Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DEL POLITECNICO: “SI CERCA SOLO IL CONSENSO ELETTORALE”
Sulle prime, commentando il cambio di rotta del premier Renzi sul Ponte sullo Stretto, il
professore Marco Ponti, docente al Politecnico e uno dei massimi esperti in Italia di economia dei trasporti, la butta sul ridere: “Sarà un colpo di sole”.
Poi però, quando la discussione torna seria, Ponti mette in fila tutte le sue perplessità , non nascondendo una certa sorpresa, visto che il docente è, tra le altre cose, anche autore delle proposte in materia di trasporti nel libro di Yoram Gutgeld, fedele consigliere del presidente del Consiglio e oggi Commissario per la spending review.
“Era una dura analisi contro le grandi opere berlusconiane”.
Qualcosa non torna: ”Mi sembra che questa uscita manifesti invece il sorgere di un’ideologia molto berlusconica”.
Chiariamolo subito: realizzare il Ponte sullo stretto è una scelta giusta o sbagliata?
“Tutto si può fare, ma visto che i soldi pubblici sono pochi bisogna vedere se è un investimento sensato o no. Per decidere, innanzitutto occorre assolutamente fare analisi economiche e finanziarie “terze”, cioè ‘non chiedere all’oste se il vino è buono’, comparative – in cui si confrontano diverse infrastrutture tra loro, e diverse soluzioni tecniche -, e trasparenti. Poi non è che devono decidere gli economisti, tocca sempre ai politici, ma occorre un dibattito democratico sulle priorità che sia basato su analisi solide, come si usa nei paesi sviluppati. Soprattutto se i soldi pubblici sono pochi, e i bisogni sociali molti e urgenti. In questo caso, dal punto di vista dell’utilità ci sono serissimi dubbi. Per dirla in parole povere: un ponte serve se ci passa tanta roba”.
Non sarebbe così per il ponte sullo Stretto ?
“Direi di no. Sia dal punto dei vista dei passeggeri sia da quello delle merci”.
Non ci sarebbero abbastanza passeggeri?
“Bisogna considerare quelli di lunga distanza e quelli di breve. Per i primi l’aereo low cost è vincente come alternativa tanto in termini di tempi quanto in termini di costi, rispetto a auto o treni. Per i secondi dobbiamo considerare che il ponte collegherebbe due grossi conglomerati — Messina e Catania con Reggio Calabria – , ma Il Ponte sarebbe scomodissimo, troppo a nord, il baricentro è lontano. Si sale molto in alto, si percorre il tragitto e poi bisogna scendere di nuovo. Bisogna ricordare che parliamo di un’infrastruttura altissima”
Le merci?
“Per la lunga distanza restano più convenienti le navi come alternativa. Per i traffici di breve distanza, tra Sicilia e Calabria, è difficile che ci siano scambi importanti”
Quindi è un’opera inutile?
“Ogni infrastruttura serve. Ma serve in relazione ai soldi che costa. Questa non mi sembra un’opera urgente. Dal punto di vista macroeconomico poi, molti studi dimostrano che ogni euro pubblico speso rende di più se speso in tante piccole opere, piuttosto che in poche grandi infrastrutture. Le prime sì che occupano un sacco di gente. C’è un problema però”.
Quale?
“Che quelle non creano consenso. Posso dire in campagna elettorale: ho migliorato la rete stradale, ma in termini di ritorno di voti non mi porta nulla. Non è visibile come una grande infrastruttura come il ponte”.
L’opera è imponente, quali sono le principali difficoltà nel realizzarla?
“Sarebbe il ponte sospeso più lungo del mondo, bisogna immaginare che i pilastri saranno alti 300 metri, come la Tour Eiffel. Le fondazioni di questi pilastri hanno delle dimensioni enormi, mai sperimentati,con effetti endotermici che non si possono prevedere”
Si è parlato recentemente anche della possibilità di realizzare l’opera solo per la ferrovia
“Sarebbe una follia. Se è per questo allora converrebbe solo stradale per il tipo di struttura. La domanda ferroviaria è piccolissima rispetto a quella stradale. Mi viene in mente che l’ex governatore Cuffaro prima di avere altri problemi aveva proposto la costruzione di un tunnel sotterraneo tra Sicilia e Tunisia. Quando si parla di sprecare soldi pubblici non c’è mai limite alla fantasia”.
