“IO, FOREIGN FIGHTER CON I CURDI, VI RACCONTO I MASSACRI DELL’ISIS”
MIKE ENRIGHT HA DECISO DI ANDARE A COMBATTERE CONTRO LO STATO ISLAMICO… IL REPORTAGE DI “REPUBBLICA” DA HASSEKE’
“Il racconto di una bambina di cinque anni, testimone delle barbarie dell’Isis, è un colpo al cuore. Non si può restare indifferenti a una cosa così.”
Mike Enright, “foreign fighter” inglese, racconta ciò che ha visto e sentito dopo essere stato nella zona attorno alla città di Hassakè che dal 3 agosto è stata liberata dai curdi dello Ypg/Ypj.
Dal 2012 è stata in mano agli uomini del Califfato. L’hanno strappata al regime di Assad, poi la coalizione con i suoi raid aerei e l’azione continua sul terreno delle milizie curde hanno permesso che la città , centomila abitanti, fosse liberata.
“Il 2 agosto ci siamo spinti fino oltre il quartiere di Nashwa per completare la bonifica dell’area dalla presenza dell’Is. Lì ho trovato oltre a qualche anziano questa bambina. Istintivamente le ho chiesto cosa stesse facendo in quell’inferno e lei ha risposto che era l’unica a essere sopravvissuta al massacro. E’ stata costretta ad assistere a quanto stava accadendo. Ha dovuto guardare mentre i miliziani dell’Is sgozzavano sua madre. Prima hanno tagliato la testa agli zii e gliel’hanno appoggiata sulla pancia”. E
‘ una delle strategie dell’Is, questa di diffondere il terrore. Non solo usando il web e il meglio della tecnologia di cui hanno disposizione, ma anche usando il “passaparola”. E’ l’unico motivo che gli spinge a lasciare qualche superstite.
Entriamo a Hassak che sono passati due giorni dalla sua liberazione.
Nel quartiere di Nashwa abitava circa metà della popolazione di questa città . Nulla è rimasto in piedi, tutto è andato distrutto.
Ospedali, scuole, abitazioni, non è rimasto in piedi niente. Prima di andarsene dalla città quelli dell’Is hanno minato case e strade e portato via tutto quello che può essergli utile. Soprattutto dagli ospedali.
Uno scenario apocalittico quello che ci si presenta di fronte. Attraversare la città , soprattutto questa parte devastata, non è semplice ma è un’occasione per raccogliere testimonianze dirette sulle conseguenze di questo conflitto.
L’acre odore di bruciato non smette mai di farsi sentire. Ci sono circa cinquanta gradi, un caldo insopportabile.
I guerriglieri curdi si riposano sotto un mosaico enorme di Hafiz al-Asad, il padre di Bassar, che nonostante tutto controlla ancora una parte del paese con il suo esercito. E’ il confine ultimo della città .
Poche centinaia di metri più in la il fronte di guerra. Si sentono i suoni del conflitto, esplosioni incessanti. Il rombo dei caccia che squarciano il cielo.
Lo scenario contrasta con quanto s’incontra quando si comincia a uscire dal quartiere di Nashwa e si passano le trincee.
Si giunge così alle porta della città , controllata dai curdi che verificano i documenti di tutti quelli che transitano. Sono tantissimi quelli che tornano indietro. In migliaia stipati su auto, camion e pure in moto che trasportano tutto ciò che hanno e finalmente possono riprendere possesso delle loro abitazioni. Chi ne ha ancora una.
Alcuni negozi hanno riaperto le serrande dopo mesi, c’è perfino chi esce in strada con quel poco di merce che ha da vendere.
Si vede qualche commerciante di frutta, piano piano si cerca di tornare alla normalità . C’è però il problema delle mine.
I miliziani islamici ne hanno lasciate ovunque, com’era stato a Kobane, provocando la morte di diverse persone anche dopo la fine dell’assedio.
Un rischio che si corre anche qui a Hassakè dove, ad sesempio, hanno lasciato ordigni tra i divani o nei frigoriferi delle case di coloro che sono fuggiti.
Rappresaglie e vendette che compiono ogni volta che i bombardamenti della coalizione e le incursioni dei combattenti curdi li costringono a lasciare le loro posizioni. Anche le falde acquifere sono volontariamente inquinate dagli uomini in nero.
A combattere contro l’Is ci sono molti occidentali come Mike.
La sua storia è molto particolare. Nato a Manchester, da giovane è nell’entourage degli Smiths, la celebre rock band degli anni Ottanta.
Poi si dà al cinema dove fa qualche apparizione in piccoli film, ma nulla di significativo. Si trasferisce negli Usa e da lì la folgorazione per la causa curda.
Sono cinque mesi che è qui.
“Ci sono diversi occidentali – racconta ancora Mike – che combattono qui come me. Non si può restare con le mani in mano ad assistere ai massacri che compie l’Is. Così ho scelto di venire a combattere. Sono cinque mesi che sono qui. Ho incontrato anche degli italiani sai? C’è in particolare un ragazzo, molto in gamba. Non conosco il suo nome ma so che in Italia ha lasciato un figlio. E’ pronto per combattere”.
Dopo Karim Franceschi, il giovane di Senigallia che ha combattuto a Kobane e Alessandro De Ponti, il ragazzo di Bergamo che è rimasto ferito e che è rientrato da qualche settimana, c’è quindi un terzo combattente italiano nel Rojava, il cantone siriano quasi completamente in mano ai curdi.
“E’ una guerra – rincara Mike – di cui nessuno parla, dove i curdi che da anni subiscono soprattutto dai turchi vessazioni, ora si trovano tra due fuochi. A Nord si devono guardare dalla Turchia, che sta attaccano le postazioni curde, a sud e nel resto del territorio c’è l’Is. Sono migliaia le persone rimaste uccise. Molte donne e bambine invece sono state rese schiave e vendute ai califfi. Sono le donne a subire le violenze peggiori, stupri e torture”.
Questo accanimento contro le donne in una terra come quella del Rojava, dove sono proprio loro le protagoniste della svolta curda, colpisce ancora di più.
La proposta politica dell’Is, se così la possiamo definire, cozza completamente con quel modello di società libertario e paritario che giorno per giorno stanno cercando di costruire i curdi in questa parte di Siria.
Le donne sono sempre più al centro di questo progetto, combattono e partecipano alla vita politica. Ma allo stesso tempo sono le vittime principali del conflitto.
Una generazione intera di bambini inoltre è cresciuta sotto i colpi di mortaio o in fuga con mezzi di fortuna.
La principale preoccupazione di chi vive queste terre è quella di aiutare questi piccoli a superare i traumi.
Il sostegno psicologico ai minori è una delle attività in cui investono maggiormente i curdi nei campi profughi sparsi per la Siria.
Proprio per ovviare a situazioni come quelle che ha raccontato Mike Enright.
Ivan Compasso
(da “La Repubblica“)
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