save the children consente di seguire la storia di un bambino che soffre la fame, mentre un erogatore spray dà la possibilità di sentire l’odore della guerra: un po’ troppo profumato forse, ma di sicuro effetto.
Un bambino a Expo
Chi di certo non si annoia a Expo sono i bambini. Hanno a loro disposizione uno spazio ‘ufficiale’, il Children park, con giochi e percorsi didattici, come quello che li porta a riconoscere l’odore di diverse erbe aromatiche.
Ma le opportunità per farli divertire sono anche altrove. Della rete del Brasile si è già detto.
Ci sono poi le altalene dell’Estonia, lo scivolo sul tetto della Germania, qualsiasi installazione interattiva. Fino al padiglione di uno degli sponsor, il produttore di macchine agricole New Holland: chi è mai salito su uno dei mezzi più grandi, la mietitrebbiatrice?
Ecco, qua si può fare, oppure anzichè stare fermi su quella vera si può andare avanti e indietro con il simulatore.
I re della notte
Ora che si è fatta sera un birra fresca ce la siamo meritata. Niente male bersela al ‘non padiglione’ dell’Olanda.
Qui è tutto all’aperto: i furgoncini che vendono street food, la mini ruota panoramica, il palco con Dj set o musica dal vivo.
L’atmosfera di vacanza all’estero è assicurata. Hanno un palco per spettacoli anche altri padiglioni, come quelli di Angola, Germania e Belgio.
A darsi da fare per attirare la movida ci sono pure Polonia e Slovenia. Occhio però a non farsi prendere troppo, che poi ci si scorda dell’appuntamento con l’Albero della vita.
Un peccato perdere il suo spettacolo di luci, acqua e suoni.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI E’ POSSEDUTO DA UN DEMONE CHE GLI FA DIRE E FARE COSE OPPOSTE A QUELLE CHE PREDICAVA
Chiamate padre Amorth, o chi per lui. 
Perchè per Renzi ormai ci vuole l’esorcista: è chiaro che il suo corpo è posseduto da un diavoletto che gli fa dire e soprattutto fare cose che il Matteo d’antan, quello che scaldava i cuori del popolo Pd e vinceva le primarie in carrozza (contro Gianni Cuperlo), non avrebbe mai detto nè fatto.
Anzi, avrebbe aborrito come tipiche della “vecchia nomenklatura” che lui voleva a tutti i costi “rottamare”.
L’ultima è la tirata in difesa della sua lottizzazione della Rai contro “questa retorica insopportabile della società civile da contrapporre al partito (come se il Pd fosse la società incivile).
Continuiamo con il meccanismo del passato per cui chi viene dai movimenti e dai girotondi è per definizione più bravo di chi sta nei circoli?”.
Pare quasi che il vecchio centrosinistra, gestito dai vari D’Alema,Fassino,Rutelli, Veltroni, Bersani ed Epifani, fosse infestato da esponenti dei movimenti e dei girotondi, insomma della società civile, piazzati dappertutto dal partito in odio al partito.
Forse ci siamo persi qualche passaggio: ma chi sarebbero, di grazia, i girotondini che hanno dominato il Pds-Ds-Margherita-Pd e tutto l’indotto statale e parastatale negli ultimi vent’anni?
Nanni Moretti è mai stato segretario del partito? O Paul Ginsborg premier? O Pancho Pardi presidente della Rai? O Paolo Flores d’Arcais ministro della Cultura?
Non risulterebbe proprio.
Nella Seconda Repubblica i politici hanno continuato imperterriti a fare ciò che facevano nella Prima, quando almeno c’era un Enrico Berlinguer, non proprio uno zuzzurellone, che denunciava — nell’intervista del 1981 a Eugenio Scalfari sulla questione morale — lo scandalo dei partiti: “Hanno occupato gli enti locali,gli enti di previdenza,le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università , la Rai, alcuni grandi giornali. Tutto è già lottizzato e spartito e tutto si vorrebbe lottizzare e spartire”.