Flavio Bini
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
INVECE CHE 450 MILIONI STANZIATI SOLO 300 RIPARTITI PER PIU’ ANNI E CON LA POSSIBILITA’ DI SPENDERLI IN ALTRO MODO
Meno soldi di quanto sono stati promessi per la bonifica della Terra dei Fuochi. A causa di una decurtazione di 150 milioni di euro.
E senza indicare la precisa destinazione di queste risorse.
Alimentando un ulteriore sospetto: che possano essere usati per altri motivi, come lo smaltimento delle ecoballe.
La zona tra Caserta e Napoli avvelenata dalla presenza di rifiuti tossici, riversati dalla criminalità , torna al centro del dibattito. Con il timore che possa essere ancora dimenticata.
Dopo il Consiglio dei ministri sulla Legge di Stabilità , Matteo Renzi aveva proposto le sue slide con un cifra chiara: 450 milioni di euro per la bonifica e, parole del premier, “per chiudere la ferita della Terra dei fuochi”.
Subito il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, aveva applaudito: “Ringrazio il presidente del Consiglio Matteo Renzi per questa scelta di grande sensibilità per Napoli, la Campania e il Sud”.
Ma leggendo il testo, ecco la sorpresa: i fondi messi a disposizione dal governo sono 300 milioni, 150 per il 2016 e 150 per il 2017, poi ripartiti in 100 milioni per il 2016, 150 per il 2017, 50 l’anno successivo.
La somma? Sempre 300 milioni.
“Matteo Renzi continua a mentire agli italiani e ancora di più ai cittadini della Terra dei Fuochi. E, ancora peggio, la maggioranza in Commissione Ambiente al Senato nega l’evidenza, perchè continua a parlare di 450 milioni”, accusa Moronese.
RISCHIO ECOBALLE
Guerra su tutti i fronti, dunque. La somma, prima di tutto, ma anche la destinazione di quei soldi, che potrebbero non essere effettivamente usati per la Terra dei Fuochi.
“Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, eÌ€ istituito un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della Terra dei fuochi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le predette somme”, si legge nel testo della Legge di Stabilità .
Dunque, Vincenzo De Luca, avrà voce in capitolo nel ruolo il presidente della Regione Campania.
“E proprio De Luca — incalza Moronese — in campagna elettorale ha più volte promesso che avrebbe smaltito le ecoballe, tonnellate di rifiuti ammassate. Sospettiamo che parte delle risorse della Terra dei Fuochi venga dirottate altrove”.
Il sospetto è rafforzato dalle dichiarazioni diRenzi, che in diretta tv ha scandito: “Se c’è uno che è in grado di eliminare le ecoballe è Vincenzo De Luca”. “Ma le ecoballe sono una cosa diversa dalla Terra dei Fuochi”, insiste Moronese.
E per questo il Movimento 5 Stelle vuole vederci chiaro.
Stefano Iannaccone
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
“ABBIAMO PAURA CHE SE NE VADANO SENZA SALDARE”…LE NOVE AZIENDE DEVONO ANCORA OTTENERE 950.000 EURO
Expo ha chiuso i battenti, gli operai da qualche giorno stanno già smantellando gli allestimenti
interni, ma c’è chi sta ancora aspettando il pagamento per i lavori di realizzazione dei padiglioni, completati più di sei mesi fa.
In queste ore sta tornando alla ribalta il contenzioso tra la Rt-Expo srl (società del colosso Rostekh che aveva in gestione il padiglione Russia) e nove ditte italiane che hanno lavorato alla sua costruzione.
La questione è vecchia di mesi, già a giugno era diventata di dominio pubblico, quando Catena Services, Coiver Contract, Ges. Co. Mont, Idealstile, Elios Ambiente, Mia Infissi, Vivai Mandelli, Sech costruzioni e Sforazzini avevano minacciato azioni legali per riuscire ad ottenere pagamenti per 950 mila euro.
I responsabili del padiglione hanno continuato a lamentare difetti nella realizzazione, rifiutandosi di pagare anche quando una perizia tecnica del tribunale di Milano ha accertato che i lavori erano stati “eseguiti a regola d’arte”.
