Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
AL BALLOTTAGGIO M5S BATTE PD 51,5% A 48,5%… PD BATTE CENTRODESTRA 57,5% A 42,5%… M5S BATTE CENTRODESTRA 62,4% A 37,6%… IL PROBLEMA PIU’ IMPORTANTE? IL LAVORO PER IL 49%… LA SICUREZZA SOLO PER IL 13%
Ben tornati al bipolarismo. L’Italicum e il suo ballottaggio non c’entrano. E soprattutto
sembra non entrarci più il centrodestra.
Il confronto finale tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle è ormai una realtà di gran parte dell’elettorato.
“Il bipolarismo italiano — scrive il politologo Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore — è sempre più imperniato tra un partito che fa politica stando al governo e uno che fa anti-politica stando all’opposizione. Oggi il voto tende a concentrarsi sempre di più su questi due attori. Gli altri sembrano essere dei comprimari”.
Le sorprese del sondaggio di Demetra per il Centro italiano studi elettorali della Luiss e pubblicato dal Sole non stanno tanto nello scenario di ballottaggio che conferma la tendenza di tutti i sondaggi dell’ultimo mese e di tutti gli istituti di rilevazione (cioè una vittoria di misura dei Cinque Stelle) quando ai risultati che raccoglierebbero Pd e M5s.
I democratici risalgono infatti oltre il 35 per cento, segnatamente al 35,6: “solo” 5 punti in meno del 40,8, spesso definito eccezionale (nel senso di eccezione).
Sono peraltro 10 punti in più di quanto raccolto dal Pd di Pierluigi Bersani nel febbraio 2013 (25,6).
Per giunta il 40 per cento, sufficiente per conquistare il premio di maggioranza senza il turno di ballottaggio, non è così lontano.
Movimento 5 Stelle sopra al 30%
Il centro dei dati del sondaggio sta tuttavia nel risultato dei Cinque Stelle che per la prima volta superano quota 30: per Demetra oggi potrebbe arrivare fino al 30,8.
Con questo schema per gli altri partiti non ci sarebbe alcuna speranza neanche di ballottaggio: Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia — tutti insieme — raggiungerebbero non più del 28,7, con la nota a margine da ricordare per cui la somma aritmetica dei risultati singoli (rispettivamente 13, 12,7 e 3 per cento) non sempre corrisponde alla performance di una coalizione.
Altri sondaggi in queste settimane hanno dato il M5s in una forbice tra il 26 e il 28, ma, sottolinea D’Alimonte, i “sondaggi sono strumenti molto imprecisi, ma non sono inutili. Servono non a indovinare esiti, ma a rilevare tendenze“.
E qui la questione, aggiunge il politologo, è che il Movimento è stabilmente “il secondo partito italiano. E senza Matteo Renzi a guidare il Pd e il governo molto probabilmente sarebbe ancora il primo. Come nel 2013″. Insomma, altro che voto di protesta, estemporaneo, destinato ad “asciugarsi”.
Il partito più credibile? Nessuno
Secondo D’Alimonte, che in origine fu uno degli “ideatori” delle prime versioni dell’Italicum, “in questo momento la rabbia degli italiani, la loro voglia di cambiamento — la stessa che ha portato il Renzi rottamatore al successo — è ancora così forte” da spingere il M5s. Una rabbia che è fotografata dalle risposte ad un altro quesito: “Qual è il partito che secondo lei è più credibile nel realizzare i seguenti obiettivi?”.
Per quasi tutte le opzioni date (corruzione, costi della politica, Europa, criminalità , immigrazione, economia) la risposta è nessuno.
“Gli scettici e i delusi — spiega D’Alimonte — dominano la scena. La sfiducia continua ad essere la caratteristica distintiva di questa fase della politica italiana. Un sentimento diffuso che tocca tutti i ceti e tutte le zone del Paese. In questo quadro spicca il fatto che il M5s sia considerato credibile quanto il Pd. E su alcuni temi più del Pd“.
Al netto dello scetticismo, infatti, su questioni come costi della politica e lotta alla corruzione il M5s è ritenuto più credibile.
Si rovesciano i rapporti quando si parla di economia e relazioni con l’Unione Europea, dove il Pd è visto più affidabile. Sostanziale parità , invece, su lotta alla criminalità e questione immigrazione (per queste ultime voci, ovviamente, batte tutti la Lega Nord).
I risultati di lista
Secondo il sondaggio Demetra, dunque, il primo partito è il Pd con il 35,6.
A seguire il Movimento Cinque Stelle con il 30,8.
Poi Forza Italia e Lega Nord con il 13 e il 12,7 per cento e Fratelli d’Italia che acciuffa il 3 per cento necessario ad entrare in Parlamento.
Malissimo, secondo la rilevazione elaborata per il Sole 24 Ore, le forze politiche a sinistra del Partito democratico: Sinistra Italiana non va oltre lo 0,6 per cento e se si somma al 2,3 di Sel, tutta quell’area non supera il 2,9.
Sempre secondo questo sondaggio è un disastro anche per Area Popolare: Ncd e Udc insieme si assestano all’1,1, cifra ben lontana dalla soglia di sbarramento fissata nell’Italicum.
Ballottaggi: il centrodestra perde con tutti, M5s vince con il Pd
Nelle simulazioni di ballottaggio c’è la conferma che Renzi deve sperare che il rivale del secondo turno sia il centrodestra: il Pd vincerebbe infatti contro un listone di Berlusconi, Salvini e Merloni con il 57,5 contro il 42,5.
Stravincerebbe, oggi, anche il Movimento Cinque Stelle contro il centrodestra, evidentemente accaparrandosi una fetta di voti dell’elettorato di centrosinistra. L’unico confronto che finirebbe con un testa a testa sarebbe quello tra democratici e Cinque Stelle: vincerebbero questi ultimi 51,5 a 48,5.
Il primo problema? Il lavoro
Dalle altre risposte nel sondaggio emerge che innanzitutto il problema più importante per il 49 per cento di chi risponde resta di gran lunga il lavoro (disoccupazione, precariato), al secondo posto — staccatissima — c’è la sicurezza addirittura al 14. Secondo gli intervistati la situazione economica dell’ultimo anno è rimasta uguale (39%) è peggiorata (26) e nei prossimi mesi non si aspetta cambiamenti (rimarrà uguale per il 45%).
La maggioranza è d’accordo con l’abolizione dell’Imu così come la vuole il governo Renzi (54,7).
Buone notizie per Renzi, infine, come sottolinea anche D’Alimonte, per quanto riguarda il referendum sulle riforme istituzionali si terrà in autunno gli intervistati si dicono favorevoli nel 68% dei casi.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL SULTANO E LO ZAR TROPPO SIMILI PER ANDARE D’ACCORDO… ENTRAMBI NOSTALGICI DEL LORO GRANDE PASSATO: QUELLO OTTOMANO E QUELLO RUSSO
Sono la fotocopia uno dell’altro, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Vladimirovic Putin. 