E dal 2010 fu proprio Renzi a echeggiare quei concetti berlingueriani (e anche un bel po’ grillini) che erano musica per le orecchie della base e fumo negli occhi dei vertici. “Un partito democratico che funziona — diceva Matteo — dà spazio, dentro il suo corpo robusto, al protagonismo sia degli amministratori periferici sia della società civile” (29.5.2012).
“Io ho un’idea di partito che è mare e non stagno, non fatto da addetti ai lavori, ma da persone normali. Per me il partito deve essere qualcosa di leggero mentre il gruppo dirigente del Pd ha un’idea ottocentesca. Gli italiani ci chiedono qualcosa di diverso” (17.6.2012).
“I sindaci rappresentano oggi la frontiera più avanzata della società civile”(16.1.2014).
Un altro cavallo di battaglia popolarissimo erano le nomine, da farsi non più per tessera, ma per competenza. E, anche lì, società civile come se piovesse.
Alla Leopolda 2011 il professor Luigi Zingales denunciò la demeritocrazia italiota: “L’Italia è governata dai peggiori: l’80% dei manager dichiara che la prima strada per il successo è la conoscenza di una persona importante, poi ci sono lealtà e obbedienza, la competenza è solo quinta”.
E Renzi dietro: “Vogliamo un’Italia fondata sul merito, sulla conoscenza e non sulle conoscenze”.
Nell’aprile 2013 aggiunse, parlando di Finmeccanica: “Quante volte la politica ha messo nei cda gli amici degli amici, anzichè mettere persone competenti”.
Infatti poi a Finmeccanica ha piazzato l’amico Fabrizio Landi, imprenditore della sanità e leopoldista di quattro anni fa; all’Enel l’amico Alberto Bianchi, curatore delle Leopolde; alle Poste l’amica Elisabetta Fabbri, albergatrice; alle Fs Simonetta Giordani, leopoldista annata 2011; al Demanio Roberto Reggi, amico suo; e all’Eni addirittura tre amici: Diva Moriani, braccio destro di un finanziatore della Leopolda, Marco Seracini, presidente del collegio sindacale di Stazione Leopolda srl e — ma tu guarda — Zingales (poi prontamente fuggito).
Più che le conoscenze, conta la conoscenza: di Renzi.
Su Viale Mazzini, poi, il Rottamatore pontificava: “Via i partiti dalla Rai, via dalle nomine nei Cda. L’ho detto a Servizio Pubblico, ma lo diciamo fin dalla Leopolda” (19.4.2012).
“Costi quel che costi, io ho intenzione di togliere la Rai ai partiti.Se siamo rottamatori vuol dire che lo siamo non per finta. Io non ho mai parlato con i vertici Rai e trovo folle che ora si pensi che la Rai sia nelle mani del Pd. La Rai non è nè dei sindacalisti nè dei candidati dei partiti che mettono bocca sui nomi anche delle ultime nomine” (16.5.2012).
“Quando scelgo una persona, cerco di metterla competente,svincolata dalle tessere del partito, capace di fare le cose che deve fare” (18.6.2012).
“Il Pd deve tener fuori l’interesse del singolo partito e portare dentro la Rai politica con la P maiuscola. Una sfida alta,senza interessi di bottega, superando il piccolo cabotaggio di quei politici che cercano di avere un servizio in più nel tg regionale delle 22” (14.4.2014).
“Niente paura. Il futuro arriverà anche alla Rai. Senza ordini dei partiti. Io non ho mai incontrato nè il presidente nè l’Ad della Rai. Voglio che sia di tutti e non dei partiti, perciò non metterò mai bocca su palinsesti, conduttori e direttori,ma anche la Rai deve fare la sua parte in questa operazione di redistribuzione” (13.5.2014).
“Fuori i partiti dalla Rai, mai più nomine politiche. In passato i partiti hanno già messo troppo bocca sulla Rai. Io invece non metterò mai il mio partito nelle condizioni di prendere decisioni sulla Rai” (19.5.2014).
“A quelli che vogliono fare carriera in Rai dico : state lontani da me perchè in questi termini non conto niente…” (1.6.2014).
