Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
“MI HA TRASMESSO LA CULTURA TEDESCA, MERIDIONALE, PUGLIESE E SICULA DI FEDERICO II”
Una potente madre napoletana è all’origine delle sorti musicali di Riccardo Muti. Figlio di una signora «plasmata da quella napoletanità che deriva dalla cultura di Federico II, imperatore tedesco ma anche partenopeo, pugliese e siculo» (parole di Muti), il direttore d’orchestra colloca con atteggiamento fiero la propria mamma nella categoria dei «napoletani tosti».
Lo dichiara nella sua fresca casa ravennate durante uno dei suoi rari pomeriggi di riposo.
Se è vero che la napoletanità attinge la sua linfa da una coscienza secolare delle radici e da un accorato calore umano, ma anche da una prospettiva ombrosa e segnata dal disincanto, in Muti convivono entrambi gli aspetti.
È napoletano nelle battute svelte, nell’ironia feroce, nella facilità del gesto rimodellata strutturalmente dalle regole del podio.
Ma lo è pure nelle nostalgie che ogni tanto sembrano incupirlo.
Ora che gira il mondo con successo, parla dei suoi trascorsi gioiosamente sudisti come di una mitica età dell’innocenza, «ricca di emozioni semplici e dirette».
Riferisce le circostanze della propria nascita come se fosse spuntato da una fiaba. «Sono cresciuto a Molfetta, nella stupenda terra dove mio padre, pugliese, lavorava come medico.
Tuttavia nacqui a Napoli nel 1941 e fui riportato in Puglia quando avevo due settimane.
A volte i molfettesi si risentono un po’ del mio definirmi napoletano, però bisogna ammettere che la qualifica dipende da ragioni obiettive. Diciamo che sono un apulo- campano ».
Come mai nacque a Napoli, se abitavate a Molfetta?
«Mia madre volle dare alla luce i cinque figli, tutti maschi, nella propria città . Al termine di ogni gravidanza ci andava in treno sfidando pericoli e fatiche — nel mio caso il viaggio avvenne durante la guerra — per partorire a casa di sua madre. Da adulti i miei fratelli e io l’abbiamo interrogata su questa scelta. Se un giorno finirete, che so, in America, replicò, quando vi chiederanno dove siete nati e direte a Napoli vi rispetteranno, se invece risponderete a Molfetta ci vorrà un’ora per spiegare dov’è».
Le inculcò l’idea della grande capitale?
«Napoli era per lei il regno da cui tutto s’irradia. La comprendo: ogni volta che ci vado mi coinvolge profondamente lo spettacolo della città , meravigliosa e ferita. Dal punto di vista musicale, inoltre, Napoli ha avuto un’importanza enorme e non abbastanza valutata. Spesso è stata al centro del mio lavoro, come quando curai un progetto sul Settecento napoletano per il Festival di Salisburgo. L’iniziativa ha presentato in Austria fino al 2011 capolavori sconosciuti, facendo capire quanto compositori quali Cimarosa, Paisiello, Porpora e Mercadante abbiano nutrito il genio di Mozart».
Sua madre si chiamava Gilda, come un personaggio del “Rigoletto”. Curiosa coincidenza per un verdiano come lei
«È un puro caso: la sua famiglia non s’interessava di musica. Il gran melomane tra i miei genitori era mio padre Domenico, dotato di una bella voce tenorile. Reputava necessaria per noi un’educazione musicale, e a me toccò il violino. All’inizio mi pareva una tortura: avevo sette anni e stonavo davanti a una finestra da cui potevo assistere con invidia alle partite di pallone dei miei coetanei. Non facevo progressi, sembravo negato, e l’insegnante consigliò ai miei di farmi smettere. La via crucis di Riccardo si ferma qui, decretò mio padre. Ma mia madre si oppose: aspettiamo un mese. Non ho mai capito il perchè di quella frase, fatto sta che in me scattò qualcosa e il giorno dopo riconobbi le note con immediatezza, anzi, con una certa baldanza. La mia strada nella musica partì da quel momento».
Come appariva mamma Gilda?