Rt-Expo ha chiesto un arbitrato internazionale e i tempi si sono ulteriormente dilatati. La faccenda si è così trascinata di settimana in settimana fino ad oggi, a manifestazione conclusa.
Il timore delle aziende italiane coinvolte è che i russi levino le tende in fretta e furia senza aver onorato il pagamento e senza essere riusciti a far porre sotto sequestro nemmeno una vite.
Un timore che è diventato sospetto quando squadre di operai sono state viste al lavoro attorno al grande padiglione russo: “In questi giorni — spiega Marco Castiglioni della ditta Mandelli, che ha curato il verde per diversi padiglioni — noi siamo riusciti ad entrare nell’area con pochi mezzi e pochi uomini, ma davanti al padiglione russo c’erano già mezzi pesanti pronti a caricare materiale e diverse squadre di operai al lavoro”.
In effetti in questi giorni l’area Expo è accessibile solo per piccoli lavori.
Ai gestori dei singoli padiglioni è stato chiesto di provvedere prima allo smontaggio di arredi, allestimenti interni e componenti tecnologiche, per poi iniziare, dopo metà novembre, con i lavori sulle strutture.
Fino a quel momento Expo non ha autorizzato l’accesso a mezzi pesanti.
Un divieto che, stando ai rilievi delle ditte italiane, i russi starebbero aggirando: “Ieri abbiamo chiesto l’intervento dell’Asl — continua Castiglioni — sono arrivati, ma oggi i lavori erano già ripresi”.
Della vicenda si è interessata anche la politica. In particolare la parlamentare Pd Laura Puppato si è fatta portavoce delle aziende trevigiane coinvolte nella vicenda, portando la questione all’attenzione del ministro Maurizio Martina: “Il ministro ha detto che se ne occupa e cercherà di capire quali sono i termini della vicenda — ha dichiarato la senatrice dem al quotidiano La Tribuna di Treviso -. Non possiamo, dopo il successo di Expo, lasciare l’amaro in bocca alle ditte italiane che hanno contribuito al miracolo lavorando giorno e notte, anche se la vicenda è colpa della Russia”.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Milano | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA VECCHIA DISPOSIZIONE LO AVREBBE RESO UN BERSAGLIO FACILE PER CHI SI FOSSE APPOSTATO FUORI DALLA FINESTRA
Il primo atto del commissario di Roma Francesco Paolo Tronca?
Spostare la scrivania dell’ufficio del sindaco per evitare il rischio cecchini.
E’ questo, secondo quanto racconta il Corriere della Sera, l’intervento richiesto dall’ex prefetto di Milano non appena arrivato in Campidoglio.
La disposizione della sala che prima occupava l’ex sindaco Ignazio Marino avrebbe infatti esposto il commissario al rischio di essere colpiti da cecchini appostati fuori dalla finestra.
Un pericolo che non era mai stato comunicato alla stampa, ma che avrebbe impensierito il neo arrivato a Roma.
L’ex prefetto Tronca intanto proprio oggi ha ritirato il premio Voloire 2015 a Milano e ha detto di non essere preoccupato del nuovo incarico: “Sono contento di lavorare con un vero amico“, ha detto in riferimento al prefetto di Roma Gabrielli.
“E’ un collega di assoluto valore con cui ho lavorato spesso insieme affrontando momenti difficili. Nessuna difficoltà . Sono soltanto contento di poter riprendere a lavorare con un vero amico”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
BLOCCATE 40.000 BOTTIGLIE IN PARTENZA PER GLI USA, DENUNCIATI I PROPRIETARI DELL’AZIENDA
Vini moldavi e “di incerta provenienza” spacciati per Moscato e Pinot docg: oltre 150mila litri di
vino “non genuino” sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza di Nizza Monferrato durante un controllo in una grande azienda vinicola astigiana, nella “patria” dei vini bianchi piemontesi, i cui responsabili sono stati denunciati per “frode nell’esercizio del commercio” e “contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni di origine di prodotti agroalimentari”.
Nel corso delle ispezioni le Fiamme gialle, raffrontando i dati contabili dei registri di cantina dell’impresa con le qualità di vino e mosto custoditi in magazzino, hanno riscontrato, oltre a numerose irregolarità , anche l’utilizzo di “prodotto vinicolo” proveniente dalla Moldavia e anche da località sconosciute, utilizzato per tagliare illecitamente vini a “denominazione d’origine controllata e garantita” ovvero a “denominazione d’origine protetta”.