Troppo uguali, caratterialmente e politicamente, per andare d’accordo. Troppo arroganti e fieri per mostrare cedimenti, ancor meno pentimenti.
Leggiamo che cosa ha detto Erdogan per tentare di smorzare la tensione dopo l’abbattimento del Sukhoi SU-24 russo: «Vorremmo che non fosse successo, ma è successo. Spero che una cosa del genere non accada più».
Come se si fosse trattato di uno sfortunato caso del destino in una partita comunque sporca. Manca vistosamente la parola dispiacere per la morte di un essere umano, ancorchè militare, ancorchè combattente.
Figurarsi le scuse, parola ignota al lessico di Erdogan. Come a quello di Putin, peraltro: un sultano e uno zar non si scusano
Il loro codice di comportamento, interno e internazionale, è la legge del taglione.
Alla gelida dichiarazione di Erdogan Putin ha risposto ufficializzando, con la firma di un decreto, una rappresaglia che era già in atto: un boicottaggio economico della Turchia.
Il Cremlino si intende benissimo di queste cose, le ha provate a lungo con l’Ucraina, anche prima di annettersi la Crimea e invadere il Donbass con militari travestiti da miliziani volontari senza insegne e stellette.
Ieri l’assassinio, ancora avvolto in una nuvola di mistero, dell’avvocato Tahir Elci, il capo degli avvocati curdi di Diyarbakir, già imprigionato il mese scorso per aver sostenuto che il Pkk non è un’organizzazione terroristica, ha aggiunto un tocco di sinistra criminalità politica a questo gioco degli specchi.
Morì misteriosamente, a due passi dal Cremlino, il 27 febbraio di quest’anno, anche Boris Nemtsov, uno dei più irriducibili oppositori di Putin.
Per mano di un “sicario”, dissero gli inquirenti moscoviti.
Le proteste di piazza (a Mosca i funerali furono una manifestazione politica, ieri a Istanbul ci sono stati incidenti) non hanno scalfito l’imperturbabilità dei poteri politici.
Putin si dolse dell’omicidio di Nemtsov con molta misura, quasi con fastidio. Come ha fatto ieri Erdogan dopo la morte di Elci: lo ha chiamato «questo incidente ».
Un sultano e uno zar non hanno pietà per i loro avversari politici. E non se ne curano: ci pensano “altri” a sistemarli.
Quando non sono “sicari” destinati a restare anonimi, sono i giudici a fare da longa manus del potere.
In Russia finì in galera Mikhail Khodorkhovskij, il magnate del gas che si era messo di traverso con la forza della sua immensa ricchezza ai giochi di Putin; e poi, dentro e fuori, tra carcere e arrestri domiciliari, toccò ad Aleksej Navalny.
In Turchia, appena due giorni fa, i giudici hanno incriminato Can Dundar, il direttore del quotidiano Cumhuriyet, e il capo dell’ufficio di Ankara, accusandoli di terrorismo e di spionaggio.
È lo stesso giornale che a maggio aveva documentato i giochi ambigui di Erdogan in Siria, fotografando tra l’altro le forniture di armi ai ribelli turkmeni, gli stessi che, guarda caso, hanno sparato ai piloti russi del Sukhoi abbattuto mentre scendevano con il paracadute.
Basta ricordare l’uccisione di Anna Politkovskaja, nel 2006, per sottolineare che i giornalisti indipendenti sono poco graditi in Russia come in Turchia, che peraltro oggi è ancora più illiberale della Russia secondo la classifica di Reporter senza frontiere.
Una fotografia del novembre 2005 mostra Erdogan, Putin e Silvio Berlusconi (l’unico oggi fuori servizio effettivo) con la mani incrociate, come i vincitori su una coppa appena conquistata, alla cerimonia per il gasdotto Blue Stream.
Era il suggello di quella che sembrava un’amicizia, umana oltre che politica, destinata a durare a lungo e cementata da una solidissima cooperazione economica.
Ancora a dicembre Erdogan aveva srotolato il tappeto rosso per la visita di Putin nel suo nuovo palazzo presidenziale da 600 milioni di dollari ad Ankara.
In realtà gli interessi economici nascondevano quella che un diplomatico turco, che aveva assistito ai colloqui tra i due, aveva definito «una forte antipatia reciproca ».
In fondo non bisogna essere Freud per intuire che non possono amarsi due populisti, nazionalisti, nostalgici degli Imperi che furono (il Russo e l’Ottomano), marziali nella testa e maschilisti nel “body language”, forti di consensi popolari che non sono minimamente scalfiti dalla loro scarsa propensione per la democrazia (i sondaggi danno Putin trionfante ad ogni rilevazione, così come le elezioni del 1 novembre hanno dato a Erdogan una chiara e netta maggioranza).
La Siria ha aggiunto all’antipatia personale una rivalità politica, che è diventata acuta nel momento in cui, dopo i tragici eventi parigini, Erdogan ha visto un progressivo cambiamento di umori e di linea, da parte di governi ma anche dei maggiori osservatori di politica internazionale, nei confronti dell’intervento militare di Putin contro gli islamisti di Daesh.
E certo non ha migliorato i rapporti il duro intervento di Putin al tavolo del recente G20, proprio a Antalya in Turchia, quando ha accusato alcuni dei Paesi seduti attorno al tavolo di finanziare e armare i macellai dell’Is.
Non si pecca di eccesso di malizia, o di dietrologia, a pensare che l’abbattimento del Sukhoi sia un incidente cercato, perfino desiderato.
«Alla fine della fiera – ha scritto proprio Aleksej Navalny nel suo blog – sono entrambi soddisfatti. E’ solo un peccato per il pilota. Per che cosa è morto?».
Paolo Garimberti
(da “La Repubblica”)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
“NAPOLI, BELLE EPOQUE” DELLO STORICO FRANCESCO BARBAGALLO: LA NARRAZIONE DI UNA GRANDE CAPITALE CULTURALE, A CAVALLO TRA ‘800 E ‘900
«Fino alla Grande guerra Napoli è ancora una capitale europea. Dopo non lo sarà più».
Finisce così, con un pizzico di malinconia, il bel libro di Francesco Barbagallo, storico di fama che sulla sua città molto ha scritto.
Ora Laterza pubblica Napoli, Belle à‰poque che si potrebbe forse definire una «narrazione storica», un nuovo tassello che arricchisce le opere di rilievo di Barbagallo, su Francesco Saverio Nitti, sulla storia della camorra, sulla modernità squilibrata del Mezzogiorno d’Italia.