«Bellissima, slanciata ed elegante, coi capelli ondulati. Una linea di sangue blu scorreva nella sua famiglia, anche se lei, così sobria, non amava sottolinearlo. La sua bisnonna materna era una marchesa di Grenoble, e quando andavamo a pranzo da mia nonna a Napoli, in Via Cavallerizza a Chiaia, sulla tavola c’erano tovaglie e posate con lo stemma del marchesato».
Gilda non aveva vanità ?
«Nascondeva l’età . Solo quando se n’è andata nel ’71, per un ictus a 65 anni, abbiamo potuto vedere un suo documento. L’hanno sepolta a Napoli e mio padre, per rispetto, ha fatto incidere sulla sua tomba l’anno della morte ma non quello della nascita ».
Era una mamma affettuosa?
«Non gradiva le smancerie. Era riservata e severa. Ci ha cresciuti come soldati. Dormivamo su materassi di crine messi sopra tavole di legno. Espressioni come “non mi piace” e “io voglio” erano per lei inconcepibili ».
Dura, quindi.
«Ma no, solo non incline alle effusioni. Un suo sorriso apriva il cielo. Quand’era spensierata, in cucina, cantava canzoni appassionate come “Stu core analfabeta tu ll’he purtato a scola” di Totò. Però il bacio della buonanotte ce lo dava di nascosto, quando credeva che fossimo addormentati. Baciare i figli era una sdolcinatezza inopportuna per l’“omme”, il maschio”».
Come accolse la carriera straordinaria del figlio Riccardo?
«Con la consueta asciuttezza. Vinsi il concorso Cantelli nel ’67 e diressi il concerto della premiazione a Novara. Ho una foto dove l’intera sala è plaudente tranne i miei genitori e i miei nasuti fratelli. Mia madre aveva impartito l’ordine di non applaudire, considerando ogni forma di entusiasmo per un congiunto una debolezza sconveniente. Nel ’70, dopo un mio concerto a Firenze, chiese al critico de La Nazione Leonardo Pinzauti: “dottore, come va questo ragazzo?” Eppure io dirigevo il Maggio Musicale Fiorentino già da un anno e mezzo».
Esiste ancora, secondo lei, la “grande madre mediterranea”?
«Certo: basta pensare alle madri austere e vigorose del Sud Italia, a quelle d’Israele, della Spagna, della Grecia. Guardo con orgoglio a questo mondo, che ci ha impresso una certa peculiarità del ragionare e del sentire. Per questo sono convinto che la Grecia debba restare in Europa. È il luogo dove in passato furono creati i modelli culturali che non smettono di determinare la nostra identità ».
Leonetta Bentivoglio
(da “La Repubblica”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE BERGAMASCO MONELLA AVEVA SPARATO A UN LADRO CHE GLI VOLEVA RUBARE IL SUV… DEVE SCONTARE SEI ANNI PER OMICIDIO VOLONTARIO… IL CONCETTO DI LEGA-LITA’: SPARARE DAL BALCONE
Quanto vale un colpo di spugna ai cinquecentomila emendamenti leghisti alla riforma costituzionale? 
La grazia di un imprenditore condannato per omicidio volontario, a sentire Roberto Calderoli.
“La smetto con l’ostruzionismo – giura solennemente il vicepresidente del Senato – se il ministro Orlando trasmette gli atti per il provvedimento di clemenza a Mattarella”. Ma chi è il protagonista dello scambio proposto dal big leghista?
La storia risale a quasi dieci anni fa.
Il 6 settembre del 2006 alcuni ladri entrano nella villa del costruttore bergamasco Antonio Monella, ad Arzago D’Adda.
Vogliono rubargli il Suv parcheggiato in cortile, lui spara e uccide il diciannovenne albanese Ervis Hoxa.
Legittima difesa o volontà di ammazzare?
Dopo anni di processi, arriva la condanna definitiva della Cassazione: sei anni e due mesi per omicidio volontario (escludendo però il dolo intenzionale).
L’imprenditore diventa presto un simbolo: sostengono la battaglia per la grazia la Lega e molti suoi concittadini. Si organizzano raccolte di firme, il legale di Monella inoltra la richiesta di un atto di clemenza.
Stessa mossa di Matteo Salvini, a luglio: anche per il numero uno del Carroccio si è trattato di un caso di legittima difesa.