I vini, inoltre, venivano sofisticati con l’aggiunta di sostanze chimiche che, utilizzate in dosi attentamente calcolate, difficilmente sarebbero state individuabili in caso di analisi di laboratorio.
In particolare, 125mila litri circa di “moscato moldavo” e moscato di incerta provenienza sono stati sottoposti a sequestro direttamente in azienda, all’interno di alcune vasche di fermentazione e di stoccaggio, mentre 40mila bottiglie di “Pinot dop”, per un totale di circa 30mila litri, sono state fermate e sequestrate su un camion che stava raggiungendo il porto di Livorno per essere l’esposrtazione negli Stati Uniti.
(da agenzie”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
L’IMPORTO MEDIO E’ DI CIRCA 9.000 EURO NETTI AL MESE
Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha commentato con il sorriso sulle labbra: «Probabilmente Matteo Renzi si riferiva ai deputati. Io prendo quanto un direttore, anzi meno del direttore generale della mia Regione». Facile.
Si sa che certi burocrati guadagnano più dei politici, e non stupisce più di tanto.
Ma che il presidente del consiglio dei ministri abbia una busta paga più magra dei presidenti di Regione, come ha sibilato Renzi all’indirizzo dei governatori che ancora si lamentano per i tagli della legge di stabilità , in effetti, può lasciare di stucco chi non immagina come vanno certe cose nella politica italiana.
E magari ricorda vagamente che dopo lo scandalo del consiglio regionale del Lazio il governo Monti fece approvare una legge che avrebbe dovuto porre un limite ferreo ai compensi degli eletti regionali.
Per esempio, il presidente della Regione Toscana, che è uno dei governatori meno pagati d’Italia, ha di sicuro una indennità più alta di quella del premier.
Le Regioni forniscono generalmente i dati delle retribuzioni lorde, ma ricavare il netto, con l’aiuto di programmini di calcolo comunemente disponibili su internet, non è troppo difficile.
E il risultato, nella fattispecie, è questo.
L’indennità mensile del premier è pari a 9.566 euro e 39 centesimi lordi, corrispondente a 5.381,95 euro netti per chi risiede a Roma e a 5.425,38 euro per chi abita a Firenze.
Al governatore della Toscana spettano invece indennità tassate pari a 10.154,95 euro, per un netto di 5.678 euro e 3 centesimi.
Di più, al presidente della Regione toccano rimborsi spese forfettari, quindi non tassati, per 2.845 euro e 5 centesimi.
Il che porta il totale netto percepito ogni mese a 8.523 euro e spiccioli.
Cifra, peraltro, che risulta superiore di mille euro circa ai 7.519 euro netti che rappresentavano la somma delle indennità e dei rimborsi fino al dicembre 2012: cioè prima che i tagli imposti da Monti entrassero in vigore.
Non trovate che sia curioso?
Ma c’è ovviamente una spiegazione, per quanto poco digeribile. La legge voluta da Monti ha imposto il massimo di 11 mila euro lordi mensili alla retribuzione «onnicomprensiva» dei consiglieri regionali, mentre per i governatori il limite è stato fissato a 13.800.
Inutile dire che quasi tutte le Regioni si sono adeguate a quegli importi o ci sono andate molto vicino, anche quelle come la Toscana dove i compensi erano più bassi. Così oggi il totale lordo degli emolumenti del governatore toscano è di 13 mila euro mensili.
E non è stato l’unico a veder gonfiare la propria busta paga. In qualche caso anche grazie ad un’accorta gestione delle voci accessorie: una sforbiciatina allo stipendio e contemporaneamente una spintarella all’insù dei rimborsi.
Un gioco da ragazzi, ridurre le voci tassate e aumentare quelle senza tasse.
Per evitarlo sarebbe bastato fissare un tetto agli emolumenti netti, anzichè al lordo. Ma perchè frustrare la creatività delle nostre Regioni?
C’è il presidente della Regione Abruzzo, passato da 8.450 a 9.748 euro netti al mese. C’è quello della Basilicata, salito da 9.221 a 9.790.
C’è la presidente dell’Umbria, altra Regione tradizionalmente rossa al pari della Toscana, il cui emolumento è cresciuto da 7.604 a 8.921.