“La Rai va tolta ai partiti per ridarla al Paese” (30.7.2014).
“La Rai non è il posto dove i singoli partiti vanno e mettono i loro personaggi, ma è un pezzo dell’identità culturale ed educativa del Paese” (22.2.2015).
Ora, alla Rai, ha sistemato il suo ghost writer Guelfo Guelfi, l’ex segretaria di Orfini, Rita Borioni,e l’amico leopoldiano Antonio Campo Dall’Orto, e ha lasciato che FI e Ncd facessero altrettanto evitando accuratamente il benchè minimo esperto di tv.
Poi ha iniziato a sparare sui “girotondini”, mai visti in Viale Mazzini nemmanco per sbaglio, rivendicando il presunto primato degli uomini di partito su quelli della società civile.
Forse Renzi non sa che sta confessando di aver violato persino la legge Gasparri, che esclude categoricamente gli iscritti ai partiti, in quanto non indipendenti per definizione (“Possono essere nominati membri del consiglio di amministrazione della Rai… persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti…”).
E forse crede pure di essere originale.
Ma purtroppo ha già detto tutto un altro leader: quello che lui detesta di più (e ne è cordialmente ricambiato).
Uno che nel 1995 scrisse per Mondadori (e te pareva) il libro
Un paese normale, a sei mani con Claudio Velardi e Gianni Cuperlo (ahiahi), contro il “radicalismo parolaio e salottiero” della sinistra “nuovista” contrapposta alla sacrosanta “partitocrazia”.
Uno che nel 1997 a Gargonza, stilando l’atto di morte dell’Ulivo, tagliò corto sprezzante: “Siamo seri, non conosco questa politica che viene fatta dai cittadini e non dai partiti”.
Uno che cinque anni fa, alla festa dell’Unità di Bologna, così bombardò il giovine Renzi: “Smettiamola di cercare l’uomo della Provvidenza, l’Obama bianco, il candidato nella società civile, quando la società civile è solo il gruppetto con cui si va a cena.
È sbagliata l’idea che ci voglia il papa straniero: il papa di solito viene eletto dai cardinali, la classe dirigente non nasce sotto un cavolo. Invece qui basta che un giovanotto dica che vuole cacciarci a calci in culo, e subito gli vengono concesse paginate e interviste” (16.9.2010).
Era Massimo D’Alema. Che ora, unico rottamato, sta consumando la più atroce delle vendette, impossessandosi della mente e della lingua di Matteo.
Spirito del Conte Max, sii buono: esci da quel corpo!
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile
BEN 23 SONO DEL PD, MA IL CENTRODESTRA E’ IN TESTA
Ha ragione Matteo Renzi: l’Italia cresce e anche con un’invidiabile velocità . Il guaio è che cresce dove non conviene.
In due anni e mezzo di legislatura, nonostante la decadenza del pregiudicato Silvio Berlusconi, in Parlamento è cresciuto a dismisura il numero di indagati, imputati e condannati.
Agli inizi del 2013, catapultati con i listini blindati del Porcellum per il varo della nuova legislatura, superavano di poco i quaranta (42). Adesso sono ottanta.
Senza considerare quelli che hanno problemi con la giustizia amministrativa e, in diversi casi, già hanno restituito dei soldi pubblici.
Il governo ha sempre sostenuto la linea garantista.
Fu il ministro Maria Elena Boschi, appena insediato l’esecutivo di Renzi, a difendere i sottosegretari indagati.
Nel frattempo, alcuni aspettano il processo, altri ne sono usciti. Va evidenziato che nel 2013 la schiera più folta era quella del Popolo della libertà , ma gli eredi — i partiti di Angelino Alfano, Raffaele Fitto e Denis Verdini — mantengono la tradizione della casa arruolando decine di inquisiti.
Renzi e la crescita: temi che coinvolgono e travolgono il Nazareno.
Nel febbraio 2013, mese di elezioni politiche, il segretario era Pier Luigi Bersani e, scavando negli archivi, si scopre che gli impresentabili dem erano “soltanto” sette su quaranta.