E’ a questo punto della storia che entra in gioco Calderoli, la mente del diluvio di emendamenti al ddl Boschi.
Senatore, ma che cosa c’entra la grazia a un condannato con la riforma? Nulla, a occhio.
“Non c’entra nulla. Però c’entra il fatto che Orlando fa parte di un governo impegnato nelle riforme. Il mio atteggiamento negativo rispetto al ddl costituzionale resta, non do certo il via libera a quel testo. Ritiro solo gli emendamenti in commissione, evito l’ostruzionismo. E dunque penso che sia interesse di Renzi e della Boschi esercitare pressione su Orlando affinchè trasmetta a Mattarella la domanda. Anche perchè non spetta al ministro decidere sulla grazia, ma al Presidente. Il ministero della Giustizia ha solo un ruolo istruttorio”.
Ha già parlato con il premier di questa “offerta”?
“No, non ne ho parlato con lui”.
C’è chi non capirà . Molla la battaglia per la Costituzione per il caso di un singolo. Un baratto?
“Nessun baratto, cedo solo sull’ostruzionismo. Restano quattro emendamenti, compreso quello sul Senato elettivo”.
Insomma, è davvero disposto a rinunciare a quella valanga di proposte già depositate?
“Certo. Orlando avrebbe potuto dare il via libera alla pratica e finora non l’ha fatto, fermandola per quasi un anno. Voglio sperare che stavolta la cosa vada in porto. Io sto dietro a questa storia da settembre scorso, quando ancora c’era Napolitano. Poi è arrivato Mattarella. E l’iter al ministero non è ancora concluso!”.
Calderoli, a dire il vero il ministro della Giustizia fa sapere che la pratica non è bloccata, ma bisogna attendere il parere del tribunale di sorveglianza, chiesto ai primi di agosto. Dopo, il ministro potrà fare le proprie valutazioni e inviare l’istruttoria al Colle, presumibilmente entro inizio settembre
“Mi risulta che sia tutto pronto. E poi ricordiamoci che parliamo di uno che si è presentato spontaneamente in galera”.
Perchè cavalcate questa vicenda?
“È una battaglia di giustizia, non di politica. Monella si è difeso, magari ha ecceduto, però gli sono entrati in casa mentre c’erano moglie e figli. Io non so come reagirei, sinceramente. Per carità , ha sbagliato. Ma da un anno è in carcere. E ha anche risarcito le vittime”.
Calderoli, per caso Monella è un suo amico o un militante leghista?
“Solo un bergamasco”.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
La vicenda si presta ad alcune considerazioni:
1) La battaglia leghista sulla riforma costituzionale è solo un bluff, non mira a bloccare la legge truffa, ma solo a utilizzare gli emendamenti per baratti.
2) La Lega vuole la grazia per un assassino che ha liberamente deciso di sparare senza essere il pericolo di vita, ma solo per la proprietà di un Suv. Ovviamente libero di farlo, ma anche di assumersene le conseguenze penali.
3) Il messaggio che lo Stato trasmetterebbe è quello che chiunque può sparare dal balcone a chiunque, senza aspettare le forze dell’ordine, tanto arriva la grazia. Un nuovo concetto di Lega-lità .
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
NON SI FERMA UNA MIGRAZIONE EPOCALE CON PROVVEDIMENTI DI POLIZIA
Nel libro “Il giro di boa”, Andrea Camilleri affronta il tema dell’immigrazione clandestina, prendendo di punta la legge Bossi Fini (nel libro chiamata Cozzi Pini).
Una legge sintomo di una società distorta, pensa il commissario Montalbano che, una sera, assiste ad un talk show in cui è presente uno di questi politici che soffiano sul fuoco dell’emergenza immigrati.
«Ho solo una breve dichiarazione da fare. La legge Cozzi Pini sta dimostrando di funzionare egregiamente e se gli immigrati muoiono è proprio perchè la legge fornisce gli strumenti per perseguire gli scafisti, che in caso di difficoltà , non si fanno scrupolo di buttare a mare i disperati per non rischiare di essere arrestati. Inoltre vorrei dire che …».