E anche la sua collega del Friuli-Venezia Giulia deve registrare un aumento simbolico: il calcolo dà oggi un netto di 8.136 euro, contro gli 8.063 di tre anni fa. Altri hanno semplicemente limitato i danni.
È il caso del presidente dell’Emilia-Romagna, che ha perso più o meno trecento euro, o di quello del Veneto, il quale ha dovuto rinunciare a 130 euro.
Botte più serie le hanno invece accusate i presidenti di Marche (-906 euro mensili), Molise (-1.527), Lombardia (-2.403), Lazio (-2.502), Sicilia (-4.444), Piemonte (-4.687) Puglia (-5.034), Sardegna (-5.606).
Ma certe paghe erano così alte che il sacrificio non è stato poi così doloroso.
Non mancano alcune incongruenze fra i nostri calcoli sul netto e le cifre dichiarate.
Il compenso netto del governatore della Campania, rimborsi compresi, che si dovrebbe attestare intorno agli 8.800 euro netti al mese contro i 10.775 del 2012; risulterebbe invece di 10.300 euro.
Idem quello del presidente della Liguria, dichiarato in 10.514 euro netti al mese contro i 9.890 calcolati; tre anni fa era di 10.841 euro, quindi più o meno come oggi.
Qualche danno collaterale l’hanno poi subito anche i vertici politici delle Province autonome di Trento e Bolzano, con tagli rispettivi di 1.777 e 2.079 euro mensili. Anche se il compenso del presidente altotesino rimane comunque ampiamente superiore al tetto dei 13.800 euro lordi mensili previsti dalla legge: tocca infatti i 19.215 euro, per un netto (10.668 euro) che supera di poco quello percepito da chi invece quel limite lo rispetta.
Per esempio il presidente della Regione Calabria: 10.493 euro. Perchè mai? Semplicissimo. I rimborsi forfetari esentasse del presidente della Provincia di Bolzano sono di 700 euro mensili, mentre quelli del governatore calabrese raggiungono 6 mila euro. Il top in Italia.
E addirittura più alti della sua indennità netta (circa 4.500 euro), facendogli scalare la classifica dei compensi dei presidenti regionali.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: la casta | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
MORANI, MORETTI, PICIERNO E BONAFE’ NEL PD, CAPEZZONE E MINZOLINI A DESTRA, GLI EX CINQUESTELLE CURRO’ E RIZZETTO… C’E’ STATO UN MOMENTO IN CUI IL DIBATTITO POLITICO RUOTAVA SOLO INTORNO A LORO… E ADESSO SEMBRANO SCOMPARSI
Un Parlamento di meteore. Grandi o piccole come granelli di sabbia. Veloci come bolidi, oppure
più lente: visibili giusto per il tempo del loro incendiarsi, dopo l’impatto con la notorietà o con il leader di turno, poi basta.
Alcune magari torneranno a illuminare le prime pagine, chissà . Dipende.
Sta di fatto che mai come in questi anni, il fenomeno dello sciame di meteore è massiccio.
Sarà anche colpa di un Parlamento sbilenco e inedito: nel quale il Pd è quello selezionato da Bersani, ma governa con Renzi; dove il centrodestra è entrato unito, per poi dissolversi nei tanti rivoli della decadenza berlusconiana; o i Cinque stelle, naive delle Camere, hanno aperto la scatoletta di tonno della loro prima selezione sul campo.
Nell’insieme, comunque, non pochi.
Come in una specie di Spoon River della rilevanza, giusto per cominciare dal Pd ci si può chiedere che fine abbia fatto una come Alessia Morani.
Iniziale notorietà per un tatuaggio sul piede, poi responsabile giustizia del Pd, tanta tv e qualche gaffe, infine l’approdo alla vicepresidenza del gruppo alla Camera e la sostanziale sparizione. Una parabola terrificante, quasi brutale.
E Simona Bonafè?
Lanciata in orbita per le europee, agguantò un record di preferenze: oltre 288 mila, terza arrivata, prima tra le donne. Poi basta: come se non ci fosse.
Eppure, era una delle fedelissime di Renzi, se la batteva con la Boschi e ne usciva persino meglio di lei.