A dicembre, poi, Renzi ha conquistato il partito, un paio di mesi prima di espugnare pure Palazzo Chigi .
Sarà il troppo garantistico oppure sarà una beffarda coincidenza, ma il Pd è cresciuto più di tutti: i 7 sono diventati 23,e di mezzo c’è pure l’arrestato (ora ai domiciliari) Francantonio Genovese.
Non delude il Nuovo Centrodestra di Alfano, che si conferma in forma smagliante, e aggiunge indagati su indagati con solida costanza.
E se capita a Ncd di perdere per un periodo un senatore — vedi il caso di AntonioAzzollini— i colleghi lo salvano e poi esultano.
La formazione di Verdini, che di recente ha festeggiato il quinto rinvio a giudizio, si fa notare per una densissima presenza di impresentabili e, ovviamente, il capitano è l’ex macellaio Denis.
E pensare che, rispetto al primo giorno di legislatura, questo Parlamento è orfano di tanti protagonisti del settore: il plurinquisito Berlusconi (che ha già scontato il servizio civile per la frode Mediaset), il condannato (prescritto) Lorenzo Cesa che ha preferito l’Europa e il fresco di rinvio a giudizio Nichi Vendola per la vicenda Ilva.
Tommaso Rodano e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile
MIKE ENRIGHT HA DECISO DI ANDARE A COMBATTERE CONTRO LO STATO ISLAMICO… IL REPORTAGE DI “REPUBBLICA” DA HASSEKE’
“Il racconto di una bambina di cinque anni, testimone delle barbarie dell’Isis, è un colpo al cuore.
Non si può restare indifferenti a una cosa così.”
Mike Enright, “foreign fighter” inglese, racconta ciò che ha visto e sentito dopo essere stato nella zona attorno alla città di Hassakè che dal 3 agosto è stata liberata dai curdi dello Ypg/Ypj.
Dal 2012 è stata in mano agli uomini del Califfato. L’hanno strappata al regime di Assad, poi la coalizione con i suoi raid aerei e l’azione continua sul terreno delle milizie curde hanno permesso che la città , centomila abitanti, fosse liberata.
“Il 2 agosto ci siamo spinti fino oltre il quartiere di Nashwa per completare la bonifica dell’area dalla presenza dell’Is. Lì ho trovato oltre a qualche anziano questa bambina. Istintivamente le ho chiesto cosa stesse facendo in quell’inferno e lei ha risposto che era l’unica a essere sopravvissuta al massacro. E’ stata costretta ad assistere a quanto stava accadendo. Ha dovuto guardare mentre i miliziani dell’Is sgozzavano sua madre. Prima hanno tagliato la testa agli zii e gliel’hanno appoggiata sulla pancia”. E
‘ una delle strategie dell’Is, questa di diffondere il terrore. Non solo usando il web e il meglio della tecnologia di cui hanno disposizione, ma anche usando il “passaparola”. E’ l’unico motivo che gli spinge a lasciare qualche superstite.
Entriamo a Hassak che sono passati due giorni dalla sua liberazione.
Nel quartiere di Nashwa abitava circa metà della popolazione di questa città . Nulla è rimasto in piedi, tutto è andato distrutto.
Ospedali, scuole, abitazioni, non è rimasto in piedi niente. Prima di andarsene dalla città quelli dell’Is hanno minato case e strade e portato via tutto quello che può essergli utile. Soprattutto dagli ospedali.
Uno scenario apocalittico quello che ci si presenta di fronte. Attraversare la città , soprattutto questa parte devastata, non è semplice ma è un’occasione per raccogliere testimonianze dirette sulle conseguenze di questo conflitto.
L’acre odore di bruciato non smette mai di farsi sentire. Ci sono circa cinquanta gradi, un caldo insopportabile.
I guerriglieri curdi si riposano sotto un mosaico enorme di Hafiz al-Asad, il padre di Bassar, che nonostante tutto controlla ancora una parte del paese con il suo esercito. E’ il confine ultimo della città .