Montalbano, di scatto, si susì e cangiò canale, più che arraggiato, avvilito da quella presuntuosa stupidità .
Si illudevano di fermare una migrazione epocale con provvedimenti di polizia e con decreti legge.
E s’arricordò che una volta aveva veduto, in un paese toscano, i cardini del portone di una chiesa distorti da una pressione accussì potente che li aveva fatti girare nel senso opposto a quello per cui erano stati fabbricati.
Aveva domandato spiegazione ad uno del posto. E quello gli aveva contato che, al tempo della guerra, i nazisti avevano inserrato gli ‘omini del paese dintra alla chiesa, avevano chiuso il portone, e avevano cominciato a gettare bombe a mano dall’alto. Allora le pirsone, per la disperazione, avevano forzato la porta ad raprirsi in senso contrario e molti erano arrinisciuti a scappare.
Ecco: quella gente che arrivava da tutte le parti più povere e devastate del mondo aveva con sè tanta forza, tanta disperazione da far girare i cardini della storia in senso contrario.
Con buona pace di Cozzi, Pini, Falpalà e soci.
I quali erano causa ed effetto do un mondo fatto di terroristi che ammazzavano tremila americani in un botto solo, di americani che consideravano centinara e centinara di morti civili come effetto collaterale dei loro bombardamenti, di automobilisti che srafazzavano pirsone e non si fermavano a soccorrerle … di bilanci falsi che a norma di nuove regole non erano da considerarsi falsi, di gente che avrebbe dovuto da anni trovarsi in galera e invece non solo era libera, ma faciva e dettava leggi.
E con buona pace di Salvini ma anche di Hollande e Merkel, che di fronte a questo esodo, questa tragedia non pensano ad altro che a pattugliare meglio le frontiere.
(da “unoenessuno.blogspot”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI VUOL REGALARE IL CENTRODESTRA A RENZI PER TRATTARE CON LUI”
“Ormai Berlusconi blocca il centrodestra. Il suo è un modo per continuare a dialogare con Matteo
Renzi”.
Raffaele Fitto, un tempo enfant prodige di Forza Italia, oggi è il leader della nuova formazione Corservatori e riformisti. Non si scompone, dunque, sulla presa di posizione dell’ex Cavaliere.
Onorevole Fitto, Giovanni Toti evoca le primarie del centrodestra ma Silvio Berlusconi con un tratto di penna boccia la consultazione interna alla coalizione.
“Per quanto mi riguarda non è una novità . Anzi. Come spesso succede attorno a Berlusconi ci sono coloro i quali scelgono di autocontraddirsi, anzichè contraddirlo”.
Lei ha lasciato Forza Italia anche per questo motivo.
“Per anni ho chiesto strumenti di democrazia interna per il rinnovo degli organi di partito. Ma il problema è sempre lo stesso”.
A cosa si riferisce?
“A Berlusconi. Il quale si ostina a gestire il presente ma non pensa in alcun modo al futuro. In sostanza, il leader di Forza Italia, dopo il Nazareno 1, vuole regalare il centrodestra a Matteo Renzi, che è il suo interlocutore principale sulle riforme, sulla Rai”.
Da venti anni parliamo sempre e soltanto di Silvio Berlusconi. Può essere che sia soltanto lui il cancro del centrodestra?
“In realtà c’è anche un ‘altra questione: quello della classe dirigente. C’è la necessità di rinnovarla. Ma la dobbiamo far scegliere ai nostri elettori. Non possiamo pensare di fare dei casting per selezionarla”
Lei è favorevole alle primarie. Ma Berlusconi si oppone perchè “molte volte sono state uno strumento manipolabile”.
“Infatti, devono essere regolamentate per legge. Questo eviterebbe le manipolazioni di cui parla Berlusconi. Faccio un flash: basterebbe far votare coloro i quali sono iscritti nelle liste elettorali. E poi mi faccia dire un’altra cosa su Berlusconi”.
Cosa?
“Per mesi Berlusconi e i suoi hanno evocato come modello il partito repubblicano statunitense. Peccato che i repubblicani americano stiano svolgendo le primarie. Ecco, la contraddizione”.
Se Forza Italia confermasse questa linea anti-primarie, voi Conservatori come vi comporterete?