Sparita pure Pina Picierno, la terzina di sfondamento che esibiva i propri scontrini in tv, pur di dimostrare che gli ottanta euro di Renzi avrebbero cambiato la vita agli italiani.
Alessandra Moretti? La sua scia luminosa è stata più lunga: prima con Bersani, responsabile della comunicazione poi renziana in lizza alle europee (230 mila preferenze, arrivò quarta) quindi in corsa per la Regione Veneto. Incarico per il quale ha mollato l’europarlamento.
Dopo il flop contro Zaia, quasi nulla: fa la capogruppo dem in regione, dopo aver auspicato un profonda analisi nel partito sulle ragioni della sconfitta, e aver chiarito che un po’ è dipeso anche da look castigato da ferroviera.
C’è poi la massa sempre crescente dei cosiddetti dissidenti.
Si illuminano più forte via via che si avvicinano all’annuncio di una scissione: poi si scindono (o decidono di non scindersi) ed entrano nell’emisfero nero.
Che fine ha fatto Roberto Speranza? La grande partita del rinnovamento nella continuità , nel Pd, pareva potersi reggere sull’aria da ragazzino dell’uomo scelto da Bersani per fare il capogruppo alla Camera.
Invece, poi, ci si è messa di mezzo la battaglia sull’Italicum: all’annuncio delle sue dimissioni di protesta, Renzi invece di aprire il “dibbbattito”, ha alzato le spalle ed è andato oltre.
Adesso, come certi grandi amici che si son persi di vista, ci si accorge che Speranza non è più tanto in giro solo quando capita di incrociarlo.
Non poi tanto dissimile la parabola di Pippo Civati.
Grande promessa dell’anti-Renzismo, da quando non sta nello stesso partito del suo antagonista filosofico, ha perso motivazione, si è come dissolto. Ma non è sparito. Certo, perchè poi non tutte le meteore si dissolvono: alcune arrivano a terra, salvo diventare invisibili nel tratto terminale del percorso. E’ il cosiddetto “volo buio”.
Una categoria cui si può dire appartenga Miguel Gotor: dopo sei mesi passati a parlare di derive autocratiche, è sparito. Sta ancora ben là , pronto a rispuntare, chissà quando.
In Forza Italia e dintorni, per non entrare nei casi meteoritici delle giovani promesse che paiono già bruciate prima di cominciare (vedasi Silvia Sardone e i fratelli Zappacosta), si hanno pure casi di “volo buio”.
Dieci mesi fa, in piena epoca di elezioni quirinalizie, impazzava il duo Raffaele Fitto e Daniele Capezzone. Sembravano i padroni prossimi venturi del centrodestra. E invece si sono scissi e hanno smesso di diventare determinanti.
Spariti, fino al prossimo giro almeno.
E che fine ha fatto Augusto Minzolini?
L’ex direttorissimo del Tg1 dettava la linea nel partito di Berlusconi: poi si è fatto via via sempre più dissidente, fino a cadere nell’ombra. Maleficio oscuro sembra quello che ha avvolto Mario Mauro.
Già possibile delfino di Berlusconi, poi montiano, quindi saggio di Napolitano e ministro con Letta, infine perno del Parlamento: fu estromesso dalla commissione Affari costituzionali, dopo che il suo voto era stato determinante per far passare l’ordine del giorno di Calderoli sulla riforma del Senato.
Parlò di “purghe renziane”, poi finì a Gal. Le ultime notizie, a cercarle, lo danno partecipante al cosiddetto “gruppo di Rovereto”, insieme con Antonio Fazio, Raffaele Bonanni e Mario Tassone.
Perchè poi fino a poco tempo fa, diciamolo, era più semplice. Se ti eri conquistato la tua fama, che fossi un Razzi o al contrario un Follini, poi nessuno ti toglieva il ruolo, almeno fino alla fine della legislatura.
Finchè c’era la poltrona, c’era lo spazio. Adesso, al contrario, la poltrona resta: è semmai la sua incidenza a sparire. E soprattutto, la faccenda si brucia in tempi rapidissimi, fulminei. Meteoritici, appunto.
La cosa prende un suo giro particolare tra i grillini. Qui il caso è un po’ diverso: entrati con lo slogan dell’ uno vale uno, i Cinque stelle hanno attraversato il processo di selezione della classe dirigente quando erano già in Parlamento.