Un’altra citazione, pagina 131: «Nell’Ottocento e nel primo Novecento Napoli era ancora una città di grande bellezza».
E poi: allora una enorme massa di popolo e plebe affollava anche i quartieri del centro ed era dedita a mille mestieri.
Non manca un’autocritica. Barbagallo racconta come, tra Ottocento e Novecento, Napoli sia stata anche una grande capitale culturale, con la sua famosa Università , l’Accademia Pontaniana, il Circolo filologico fondato da Francesco De Sanctis, le grandi riviste di Nitti, «La Riforma Sociale» e di Benedetto Croce, «La Critica», oltre alle numerose grandi biblioteche, i teatri, i giornali, la musica, il cinema.
E aggiunge: «Sembra giunto il momento di rivedere i giudizi troppo critici, espressi anche da chi scrive, sulle classi dirigenti napoletane nell’Italia liberale perchè, nonostante i loro evidenti limiti sul terreno politico amministrativo e delle iniziative industriali, il confronto con le classi dirigenti del settantennio repubblicano va tutto a vantaggio dei bistrattati aristocratici e borghesi della Belle à‰poque, che a Napoli non si svolgeva solo nel Salone Margherita con le belle sciantose».
E in quella comparazione tra passato e presente viene in mente il massacro del mondo di oggi che Francesco Rosi ha raccontato nel suo film Le mani sulla città e vengono in mente le pagine del Mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, del Resto di niente di Enzo Striano, di Mistero Napoletano di Ermanno Rea.
È un’impresa non facile raccontare Napoli anche per chi ne conosce le viscere.
Francesco Barbagallo è riuscito a farlo con rigore, senza noia accademica.
I personaggi grandi, il Croce, Arturo Labriola, Giustino Fortunato, ma anche quelli che al loro tempo ebbero influenza ed esercitarono potere senza lasciare eredità e con loro gli uomini e le donne privi di nome, la plebe, la piccola borghesia, rivivono, segnati dai caratteri e dal costume del tempo. (Spicca il racconto del grande amore di Benedetto Croce, i vent’anni di vita appassionata con Angelina, la bellissima Donna Nella che morì nel 1913 lasciando il filosofo in una cupa disperazione).
Agli inizi del libro siamo nei decenni di fine Ottocento, tra l’ennesimo colera, nel 1884, la prima pietra della legge del Risanamento posata nel 1889 da Umberto I.
Ci fu allora furia di fare: si costruì la funicolare di Chiaia e quella di Montecalvario, fu isolato il Maschio angioino, liberata la piazza del Municipio, nacque la galleria Umberto, di fronte al teatro San Carlo, con il Salone Margherita che non avrà nulla da invidiare al Moulin Rouge e alle Folies Bergère.
Le sciantose erano famose come i calciatori oggi, Armand d’Ardy (‘A frangesa), Lilly Freeday, Lina Cavalieri, Clèo de Mèrode, «Le diseuses dalle voci smaglianti, le scatenate gommeuses del can-can».
Con le loro mosse e mossette fecero perdere la testa a borghesi doviziosi, a ufficiali dell’esercito regio, a aristocratici.
Fra gli altri, anni dopo, a Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, comandante della X Armata di stanza a Napoli.
La vita pareva correre, la festa di Piedigrotta era conosciuta nel mondo, come le canzoni, Funiculì Funiculà , Te voglio bene assaje , Era di maggio di Salvatore Di Giacomo e Mario Costa. L’industria della canzone napoletana era fiorente.
Anche la retorica dei figli di mamma gonfiava la musica del golfo.
«I figli sono figli» e basta, come nella commedia di Eduardo De Filippo, Filumena Marturano .
La madre mediterranea aveva a Napoli il suo porto sicuro protetto dallo stereotipo dei «mangiatori di maccheroni» nel paese di Pulcinella che piaceva tanto soprattutto agli stranieri.
Non tutto era rose e fiori. Ragazzetti pastori di 7-8 anni lavoravano 14, 15, 16 ore al giorno, con un salario minimo di 17 cent., «Piccoli proletari costretti ad andare al lavoro all’una dopo mezzanotte», scriveva «La Propaganda», settimanale socialista nato nel 1899.
La crisi premeva, la corruzione dilagava, i capitali stranieri, belgi, francesi, del Nord Italia erano una ghiotta preda.
Sugli affari pesava la camorra. Nel 1900 fu istituita una commissione d’inchiesta sui mali di Napoli presieduta dal senatore Giuseppe Saredo.
È impressionante ritrovare nelle mille pagine della Relazione l’attualità del fenomeno: «Il male più grave, a nostro avviso, fu di aver fatto ingigantire la camorra, lasciandola infiltrare in tutti gli strati della vita pubblica e per tutta la compagine sociale invece di distruggerla, come dovevano consigliare le libere istituzioni. (…) Collo sviluppo della camorra, la nuova organizzazione elettorale a base di clientele, di servizi resi e ricambiati in corrispettivo del voto ottenuto, sottoforma di protezione, di assistenza, di consiglio, di raccomandazione, rese possibile anche lo sviluppo della classe dei faccendieri o intermediari, che nel periodo anteriore al 1860 erano già un elemento indispensabile per il traffico degli affari».
Contro l’inchiesta Saredo si scatenarono in molti.
Tra i più eccitati Eduardo Scarfoglio, il fondatore e il direttore del «Mattino» che incitò i napoletani alla rivolta e insultò quelli del Nord «dagli occhi foderati di prosciutto».
Fu un giornalismo becero il suo, che ha fatto scuola e seguita a farla. Come giudicava lo sciopero? «Uno scoppio di quello spirito tirannico delle plebi cui i capitalisti hanno il dovere di resistere».
Con quel suo quotidiano menar colpi da ogni lato, è esperto in avvertimenti e minacce, sempre immischiato nei giochi del potere, degli affari, delle clientele.
Si firma Tartarin, ha un panfilo di 36,6 metri, è ricchissimo, «Non vi ha uomo al mondo, per povero che sia, che non possa avere uno yacht», ama dire.
Insulta il re mentre sua moglie, la scrittrice Matilde Serao, sparge nei suoi celebri «Mosconi» miele e incenso sulla regina Margherita.
È amico di D’Annunzio che ha sempre bisogno di soldi e pubblica sul suo giornale elegie, sonetti, saggi e una parte del romanzo Il trionfo della morte .
Barbagallo racconta con rigore e con minuzia lo sviluppo economico napoletano: la nascita dei grandi magazzini Mele, i tentativi di Nitti per un avvenire industriale della città fondato sull’energia elettrica.