“Il nostro progetto ha bisogno del tempo necessario. Siamo convinti che si debba tornare a parlare dei problemi dei cittadini. Bisogna adesso comprendere cosa vorranno fare gli altri partiti della coalizione”.
Partecipereste alle primarie con la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni?
“È un tema aperto. C’è la necessità di mettere in campo questo percorso”.
Nei sondaggi la Lega veleggia attorno 15%. Dunque se così fosse Salvini e le sue posizione oltranziste avrebbero la meglio.
“Le primarie non sono soltanto l’occasione per votare qualcuno. Ma si voterà qualcuno sulla base di ciò che propone”.
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Repubblica”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
LE FEMMINE GUIDANO L’ORGANIZZAZIONE QUANDO GLI UOMINI SONO IN CARCERE… E DIFENDONO LA FAMIGLIA IN TV
Un po’ Vanzina, un po’ Scorsese. Discoteche, feste, vacanze, tv e calcio.
Vita smeralda, ma anche pomeriggi passati al centro commerciale.
Ma soprattutto ci sono loro, le donne, le vere protagonista della saga “i Casamonicas”. Madri, moglie, sorelle, figlie e fidanzate.
Setacciando l’universo social dei Casamonica — tutto Facebook, niente Twitter — si può ricostruire il magico mondo del clan di etnia sinti che controlla le attività criminali nel quadrante sud est della Capitale, diventato famoso in tutto il mondo dopo i funerali del capostipite,Vittorio, giovedì scorso nella Basilica di don Bosco.
Sono loro, le donne, che hanno spiegato in tv, davanti ai microfoni, i motivi di quel funerale così sfarzoso. “Noi non siamo mafiosi, la mafia andate a cercarla tra i politici!”. “Il prossimo funerale lo facciamo ancora meglio!”.
C’erano anche domenica, quando una troupe della trasmissione Agorà è stata aggredita nella zona del Quadraro. “I boss qua non ci stanno. I veri boss sono quelli che hanno fatto saltare in aria Falcone e Borsellino!”.
Non è solo folclore, però. Le donne dei Casamonica e delle famiglie vicine — gli Spada, i Di Silvio, gli Spinelli — hanno un ruolo fondamentale.
Sono loro a tenere il timone dell’organizzazione quando gli uomini finisco in carcere.
Sono loro a riscuotere i crediti, a organizzare lo spaccio, a istruire le truppe per il controllo del territorio.
Quando poi arriva qualche blitz delle forze dell’ordine, eccole correre a gettare la coca in bagno o a bruciarla nei camini sempre accesi.
Prima di mettere in scena la sceneggiata: pianti, urla, svenimenti degni della migliore sceneggiata napoletana.
Si buttano a terra e si battono il petto. Poi, appena la polizia se ne va, tutto torna come prima.
Si possono incrociare nelle file per i colloqui a Rebibbia e Regina Coeli. Quello è l’unico momento in cui non sfoggiano oro, gioielli e abiti griffati. Per il resto, è tutta un’esibizione, dagli arredi delle case ultra kitsch alle vacanze.
La Costa Smeralda è la meta più gettonata. Acque cristalline e discoteche, di cui postano foto a ripetizione. Come anche quelle dei bambini.
Ci si sposa molto, tra i Casamonica, e si fanno un sacco di figli.
Quando c’è da controllare un pezzo di Roma, anche il numero ha la sua importanza. Difficile trovare qualcuno ancora celibe o nubile dopo i trent’anni. Si divertono, da giovani. In discoteca, alle Terrazze dell’Eur o all’Art Cafè a Villa Borghese. “E stasera fiesta!”.
La maggiore preoccupazione è come tirar mattina. O dove andare a cena. Si mangia tanto, ci si abbuffa, nel clan. Scene alla Goodfellas, con banchetti organizzati a casa, o fuori, nei ristoranti della periferia romana, esclusivamente a base di pesce.
Al Gambero Rosso a Fiumicino. O da Michelino Fish, all’Infernetto, vicino Ostia. O da Eco Blu, in zona San Giovanni. Grandi piatti di crudi. Ostriche e champagne.
Gianluca Roselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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