Per questa via, si sono perse le tracce ad esempio di Vito Crimi, uno dei primi volti pentastellati quando insieme con Roberta Lombardi si incaricò da capogruppo delle estenuanti consultazioni di Bersani.
Pareva lui quello con più cartucce, e invece. Ma ci sono anche casi di promesse mancate: a inizio legislatura i bookmaker puntavano parecchio su Marta Grande da Civitavecchia, in predicato addirittura per diventare presidente della Camera, prima di svanire nella quotidianità parlamentare.
Ci sono quindi i casi dei mezzi leader, la cui incidenza va in combinato disposto con la critica al capo: per mesi pareva che il futuro dei Cinque stelle dipendessero dalle mosse di Tommaso Currò o di Walter Rizzetto.
Poi Currò è entrato nel Pd, Grillo ha fatto il direttorio con Di Maio e Di Battista, e molti saluti.
Susanna Turco
(da “L’Espresso”)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
“RICAVATI MAGGIORI VOLUMI RISPETTO AL PROGETTO ORIGINARIO”
Guai a picco sul mare. La piscina della villa di Ravello dell’ex ministro Renato Brunetta sarebbe stata realizzata in difformità dall’autorizzazione: la procura di Salerno ha notificato tre avvisi di garanzia al direttore dei lavori Nicola Fiore (oggi assessore al Bilancio del Comune di Ravello), al titolare della ditta esecutrice della costruzione Vincenzo Scala, consigliere comunale di maggioranza e a un altro tecnico.
Secondo quanto accertato dalle indagini condotte dalla sezione navale della Guardia di Finanza, su disposizione della procura, i lavori — che risalgono al 2012 — sono stati realizzati ricavando maggiori volumi rispetto al progetto originario.
La villetta e l’inchiesta
Non è la prima volta che la magistratura si interessa alla residenza del capogruppo alla Camera di Forza Italia, a cui hanno anche conferito la cittadinanza onoraria del comune della costiera.
Una prima indagine partì dopo l’inchiesta ‘Casa Brunetta’ condotta dal programma di Rai Tre Report.
Ma la villa che affaccia sulla costiera amalfitana fu oggetto anche di un’altra inchiesta giornalistica, ancora precedente, condotta dal settimanale L’Espresso nel 2008.
La residenza era composta originariamente da due ruderi acquistati nel 2003 per 53mila euro e, in seguito alla ristrutturazione (per la quale Brunetta accese un mutuo), si trasformò in una villa di 11 vani a picco sul mare.
Nel 2005, poi, l’ex ministro comprò un’altra casetta vicina alle altre al prezzo di 11mila euro, la depandance. Il prezzo di mercato della residenza lievitò superando il milione di euro. Un affare d’oro.
“Tutto dichiarato, tutto trasparente” dichiarò l’ex ministro. L’avvocato di Brunetta ribadì che durante i lavori non vi fu “aumento alcuno di cubatura” e che la ristrutturazione fu “autorizzata dalle autorità competenti”.
Eppure già nei giorni successivi alla messa in onda del servizio di Report gli uomini della Guardia di Finanza acquisirono presso l’ufficio tecnico comunale tutti gli atti relativi alla villa di Brunetta, aprendo un altro fascicolo sulla ‘carriera politica’ dell’allora sindaco di Ravello.
L’affare di allora e gli indagati di oggi
All’epoca dell’acquisto, infatti, il primo cittadino era Secondo Amalfitano (che non è tra gli indagati). Tra i destinatari degli avvisi di garanzia ci sono invece Nicola Fiore, il geometra-assessore al Bilancio del Comune di Ravello e Vincenzo Scala, ex tesserato di Forza Italia che divenne consigliere comunale di maggioranza nel 2011. Era stato Fiore, l’uomo più vicino al sindaco dell’epoca, a seguire in precedenza tutte le pratiche urbanistiche e a rappresentare Brunetta nell’acquisto di uno dei due ruderi. L’ex primo cittadino Amalfitano era del Pd, poi nel 2008 passò nel Pdl diventando consigliere ministeriale di Brunetta (a capo del dicastero della Funzione Pubblica), che l’anno dopo lo nominò anche presidente di Formez Italia.