Il saggio si conclude negli anni che precedono l’inizio della Prima guerra mondiale quando viene meno la capacità mediatrice giolittiana e i conflitti di classe esplodono con violenza.
Le lotte operaie lasciano allocchita la borghesia sorretta da Scarfoglio e dai giornali d’ordine.
La guerra porta lavoro all’industria meccanica con le forniture militari, ma i napoletani, per il 90 per cento, sono contrari: «La guerra – scrive Barbagallo – si sarebbe rivelata un pessimo affare per Napoli e per tutto il Mezzogiorno. La spesa pubblica avrebbe sempre più privilegiato le aree già sviluppate del Nord, negli anni di guerra e della riconversione industriale del ventennio fascista».
È un libro serio, sereno, di grande contemporaneità questo Napoli, Belle à‰poque .
Fa capire com’è antica (e sempre attuale) la lontananza dei governi dai problemi del Sud. Italia .
Corrado Stajano
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL SINDACO PORTA I LIBRI DELLA MUNICIPALIZZATA IN TRIBUNALE: “BUGIARDO, AVEVI PROMESSO CHE L’AVRESTI SALVATA”…QUATTRO CONSIGLIERI M5S SI SFILANO
Non più anarchica e scanzonata, non più comunista e ribelle, non più messicana e fancazzista, non più abbronzata e berciante. Non più infradito e pugni chiusi.
Livorno valica un altro crinale e diventa Livorno la sudicia.
Se una città si misura dal livello di spazzatura lungo le strade, le foto che arrivano dal cuore di Livorno ne documentano lo stato di salute, sono il chiaroscuro di una radiografia. Non è sciatteria e qui non c’è nemmeno la camorra a cui dare la colpa.
E’ piuttosto uno sciopero degli spazzini perchè il sindaco porterà i libri dell’azienda dei rifiuti in tribunale.
E’ l’epicentro di una crisi che nasce amministrativa, diventa politica e per il momento non è ancora ambientale e sanitaria.
Responsabilità e alibi si mescolano alla velocità della luce, il copione è anche un po’ banale: il Pd dice al M5s che è roba da dilettanti, il M5s ribatte che il buco è colpa del Pd, il Pd dice che però il sindaco ha cambiato idea, il sindaco risponde che però se mette i soldi lì poi deve tagliare asili, strade, dio-solo-sa-cosa.
Qualunque sia la ragione primordiale, quel paesaggio di sacchetti accatastati nella zona pedonale di una città europea del ventunesimo secolo, a un passo dal Mercato delle vettovaglie e dai Fossi medicei, è il fermo immagine del momento più difficile, per certi versi drammatico, da quando Nogarin e i Cinque Stelle governano la città , cioè dalla sera in cui — 18 mesi fa — trionfarono al ballottaggio su quel poco che rimaneva del Pd.
Il sindaco contestato, i dissidenti, la maggioranza vacilla
Drammatico, sì. “Buffone!”, “Bugiardo!”: le grida contro il sindaco, dentro l’aula più grande del municipio sono un’incrinatura nel palazzo di vetro dei Cinque Stelle: rischia di essere la fine della luna di miele, ammesso che quell’intesa tra il nuovissimo sindaco e la vecchissima città sia davvero mai iniziata.
Una crisi con cinquanta sfumature di buio, comprese le solite scissioni interne agli stellati che sono uguali a quelle in Parlamento (dissidenze, urla, minacce di espulsione, gara a chi è più grillino, lacrime) e soprattutto una maggioranza a sostegno della giunta che comincia a essere groggy: lunedì prossimo si pronuncerà il consiglio comunale e in 4 hanno annunciato che non voteranno la decisione del sindaco.
Il capogruppo Alessio Batini si lascia andare contro uno dei dissidenti (“Da stasera sei fuori”), i 4 moschettieri ribattono che loro li manda via solo Grillo e che è sempre più evidente la differenza tra il M5s nazionale e quello livornese.
Fatto sta: senza quei 4, i voti scendono da 20 a 16 (compreso il sindaco) in un consiglio che è fatto di 33. Il voto di lunedì non è vincolante, ma diventa un crash-test per Nogarin per capire se dietro di lui c’è una maggioranza politica o solo le tabelle del suo assessore al Bilancio.
Il soccorso di Grillo: “Piena fiducia in Nogarin”
Un passaggio stretto stretto, nella seconda città più grande amministrata dal M5s, che cade a 6 mesi dalle elezioni comunali di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino.
Sarà anche per questo che Beppe Grillo ha subito issato la bandiera per sostenere il sindaco sempre fedele: “Il Movimento 5 Stelle dà piena fiducia alla giunta Nogarin e sposa la scelta intrapresa: per governare serve responsabilità e coraggio. In alto i cuori”. “E’ una scelta — prosegue in una nota sul blog — che solo il Movimento 5 Stelle poteva prendere, perchè non abbiamo le mani legate, non dobbiamo servire poteri forti, non abbiamo ‘debiti elettorali’ da saldare”.
Il Pd, aggiunge, “non ha riscosso le tariffe per il servizio, strizzando l’occhio agli evasori e danneggiando tutti i cittadini onesti” e ha “fatto di questa azienda il proprio manipolo“, mentre la giunta Nogarin lavora per riconsegnare alla città “una società efficiente e sana: sempre e solo per il bene di tutta la collettività , perchè questo significa essere del Movimento 5 Stelle: avere come bussola il bene comune e non difendere mai soltanto una parte”.
L’epicentro: Aaamps, 26 milioni di euro di rosso. “Colpa del Pd”
Il centro di tutto si chiama Aamps, acronimo di “groviglio di casini”.
Su quell’azienda è aperta anche un’inchiesta penale e si è soffermata perfino un’ispezione del ministero dell’Economia.
E’ l’impresa che raccoglie i rifiuti, di proprietà al cento per cento del Comune, circa 250 dipendenti tra impiegati, tecnici, operai, quadri. Poi ci sono un’altra quarantina di precari e altri 200 dipendenti dell’indotto. Aaamps ha chiuso il bilancio 2014 con 21 milioni di euro di rosso: in gran parte incassi della tariffa sui rifiuti mai riscossi durante gli anni di management nominato da giunte di centrosinistra. In gran parte crediti inesigibili che il Comune ora ha messo a bilancio, spalmandole sulle bollette Tia di tutti, abbattendo così il rosso a 11 milioni.
Ma ora il Comune, dice il sindaco, non ha soldi per ripianare i conti di un’azienda così male in arnese.
Così ha deciso di portare la società in concordato preventivo: porta i libri in tribunale. Ecco il perchè di tutto l’ambaradan. I dipendenti si sentono fregati due volte, perchè sostengono che fino all’ultimo Nogarin avesse parlato di ricapitalizzazione dell’impresa. Cosa impossibile, allarga le braccia ora lui, significherebbe tagliare per 7 milioni e mezzo il bilancio: “Abbiamo provato tutte le simulazioni, ma non c’è scelta”.