Poche centinaia di metri più in la il fronte di guerra. Si sentono i suoni del conflitto, esplosioni incessanti. Il rombo dei caccia che squarciano il cielo.
Lo scenario contrasta con quanto s’incontra quando si comincia a uscire dal quartiere di Nashwa e si passano le trincee.
Si giunge così alle porta della città , controllata dai curdi che verificano i documenti di tutti quelli che transitano. Sono tantissimi quelli che tornano indietro. In migliaia stipati su auto, camion e pure in moto che trasportano tutto ciò che hanno e finalmente possono riprendere possesso delle loro abitazioni. Chi ne ha ancora una.
Alcuni negozi hanno riaperto le serrande dopo mesi, c’è perfino chi esce in strada con quel poco di merce che ha da vendere.
Si vede qualche commerciante di frutta, piano piano si cerca di tornare alla normalità . C’è però il problema delle mine.
I miliziani islamici ne hanno lasciate ovunque, com’era stato a Kobane, provocando la morte di diverse persone anche dopo la fine dell’assedio.
Un rischio che si corre anche qui a Hassakè dove, ad sesempio, hanno lasciato ordigni tra i divani o nei frigoriferi delle case di coloro che sono fuggiti.
Rappresaglie e vendette che compiono ogni volta che i bombardamenti della coalizione e le incursioni dei combattenti curdi li costringono a lasciare le loro posizioni. Anche le falde acquifere sono volontariamente inquinate dagli uomini in nero.
A combattere contro l’Is ci sono molti occidentali come Mike.
La sua storia è molto particolare. Nato a Manchester, da giovane è nell’entourage degli Smiths, la celebre rock band degli anni Ottanta.
Poi si dà al cinema dove fa qualche apparizione in piccoli film, ma nulla di significativo. Si trasferisce negli Usa e da lì la folgorazione per la causa curda.
Sono cinque mesi che è qui.
“Ci sono diversi occidentali – racconta ancora Mike – che combattono qui come me. Non si può restare con le mani in mano ad assistere ai massacri che compie l’Is. Così ho scelto di venire a combattere. Sono cinque mesi che sono qui. Ho incontrato anche degli italiani sai? C’è in particolare un ragazzo, molto in gamba. Non conosco il suo nome ma so che in Italia ha lasciato un figlio. E’ pronto per combattere”.
Dopo Karim Franceschi, il giovane di Senigallia che ha combattuto a Kobane e Alessandro De Ponti, il ragazzo di Bergamo che è rimasto ferito e che è rientrato da qualche settimana, c’è quindi un terzo combattente italiano nel Rojava, il cantone siriano quasi completamente in mano ai curdi.
“E’ una guerra – rincara Mike – di cui nessuno parla, dove i curdi che da anni subiscono soprattutto dai turchi vessazioni, ora si trovano tra due fuochi. A Nord si devono guardare dalla Turchia, che sta attaccano le postazioni curde, a sud e nel resto del territorio c’è l’Is. Sono migliaia le persone rimaste uccise. Molte donne e bambine invece sono state rese schiave e vendute ai califfi. Sono le donne a subire le violenze peggiori, stupri e torture”.
Questo accanimento contro le donne in una terra come quella del Rojava, dove sono proprio loro le protagoniste della svolta curda, colpisce ancora di più.
La proposta politica dell’Is, se così la possiamo definire, cozza completamente con quel modello di società libertario e paritario che giorno per giorno stanno cercando di costruire i curdi in questa parte di Siria.
Le donne sono sempre più al centro di questo progetto, combattono e partecipano alla vita politica. Ma allo stesso tempo sono le vittime principali del conflitto.
Una generazione intera di bambini inoltre è cresciuta sotto i colpi di mortaio o in fuga con mezzi di fortuna.
La principale preoccupazione di chi vive queste terre è quella di aiutare questi piccoli a superare i traumi.
Il sostegno psicologico ai minori è una delle attività in cui investono maggiormente i curdi nei campi profughi sparsi per la Siria.
Proprio per ovviare a situazioni come quelle che ha raccontato Mike Enright.
Ivan Compasso
(da “La Repubblica“)
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