A riguardo l’avvocato di Brunetta specificò che l’autorizzazione paesaggistica fu rilasciata dall’allora sindaco “4 anni prima della nomina di Renato Brunetta a ministro”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Brunetta | Commenta »
Novembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
DALLA TASI ALL’ART 18, DAL PONTE SULLO STRETTO ALLA SOGLIA DEL CONTANTE: CINQUE SCELTE STRATEGICHE IN SINTONIA
La domanda è ormai un tormentone e ha ricevuto risposte di tutti i tipi: serie, ironiche o
addirittura parodistiche.
Tra le più virali, l’immagine di Silvio Berlusconi-Darth Vader che confessa a Matteo Renzi-Luke Skywalker “sono tuo padre”.
Eppure la questione è sempre lì sul tappeto: quanto si somigliano l’ex e l’attuale presidente del Consiglio?
Che non si tratti soltanto di una domanda oziosa, lo dimostrano anche i due diretti interessati che ne hanno fatto oggetto di botta e risposta a distanza.
Perchè se da una parte il Cavaliere dice: “Matteo ha copiato il mio programma”, dall’altro il presidente del Consiglio a Bruno Vespa replica: “Silvio le riforme non le ha fatte. Ci ha provato, ma non le ha fatte”.
Al di là della polemica politica, o della questione ‘cos’è di destra, cos’è di sinistra’, però, si possono analizzare i fatti.
E ci sono almeno cinque misure economiche varate o annunciate dal governo di Matteo Renzi che ricordano provvedimenti o cavalli di battaglia degli esecutivi berlusconiani.
L’ultimo in ordine di tempo è l’annuncio del premier che il Ponte sullo Stretto di Messina “si farà ”.
Fu proprio il governo Berlusconi nel 2001 ad avviare l’iter legislativo per sbloccare l’opera. Si arrivò, nel 2005 anche all’assegnazione dell’appalto a una associazione temporanea di imprese capeggiata da Impregilo. L’iter fu poi bloccato dal governo di Romano Prodi e ripreso dal Cavaliere nel 2008. “E’ un’opera epocale — diceva l’allora premier — che si inserisce tra le prime sei più importanti del nostro impegno infrastrutturale”.
Il jobs act e l’abolizione dell’articolo 18.
Difficile dimenticare i tre milioni portati in piazza nel 2002 dall’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati, per bloccare la delega che rendeva la norma inapplicabile ai nuovi assunti. “Tuteliamo i lavoratori indifesi”, argomentava Berlusconi. Ma fu tale la tensione sociale che si creò attorno a quel provvedimento che il suo governo fu costretto alla resa e allo stralcio.
Bonus bebè.
La misura fu introdotta dal leader di Forza Italia con la legge Finanziaria che stabiliva un assegno di 1000 euro per ogni figlio nato o adottato nel 2005 e per ogni secondo o ulteriore figlio nel 2006. Un provvedimento simile è stato varato dal governo Renzi: si stabilisce un sussidio di 80 euro al mese alle famiglie che avranno un figlio tra il 2015 e il 2018.
Aumento della soglia del contante.
È una delle misure della legge di Stabilità di Matteo Renzi più contestate dalla minoranza del Pd perchè sospettata di favorire l’evasione. Ed è anche un cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi che, all’epoca del governo Monti, si era schierato a favore dell’abbassamento a 1000 euro con una serie di argomentazioni entrate a far parte della sua aneddotica più classica.
Un esempio? “Ho avuto proteste vibranti di chi vende cose di lusso come gioiellieri e antiquari perchè molte volte quando fai certi acquisti non vuoi che altri lo sappiano, per esempio la moglie o i colleghi”.
Abolizione della tassa sulla casa.
E’ probabilmente la misura economica su cui maggiormente Silvio Berlusconi ha messo la faccia. Nel 2008, quando tornò a palazzo Chigi dopo Romano Prodi, volle che l’abolizione della tassa sulla casa, allora si chiamava Ici, fosse varata dal primo consiglio dei ministri che si riunì a Napoli.
Tuttavia, quando nel 2011 dovette traslocare dal governo per fare posto a Mario Monti, anche il suo partito votò per la reintroduzione. Una delle sue frasi più celebri è: “Quand le bateau va, tuot va”. Tradotto: quando l’edilizia va, tutto va.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Renzi | Commenta »