Chi contesta, non cede: “Noi continuiamo l’agitazione fino a lunedì. Siccome abbiamo visto che abbiamo un sindaco che è molto flessibile nelle decisioni — ironizza il segretario della Cgil Maurizio Strazzullo — che sia flessibile anche in questa decisione e torni indietro”.
La gestione M5s: 4 cambi di dirigenza in un anno
Il primo capo d’imputazione all’amministrazione Nogarin è proprio la gestione M5s dell’azienda.
In un anno è cambiata tre-quattro volte la dirigenza. Il primo amministratore unico era un fedelissimo dei Cinque Stelle che veniva da Massa, trombato un paio di volte alle Comunali e alle Europee: Nogarin lo presentò come una specie di Steve Jobs (disse proprio così).
La cronaca racconta che è finita malissimo, con il fedelissimo sospeso dall’incarico e di fatto emarginato, poi reintegrato per paura di una causa, messo in sicurezza.
Il motivo della crisi di questi giorni, secondo l’ex sindaco Alessandro Cosimi (Pd, ora senza cariche), è una scelta quasi incomprensibile del timone grillino: hanno voluto, spiega, “sciogliere tutti i nodi in un solo bilancio, come se una banca decidesse di mettere tutte le sofferenze nel bilancio di un solo anno”.
Quello che invece è certo è che nell’agosto scorso il sindaco Nogarin esultava, come si può vedere in giro su google: abbiamo salvato la società dei rifiuti, evitato il crac. Tre mesi dopo quelle frasi fanno un brutto rumore.
Protezione civile allertata: “Chiudete bene i sacchetti”
Così, mentre Cinque Stelle e Pd da mesi si lanciano addosso i sacchi pieni di immondizia per decidere di chi è la colpa di questo troiaio, il sindaco deve allertare la Protezione civile e si ritrova a doversi raccomandare: se trovate i cassonetti pieni, andate a gettare la spazzatura in uno vuoto un po’ più in là , e i sacchetti, vi prego, ben chiusi.
I livornesi alzano gli occhi al cielo e fanno un respirone, ma con il naso chiuso da pollice e indice: si erano illusi di rovesciare tutto con un solo voto, come se quell’urna del ballottaggio fosse un vaso di Pandora alla rovescia, un po’ come fanno con un dè quando hanno voglia di chiudere un discorso.
Ma la realtà delle cose è molto più complicata, non esiste la bacchetta magica e in questo momento nessuno lo sa meglio del sindaco alieno, il Noga, o Gagari’, con la enne troncata affettuosamente, a ricordare non l’astronauta, ma il tortaio, quello che vende il cinque e cinque nel negozio, poveretto, a pochi metri da dove ora si innalzano i mucchi maleodoranti.
La maledizione delle partecipate
Il mondo appare ribaltato. Da una parte ci sono Grillo che parla di decisione presa “responsabilmente” e “scelta difficile ma necessaria” e il suo sindaco che sfida la selva di fischi e le grida belluine dei contestatori che lo interrompono più volte, scandendo sottovoce: “E’ inutile che facciate il tifo da stadio, non è cambiato niente”.
Questa volta quelli che si fanno venire le vene ingrossate al collo e il viso rosso e la voce fioca sono dall’altra parte del bancone. “E ‘un siamo al Seve’.
E ‘un sei il cassiere del Seve’ qui, qui devi gesti’ una città ” urlano all’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, laddove il Seven è una discoteca in Versilia di cui Lemmetti anni fa faceva, appunto il cassiere, cioè il responsabile amministrativo.
Ecco il secondo capo d’imputazione, legittimo o no, fondato o no: la mancanza di un passato politico, una competenza nell’amministrazione pubblica.
Di certo c’è che quella delle nomine per le partecipate è stato un sentiero di croci, con affidamenti di incarichi, nomine, cambi in corsa, dimissioni, scazzi, incompatibilità , disponibilità , sostituzioni e ritiri in tutte le aziende in cui la nuova amministrazione aveva promesso un cambio di passo: farmacie, autobus, teatro, società per la “reindustrializzazione”, case popolari.
Non c’è stata pace per nessuna delle società comunali. Il direttore generale del Comune, nominato un anno fa, è indigesto a una parte del meetup.
E il caos oscura l’arrivo dell’Esselunga
Sia come sia, ovunque siano le responsabilità (se nel passato remoto o nel passato prossimo), la classe dirigente di questa parte costiera della Toscana dovrebbe comunque conoscere il pericolo della risacca: quella rabbia con la quale era stato abbattuto il “regime del Pd” nel 2014 non è finita nel nulla.
Ora rischia di tornare indietro e trascinare via quel che resta. Peccato, perchè proprio oggi, per volontà dell’M5s, l’Esselunga, l’anti-Coop, è finalmente in città .
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA GIUDICE LAVORE: “MI AVREBBERO SCHIACCIATA, HANNO PAGATO IL MIO SILENZIO”
Angelino Alfano? Chi l’ha visto. Matteo Renzi? Muto come un pesce. In barile. Alma
Shalabayeva? E chi è?
L’establishment politico e istituzionale si trincera dietro lo schema classico delle tre scimmie: nessuno ha visto, nessuno ha sentito, soprattutto nessuno avverte l’urgenza di parlare
In un qualsiasi Paese democratico le cose andrebbero all’opposto, anche se è vero che in un Paese di quel tipo il problema non sussisterebbe perchè il ministro degli Interni non sarebbe più tale da un pezzo, dopo il rapimento di Stato Shalabayeva.
La Procura di Perugia e i Ros, che hanno iscritto nel registro degli indagati sette poliziotti, tre funzionari dell’ambasciata kazaka e la giudice di pace Stefania Lavore, hanno accertato che per sette volte, da quando venne “prelevata” con la figlia dalla sua abitazione di Casal Palocco il 29 maggio 2013 a quando, il 31 maggio, venne caricata a forza sull’aereo diretto in Kazakhistan, la moglie del dissidente Mukthar Ablyazov chiarì la propria posizione.
Illustrò, implorò, parlò delle torture subite dal marito in patria, ripetè che sarebbe stata considerata dal regime del “presidente” (da 25 anni) Nazarbaev un ostaggio, invocò invano il rispetto della la legge.
La legge in quei tre giorni era però sospesa: almeno su questo c’è certezza.
Per ordine di chi, e con quali complicità , invece resta oscuro, e pochi, nel Palazzo, sembrano interessati ad accertarlo.
I sette poliziotti, tra cui l’allora capo della Mobile Renato Cortese e il capo dell’ufficio Immigrazione Maurizio Improta sono indagati, oltre che per sequestro di persona, per omissione d’atti d’ufficio e falso, il che in realtà offre un comodissimo scudo ad Alfano. Lui non ne sapeva niente: lo avevano tenuto all’oscuro come se si trattasse di un qualsiasi pizzardone anzichè del ministro.
Potrebbe essere vero, considerato il carisma dell’uomo.
Ma è impossibile pensare che Cortese e Improta abbiano deciso il sequestro solo per ammazzare la noia, senza che nessuno desse l’adeguato ordine.
O che la giudice Lavore, in forza all’epoca presso il Cie di Ponte Galeria dove fu ‘tradotta’ la rapita e senza il cui assenso la brillante operazione non sarebbe andata in porto, abbia solo ceduto a un attimo di distrazione.
Di certo non è quello che lei stessa raccontava, in una telefonata intercettata dopo il fattaccio: «Mi avrebbero schiacciato…Ho fatto pippa…Non ho sputtanato nessuno… Hanno pagato il mio silenzio…I panni sporchi si lavano in famiglia».
Non dovrebbero essere solo i giudici a chiedere alla brillante giudice di pace da chi temeva di essere schiacciata. In un caso del genere sarebbe dovere del Parlamento reclamare la verità , e senza accontentarsi delle arrampicate sugli specchi in cui si produsse a suo tempo Alfano.
Neppure gli agenti in servizio nell’ultima fase del rapimento, con Shalabayeva che già sulla scaletta dell’aereo tentava ancora una volta di difendere il proprio diritto a restare in Italia, credevano che il tutto fosse stato partorito da un gruppetto di poliziotti troppo solerti: «Tutto è già stato deciso ad alto livello».
Senza contare che l’indagine di Perugia ha accertato che aereo e pilota erano stati messi a disposizione, sia pur per via indiretta, dall’Eni.
Basta e avanza per essere certi che in quella rendition erano davvero coinvolti interessi di altissimo livello, e che il petrolio kazako la faceva da protagonista.
Però per smuovere la polizia trasformando gli agenti in complici attivi di un sequestro di persona a livello internazionale non basta nemmeno l’interessamento dell’Eni.
L’ordine deve aver seguito le vie gerarchiche. Deve essere stato dato da qualcuno a cui gli agenti non potevano non obbedire.
La stessa Shalabayeva, tornata in Italia ma ancora tanto terrorizzata dal regime di Nazarbaev da voler mantenere il segreto su generalità e domicilio, dice di avere massima fiducia nei magistrati italiani e aggiunge che la maggiore responsabilità è dei diplomatici kazaki: come se sul fatto potesse esserci qualche dubbio.
Paole ovvie, adoperate nei giorni scorsi come una specie di attestato di fiducia nei confronti del ministro Alfano.
In realtà Alma Shalabayeva aggiunge che di sicuro «il regime kazako non si è mosso da solo». Chissà se nei prossimi giorni a qualcuno, in Parlamento, verrà in mente di reclamare chiarezza.
O se le scimmiette cieche sorde e mute continueranno a essere non tre ma diverse centinaia.
Andrea Colombo
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
PER SALVARE QUATTRO BANCHE IL GOVERNO HA AZZERATO IL VALORE DELLE OBBLIGAZIONI FATTE SOTTOSCRIVERE A CLIENTI IGNARI DELLE CONSEGUENZE
Mi chiamo Silvia Battistelli e vi scrivo a nome di mia nonna e un piccolo gruppo di 300, dei 130.000, risparmiatori che si sono visti espropriati dei propri risparmi con il Decreto 180/2015.
Domenica il governo Renzi ha approvato il Dlgs 180/2015 per salvare Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara sottraendo ai clienti azionisti e obbligazionisti dei 4 istituti il loro denaro e risparmi.
Tra questi c’è mia nonna e tantissimi altri pensionati che gestiti da impiegati di banche male informati o troppo sotto pressione gli hanno fatto investire parte dei loro risparmi in obbligazioni, che oggi scoprono essere subordinate; vale a dire più vantaggiose ma più rischiose essendo non svincolabili e risarcibili in tempi più lunghi, in caso di fallimento della banca.
Oggi questo decreto ha azzerato il valore di queste obbligazioni.
Il tutto, senza la possibilità di recuperare niente e con l’unica alternativa di intraprendere azioni legali di cui molti non vedranno mai la fine.
Oltre che trattarsi di un vero e proprio sopruso senza precedenti, la cosa che scandalizza di più è l’attitudine della banche che hanno venduto suddette obbligazioni ad anziani risparmiatori, in maniera obbligata o inconsapevole, quindi, a soggetti ai quali non erano destinati questi tipi di investimenti, per la natura intrinseca degli stessi ed in tempi già sospetti, cioè anche quando le banche erano già “ufficialmente” commissariate.
La Consob? Stiamo raccogliendo testimonianze, soprattutto degli anziani obbligazionisti, come mia nonna, che ha più di 80 anni, ha perso € 50.000 (i risparmi di tutta la sua vita e di quella di mio nonno) e non credo sia una speculatrice, oppure di un pensionato della provincia di Arezzo che circa un paio di settimane fa è stato convinto ad investire € 88.000 in obbligazioni subordinate di Banca Etruria, e neanche lui credo sia uno speculazionista.
Nei piccoli paesi dove c’era il monopolio di una o dell’altra banca, hanno messo in ginocchio l’intero piccolo paese.
Ricordo che ad oggi i risparmiatori truffati attestati sono circa 130.000, ma il numero è destinato a salire, dato che i signori delle banche non si sono neanche degnati di informare i propri clienti, quindi molti sono ancora ignari. La manovra è di 3,6 milioni.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto, i media nazionali non ne parlano e quello che fin’ora è uscito che il buon Renzi non ha utilizzato soldi pubblici e che la sua sia una mossa anti bail-in.
Ma per favore, questo è una truffa, un sopruso!
Silvia Battistelli
(da “il Secolo XIX”)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
ERA IN AFRICA PER CONTO DI UNA ONLUS… E’ STATA VITTIMA DI UNA RAPINA…L’ORFANOTROFIO DI MIJOMBONI E LA SUA VITA DEDICATA AI BAMBINI: RAPPRESENTAVA L’ITALIA MIGLIORE
Un medico di Novara, Rita Fossaceca, 51 anni, è stata uccisa in Kenya nel corso di una
rapina avvenuta ieri sera.
Feriti anche padre, madre e zio della vittima che si trovavano con lei al momento dell’aggressione. Si tratta di Giovanni e Michelina Fossaceca e don Luigi Di Lella.
La vittima, radiologa, nata a Trivento, in provincia di Campobasso, era responsabile della struttura complessa di radiologia dell’ospedale Maggiore di Novara e da due settimane si trovava in Africa per conto dell’associazione umanitaria internazionale ForLife Onlus.
Coinvolte nell’aggressione anche due infermiere, sempre del nosocomio novarese, Monica Zanellato, 49 anni, e Paola Lenghini, 58 anni, partite con lei due settimane fa per la missione.
Hanno riportato ferite lievi e sono già state trasferite in un luogo sicuro. Erano in ferie dal 13 novembre scorso e sarebbero dovute rientrare domani dalla missione umanitaria che erano solite prestare un paio di volte all’anno insieme alla dottoressa uccisa.
L’agguato in casa
In queste ore si sta ricostruendo quanto accaduto ieri sera. Secondo le ultime informazioni rese note dall’associazione ForLife il medico sarebbe stato ucciso da un colpo di pistola mentre cercava di proteggere la madre, assalita con un machete.
I banditi avrebbero fatto irruzione armi in pugno nell’abitazione che la donna condivideva con altri italiani. Per la dottoressa non c’è stato nulla da fare.
«Lì era amata da tutti, tutti le volevano bene» ha detto all’Ansa, Tonino Fossaceca, il cugino della dottoressa uccisa. «Ero stato con lei in Kenya proprio in quel villaggio, lo avevo trovano un posto tranquillo», ricorda con commozione l’uomo.
In Kenya da due settimane
Il medico, che ricopriva anche il ruolo di vicepresidente dell’associazione novarese ForLife, si trovava da un paio di settimane a Mijomboni, un piccolo villaggio nell’entroterra alle spalle di Malindi, in Kenya, dove la Onlus sostiene l’orfanotrofio locale, che ospita una ventina di bambini.
«Non sappiamo cosa sia accaduto di preciso, sono sconvolto» si è limitato a dire, ieri sera, all’Ansa Alessandro Carriero, direttore del dipartimento di radiologia dell’ospedale di Novara, che ha fondato la onlus nel 2006. «Era il mio braccio destro – racconta tra le lacrime Carriero – non so come farò ad andare avanti». «Una perdita grave, professionale oltre che umana» ha aggiunto il direttore dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Novara, Mario Minola.
Il cordoglio dell’associazione: «Siamo senza parole»
«Siamo costernati, senza parole – si legge ora sul sito dell’associazione Forlife onlus -. A volte succedono cose inspiegabili. La dottoressa Rita Fossaceca non c’è più, ha dato tutta se stessa per l’orfanotrofio e l’infermeria di Mijomboni. Vittima, ha pagato con la vita il suo grande amore per i bambini. Rita siamo tutti con te, il nostro pensiero va anche agli altri 5 volontari che sono ancora in Kenya e speriamo tornino presto. Grazie a tutte le persone che ci sono vicine in questo momento».
Gli ultimi report dal Kenya
Sul sito di Forlife, Rita Fossaceca teneva un diario. Aggiornava i volontari sulle attività dalla missione di Mijomboni, giorno dopo giorno: «Dopo una serie di giri nelle fattorie, valutazioni delle spese e dei possibili guadagni, oggi abbiamo acquistato la mucca – scriveva il 25 novembre -.
L’abbiamo trovata grazie alla collaborazione di un nostro conoscente nel villaggio di Roca. L’acquisto è stato possibile grazie a libere donazioni fatte da nostri amici, Eduardo e Maria Carmela , Angelo e Teresa, Marco e Daniela».
Aveva iniziato a scrivere quattro giorni dopo essere arrivata sul posto, «nella nostra era fatta di tutto e subito mi sono scontrata con la non completa affidabilità degli operatori del settore e mi sono ritrovata senza telefono, linea, internet e soprattutto con un reset completo dei dati. Bene, nulla accade per caso si ricomincia… Subito abbiamo montato la macchina e per fortuna l’ecografo funziona perfettamente – scriveva -. Possiamo solo darvi buone notizie riguardo al villaggio. Prima di tutto i bambini stanno tutti bene».
Gentiloni: “Orgogliosi delle sue scelte”
Il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni ha espresso cordoglio per la morte di Rita Fossaceca.
«Le mie più sincere condoglianze e il mio pensiero alla famiglia della Signora Fossaceca, una persona che so essere molto amata e rispettata per la sua profonda dedizione e il suo impegno a difesa dei più deboli, malati e donne in Africa. Tutti gli italiani rimasti coinvolti nel feroce atto di violenza di ieri, si trovano in Kenya per fare del volontariato con una ONLUS, una scelta coraggiosa ed ammirevole di cui essere orgogliosi» ha concluso il Ministro.
«A Rita va il nostro grazie e la nostra tristezza. Alla sua famiglia tutta la nostra più sincera vicinanza. A tutti i volontari la più grande solidarietà » ha aggiunto il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
Il cordoglio di Novara
Rita Fossaceca viveva a Novara dal 2001. Era single e non aveva figli. In città la notizia della sua morte si è diffusa rapidamente. Il sindaco, Andrea Ballarè, ha espresso il proprio cordoglio con un post su Facebook.
Molise in lutto
«Una notte di dolore per tutto il Molise. La notizia dell’uccisione della dottoressa Rita Fossaceca ci lascia senza parole: siamo vicini alla famiglia e alla comunità di Trivento». Così il governatore del Molise Paolo di Laura Frattura non appena appresa la notizia della tragedia in Kenya. In lacrime anche la città natale della dottoressa: «Trivento attonita e sgomenta è in lacrime per la tragica scomparsa della dottoressa Rita Fossaceca» ha detto il sindaco, Domenico Santorelli.
Daniela lanni, Elisabetta Fagnola
(da “La Stampa“)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX RADICALE CONFIDA: “NON VORREI, MA SE ME LO CHIEDESSE MATTEO NON POTREI DIRGLI DI NO”
Nella sfida delle città , destinata nella primavera 2016 a condizionare il futuro del governo Renzi, il vuoto più assillante finora ha riguardato il candidato del Pd per Roma, vale a dire l’epicentro della prossima battaglia elettorale.
Ma ora, dopo un setaccio durato settimane e rivelatosi sterile, il presidente del Consiglio è tornato ad una sua vecchia idea: con un Pd in emorragia di consensi, Renzi ritiene che il candidato più adatto per risalire la china potrebbe essere Roberto Giachetti.
E cioè a dire, un personaggio fuori dagli schemi: ex radicale, anticonformista ma non troppo, l’armadio privo di “scheletri”, un lessico diretto e verace, Giachetti a palazzo Chigi viene considerato il più competitivo in un futuro scontro con il candidato dalla lingua veloce e tagliente: quello del Cinque Stelle (ancora un mister x) ed eventualmente con la romanissima Giorgia Meloni, leader dei Fratellli d’Italia, ancora incerta se lanciarsi nella mischia capitolina.
Certo, la propensione di Renzi per Giachetti non è ancora una scelta definitiva.
E non tanto per la resistenza del diretto interessato. Agli amici, Giachetti lo ripete da settimane: «Io non vorrei proprio farlo il candidato sindaco. Ma se me lo chiedesse Renzi, come farei a dire di no?».
Per ora il premier-segretario si è preso tutto il tempo necessario: proponendo primarie il 20 marzo per tutte le città chiamate al voto, Renzi ha implicitamente confermato il ritardo e l’imbarazzo nella scelta in alcune importanti realtà .
E d’altra parte in un turno amministrativo che coinvolgerà le cinque città politicamente più importanti (Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli), la sfida della capitale sarà decisiva per valutare vincitori e vinti dell’intero test.
Ma dopo aver attivamente concorso alla caduta del sindaco in carica, Ignazio Marino, e dopo aver preso atto di sondaggi che danno il Pd in picchiata, Renzi cerca un candidato che lo copra con l’elettorato “indignato”, oltretutto in un contesto nel quale anche i candidati sindaci vengono scelti in base alla “tenuta” televisiva.
Tratti di profilo che hanno portato Renzi a valutare sempre più concretamente l’ipotesi Giachetti.
Cinquattaquattro anni, romano, figlio di un architetto, prima tessera radicale nel 1979, redattore di Radio radicale in Parlamento (faceva le interviste ai politici della Prima Repubblica), un legame politico mai tradito con le sue radici “pannelliane”, nel 1993 Giachetti entra in Campidoglio, dove diventa capo di gabinetto del sindaco Francesco Rutelli, un precedente che potrebbe pesare.
Deputato dal 2001, vice-presidente della Camera dal 2013, Giachetti è accreditato dai colleghi di tutti i partiti di un sesto senso nel comprendere dove stia “andando” l’aula, in questo aiutato da una serie di rapporti personali con alcuni capofila parlamentari, a cominciare dal pentasellato Luigi Di Maio.
E d’altra parte il convegno su Roma promosso dall’ex sindaco Francesco Rutelli (nel corso del quale sono intervenute diverse personalità con competenze e proposte sulla capitale), ha contribuito a sottolineare il vuoto progettuale e la scarsa apertura che sinora hanno connotato tutto il mondo renziano nella vicenda Roma.
Un dato a più riprese evidenziato nel convegno di Rutelli, (da David Sassoli e Ileana Argentin), nel corso del quale le parole più acuminate le ha pronunciate una personalità come il fondatore del Censis Giuseppe De Rita, che per Roma e per l’Italia ha messo in guardia dal pericolo crescente dell’«uomo solo al comando» e ha definito «pura demenza» l’ambizione di chi volesse fare il king maker del futuro sindaco di Roma.
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
VOCI SU UNA POSSIBILE RICANDIDATURA DEL SINDACO… “BALZANI NON E’ DETTO CHE EREDITI I VOTI DI PISAPIA”
«Avevamo una campagna elettorale già bella e pronta con Giuseppe Sala, grazie al
successo dell’Expo, e invece…».
Quando si lascia andare con i collaboratori più fidati Matteo Renzi trattiene a stento il fastidio per la situazione che si è venuta a creare a Milano, dove, secondo i suoi piani tutto doveva filare liscio come l’olio
Il premier, in un momento delicato come questo, vorrebbe riservare tutte le sue energie sul fronte della situazione internazionale e del terrorismo, ma le contingenze italiane glielo impediscono.
C’è Giuliano Pisapia che vuole vederlo insieme alla sua vice Francesca Balzani (e infatti l’incontro si dovrebbe tenere mercoledì).
E c’è Sala che, come ha riferito il premier ai collaboratori più fidati, «è pienamente in campo e intende annunciare la sua intenzione di candidarsi a dicembre, dopo la chiusura di tutte le pratiche dell’Expo». Renzi potrebbe vederlo martedì, prima di Pisapia.
Insomma, se sulle intenzioni di Sala non sembrano esserci più dubbi su quelle del sindaco di Milano invece c’è qualche perplessità .
A palazzo Chigi si interrogano sul motivo che lo spinge a puntare su Balzani: «Non è molto conosciuta nemmeno a Milano, ci vuole troppo tempo per preparare la sua candidatura e comunque non è affatto detto che tutti i voti di Pisapia alle elezioni convergerebbero su di lei».
Mentre Renzi è convinto che Sala riuscirebbe a strappare consensi anche tra i moderati che la volta scorsa non votarono per il primo cittadino del capoluogo lombardo.
Majorino si lancia
In questo senso è significativo il fatto che al Pd non si esclude che alla fine il Nuovo centrodestra potrebbe appoggiare il commissario straordinario dell’Expo.
Non partecipando alle primarie, ovviamente, perchè questo non sarebbe nella natura delle cose politiche.
I dubbi su Pisapia riguardano allora la determinazione con cui sta ostacolando il progetto di Sala. Non c’è stato più nessun pressing del Partito democratico nei confronti del sindaco di Milano per invitarlo a ripensarci e a candidarsi.
Renzi, dopo i suoi reiterati no, considerava la questione chiusa già a settembre: d’altra parte, perchè dubitare di quello che gli aveva detto Pisapia?
E che il sindaco gli aveva confermato nuovamente anche l’ ottobre scorso, quando si erano visti a palazzo Chigi, perchè il presidente del Consiglio voleva capire se aveva in animo di assumere un atteggiamento collaborativo.
Renzi aveva capito che così sarebbe stato. Ma i fatti degli ultimi tempi rivelano che le cose stanno diversamente.
Tant’è vero che c’è chi pensa che sotto sotto il sindaco abbia mutato parere e stia facendo un pensierino su una sua eventuale ricandidatura. Ricandidatura che, sia chiaro, il Pd, qualsiasi altro progetto abbia studiato nel frattempo, non potrebbe che accogliere positivamente.
Del resto, Renzi lo ha sempre detto: «Per noi Pisapia andrebbe benissimo». A metà settimana, dopo l’incontro, il premier capirà quali sono le reali intenzioni del sindaco di Milano e deciderà il da farsi, onde evitare che la telenovela milanese si trascini troppo a lungo, nuocendo all’immagine del Partito democratico.
Dopodichè saranno primarie, anche per Giuseppe Sala, perchè questo è un passaggio che ormai è diventato obbligatorio.
Primarie precedute da patti chiari, perchè Renzi ci tiene: «Ci devono essere serietà e lealtà da parte di tutti. Chi perde sostiene chi vince e non fa scherzetti come quello di candidarsi comunque alle elezioni».
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
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